Serpeggia nella Chiesa, da qualche anno, un odio ingiustificato a quelle che, spregiativamente, sono indicate come “regole”. Si vuol far passare l’idea che chi ama la dottrina o la legge sia un fariseo, attaccato solo all’esteriorità del culto. Non è esattamente così: anche se è vero che tutti i farisei amano l’esteriorità, non è affatto vero il contrario e, cioè, che tutti gli amanti della dottrina siano farisei.
San Luigi Maria Grignion de Montfort
San Luigi Maria Grignion de Montfort


San Luigi Maria Grignion de Montfort (1673-1716), nel suo Trattato della vera devozione alla Santa Vergine, osserva che «le pratiche esteriori, fatte bene, aiutano quelle interiori […]; esse inoltre hanno il vantaggio di edificare il prossimo che le vede, ciò che non si può dire di quelle interiori» (c. VIII, n. 226). Per cui – scrive – «benché l’essenziale di questa devozione consista nell’interiore, essa comporta diverse pratiche esteriori che non bisogna trascurare».
E, a sostegno della tesi, il Montfort cita direttamente Gesù Cristo che, rivolto ai farisei, li rimprovera di «trasgredite le prescrizioni più gravi della legge – la giustizia, la misericordia e la fedeltà» – anche se non bisogna affatto «omettere» di pagare «la decima della menta, dell’anèto e del cumìno» (Mt 23, 23).
Non solo Gesù non condanna l’osservanza delle regole, ma lo stesso Montfort precisa con forza: «Che nessun mondano, o critico, metta qui il naso per dire che la vera devozione sta nel cuore, o che bisogna evitare ciò che è esteriore perché ci può essere vanità, o che si deve tener nascosta la propria devozione, ecc…». Ma anzi, come dice Gesù: «Così risplenda la vostra luce davanti agli uomini, perché vedano le vostre opere buone e rendano gloria al vostro Padre che è nei cieli» (Mt 5, 16).
L’atteggiamento farisaico o ipocrita, dunque, non risiede nell’osservanza delle regole esteriori, ma nell’intenzione con la quale esse sono compiute o nel limitarle all’esteriorità. Sta infatti scritto: «Guardatevi dal praticare le vostre buone opere davanti agli uomini per essere da loro ammirati, altrimenti non avrete ricompensa presso il Padre vostro che è nei cieli» (Mt 6, 1).
A questo proposito il Montfort, nel Trattato, cita San Gregorio, secondo cui le buone opere sono auspicabili «non perché si debbano compiere le proprie azioni e devozioni esteriori per compiacere gli uomini e ricavarne qualche lode», ma «per piacere a Dio e così rendergli gloria, senza preoccuparsi dei disprezzi o delle lodi degli uomini».
Che poi, tra le opere buone, debba rientrare anche l’osservanza della Legge divina – e quindi l’osservanza di regole e precetti – lo afferma ad esempio il Concilio di Trento (Decreti, c. XI), che pone una relazione tra esse, mediante il Salmo 118: «Ho piegato il mio cuore ad osservare i tuoi precetti, per la ricompensa». Ma molto più lo si evince dalla realtà medesima: non è ipocrita il genitore che indica al figlio come comportarsi bene, né il legislatore che legifera, né il giudice che giudica, né chiunque rispetti un qualche regolamento, né il fedele che adempie i comandamenti divini, né il sacerdote che si attiene alle rubriche liturgiche.
Viceversa l’ipocrita separa sempre il dire dal fare, le regole dall’azione e, in ultima analisi, il precetto dalla carità (o dalla libertà). A questo proposito, San Tommaso d’Aquino afferma che «l’osservanza dei comandamenti basta a introdurre nella vita [eterna]», ma «le opere buone non bastano a introdurre nella vita [eterna], se non emanano dalla carità» (Summa Theologiae, Ia IIae, q. 100, a. 10). Se, difatti, è vero quanto dice il Signore: «Se vuoi entrare nella vita, osserva i comandamenti» (Mt 19, 17); è altrettanto vero quanto dice San Paolo: «Se anche distribuissi tutte le mie sostanze e dessi il mio corpo per essere bruciato, ma non avessi la carità, non sono nulla» (1Cor 13, 3).
È comunque sbagliato ritenere, per quanto visto, che l’osservanza (anche scrupolosa) di leggi, decreti o regolamenti sia l’anticamera del comportamento farisaico, specialmente quando è presente la carità. Né qualcuno può essere accusato di fariseismo per via del fatto che ama il Magistero cattolico o la dottrina di Gesù Cristo.
La dottrina medesima della Chiesa è conosciuta come «sacra dottrina». Il Catechismo della Chiesa Cattolica, in questo senso, si riferisce alla «dottrina salvifica di Cristo» (n. 2179) o «dottrina di vita» (n. 2764).
di Silvio Brachetta

