La nomina della signora Pohl-Henzen in Svizzera a vicario episcopale richiama alla mente quello che da un po’ di tempo a questa parte bolle in pentola all’interno della Chiesa cattolica: arrivare alla nomina di diaconesse, in tutto uguali ai diaconi, pur senza conferire loro l’ordine sacro.
Martedì 19 maggio, la Diocesi di Losanna-Ginevra-Friburgo ha comunicato che il vescovo, Mons. Charles Morerod, ha nominato, a partire dal prossimo 1 agosto, la signora Marianne Pohl-Henzen delegato episcopale per la parte germanofona del cantone di Friburgo. Madre di tre figli e nonna di quattro nipoti, la signora Pohl-Henzen andrà a sostituire don Pascal Marquard, che ricopriva la carica di vicario episcopale dal 2017.
Si potrebbe pensare che la signora riceva semplicemente un riconoscimento ufficiale per il lavoro che per anni ha svolto a sostegno della vita pastorale della diocesi, visto che lungo diciotto anni ha lavorato come catechista e agente pastorale nel distretto di Lac, e poi, per due anni, è stata accompagnatrice e agente pastorale nel cantone di Vaud e nella città di Friburgo.
E invece, tanto per cambiare, latet anguis in herba. Il delegato episcopale, normalmente, si occupa di un settore particolare della vita pastorale della diocesi: vita consacrata, aggregazioni laicali, pastorale giovanile, etc., e non di una porzione territoriale della diocesi. Prima stranezza, indizio che qualcosa non quadra.
Seconda anomalia: questa nomina va di fatto a sostituire non quella di un altro delegato, bensì quella di un vicario episcopale uscente. Va da sé quindi, che la Pohl-Henzen avrà, nella propria zona di competenza, la stessa autorità del vicario episcopale.
Terza e ultima curiosità: il comunicato della Diocesi precisa che «la stessa sarà la responsabile regionale a nome del vescovo e di conseguenza membro del “consiglio episcopale”». Ora, se si va a vedere il can. 473 § 4 del Codice di Diritto Canonico, si trova che il consiglio episcopale che il vescovo può istituire è composto «dai Vicari generali e dai Vicari episcopali», non dai delegati.
Siccome tre indizi fanno una prova, la signora Pohl-Henzen viene di fatto nominata vicario episcopale, sebbene si cerchi di aggirare l’ostacolo del diritto canonico, nascondendosi dietro la carica di delegato episcopale.
La nomina a vicario episcopale non è l’esito di una benemerita “carriera” ecclesiale, un titolo da conferire a chi si sia distinto per particolari impegni e meriti; essa invece conferisce la potestà di governo ordinaria generale propria del Vescovo, sebbene sia da esercitare, come indica l’aggettivo, in modo vicario. Il canone 134 § 1, che si colloca nella sezione dedicata appunto alla potestà di governo, precisa che «i Vicari generali ed episcopali», nelle proprie diocesi, «godono di potestà esecutiva ordinaria generale». Questa potestà di governo, secondo il canone 129 §1, «per istituzione divina», può essere conferita solo a «coloro che sono insigniti dell'ordine sacro, a norma delle disposizioni del diritto».
Per essere un po’ più chiari: la signora Pohl-Henzen riceve una nomina che, come si è visto, è a dir poco ambigua; si tratta infatti di un delegato episcopale sui generis, che sostituisce di fatto un vicario episcopale “uscente” e che viene persino ammesso al consiglio episcopale, al quale possono prendere parte i vicari episcopali.
La signora poteva tranquillamente continuare a dare il proprio valido contributo al Vescovo e al vicario episcopale anche senza la presente nomina; se invece si è voluto procedere in questa direzione e con questa modalità ambigua, evidentemente si intende raggiungere qualche altro scopo. Perché, che la signora svolga di fatto tutte le funzioni del vicario episcopale (tranne, per ora, l’amministrazione dei sacramenti), pur senza poter essere insignita dell’ordine sacro, richiama alla mente quello che da un po’ di tempo a questa parte bolle in pentola all’interno della Chiesa cattolica: arrivare alla nomina di diaconesse, in tutto uguali ai diaconi, pur senza conferire loro l’ordine sacro. E chissà che ad abituare i cattolici ad avere diaconesse e delegate episcopali, la resistenza al conferimento degli ordini sacri alle donne si affievolisca da sé...
