ACTA APOSTATICAE SEDIS : come, cambiando un po' qua e un po' la, si può cambiare tutto...

mercoledì 8 aprile 2020

Suo «fratello Giuda»

LA RETORICA DEL NEGATIVO - QUANDO GIUDA DIVENTA UN ESEMPIO



Venite, mittamus lignum in panem ejus,
et eradamus eum de terra viventium, 
et nomen ejus non memoretur amplius.

Jer 11, 19

Ripubblico l’articolo che ho scritto il 9 Dicembre 2016, perché a quanto pare Bergoglio insiste nella sua narrazione eterodossa che mira ad una presunta riabilitazione di Giuda. Nella sua omelia di Santa Marta di oggi (qui) ritroviamo formulate e riproposte le tesi ereticali già allora anticipate, sempre con i medesimi riferimenti al pessimo don Mazzolari e al capitello di Vezelay: «Una cosa che attira la mia attenzione è che Gesù mai gli dice “traditore”; dice che sarà tradito, ma non dice a lui “traditore”. Mai lo dice: “Vai via, traditore”. Mai! Anzi, gli dice: “Amico”, e lo bacia. Il mistero di Giuda: com’è il mistero di Giuda? Non so … Don Primo Mazzolari l’ha spiegato meglio di me … Sì, mi consola contemplare quel capitello di Vezelay: come finì Giuda? Non so. Gesù minaccia forte, qui; minaccia forte: “Guai a quell’uomo dal quale il Figlio dell’Uomo viene tradito: meglio per quell’uomo se non fosse mai nato!” (Cf. Mt. 26,24). Ma questo vuol dire che Giuda è all’Inferno? Non so. Io guardo il capitello. E sento la parola di Gesù: “Amico”». 
Vi prego di leggere con attenzione le mie riflessioni, che si rivelano - purtroppo, oserei dire - ancora  drammaticamente attuali, anche alla luce degli eventi recenti.
  

Premessa

Lo scorso 6 Dicembre 2016, in una delle sue estemporanee omelie mattutine a Santa Marta (qui), Bergoglio ha proposto come modello di pecorella smarrita nientemeno che Giuda Iscariota: «La pecora smarrita più perfetta nel Vangelo è Giuda: un uomo che sempre, sempre aveva qualcosa di amarezza nel cuore, qualcosa da criticare degli altri, sempre in distacco. Non sapeva la dolcezza della gratuità di vivere con tutti gli altri. E sempre, siccome non era soddisfatta questa pecora – Giuda non era un uomo soddisfatto! – scappava. Scappava perché era ladro, andava per quella parte, lui. Altri sono lussuriosi, altri… Ma sempre scappano perché c’è quel buio nel cuore che li distacca dal gregge. È quella doppia vita, quella doppia vita di tanti cristiani, anche, con dolore, possiamo dire, preti, vescovi… E Giuda era vescovo, era uno dei primi vescovi, eh? La pecora smarrita. Poveretto! Poveretto questo fratello Giuda come lo chiamava don Mazzolari, in quel sermone tanto bello: ‘Fratello Giuda, cosa succede nel tuo cuore?’. Noi dobbiamo capire le pecore smarrite. Anche noi abbiamo sempre qualcosina, piccolina o non tanto piccolina, delle pecore smarrite».

Lasciamo perdere la prosa bergogliana, che rende gli spropositi dottrinali ancor più indigesti; cerchiamo piuttosto di far chiarezza, anche riprendendo un suo precedente intervento sullo stesso tema.

La Sacra Scrittura

Di Giuda Iscariota, il Salvatore stesso disse: «Filius quidem hominis vadit, sicut scriptum est de illo; vae autem homini illi, per quem Filius hominis traditur: bonum erat ei si natus non fuisset homo ille». (Mt XXVI, 24) Il Figlio dell’uomo se ne va, come è scritto di lui, ma guai a colui dal quale il Figlio dell’uomo viene tradito; sarebbe meglio per quell’uomo se non fosse mai nato!  

Il Vangelo ci indica Giuda anche come ladro: «Dixit autem hoc non quia de egenis pertinebat ad eum, sed quia fur erat et, loculos habens, ea quae mittebantur portabat». (Gv, XII, 6) Questo egli disse non perché gl’importasse dei poveri, ma perché era ladro e, siccome teneva la cassa, prendeva quello che vi mettevano dentro.

E Nostro Signore dice: «Cum essem cum eis, ego servabam eos in nomine tuo: quos dedisti mihi custodivi et nemo ex his perivit, nisi filius perditionis, ut scriptura impleatur». (Gv XVII, 12) Quand’ero con loro, io conservavo nel tuo nome coloro che mi hai dato e li ho custoditi; nessuno di loro è andato perduto, tranne il figlio della perdizione, perché si adempisse la Scrittura.

Gli Apostoli non si discostano da quanto afferma il Signore: «Tu Domine, qui corda nosti omnium, ostende quem elegeris ex his duobus unum accipere locum ministerii huius et apostolatus, de quo praevaricatus est Judas, ut abiret in locum suum». (At I, 24-25) Tu, Signore, che conosci il cuore di tutti, mostraci quale di questi due hai designato a prendere il posto in questo ministero e apostolato che Giuda ha abbandonato per andarsene al posto da lui scelto.

