Per il profeta progressista Ernesto Balducci il Concilio segnò:"La fine della cristianità"? Se la dottrina è inquinata dagli errori non serve più a nulla anzi, diventa un cavallo di Troia per infettare tutto il gregge di Cristo
di Francesco Lamendola
Si può discutere fino al giorno del giudizio se il Concilio sia stato un bene o un male nella storia della Chiesa, se abbia rappresentato una rottura rivoluzionaria o un semplice rinnovamento; ma una volta posta la questione in termini puramente teorici, si rischia di non arrivare da nessuna parte, perché chi è interessato a una tale discussione ha già la sua idea in merito e non fa altro che citare a suo sostegno quei fatti e quegli aspetti che convengono alla propria tesi. Il che dimostra, qualora ce ne fosse bisogno, che il Concilio, per i cattolici, ma specialmente per la maggiorana progressista, anzi per la quasi totalità, il Concilio non è un evento storico, sul quale si possa e si debba riflettere storicamente, ma un evento salvifico, sul quale sarebbe inutile, e forse anche un po’ blasfemo, avanzare il benché minimo dubbio, la benché minima riserva. Per essi, infatti, è di per se stesso evidente che il Concilio è stato una cosa buona: tutti lo aspettavano da tempo e quasi tutti lo salutarono con vero entusiasmo.
Infatti lo videro come lo strumento della Provvidenza per operare un benefico rinnovamento in seno alla Chiesa e perché gli uomini tornassero alle vere fonti della fede, non alla tradizione (lettera minuscola) degli ultimi secoli, e in particolare a quella tridentina, che ad essa si era sovrapposta nel corso del tempo, e che la gerarchia aveva trasformato in una specie di giogo da porre sulle spalle del clero e dei fedeli.
Per il "Profeta progressista" Ernesto Balducci il Concilio Vaticano II segnò: "La fine della cristianità"?
La figura di Ernesto Balducci (Santa Fiora, Grosseto, 6 agosto 1922-Cesena, 25 aprile 1992) è troppo nota perché sia il caso di tracciarne qui un ritratto, sia pure sommario; basti dire che è stato uno dei maggiori e più tipici esponenti di quel clero ultraprogressista che ha visto nel Concilio non il culmine, ma il cauto inizio di una stagione ecclesiale che avrebbe dovuto essere ancor più rivoluzionaria, invocando apertamente l’adozione della prospettiva laicista e protestante in tutti gli aspetti rilevanti della pastorale, e lamentandosi di continuo della sorda resistenza opposta al “rinnovamento” da parte dei cattolici chiusi e retrogradi, da lui non considerati nemmeno compagni di fede, ma ostacoli da superare ed esponenti di un mondo ostile, destinato ad estinguersi e col quale la tanto celebrata virtù del dialogo non aveva ragione di essere sfoggiata. Personaggio di notevole levatura intellettuale, molto influente e molto ascoltato in ambito cultuale, soprattutto fuori della Chiesa, negli ambienti della sinistra filo-comunista e filo-radicale, ha speso la propria autorevolezza per sostenere e far passare la linea del continuo superamento delle novità conciliari, instaurando di fatto la prospettiva del progresso nella Chiesa, e così ponendo la Chiesa stessa non più nella luce dell’eterno, ma del contingente, e non più sotto l’influsso della grazia, ma sotto la spinta della storia. Una storia che egli apertamente concepisce come “rivelazione” in se stessa, quasi una rivelazione parallela accanto a quella divina, anzi, per certi aspetti, perfino più importante e più preziosa per la vita degli uomini, in quanto frutto delle loro scelte autonome.
Per Ernesto Balducci il Concilio Vaticano II è il frutto di una necessità storica; salvo mettere quest’ultima espressione fra virgolette, il che denota una debolezza del pensiero o una voluta ambiguità!