Se dalla Svizzera si passa alla Germania, il quadro di una volontà di spingere avanti i processi avviati, viene confermato. “12 donne, 12 luoghi, 12 prediche”: è questo lo slogan dell’iniziativa (vedi qui) dell’associazione Katholische Frauengemeinschaft Deutschlands: «Originariamente volevamo predicare tutte all’interno di una celebrazione eucaristica. La crisi del coronavirus ci obbliga a dimostrare una volta di più che noi donne siamo flessibili e abituate al fatto di trarre il meglio da una situazione». Quindi, pur mantenendo alcune prediche all’interno di celebrazioni eucaristiche o liturgie della Parola, le Frauen flessibili hanno messo a disposizione anche delle prediche video, podcast o file di testo. Se nel caso svizzero si è voluto aggirare il diritto, questa volta si vuole decisamente forzare la mano. Infatti il canone 767 §1 chiarisce che l’omelia «è riservata al sacerdote o al diacono». Quindi, ancora una volta, si cerca di fare quanto è riservato all’ordine sacro, pur senza poter ricevere l’ordinazione.
Forse un intervento da Roma sarebbe gradito in entrambe le situazioni; più che altro, per non lasciare il compito di frenare la deriva al coronavirus.
Luisella Scrosati
https://lanuovabq.it/it/la-vicaria-del-vescovo-provocazioni-e-ambiguita
“Donne-prete”: Roma locuta, causa finita
I testi sono chiari e non ammettono interpretazioni: il no alle ordinazioni femminili è definito e definitivo. Giovanni Paolo II ha fugato ogni possibile incertezza in merito con la Lettera Apostolica Ordinatio Sacerdotalis, laddove è scritto al n. 4: «Al fine di togliere ogni dubbio su di una questione di grande importanza, che attiene alla stessa divina costituzione della Chiesa, in virtù del mio ministero di confermare i fratelli, dichiaro che la Chiesa non ha in alcun modo la facoltà di conferire alle donne l’ordinazione sacerdotale e che questa sentenza deve essere tenuta in modo definitivo da tutti i fedeli della Chiesa». Concetto, ribadito anche nella precisazione «A proposito di alcuni dubbi circa il carattere definitivo della dottrina di Ordinatio sacerdotalis», firmata dal card. Luis Ladaria, Prefetto della Congregazione per la Dottrina della Fede. Si legge nel documento: «Cristo ha voluto conferire questo Sacramento ai dodici apostoli, che, a loro volta, lo hanno comunicato ad altri uomini. La Chiesa si è riconosciuta sempre vincolata a questa decisione del Signore, la quale esclude che il sacerdozio ministeriale possa essere validamente conferito alle donne. La Congregazione per la Dottrina della Fede ha ribadito che si tratta di una verità appartenente al deposito della fede». Non solo: «La Chiesa riconosce che l’impossibilità di ordinare delle donne appartiene alla «sostanza del Sacramento» dell’Ordine».
Eppure, c’è chi sembra non volersene fare una ragione e continua ad esercitare pressioni, affinché venga autorizzato ciò che non può esserlo. Anche a costo di prendere il discorso alla larga, come è capitato nella diocesi di Friburgo, in Svizzera, dove per la prima volta è stata nominata una donna, Marianne Pohl-Henzen, nel ruolo di Vicario episcopale, ruolo tradizionalmente assegnato ad un sacerdote.
Pohl-Henzen, 60 anni, sposata, madre di 3 figli e nonna di molti nipoti, ha collaborato a lungo col suo predecessore: ora dipenderà totalmente da lei ogni questione attinente al clero diocesano. Secondo quanto riferito da Il Messaggero, «ha accettato l’incarico come un segno positivo, che porterà alla promozione delle donne nella Chiesa. Non ha nascosto la speranza che questo passaggio possa essere foriero di novità positive anche a Roma, dove si sta discutendo se aprire uno spiraglio al diaconato femminile». Se ciò fosse vero, la signora Pohl-Henzen avrà anche solidi studi teologici alle spalle, come specifica il quotidiano romano, evidentemente però nelle sue letture non è mai capitata la Lettera Apostolica Ordinatio Sacerdotalis. Gli studi non la pongono evidentemente al riparo da errori, né da interpretazioni ideologiche, frutto più di un femminismo d’antan che di una reale prudenza pastorale. Specie su questioni come questa, per la quale davvero vale il detto: «Roma locuta, causa finita». Piaccia o meno a Friburgo.
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