I Santi Padri

La voce dei Santi Padri è sostanzialmente concorde nel considerare il suicidio di Giuda come una prova della disperazione della salvezza: con l’equilibrio che contraddistingue la dottrina cattolica, causa della dannazione dell’Iscariota non è il pur gravissimo tradimento del Signore, ma l’aver rifiutato di confidare nel Suo perdono e nell’infinito valore redentore del Suo sacrificio, del quale egli fu allo stesso tempo volontario cooperatore, avendolo consegnato ai Sommi Sacerdoti in cambio di trenta denari.

San Leone Magno chiama Giuda maestro del crimine, e quando Sant’Atanasio o più tardi Rufino parlano della morte dell’eretico Ario, si riferiscono direttamente a Giuda, al punto da farne un topos dell’iconografia e della teologia. Sulla stessa linea sono Sant’Ambrogio, Epifanio, San Gregorio Nazianzieno, il Venerabile Beda.

Nella Città di Dio (I, 3, XVII), Sant’Agostino conferma: «Chi si toglie la vita, è certamente un omicida. Un omicida tanto più colpevole, nell’uccidersi, quando meno è valido il motivo del suicidio. Se aborriamo a giusto titolo l’atto di Giuda, se la Verità proclama a gran voce che impiccandosi egli, lungi dall’espiarlo, ha aggravato il misfatto del suo esecrabile tradimento perché, disperando della misericordia divina, egli ha precluso a se stesso, con il suo funesto rimorso, ogni via verso una salutare penitenza (Mt. XXVII, 3-5), a maggior ragione deve astenersi dal suicidio colui che non ha nulla dentro di sé da punire con un simile supplizio! Infatti, suicidandosi, Giuda ha ucciso uno scellerato, ma perdendo egli stesso, colpevole insieme della morte di Cristo e della sua. Poiché, uccidendosi a causa del suo precedente crimine, si è reso colpevole di un ulteriore delitto». 

Per Sant’Agostino, Giuda è strumento, in sé radicalmente malvagio, dell’opera buona di Dio, perché il Signore ha il potere di disporre, a vantaggio dei suoi, delle opere di chi gli è ostile. Nella misteriosa opera divina Giuda assurge al ruolo di «ignaro e dannato mezzo di salvezza», le cui azioni malvagie sono a sua insaputa convertite in bene (Commento al Vangelo di Giovanni, 55, 5).

Il discorso di Bergoglio

Il 16 Giugno scorso 2016, in occasione del discorso pronunciato per l’apertura del Convegno Ecclesiale della Diocesi di Roma (qui), Bergoglio ha cercato di gettare un’ombra di dubbio sulla dannazione di Giuda, includendo anche l’Iscariota nel numero dei salvati. 

Fu in quella stessa circostanza che egli osò dire che Nostro Signore «fa un po’ lo scemo», frase blasfema poi modificata nella trascrizione con «fa un po’ il finto tonto»Ma leggiamo cosa dice Bergoglio: «Mi è venuta tra le mani – voi la conoscete sicuramente – l’immagine di quel capitello della Basilica di Santa Maria Maddalena a Vézelay, nel Sud della Francia, dove incomincia il Cammino di Santiago: da una parte c’è Giuda, impiccato, con la lingua di fuori, e dall’altra parte del capitello c’è Gesù Buon Pastore che lo porta sulle spalle, lo porta con sé. E’ un mistero, questo. Ma questi medievali, che insegnavano la catechesi con le figure, avevano capito il mistero di Giuda. E Don Primo Mazzolari ha un bel discorso, un Giovedì Santo, su questo, un bel discorso. E’ un prete non di questa diocesi, ma dell’Italia. Un prete dell’Italia che ha capito bene questa complessità della logica del Vangelo. E quello che si è sporcato di più le mani è Gesù. Gesù si è sporcato di più. Non era uno “pulito”, ma andava dalla gente, tra la gente e prendeva la gente come era, non come doveva essere». 

Leggere che Vézelay si trova «nel Sud della Francia» dovrebbe bastare per squalificare qualsiasi commento ulteriore, soprattutto se questo errore viene dal Papa, che si auspicherebbe faccia verificare il contenuto dei propri interventi prima di pronunciarli. (Vien da chiedersi se questo parlare a braccio non faccia parte della funzione scenica...) Ma parliamo di Bergoglio, che probabilmente considera i quattro punti cardinali come delle forme di vieto dogmatismo preconciliare e la geografia un’odiosa imposizione di chi crede d’aver la verità in tasca. Si tenga quindi per definito che la Borgogna è nel sud della Francia, e non si osi contestare il satrapo di Santa Marta.

Vediamo quindi di analizzare punto per punto le affermazioni di Bergoglio.

«Mi è venuta tra le mani – voi la conoscete sicuramente – l’immagine di quel capitello della Basilica di Santa Maria Maddalena a Vézelay». Parliamo di un capitello della navata (comunemente identificato col numero 79 dagli studiosi, ascritto alla seconda metà del sec. XII), che si trova in cima al primo pilastro, sul secondo livello, entrando dopo il portale laterale destro, oltre il nartece (quello dove sono raffigurate l’Annunciazione, la Visitazione, la Natività e l’Epifania). Diciamo che non è esattamente una delle immagini più visibili e note tra tutte quelle di Vézelay.