Scriveva dunque Ernesto Balducci nella sua Storia del pensiero umano (Firenze, Edizioni Cremonese, 1986, vol. 3, pp. 573-574):
IL CONCILIO VATICANO II: UN NUOVO INIZIO. Solo tenendo conto dei processi di rinnovamento – a partire da quelli classificati, nella condanna ecclesiastica del 1907, come ‘modernismo’ – che hanno operato in profondità nella chiesa cattolica di questo secolo, è possibile comprendere la “necessità storica” del Concilio Vaticano II (1962-1965). Negli intenti di chi lo aveva preparato (ma non di chi lo aveva indetto, il papa Giovanni XXIII), la grande assise cattolica avrebbe dovuto esprimere il tradizionale sigillo degli anatemi sugli “smarrimenti” del mondo moderno e ricostruire le mura della cristianità in più parte messe in breccia. E invece essa fu, se vista nello slancio che ne governò lo svolgimento e ne ispirò i documenti principali, la formale dichiarazione della fine della cristianità e dell’inizio di un nuovo corso della chiesa cattolica, in particolare della sua teologia. E questo per due ragioni fondamentali.
In primo luogo, perché il concilio ha segnato la riconciliazione della chiesa col mondo contemporaneo, e cioè proprio con quel mondo che si è costruito a partire dalla rivoluzione scientifica galileiana, con una serie di atti d’emancipazione dalla tutela ecclesiastica. Questo passaggio dall’antagonismo al dialogo è stato così brusco da generare lo sconcerto perfino in alcuni suoi pionieri, come Jacques Maritain o Henri de Lubac. Il mondo del futuro prefigurato dal concilio non è più un mondo soggetto alla guida della chiesa; esso è dotato di progetti autonomi di crescita, nei confronti dei quali la chiesa si pone in atteggiamento di servizio, nella convinzione che la storia è gravida per suo conto di indicazioni non estranee al disegno di salvezza, che tocca a lei decifrare per trarne, con umiltà, il suo ordine del giorno. Gli eventi storici, infatti, sono già essi stessi, in qualche modo, parola di Dio, affidata alla lettura della comunità di fede, riconosciuta, a sua volta, come soggetto unitario che non può essere espropriato, come è avvenuto nella lunga stagione clericale, della sua competenza profetica.
Per Ernesto Balducci (Santa Fiora, Grosseto, 6 agosto 1922-Cesena, 25 aprile 1992) la Chiesa deve trarre il suo ordine del giorno dagli eventi della storia, perché gli eventi storici sono già essi stessi, in qualche modo, parola di Dio. Davvero? Anche Hitler, Stalin e la bomba atomica sono parola di Dio?
La seconda ragione della rilevanza teologica del concilio è che esso ha esibito e legittimato l’immagine di una chiesa in situazione di dibattito, aperta, perfino nella sua istanza gerarchica, all’interrogazione e alla problematica. Nella costituzione “Dei Verbum”, la chiesa prende le distanze non solo nei confronti della tradizione metafisica, che era stata lo strumento normativo di mediazione teologica, ma anche nei confronti della Rivelazione intesa come corpo di verità dottrinali contenute nella Scrittura e insegnate dal magistero. Il rapporto tra la ricerca teologica e la rivelazione non è più visto come un servizio strumentale reso al magistero (un servizio che sembrava riducesse la teologia cattolica a sovrastruttura ideologica di legittimazione del sistema ecclesiastico e della sua prassi), ma, in conformità alle leggi della ricerca scientifica e all’attualizzazione del messaggio rivelato, come un rapporto libero e vitale tra intelligenza e parola di Dio , aperto alle esigenze della ricerca e della critica. Come si è detto sopra, in certa misura – e cioè nei limiti che la tradizione cattolica porta con sé, ad esempio quello del ministero teologico come carisma da vivere nella e per la comunità ecclesiale – il “principio protestante” della sola fede nella parola di Dio come suprema istanza critica, ha fatto ingresso , con il concilio, anche all’interno della chiesa cattolica, che è giunta perfino a riconoscere il valore profetico della testimonianza di Lutero. È avvenuto così che dagli anni ’60 in poi, le linee divisorie in campo teologico non corrono più tra l’una e l’altra chiesa, tra l’una e l’altra confessione religiosa, ma in mezzo ad ognuna di esse.
