ACTA APOSTATICAE SEDIS : come, cambiando un po' qua e un po' la, si può cambiare tutto...

giovedì 21 maggio 2020

Laudato si’, carta del dopo coronavirus?

Il dopo coronavirus secondo Papa Francesco





Il 15 aprile 2020, la Santa Sede ha annunciato che Papa Francesco aveva chiesto al Dicastero per il Servizio dello Sviluppo Umano Integrale (DSSUI) di creare una speciale commissione per riflettere ed analizzare le «sfide socio-economiche e culturali» provocate dalla pandemia, e per proporre delle linee direttrici per farvi fronte.

Questa speciale commissione deve mostrare la preoccupazione della Chiesa per «la famiglia umana». Essa è costituita da cinque gruppi di lavoro, ripartiti secondo un organigramma degno delle commissioni dell’ONU.


Il cardinale Peter Turkson, Presidente del DSSUI, ha fatto conoscere a Vatican News gli obiettivi dei diversi gruppi che compongono la commissione.
Il primo gruppo, insieme alla Caritas, si concentra sull’urgenza ed è incaricato di valutare i bisogni reali e di aiutare ad elaborare le risposte efficaci ed adeguate.
Il secondo gruppo cerca di «connettere le migliori intelligenze» nei domini dell’ecologia, dell’economia, della sanità e della sicurezza sociale. In questo campo, «noi abbiamo bisogno di profezia e creatività», afferma benevolmente il prelato ghanese. Il gruppo coopera con la Pontificia Accademia per la Vita, con la Pontificia Accademia delle Scienze e con la Pontificia Accademia delle Scienze Sociali.
Il terzo gruppo mira a «creare una nuova coscienza attraverso un metodo di comunicazione». Si tratta di «far conoscere il lavoro» compiuto dalla commissione, al fine di chiamare ad un «rinnovato impegno».
Il quarto gruppo, congiuntamente con la Segreteria di Stato, tratterà di tutte le iniziative possibili nelle relazioni con gli Stati. Lo scopo è quello di giungere a delle «misure concrete».
Il quinto gruppo infine si dedica a trovare i fondi necessari, «in maniera trasparente» (sic!); e per fare questo è di rigore una «circolarità virtuosa della ricchezza (ri-sic!).

Papa Francesco suggerisce la creazione di un salario universale

Senza attendere le proposte concrete di questa speciale commissione, Papa Francesco ha già lanciato delle idee per il dopo coronavirus. In questo senso, il 12 aprile, ha indirizzato una lettera ai «movimenti popolari».
Secondo il vaticanista Sandro Magister, questi movimenti – ai quali Francesco si era già rivolto a Roma nel 2014, a Santa Cruz de la Sierra (Bolivia) nel 2015, e di nuovo a Roma nel 2016 - «non hanno niente di veramente cattolico»: «sono in parte eredi dei celebri raduni anticapitalisti e no-global di Seattle (USA) e di Porto Alegre (Brasile), ingrossati dalla moltitudine di esclusi da cui il Papa vede sgorgare un “torrente di energia morale che nasce dalla implicazione degli esclusi nella costruzione del destino del pianeta”».

A questi movimenti popolari, nella sua lettera del 12 aprile Francesco ha dichiarato: «Forse è giunto il momento di pensare a una forma di retribuzione universale di base che riconosca e dia dignità ai nobili e insostituibili compiti che svolgete; un salario che sia in grado di garantire e realizzare quello slogan così umano e cristiano: nessun lavoratore senza diritti».

Senza sorpresa, questo suggerimento ha ricevuto il sostegno di Stefano Zamagni, professore di economia politica all’Università di Bologna  e soprattutto Presidente  della Pontificia Accademia di Scienze Sociali, che il 14 aprile ha affermato: «La proposta fatta da Papa Francesco di istituire un salario universale merita di essere recepita dagli economisti».

Jean-Jacques Friboulet, professore emerito di storia economica dell’Università di Friburgo si è mostrato più riservato in un’intervista a cath.ch del 19 aprile:
«Io sono un devoto di Papa Francesco, ma parlando di un salario universale, mi sembra male ispirato. E’ una posizione audace ma fragile. Il salario universale è una questione di ridistribuzione del reddito. Ora, in termini umani, non esiste una ridistribuzione universale. La ridistribuzione esiste solo all’interno degli Stati o tra paesi, in questo caso l’Europa. Inoltre, per fornire un reddito occorre prima assicurare una produzione sufficiente. L’idea, o almeno il termine, mi sembra un po’ bizzarra in questo contesto. (…) Un tale sistema, a differenza dei sussidi per la disoccupazione o per la disoccupazione parziale, non può essere sostenibile. Il primo problema è il suo finanziamento. Si può farlo una volta, ma è un sistema dei paesi sotto-sviluppati. La mia seconda obiezione è che un salario universale non può sostituire o prendere il posto di un sistema sociale. Non è distribuendo a tutti che si permette ai più deboli di venirne fuori. Io ho studiato a lungo la questione della crisi degli anni Trenta negli Stati Uniti. E’ stato l’oggetto di una mia tesi. Una delle ragioni che hanno ritardato la ripresa americana è stata proprio l’assenza di un sistema sociale».