«Da una parte c’è Giuda, impiccato, con la lingua di fuori, e dall’altra parte del capitello c’è Gesù Buon Pastore che lo porta sulle spalle, lo porta con sé». Questa interpretazione lascia quantomeno stupiti. Anzitutto perché non è suffragata da alcuna prova scientifica, ed in secondo luogo perché rappresenta un’ardita innovazione di cui è autore un personaggio a dir poco controverso.

L’iconografia

Partiamo da valutazioni storico-iconografiche: nel secolo XII non si hanno raffigurazioni del Buon Pastore né a Vézelay né a Autun, e pare quindi strano che un elemento orientale, certamente nuovo, venga impiegato in una scena marginale. A differenza poi dell’usuale rappresentazione di Cristo con la barba propria del Nazareno, qui il personaggio appare imberbe. Egli veste inoltre la tunichetta corta dei servi ed è scalzo: altro elemento che non concorda con l’iconografia canonica. Infine, il volto è deformato da una smorfia. E ancora: la direzione in cui si muove è di spalle rispetto all’altare: è chiaro che questa persona sta portando Giuda fuori della chiesa, camminando verso occidente, incontro alle tenebre. Inutile dire che, per l’importanza che riveste la simbologia nelle raffigurazioni medievali, è semplicemente assurdo pensare che l’ideatore di questo capitello abbia voluto in qualche modo rappresentare Nostro Signore che si carica sulle spalle Giuda in un supremo atto di misericordia e di perdono.

Il capitello del Vitello d'Oro
Tra l’altro - anche ammesso che l’immagine orientale del Buon Pastore possa esser stata adottata in una chiesa della seconda metà del sec. XII - non si comprende per quale ragione il capitello di Mosè dinanzi al Vitello d’Oro mostri un analogo personaggio - chiaramente un pastore che porta un agnello da sacrificare dinanzi all’idolo eretto da Aronne - con barba, calzari e volto ben più nobile ed elegante dell’altro.
E qui mi chiedo, en passant: come mai quest’attenzione quasi morbosa ad un oscuro capitello che mette in discussione secoli di Tradizione cattolica, e poi significativamente nessun cenno ad esempio a quel demone che campeggia terrificante sull’idolo di Aronne, ricordando i polli sgozzati al pantheon di Assisi? Finché si tratta di distruggere la sana dottrina insinuando dubbi temerari, tutto va bene; ma appena la tanto decantata «catechesi delle figure» sconfessa l’ecumenismo conciliare, si passa oltre, fingendo di non vedere, e dimostrando così la malafede e la pretestuosità delle proprie argomentazioni.

Ad ogni modo, lo sguardo disgustato del personaggio che porta Giuda richiama il disprezzo della Sinagoga per il suo tradimento, rilevabile anche dalla narrazione evangelica, allorché i Sommi Sacerdoti si rifiutano di mettere nella cassa delle offerte il pretium sanguinis e lo destinano all’acquisto del campo del vasaio, detto Haceldama (Mt XXVII, 7-8).

Senza dire che, nella mentalità dell’epoca, l’idea che Giuda potesse in qualche modo essersi salvato non trova alcun riscontro, ed è quindi arbitrario applicare la disinvoltura dottrinale di un sedicente teologo dei nostri giorni alla devota spiritualità di un religioso del Medioevo, che si abbeverava ad esempio alla Passione di Cristo di San Gregorio Nazianzieno (329-390): «Ascolta, Giuda, tutto il bene che Egli [Cristo] ti ha fatto. Ti ha fatto uscire dalle tenebre dell’ignoranza, ti ha mostrato la luce della salvezza; ti ha fatto la grazia di numerosi miracoli. [...] Affidandoti tutto il denaro, ti ha tolto la scusa dell’indigenza. [...] Benché ti conoscesse alla perfezione prima del tuo crimine, non ha esitato a lavare i tuoi piedi criminali e a offrirti il Pane eucaristico. E dopo aver ricevuto da Lui questi doni, tu, il più odioso degli uomini, tu l’hai tradito, tu hai accettato il prezzo del sangue, forse eri travolto dalla cupidigia ma non hai scuse. [...] Tu non hai alcun motivo per avanzare pretesti, [...]  neppure se tutto l’inferno accorresse in tuo aiuto e diffondesse su tutta la terra le sue perverse ragioni». 

Il committente del capitello di Vézelay doveva aver letto anche il Carmen Paschale di Sedulio (del sec. V, anche autore degl’inni di Natale e dell’Epifania), che definisce Giuda «essere sanguinario, feroce, temerario, insensato, ribelle, perfido, crudele, bugiardo, venale, iniquo, fellone impietoso, barbaro traditore, empio malfattore», o il Liber Evangeliorum (composto tra l’863 e l’868 dal monaco Otfrid) ed il manoscritto degli Officia di New Minster (sec. IX). Né si dimentichino le Vite di Giuda ed i misteri medievali tedeschi, inglesi, francesi e italiani. Molti elementi di queste narrazioni si ritrovano pochi decenni dopo nella Legenda Aurea del beato Jacopo da Varazze e continuano nelle leggende in latino ed in vernacolare dalla Catalogna alla Boemia, dal Galles alla Finlandia o alla Russia, passando per la Bulgaria.