Come padre Turoldo, Ernesto Balducci si sente un po’, anzi parecchio, profeta!
Tutto, in questa pagina di prosa, per chi abbia un minimo di amore per l'imparzialità del mestiere di storico, trasuda faziosità e arroganza culturale; tutto denota una radicata, invincibile disonestà intellettuale. La cosa è ancor più grave in quanto si tratta di un testo ad uso scolastico, cioè un testo destinato ad essere letto e studiato da dei giovani, che poco o nulla sanno delle vicende palesi e occulte del Concilio; dei giovani che non hanno scelto di studiare proprio su quel testo, e che formano perciò un pubblico di lettori coatto, a discrezione dell’insegnante: il che rende ancora più grave la responsabilità di uno studioso che sa di rivolgersi a delle giovani menti ancora in formazione e perciò dovrebbe avere il massimo rispetto per la loro vulnerabilità e non avere l’obiettivo di indottrinarle, ma di guidarle alla conquista di un’autonomia critica. Stiamo dando un giudizio forte; ora ci accingiamo a dimostrarlo.
Per Ernesto Balducci il “principio protestante” della sola fede nella parola di Dio come suprema istanza critica, ha fatto ingresso con il concilio, anche all’interno della chiesa cattolica, che è giunta perfino a riconoscere il valore profetico della testimonianza di Lutero!
Balducci esordisce affermando che il Concilio Vaticano II è il frutto di una necessità storica; salvo mettere quest’ultima espressione fra virgolette, il che denota una debolezza del pensiero o una voluta ambiguità. È stato o non è stato una necessità storica? Se lo è stato, allora niente virgolette, però bisogna dimostrarlo; se non lo è stato, non saranno le virgolette a far passare per buona una espressione impropria e forzata. E dunque perché lo sarebbe stato, a giudizio di padre Balducci? Perché nella Chiesa cattolica (lui la scrive sistematicamente con la lettera minuscola, il che fa pensare che la ritenga una cosa tutta umana; a meno che sia solo un omaggio alla cultura laicista e secolarizzata nei cui salotti, anche televisivi, egli era molto apprezzato), fin dal principio del Novecento, operavano dei profondi processi di rinnovamento, gli stessi che – insignificante dettaglio – Pio X aveva solennemente condannato con l’enciclica del 1907, Pascendi, chiamandoli modernismo e designandoli come il concentrato di tutte le eresie. Si vede che per Balducci la cosa è del tutto irrilevante: nella sua mentalità storicista non conta che un papa, nella forma più solenne del Magistero, abbia condannato una serie di proposizioni e che abbia lottato strenuamente contro di esse per tutto il suo pontificato, considerandole un pericolo mortale per la Chiesa e per la stessa fede, come del resto avevano fatto i suoi predecessori; evidentemente per lui la verità è storica, cioè relativa, e non c’è nulla di strano se la Chiesa condannava certe tesi ai primi del ‘900, mentre le ha pienamente rivalutate col Concilio, poco più di cinquant’anni dopo. La cosa è ancora più significativa se si pensa che l’autore di queste righe è un sacerdote. Dunque per lui quella maniera di intendere il cattolicesimo, che è tipicamente moderna e che si fa strada col Concilio, dopo essere stata solennemente condannata da tutti i pontefici, non solo è perfettamente legittima, ma è la vera interpretazione della Rivelazione: e pare nessuno se n’era accorto prima del 1962, tranne appunto i modernisti, che però erano stati scomunicati. Tanta disinvoltura sarebbe già strana in uno storico laico che si occupi di una questione profana; ma uno storico cattolico, per giunta sacerdote, che tratta la cosa più preziosa che esista per i cattolici, ossia la verità della loro dottrina come se fosse un portato storico in continua evoluzione, e che si può mutare quasi da un giorno all’altro, come lui stesso afferma, mostra di non ragionare affatto da cattolico, cioè in termini di verità assoluta, certa e definitiva, ma da relativista. Ed ecco la disonestà culturale: a che gioco stiamo giocando? Ma per padre Balducci, questo atteggiamento disinvolto è il massimo della sciccheria liberal-radicale: lui non si considera certo un