Laudato si’, carta del dopo coronavirus?

Nell’udienza generale del 22 aprile, teletrasmessa dalla biblioteca del Palazzo Apostolico del Vaticano, Papa Francesco ha celebrato il 50esimo anniversario della giornata internazionale della terra. In questa occasione, egli ha ripreso gli insegnamenti della sua enciclica Laudato si’ (2015) e della sua esortazione apostolica Querida Amazonia (2020), lanciando un nuovo appello per la «conversione ecologica»: «Abbiamo bisogno di un modo nuovo di guardare la nostra casa comune», ha affermato. «Abbiamo peccato contro la terra, contro il nostro prossimo e, in definitiva, contro il Creatore, il Padre buono che provvede a ciascuno».

Nella Nuova Bussola Quotidiana del 23 aprile, Riccardo Cascioli commenta:
«Quella vissuta ieri in Vaticano potrebbe essere archiviata come l’ennesima, grandiosa, manifestazione di un pensiero ecologista che è il tratto peculiare di questo pontificato. Il che sarebbe già abbastanza grave, ma quanto avvenuto ieri è molto di più, è la saldatura definitiva del pensiero e dell’azione tra Santa Sede e lobby ecologiste mondiali».

Ed ha indicato due ispiratori storici del movimento ecologista: il senatore (democratico) del Wisconsin, Gayrold Nelson (1916-2005) e il miliardario Hugh Moore (1887-1972). Il primo, ecologista convinto, una sorta di antenato di Al Gore (Vice-Presidente di Bill Clinton e autore nel 1992 di Salvare il pianeta Terra, pubblicato in italiano da Rizzoli col titolo Una scomodverità], il secondo impegnato ad orientare la politica americana verso il controllo delle nascite.

«Era stato proprio Hugh Moore già negli anni ‘50 del XX secolo a coniare l’immagine della “bomba demografica”, che poi divenne famosa universalmente per il libro che nel 1968 scrisse il biologo Paul Ehrlich. Ed fu ancora Hugh Moore a coniare lo slogan che darà la prospettiva definitiva alla Giornata della Terra: “La popolazione inquina”. In questo modo si saldavano il movimento ecologista e il movimento per il controllo delle nascite, peraltro eredi entrambi delle Società Eugenetiche nate negli Stati Uniti alla fine dell’Ottocento. Da quel momento movimenti antinatalisti e ambientalisti – da Sierra Club a Worldwatch Institute, da Planned Parenthood a Zero Population Growth - parlano la stessa lingua, e ovviamente si tratta di movimenti che si sono sviluppati grazie ai generosi finanziamenti delle grandi fondazioni americane». 

Riccardo Cascioli avverte con gravità: «Quando parlano di difesa dell’ambiente, questi personaggi non hanno affatto in mente la cura del Creato in un’ottica cristiana; hanno invece l’idea che l’uomo è il vero nemico della terra e quindi la sua presenza va limitata: sia quantitativamente (controllo delle nascite, soprattutto nei paesi poveri) sia qualitativamente (freno alla crescita economica fino alla teorizzazione della cosiddetta “decrescita felice”)». E il giornalista italiano deplora questa partecipazione del Vaticano alla 50esima Giornata della Terra, che costituisce «la consegna della Chiesa al potere del mondo».



Antonio Guterres

Convergenza di visioni fra il Vaticano e l’ONU

Sul sito Réinformation.tv, il 9 aprile, Jeanne Smits ha presentato il rapporto speciale del Segretario generale dell’ONU, Antonio Guterres, per il dopo coronavirus. Questa tabella di marcia, datata 31 marzo, chiede una maggiore mondializzazione, suggerendo di impiegare più del 10% del PIL globale per far fronte alla crisi, sotto l’egida delle istituzioni internazionali.