Capitello della Cattedrale di Autun
Solo per citare alcuni esempi, i rilievi delle colonne del ciborio di San Marco a Venezia (provenienti dalla spoliazione di Costantinopoli del 1204 e risalenti al sec. VI) presentano le scene della restituzione dei trenta sicli al tempio e dell’impiccagione, ma anche nel capitello della Sala Capitolare della Cattedrale di Autun (di Gislebertus, sec. XII), il suicidio di Giuda segue l’iconografia che gli affianca dei demoni.

L’arbor infelix cui si impicca Giuda è contraltare dell’arbor decora et fulgida, ornata Regis purpura, sul quale è crocifisso Cristo.

Timpato di Sainte-Foi de Conques

Il timpano della chiesa di Sainte-Foy de Conques (sec. XI) è ancora più esplicito, laddove mostra Satana che troneggia come in maestà al centro dei dannati, e l’Iscariota impiccato alla sua sinistra. Giuda ha una borsa intorno al collo, mentre un serpente gli si avvinghia alle gambe, e un diavolo continua ad impiccarlo. All’inferno, Giuda sarà impiccato in eterno.

Giuda nella letteratura ebraica anticristiana

Andrebbero anche anche ricordate le Toledoth Yeshu (תולדות ישו), racconti di matrice ebraica antichissimi (II sec.), che profferendo irripetibili bestemmie contro il Nostro Salvatore, facevano una parodia dei Vangeli e mostravano in Giuda una sorta di astuto ed eroico Anticristo (ne accenna anche Tertulliano, nel De spectaculis, 36). 

Inizialmente trasmesse in forma orale, le toledoth vennero trascritte tra il IV e il VI secolo. Rimasero - comprensibilmente - confinate in ambito ebraico per secoli e si diffusero, sia pure in versioni differenziate, in tutta l’Europa e nel Medio Oriente e ne sopravvivono un centinaio di redazioni. La lingua originaria era forse l’aramaico, ma la maggioranza dei manoscritti è in ebraico, con versioni più tarde in arabo, giudeo-persiano, giudeo-tedesco (Yiddish) e giudeo-spagnolo (Ladino).

Il primo esplicito e dettagliato resoconto di una versione ebraica sacrilega delle vicende di Gesù risale al IX secolo ed è dovuto allo zelo dell’arcivescovo di Lione Agobardo (778-840). Delle toledoth parlano anche il suo successore Amolone (841-852), nel suo Liber Contra Judaeos, e Rabano Mauro, arcivescovo di Magonza (Contra Judaeos, 847), testimoniando che la notizia delle toledoth e del loro contenuto offensivo si stava diffondendo ampiamente, suscitando indignazione fra i Cristiani.

Nella versione che Johann Christoph Wagenseil riporta delle Toledoth (cfr. la Tela Ignea Satanae), appare - tra le ripugnanti bestemmie contro Nostro Signore e la Vergine Santissima - un passo in cui, nel corso di un combattimento aereo, Giuda e Gesù si sporcano reciprocamente (non diremo con quali fluidi, ma si sappia che ricompaiono nei rituali magici di Marina Abramović, et de hoc satis). Nel discorso di Bergoglio, immediatamente dopo la menzione di Giuda e come passaggio quasi logico, leggiamo: «E quello che si è sporcato di più le mani è Gesù. Gesù si è sporcato di più. Non era uno “pulito”, ma andava dalla gente, tra la gente e prendeva la gente come era, non come doveva essere». 

Davvero non si riesce a comprendere il passaggio tra il riferimento al fratello Giuda di don Mazzolari (giunto a Bergoglio per il tramite di padre Cantalamessa) e quel «Gesù si è sporcato di più. Non era uno “pulito”», che riecheggia i racconti delle toledoth. Devo ammettere che il solo pensiero mette i brividi.

Difficile immaginare che un pio monaco di Vézelay, avendo notizia di queste immonde parodie dei Vangeli, osasse anche solo minimamente far propria una riabilitazione di Giuda, non fosse che per l’apprezzamento di cui il traditore godeva presso i Giudei.

Le fonti di Bergoglio

Vediamo ora come Bergoglio potrebbe essersi ritrovato in mano un’immagine del capitello di Giuda. L’ipotesi più semplice è che essa facesse parte del corredo fotografico dell’opera Il vangelo di Marco. Immagini di redenzione, di Eugen Drewermann, pubblicata nel 1994. E chi potrà mai essere questo Drewermann? 

Ancora una volta, l’inesausto repertorio bergogliano attinge alla letteratura ereticale contemporanea, facendo propri i farneticamenti di uno spretato, condannato nel 1992 per le sue tesi eterodosse in favore del suicidio e del suicidio assistito, oltre ad altri deliri di matrice psicanalitica contro il celibato ecclesiastico, la negazione della Resurrezione e la non storicità dei Santi Vangeli. Un individuo, tanto per capirci, che nel 2005 ha pubblicamente apostatato la Fede cattolica e che è stato additato come «profeta» dal Vescovo di Hildesheim, mons. Heiner Wilmerm, che ha recentemente definito «terribilmente non cristiano» affermare che il Coronavirus sia una punizione di Dio (qui).