prete nel vecchio senso della parola, cioè una cinghia di trasmissione del potere clericale; lui si sente in tutto e per tutto un uomo moderno, tranne in una cosa: come padre Turoldo, si sente un po’, anzi parecchio, profeta. Solo che si sente un profeta del mondo nuovo, cioè del mondo moderno, e non un profeta come quelli della Bibbia; e la differenza è questa: che essi parlavano esclusivamente a nome di Dio, annunciando agli uomini le Sue parole; Balducci, Turoldo e quelli come loro si sentivano e si sentono profeti in un senso improprio, cioè amano indossare le vesti sacerdotali e mistiche degli antichi profeti, ma poi le parole che dicono sono tutte loro, sono farina del loro sacco, vengono dalle loro idee e dalle loro passioni, non certo da Dio, del quale non si fanno docili strumenti, semplicemente perché non hanno la minima umiltà per farlo. Vogliono essere uomini del loro tempo, mica del Medioevo, bramano l’applauso degli uomini moderni, meglio se non cattolici! Ecco la bella scuola ideologica che ha sfornato personaggi come Bergoglio, Kasper, Sosa, Bianchi, ecc., con il loro culto dei migranti e di Pachamama.
La Chiesa non ha più una verità da annunciare al mondo; la sua ragion d’essere è quella di accompagnare il mondo, mettendosi al suo servizio? Chi è rimasto sconcertato dall’uso di simili concetti da parte del falso papa Bergoglio, dovrebbe riflettere che il male parte da lì, dal Concilio; è lì che è nata la falsa chiesa, con la funzione di approvare quel che fa il mondo e di mettersi a sua disposizione perché esso faccia con ogni comodità tutto ciò ha deciso di fare, anche contro Dio e contro l’uomo (aborto, eutanasia, unioni omosessuali con relative adozioni di bambini, fecondazione eterologa, manipolazione genetica, ecc.)!
Negli intenti di chi lo aveva preparato (ma non di chi lo aveva indetto, il papa Giovanni XXIII), la grande assise cattolica avrebbe dovuto esprimere il tradizionale sigillo degli anatemi sugli “smarrimenti” del mondo moderno e ricostruire le mura della cristianità in più parti messe in breccia. A quanto pare, Balducci non è sfiorato dall’idea che a questo, e non altro, servono i concili, a questo sono serviti tutti i concili della Chiesa cattolica, tutti e venti fino al Vaticano I dal 1869-70: ad anatemizzare le eresie, a condannare gli errori del mondo per rinsaldare le anime nella vera dottrina e quindi nella vera fede. Non c’è vera fede senza vera dottrina; ma se la dottrina è inquinata dagli errori, allora non serve più a nulla, anzi, diventa un cavallo di Troia per infettare tutto il gregge di Cristo. Dunque i concili ecumenici servono a ribadire la verità, mediante la condanna degli errori che in ogni tempo sorgono per attentare contro di essa; e gli errori della modernità si concentrano e si compendiano nel modernismo. Pertanto aveva perfettamente ragione san Pio X a condannarli, mentre diventa inspiegabile perché Giovanni XXIII abbia ritenuto di indire un concilio che, secondo quelli che lo avevano pensato e voluto, avrebbe dovuto condannare gli errori, primo dei quali il comunismo, e invece non condannò niente e nessuno e aprì le porte all’infiltrazione di cento eresie entro la vera dottrina e la vera fede. Balducci non si sofferma su una tale incongruenza: perché dovrebbe farlo? Lui è d’accordo con Giovanni XXIII, quel concilio non doveva servire a condannare gli errori, ma a trasformare la Chiesa in un’assise democratica e pluralista, dove ciascuno ha la sua verità e la fede diventa il risultato d’un voto di maggioranza, di una decisione assembleare. Peccato che ciò non abbia nulla a che fare col vero cattolicesimo, e neppure con la dottrina insegnata da Gesù Cristo. Forse che Gesù si metteva a dialogare con la gente o coi sacerdoti delle false religioni? Chiedeva il loro parere, formulava discorsi che tenessero conto di ciò che piace al mondo? Tutto al contrario: quante volte ha esclamato: Razza di vipere, sepolcri imbiancati! Ma i cattolici progressisti no, mai: un simile linguaggio suscita tutto il loro sdegno, tutto il loro orrore; è un linguaggio autoritario, se non addirittura fascista.