Il prete della comunione “da asporto”? Una vecchia conoscenza di Radio Spada


Foto da qui

L’idea è rilanciata, più come curiosità che altro, dall’AdnKronos:
Se i fedeli non vanno a messa per una reale emergenza, arriva il parroco. Così don Giordano sta raccogliendo le richieste dei fedeli e dopo aver celebrato la messa mattutina in solitaria, consacrerà il Corpo di Cristo e dopo averlo sigillato in un apposito contenitore sterilizzato si metterà sulla bici e andrà porta a porta. “Non siamo come i negozianti – chiarisce don Goccini – che hanno chiuso e ora riaprono. La ‘bottega’ del Signore è sempre stata aperta. In queste settimane ha parlato tanto il Papa, i sacerdoti via streaming, si è pregato tanto in famiglia. E’ mancato il segno dell’essere tutti comunità”. Da qui l’idea di portare l’ostia di casa in casa. Il sacerdote si fermerà sul cancello e consegnerà la comunione nell’apposito contenitore.
“Non vorrei suonasse come una banalità – osserva don Giordano Goccini – l’unico vero problema è che ci sia un rito adeguato, anche semplice, però adeguato. Non potendo entrare io nelle case perché farei il gioco del virus, posso lasciare la comunione ad una persona fidata che garantisca che fa un rito cristiano dove sentire la vicinanza della comunità, il pane eucaristico consacrato alla mattina in una messa”.
Si sa: gli errori e le eresie mai van da soli ma sempre a grappoli. E vien da chiedere: è proprio quel don Goccini? Certo!
Ricorderete, anni fa, la vicenda della processione di riparazione (al gay pride reggiano) che portò in strada centinaia di fedeli lasciando sbigottiti gli stessi organizzatori dell’Arcigay. Ebbene sì, si tratta porprio del don Goccini, all’epoca responsabile della pastorale giovanile, che sentenziò – con un misto di fraintendimento e ignoranza: il pregare in riparazione dei peccati altrui è un atto di presunzione. L’affermazione, questa sì sciocca e presuntuosa, provocò un vespaio (chi vuole, ne trova traccia qui).
Dai frutti li riconoscerete, e qui i frutti sono abbondantissimi.

Perché peccando ho meritato i tuoi castighi. Un teologo davanti al coronavirus




Giovanni Cavalcoli

Perché peccando ho meritato i tuoi castighi. Un teologo davanti al coronavirus

«Mio Dio mi pento e mi dolgo dei miei peccati, perché peccando ho meritato i tuoi castighi».

Queste sagge parole ispirate alle Scritture ed alla più genuina ascetica cristiana sono messe a repentaglio, per non dire respinte dall’ondata fangosa del buonismo, che minaccia di sommergerci tutti, con la sua falsa carità, e invece è un virus ancora più pericoloso del coronavirus, perché questo è stato inventato dalla natura, mentre quello è un invenzione del demonio.

Diciamo allora che nei momenti di pubblica calamità, come questo del coronavirus, momenti nei quali gli animi sono spaventati ed angosciati, momenti che vedono nella natura una dea crudele, dubitano della bontà e dell’onnipotenza divina, pensano che Dio non s’interessi di loro, o si interrogano su quale messaggio Dio vuol darci con questa sventura, i pastori, da buoni medici dello spirito, sono più che mai chiamati, insieme con i medici del corpo, ad approntare ai fedeli e a tutti gli uomini di buona volontà, adeguate cure mediche ricavate dalla prassi di Gesù Cristo, Medico celeste, e da quella meravigliosa e miracolosa farmacia, che è la Sacra Scrittura.