Chi avrà la pazienza di approfondire il curriculum di Drewermann, vi troverà inquietanti analogie con le convinzioni di Bergoglio in materia di formazione sacerdotale. Nel 2008 ha pubblicato un’opera dal titolo emblematico: Giordano Bruno. Il filosofo che morì per la libertà dello spirito. Nel 2014, ossia nove anni dopo l’apostasia annunciata in televisione, questo pseudo-teologo ha predicato gli esercizi spirituali a due comunità di monaci benedettini (quella locale e quella di Melk) presso l’Abbazia di Sankt Lambrecht, in Austria (vedi qui e qui).

Si noti che il tema del ruolo salvifico di Giuda è un elemento di matrice gnostica che ricorre anche nella setta neocatecumenale di Kiko Argüello (vedi qui) di cui padre Raniero è adepto.

Lo gnosticismo di «nostro fratello Giuda»

Risale a pochi anni or sono la traduzione del cosiddetto Vangelo di Giuda, testo eretico ed apocrifo scritto tra il 130 ed il 170 (e ritrovato in Egitto nel 1978), in cui l’Apostolo che tradisce lo fa nella piena consapevolezza di realizzare l’opera della Redenzione in conformità al volere divino (cfr. Sant’Ireneo di Lione, Adversus haereses, I, 31, 1).

Secondo questo testo, l’Iscariota non è il traditore, ma assumendo la funzione di simbolo della comunità gnostica perseguitata dalla grande Chiesa, risulta essere l’unico eroe giusto della storia. Giuda tradisce per liberare lo spirito di Gesù, emancipandolo dalla sua carne; il motivo per cui il Gesù rappresentato nel Vangelo di Giuda è radicalmente diverso da quello neotestamentario è proprio nella dinamica dell’Incarnazione. Il Cristo gnostico presentato nel Vangelo di Giuda è un puro spirito imprigionato nella materia, mentre quello cattolico rappresenta realmente l’Incarnazione del Verbo «che per opera dello Spirito Santo si è incarnato nel seno della Vergine Maria e si è fatto uomo».

Secondo lo gnosticismo, la forma umana è una prigione per l’anima; in tale ottica, il tradimento di Giuda (nel senso etimologico del termine, quello di traditio) permise a Gesù di liberarsi dai suoi vincoli fisici. Secondo il Vangelo di Giuda gli insegnamenti gnostici non furono impartiti a tutti gli Apostoli, ma rivelati privatamente da Gesù al solo Giuda, ritenuto più degno degli altri Apostoli.

Si ritiene che fosse il testo sacro fondamentale dei Seziani, in quanto è citata la “stirpe di Set” come stirpe degli eletti, o comunque dei Cainiti, i quali tenevano in gran conto tutti i personaggi ritenuti riprovevoli nell’Antico Testamento, come Esaù, Cam, gli abitanti di Sodoma e Gomorra, lo stesso Giuda Iscariota e Caino, da cui la setta prese il nome, poiché essi avevano sofferto ed erano stati maledetti da Hysteraa, il Demiurgo, il Dio crudele veterotestamentario. In un passo di tale pseudovangelo, Gesù deride i discepoli che pregano l’entità che loro credono essere il vero Dio, ma che è in realtà il malvagio Demiurgo. 

Non si dimentichi, a tal proposito, quanto una certa teologia postconciliare  - e il pensiero di Bergoglio in particolare - insista sulla presunta opposizione del Dio tremendo dell’Antico Testamento al Dio misericordioso del Nuovo, quasi si trattasse di due entità distinte, in chiave chiaramente gnostica, o se vogliamo manichea e marcionita. 

Non mi stupirei - per riprendere un tema che ho toccato in un mio recente articolo (qui) - se Francesco fosse sinceramente convinto che il Dio dei Cattolici “rigidi sia il Demiurgo, mentre la neochiesa adora il dio serpente, che ha consentito di nutrirsi del frutto della conoscenza. 

Andrebbe ricordato anche Origene, che nel Contra Celsum, pur condannando Giuda, vede nel suo tradimento un male contingente che verrà superato in una prospettiva di progressiva redenzione, in vista di una finale apocatastasis che ricomprenderà nella pienezza divina del Logos tutte le creature. Secondo questa visione, tutti i malvagi, compreso il diavolo, verranno redenti in un’eterna vivificazione che trascende il male storico. Il Concilio di Costantinopoli del 553 condannò l’apokatastasis di Origene: «Si quis dicit aut sentit, ad tempus esse daemonum et impiorum hominum supplicium, eiusque finem aliquando futurum, sive restitutionem et redintegrationem esse (fore) daemonum aut impiorum hominum, anathema sit». Se qualcuno dice o pensa che il castigo dei demoni e degli uomini empi è temporaneo o che esso avrà fine dopo un certo tempo, cioè ci sarà un ristabilimento (apocatastasi) dei demoni o degli uomini empi, sia anatema.

Ma è poi quel che sostenne nel sec. XVII anche Leibniz, che riflette su come Dio abbia considerato positiva l’esistenza di Giuda nel quadro del migliore dei mondi possibili, in cui la sua azione, seppur peccaminosa, è a vantaggio di un bene più grande, ovvero la mirabile economia redentiva. Assistiamo quindi al capovolgimento della felix culpa di Adamo.

Ritroviamo il pensiero di Origene anche in Friedrich Schleiermacher, Karl Barth, Hans Urs von Balthasar, Adrienne von Speyr, Adriana Zarri, Paolo De Benedetti, Luigi Lombardi Vallauri, Vito Mancuso.