Pio X aveva solennemente condannato i modernisti con l’enciclica del 1907, Pascendi, designandoli come "Il concentrato di tutte le eresie"!
Lo tollerano in Gesù Cristo, protetti da una distanza di duemila anni; ma se un vescovo o un teologo osassero parlare a quel modo, oggi, lo prenderebbero immediatamente a sassate, lo caccerebbero fuori e, digrignando i denti, lo proclamerebbero espulso per sempre dalla “vera” chiesa: quella del Concilio. Si noti inoltre che, dal modo in cui si esprime, Balducci dà per scontato che Giovanni XXIII conoscesse benissimo per quali intenzioni un gruppo di vescovi gli aveva chiesto di convocare il concilio, richiesta che accolse, ma con una segreta riserva mentale: fare in modo che il concilio andasse nella direzione esattamente opposta a quella che essi desideravano. In altre parole, stando alla sua ricostruzione, Giovanni avrebbe deliberatamente ingannato i vescovi e tutti quei cattolici che, davanti agli errori del modernismo e agli orrori del comunismo, volevano una ferma parola di chiarezza e di condanna da parte della Chiesa, mentre egli era ben deciso a non pronunciare affatto quella parola: al contrario, voleva far capire che quegli errori erano condonati, che bisognava considerare la contrapposizione fra Chiesa e mondo come superata, e ciò anche se il modernismo infettava da tempo i seminari e le facoltà teologiche, e se il comunismo perseguitava da decenni milioni e milioni di persone, e specialmente di cattolici, in tutti i Paesi nei quali era giunto al potere. Infatti, con l’Accordo di Metz del 13 agosto 1962, il papato aveva raggiunto una segreta intesa proprio con quei regimi comunisti che gettavano in carcere e nei campi di prigionia decine di migliaia di cattolici, compresi sacerdoti e vescovi; e si era impegnato in cambio della partecipazione di alcuni osservatori ortodossi al Concilio - così da poter agitare la bandiera del falso ecumenismo - di non ribadire la scomunica contro il comunismo, anzi di aprire con esso un dialogo privilegiato. E ciò all’insaputa del clero e dei fedeli. Un modo di agire che non denota certo onestà intellettuale da parte del vertice della Chiesa; e lo stesso vale per chi, come Balducci, mostra di approvare pienamente tanta doppiezza e machiavellismo nell’agire alle spalle dei fedeli.
Personaggio di notevole levatura intellettuale, Ernesto Balducci fu molto influente e molto ascoltato in ambito cultuale, soprattutto fuori della Chiesa, negli ambienti della sinistra filo-comunista e filo-radicale, ha speso la propria autorevolezza per sostenere e far passare la linea del continuo superamento delle novità conciliari, instaurando di fatto la prospettiva del progresso nella Chiesa, e così ponendo la Chiesa stessa non più nella luce dell’eterno, ma del contingente, e non più sotto l’influsso della grazia, ma sotto la spinta della storia!
Ernesto Balducci: il Concilio visto dai cattolici progressisti
di Francesco Lamendola
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