Hanno pertanto l’obbligo di conoscerla e interpretarla bene, respingendo le false interpretazioni, e facendo attenzione a non scambiare farmaci per veleni e veleni per farmaci. È un compito delicato, perché alcuni farmaci biblici sembrano veleni e alcuni apparenti veleni sono in realtà farmaci; certe cure dolorose in realtà fanno bene, mentre certi palliativi piacevoli o apparentemente saggi lasciano il malato com’è o addirittura peggiorano il male.

In queste circostanze, pertanto, i pastori sono chiamati, insieme con i medici del corpo, ad un sommo impegno nelle opere della misericordia, i medici in quella corporale, i pastori in quella spirituale. E in particolare sono chiamati a istruire con la Parola di Dio circa le medicine da assumere e gli espedienti da adottare, per istruire coloro che non capiscono che cosa sta succedendo o si illudono di poter risolvere tutto con mezzi semplicemente umani.

Sono chiamati a consigliare i dubbiosi, che dubitano della divina Provvidenza, o addirittura della stessa esistenza di Dio, o comunque si sentono abbandonati da Dio, sono tentati di maledirLo e alla disperazione, facendo loro capire che in realtà Dio è sempre presente con la sua misericordia, anche se la sua giustizia esige che ci purifichiamo dai nostri peccati col sangue di Cristo.

Sono chiamati altresì ad ammonire i peccatori, a far loro presente che Dio castiga il peccato, esortandoli quindi a tornare a Lui, con l’approfittare di questo periodo di sofferenza, per scontare i loro peccati, unendosi alla croce di Cristo, ed avvertendoli che se non si convertono, capiterà loro anche qualcosa di peggio ed anzi finiranno nel fuoco eterno.

Sono chiamati altresì a consolare gli afflitti con una medicina che a tutta prima sembra fatta apposta per suscitare l’indignazione contro Dio piuttosto che a favorire la rassegnazione e la confidenza in Lui. Ricordare infatti a chi è già sotto il peso della sventura che essa è un castigo divino dei peccati, può essere troppo per chi, innocente già sofferente, può ricevere l’impressione che ciò che egli patisce è il castigo per i suoi peccati. I predicatori devono avere allora cura di precisare che Dio punisce i peccatori e non gli innocenti e che, se li fa soffrire, è per unirli alla croce di Cristo. La medicina consolatrice è allora appunto la coscienza di patire con Cristo.

Occorre che i predicatori spieghino ai fedeli sofferenti, ma bisognosi di conversione, che Cristo, Medico delle anime e dei corpi, offre a loro per mezzo dei sacerdoti, medici dello spirito, una cura, che a somiglianza di quella del corpo, potrebbe essere chiamata «terapia di supporto», così come in medicina viene chiamata una cura formata da una composizione di più farmaci, tutti finalizzati alla cura di una medesima patologia.

Noi diciamo che un medico è un buon medico non quello che lascia il malato com’è per non somministragli una cura dolorosa, ma quello che lo guarisce con una cura dolorosa. Ebbene, Dio con la presente pandemia, si sta comportando come buon medico, in un modo simile. Dio ci parla e ci cura per mezzo della Scrittura; ed essa, infatti, mediata dalla dottrina della Chiesa, ci offre un insieme organico di farmaci, che sono concetti di fede, i quali, assunti e messi in pratica dal fedele, costituiscono una cura dello spirito, tale da consentirci di superare la prova presente, senza che ciò debba affatto escludere l’adozione di tutti i mezzi umani possibili per sconfiggere il male.

Questa terapia di supporto è costituita dalla composizione logica e consequenziale dei seguenti concetti: bontà divina – giustizia e misericordia divine - concetto di peccato - peccato originale – castigo del peccato – pentimento – penitenza - sacrificio di Cristo - perdono divino – salvezza.

Sommario

Introduzione
Prima parte
La pandemia è un castigo divino?
Dio manda il male?
Supplica
alla Beata Vergine Maria del Santo Rosario di Fontanellato
Il purgatorio come sconto della pena per il peccato
Suggerimenti per come affrontare la situazione
Alcune riflessioni sul senso cristiano del castigo
Come comportarsi nelle calamità collettive
Seconda parte
Per una preghiera cristiana matura
Presupposti per essere esauditi
Dio onnipotente e misericordioso
Timore di Dio e paura di Dio
Terza parte
Un’offesa al sacrificio di Cristo
La perfezione evangelica
I danni del misericordismo
I modernisti sono i farisei di oggi

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