Padre Cantalamessa e don Mazzolari

Il Venerdì Santo del 2014 padre Raniero Cantalamessa, Predicatore della Casa Pontificia, ha ripreso il tema della presunta conversione in extremis di Giuda, citando un altro personaggio del bestiario modernista (qui): don Primo Mazzolari (1890-1959), additato come anticipatore del Vaticano II e sostenitore della Chiesa dei poveri, della non-violenza, della libertà religiosa, del pluralismo e del «dialogo coi lontani». L’anno dopo, a suggello dell’autorevole panegirico coram Pontifice, è stato avviato il processo diocesano di beatificazione del parroco di Bozzolo. E nel 2016 lo stesso Papa lo ripesca nel discorso a San Giovanni in Laterano e in quello di Santa Marta, sempre per parlare di Giuda. Ribadisce anche oggi lo stesso concetto: «Don Primo Mazzolari l’ha spiegato meglio di me» (qui). 

Nella sua omelia del Venerdì di Parasceve, padre Cantalamessa ha affermato: «È rimasta famosa l’omelia che tenne un Giovedì santo don Primo Mazzolari su «Nostro fratello Giuda». «Lasciate — diceva ai pochi parrocchiani che aveva davanti — che io pensi per un momento al Giuda che ho dentro di me, al Giuda che forse anche voi avete dentro». [...] Giuda aveva un’attenuante che noi non abbiamo. Egli non sapeva chi era Gesù, lo riteneva solo “un uomo giusto”; non sapeva che era il Figlio di Dio, noi sì».

E dov’era Giuda quando il Signore ridava la vista ai ciechi, sanava i lebbrosi, guariva i paralitici, faceva risorgere Lazzaro, moltiplicava i pani e i pesci? Ah sì, a rubare i soldi del tesoro apostolico destinato ai poveri o a criticare la peccatrice per aver sprecato il balsamo profumato per ungerne i piedi di Cristo, come oggi vi è chi defrauda i fedeli del tesoro della Chiesa venendoci a predicare dottrine eretiche e rende sempre più squallido e profano quel che rimane della liturgia, contro il presunto trionfalismo tridentino. 

Tra l’altro, il pauperismo d’accatto tanto in voga sotto Bergoglio ricorda le speciose argomentazioni di Giuda: «Dixit ergo unus ex discipulis ejus, Judas Iscariotes, qui erat eum traditurus: quare hoc unguentum non vaeniit trecentis denariis, et datum est egenis?» (Gv XII, 4-5) Allora Giuda Iscariota, uno dei suoi discepoli, che doveva poi tradirlo, disse: “Perché quest’olio profumato non si è venduto per trecento danari per poi darli ai poveri?” Osservazione che sorge spontanea, dopo che si è avuta notizia dalla stampa (qui) degli sconsiderati investimenti dell’APSA in spericolate operazioni con Goldman Sachs e a sostegno di Hillary Clinton come candidata alle elezioni presidenziali americane...

Ma torniamo a don Mazzolari: nel Novembre del 1957 l’Arcivescovo di Milano, Giovan Battista Montini, lo chiama a predicare le Missioni presso la propria Diocesi; nel Febbraio del 1959 Papa Giovanni XXIII lo riceve in udienza privata e lo saluta pubblicamente quale «tromba dello Spirito Santo in terra mantovana». Paolo VI ebbe a dire: «Hanno detto che non abbiamo voluto bene a Don Primo. Non è vero. Anche noi gli abbiamo voluto bene. Ma voi sapete come andavano le cose. Lui aveva il passo troppo lungo e noi si stentava a stargli dietro. Così ha sofferto lui e abbiamo sofferto noi. Questo è il destino dei profeti». Ancora una volta, il solito procédé: si usa una parola apparentemente innocua - profeta, in questo caso - ammiccare a chi sa capire. Non a caso mons. Heiner Wilmerm ha usato proprio la stessa parola per definire un eretico apostata.

 «Ma voi sapete come andavano le cose», lo sappiamo eccome! Nel 1935 il Sant’Uffizio condannò il suo libro La più bella avventura; nel 1943 condannò Impegno con Cristo; nel 1945 condannò Impegni cristiani, istanze comuniste; nel 1949 don Primo fu richiamato per l’impegno filosocialista sul suo quindicinale Adesso; nel 1951 gli venne imposta la chiusura dello stesso periodico; nel 1954 il Prefetto Card. Ottaviani ordinò una severa ammonizione del sacerdote, impose l’attenta e severa revisione ecclesiastica dei suoi scritti e gli vietò di predicare fuori dalla parrocchia. Nel 1958 venne condannato il suo libro Tu non uccidere. L’ultimo decreto del Sant’Uffizio è del 1960, post mortem, che ribadì il divieto di pubblicare i libri di don Mazzolari già condannati. 

Ma a ben guardare, quasi tutti i cosiddetti profeti postconciliari annoverano nel proprio cursus honorum scomuniche, condanne, riduzioni allo stato laicale, privazione dell’insegnamento, divieto di predicare ecc. A proposito di ermeneutica della continuità… E in questo poco differiscono dai più noti eretici di ieri, di cui Bergoglio celebra le ricorrenze centenarie. 

Mi permetto di far notare che la dissociazione tra la persona Papae e la persona fisica che è palese in Bergoglio era già significativamente intuibile tanto in Roncalli quanto in Montini, dal momento che entrambi dimostrano di comprendere il proprio ruolo di rottura rispetto a quello che ci si sarebbe dovuti aspettare da loro in quanto Vicari di Cristo e custodi del Depositum fidei. 

Un altro elogio sul Giuda di don Mazzolari lo troviamo su Famiglia Cristiana (qui), che il Giovedì Santo 2018 ripubblica l’immonda omelia: «Povero Giuda. Che cosa gli sia passato nell’anima io non lo so. È uno dei personaggi più misteriosi che noi troviamo nella Passione del Signore. Non cercherò neanche di spiegarvelo, mi accontento di domandarvi un po’ di pietà per il nostro povero fratello Giuda. Non vergognatevi di assumere questa fratellanza. Io non me ne vergogno, perché so quante volte ho tradito il Signore; e credo che nessuno di voi debba vergognarsi di lui».

La retorica del negativo

Ecco quindi il fil rouge che unisce Primo Mazzolari, Eugen Drewermann, Raniero Cantalamessa e Bergoglio: il traditore, Giuda. Ma anche Lutero, come abbiamo visto recentemente.

Questa apologia di Giuda rientra evidentemente nella casistica del Cicero pro domo sua. Pare che, riabilitando i peggiori personaggi della storia, Bergoglio voglia rassicurar se stesso e suoi caudatari, cui forse un rimasuglio di rimorso deve pur rimproverare i peggiori eccessi. Così, a furia di allargar le maglie della divina giustizia dissolvendole in un buonismo che offende la divina Giustizia, costui confida di trovar salvezza nonostante le colpe onde s’è macchiato dinanzi alla Maestà di Dio e alla Chiesa. «Ognuno di noi ha la capacità di tradire, di vendere, di scegliere per il proprio interesse. Ognuno di noi ha la possibilità di lasciarsi attirare dall’amore dei soldi o dei beni o del benessere futuro. “Giuda, dove sei?”. Ma la domanda la faccio a ognuno di noi: “Tu, Giuda, il piccolo Giuda che ho dentro: dove sei?”». Agghiacciante.

Questo revisionismo sistematico, che non conosce alcun limite e giunge a negare la divinità stessa di Cristo o la Corredenzione della Beata Vergine, contraddice la Verità rivelata, le stesse parole del Salvatore, il consenso unanime dei Padri e la voce della Tradizione. Il problema è che Bergoglio sta indicando ai fedeli, come modelli di vita cristiana, il peggio del peggio: con tali esempi coi quali confrontarsi, spera forse di far cassa, intruppando nelle sparute schiere dei novatori una bolgia di tizzoni d’inferno ed altri personaggi impresentabili.

Ma dal Papa non si possono udire spropositi del genere. Discorsi che si potrebbero immaginar ambientati in una fumosa osteria, dove empi e viziosi, la stecca da bigliardo in mano, si vantano tra un’imprecazione e l’altra di non aver ucciso nessuno, e di esser quindi dei galantuomini. Gli stessi che deridono - trovando in Bergoglio un insperato complice - i bigotti, gli integralisti, quelli che mangiano di magro il venerdì ma hanno l’amante e chissà cos’altro nascondono. Gli stessi dai quali sentiamo dire «Meglio un buon laico che un cattivo prete», o altre banalità qualunquiste. 

Nel 2016, quando pubblicai questo articolo (qui), scrivevo: «Non stupiamoci se prima o poi Bergoglio giungerà a porsi dei dubbi su Satana stesso: alla fine – ci verrà a raccontare – era un buon diavolo e Dio l’avrà perdonato, come auspicava Origene o come farneticavano i Cainiti». È inquietante notare che quella riabilitazione dei demoni sia stata già teorizzata, assieme alla liberazione delle anime dannate dall’Inferno, per la fine dei tempi.

Secondo Bergoglio, Nostro Signore «prendeva la gente come era, non come doveva essere»Così dicendo egli bestemmia la Passione di Cristo, che si è immolato per redimerci col proprio Sangue, dandoci un esempio, perché non vivendo più per il peccato, vivessimo per la giustizia (I Pt 2, 24). Se non siamo chiamati a cambiare, a scegliere il dover essere della Sua santa legge, a che è servito il Sacrificio di Cristo? A cosa i dolori della Vergine ai piedi della Croce, il sangue dei Martiri? Con quale ardire, mi chiedo, si possono dire parole tanto sacrileghe?

Tranquillizzare i semplici dinanzi al peccato, lungi dal condurli alla beatitudine eterna, serve solo ad anestetizzare la coscienza e a renderle tollerabili anche le colpe peggiori, spalancando loro le fauci dell’inferno. Ma questo è un tradimento, che fa di chi se ne macchia un novello Iscariota.

Se questo è il tradimento che il Corpo Mistico di Cristo deve affrontare per seguire le orme del Maestro, ci troviamo ad esclamare con Nostro Signore: «Quello che devi fare, fallo presto» (Gv XIII, 27).

Copyright MMXX - Cesare Baronio




Salvate il compagno Giuda!


Stamattina, nella purtroppo quotidiana e purtroppo visibilissima predica di Santa Marta, Bergoglio ha intrattenuto i presente e gli ascoltatori su Giuda Iscariota.
Ci soffermiamo su un punto:
Una cosa che attira la mia attenzione è che Gesù mai gli dice “traditore”; dice che sarà tradito, ma non dice a lui “traditore”. Mai lo dice: “Vai via, traditore”. Mai! Anzi, gli dice: “Amico”, e lo bacia. Il mistero di Giuda: com’è il mistero di Giuda? Non so … Don Primo Mazzolari l’ha spiegato meglio di me … Sì, mi consola contemplare quel capitello di Vezelay: come finì Giuda? Non so. Gesù minaccia forte, qui; minaccia forte: “Guai a quell’uomo dal quale il Figlio dell’Uomo viene tradito: meglio per quell’uomo se non fosse mai nato!” (Cf. Mt. 26,24). Ma questo vuol dire che Giuda è all’Inferno? Non so. Io guardo il capitello. E sento la parola di Gesù: “Amico”.
Al di là del fatto che “traditore” e “colui che tradisce” voglion dire la stessa cosa: basta aprire un qualsiasi dizionario della lingua italiana … notiamo:
1) che Bergoglio non fa che ribadire posizioni già espresse dai due suoi immediati predecessori, di cui uno ancora vivente;
2) che sul destino eterno di Giuda non c’è nessun mistero: Gesù stesso ce lo rivela dannato.

Punto primo.
Di Giovanni Paolo II possiamo citare questo passo: “Di nessuno, neppure di Giuda, si può parlare con sicurezza di eterna dannazione” (Varcare la soglia della speranza, 1994, pp. 201-202). Dubbi sulla dannazione del traditore, che non reputando la Divina Misericordia capace di assolverlo andò ad impiccarsi, anche Benedetto XVI: “Benché egli si sia poi allontanato per andare a impiccarsi (cfr Mt 27,5), non spetta a noi misurare il suo gesto, sostituendoci a Dio infinitamente misericordioso e giusto” (Udienza generale del 18 ottobre 2006). Quindi ormai questo dubbio è “dottrina comune” post-conciliare: non potrebbe essere altrimenti visto che l’agnosticismo è una delle basi del modernismo; e Francesco, da elogiatore del dubbio e da modernista, la fa sua e la “insegna”. E questo insegnamento è quasi “dogmatico” tanto che il tristemente noto Mons. Parla non ebbe timore pochi mesi or sono di affermare: “Per la Chiesa cattolica, se uno afferma che Giuda sta all’inferno, è un eretico” (vedi qui). Verrebbe da rispondergli: Medice cura teipsum!

Punto secondo.
La dannazione di Giuda non è un mistero a noi ignoto: essa ci chiaramente palesata dalle Scritture.
Il Cristo chiama Giuda “figlio di perdizione ” (Joann. XVII, 12) che “è un ebraismo che significa: colui che si è perduto. Con questo nome si allude a Giuda traditore. Non è per incuria di Gesù che Giuda andò perduto, ma per la perversa  sua volontà. Dio, che ciò aveva permesso, lo fece preannunziare nella Scrittura (Salm. XL, 10; CVIII, 8)” (Padre Marco M. Sales OP, La Sacra Bibbia – Il Nuovo Testamento, Torino, 1925, Vol. I, p. 429, n. 12). San Pietro nel passo citato degli Atti degli Apostoli usa in riferimento al destino eterno del traditore l’espressione andare nel luogo suo proprio: “un eufemismo per indicare l’inferno. Giuda abbandonò il luogo che occupava tra gli Apostoli per acquistarsi un luogo nell’inferno, come si conveniva all’enormità del suo delitto” (Ibid. p. 463, n. 25). Ecco perché il Signore usò quella frase tremenda: “meglio per lui se non fosse mai nato”
Lapidario è il Catechismo del Concilio di Trento, eco dell’unanime (e quindi infallibile) consenso dei Padri: “Spesso avviene infatti che gli uomini non si pentano dei peccati quanto dovrebbero; che anzi vi sono taluni, a detta di Salomone, che si rallegrano del male commesso (Pr 2,14); mentre vi sono altri che se ne affliggono cosi amaramente, da disperare di salvarsi. Tale sembra essere stato il caso di Caino che esclamo: Il mio peccato è più grande del perdono di Dio (Gn 4,13); e tale fu certamente quello di Giuda, il quale pentito, appendendosi al laccio, perdette insieme la vita e l’anima (Mt 27,3 Ac 1,18)”.
La liturgia romana infine in una orazione che della Messa in Coena Domini e della funzione del Venerdì Santo mette a confronto le figure del Buon Ladrone, che fu “canonizzato” dallo stesso Gesù prima di morire, e di Giuda: mentre del primo si dice che ricevette “confessiónis suæ praemium“, evidentemente la salvezza (“Oggi sarai meco in Paradiso”), del secondo che ricevette “reatus sui poenam“, evidentemente il castigo nell’Inferno stabilito una volta e per sempre.

Pertanto se della figura di Giuda vi è qualcosa di oscuro, non è certo al sua sorte eterna in inferno, che noi dobbiamo evitare. E ad evitarla dovrebbero invitarci certi pastori che invece son tutti occupati a scagionare il Traditore, quasi a riabilitarlo, ad assolverlo forse volendo assolvere essi stessi e i propri tradimenti contro Gesù e la sua Sposa, la Chiesa.

Sul tradimento di Giuda consigliamo la lettura dei testi dell’abate Giuseppe Ricciotti.

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