Antonio Guterres afferma: «E’ ormai necessaria una risposta multilaterale in grande scala, coordinata e globale, rappresentata da almeno il 10% del PIL mondiale. Questa crisi è veramente mondiale. E’ nell’interesse di tutti assicurare che i Paesi in via di sviluppo abbiano le migliori possibilità di gestire questa crisi, senza di che il Covid-19 rischia di diventare un freno stabile alla ripresa economica».
E questo deve farsi tramite le organizzazioni internazionali: «Il 13 marzo, l’OMS, la Fondazione per le Nazioni Unite e la Fondazione svizzera per la filantropia, hanno lanciato il primo fondo di solidarietà Covid-19, che permette ai singoli, alle imprese e alle istituzioni del mondo intero di riunirsi per contribuire direttamente agli sforzi mondiali di intervento».

Jean Smits commenta: «Sul fronte socio-economico, che costituisce l’asse portante del rapporto dell’ONU, l’accento è posto sull’assicurazione sanitaria universale, sull’assicurazione contro la disoccupazione e su un gigantesco piano di ripresa globale “per evitare fallimenti e massicce perdite di posti di lavoro”. Statalismo, rifiuto di ogni diversa organizzazione, anche privata, a livello di Stati sovrani (…)
«Ciò comporta, in particolare, l’introduzione di un reddito di base o di un reddito universale, attinto dalla ricchezza dei paesi (o da ciò che ne rimane) per garantire sia un reddito di sopravvivenza sia la dipendenza di tutti dallo Stato sociale. Il rapporto dell’ONU afferma: “Dobbiamo non solo proteggere i redditi di coloro che sono colpiti da questa crisi, ma anche mettere in atto sistemi di protezione sociale per garantire a tutti un reddito di base”.

La lettera del Papa ai movimenti popolari, del 12 aprile, collima col rapporto del Segretario generale dell’ONU del 31 marzo. E  questo conferma la validità della conclusione di Sandro Magister nella sua conferenza su La visione politica di Papa Francesco, tenuta ad Anagni il 30 novembre 2019:
«Questo appiattimento secolare non è un aneddoto nella visione politica di Papa Francesco. Sul Corriere della Sera del 2 ottobre scorso, Ernesto Galli della Loggia aveva ragione a mettere il dito nella tendenza di questo pontificato a dissolvere il cattolicesimo “nell’indistinto”, a interpretare “l’intima vocazione missionaria del cattolicesimo verso il mondo come equivalente alla necessità di fondersi con il mondo stesso”. Salvo che nel mondo, a partire dalla seconda metà del XX secolo, è andata affermandosi una “ideologia etica ispirata al naturalismo”, fatta di diritti individuali, di pacifismo, di ecologismo, di antisessismo, un’ideologia che, pur non escludendo puramente e semplicemente il discorso religioso, gli conferisce solo un posto secondario e decorativo.
«Dunque, quando Papa Francesco rinuncia a tutti gli aspetti dell’identità storica della Chiesa, che assimila all’ideologia e al linguaggio del mondo, fa una scelta delle più azzardate. Egli vorrebbe fare in modo che il mondo sia cristiano a rischio di mondanizzare la Chiesa».

In altre parole dare alla Chiesa lo spirito del mondo.


Articolo pubblicato sul sito della Fraternità San Pio X: FSSPX News


http://www.unavox.it/ArtDiversi/DIV3576_FSSPX_Dopo_coronavirus_secondo_Francesco.html

IL COVID 19 CI HA DATO IL SOCIALISMO REALE. NON ERA NECESSARIO.

21 Maggio 2020 Pubblicato da  4 Commenti --


Marco Tosatti

Carissimi Stilumcuriali, abbiamo pubblicato un articolo dell’avvocato Giovanni Formicola, in cui si parlava dei numeri mondiali dei decessi per cause diverse. Giovanni Formicola torna sull’argomento, analizzando quelle cifre, di per sé molto eloquenti, in rapporto ai decessi – a livello planetario – per Covid 19. E viste da vicino, e analizzati, questi dati sono ancora più interessanti. Buona lettura. 

§§§

La tabella pubblicata ieri, e che riproduco per comodità del lettore, con il numero dei decessi nel mondo per le varie cause, tra l’1 gennaio e il 1°  maggio di quest’anno, merita qualche altra breve riflessione, articolata in quattro punti.

  1. Anzitutto colpisce – almeno me – il ridimensionamento oggettivo (quello soggettivo, cioè per chi ci è passato e lo ha sofferto, sia come propria malattia, sia per i lutti arrecati, sia come clima sociale locale, è impossibile) dei morti per Covid19, se comparati con quelli per altre cause. Fermo restando quello che ho già ricordato: la “bestia” sa essere assai maligna; ogni morto è un morto e non un numero, qualche che ne siano la causa e l’età; però la valutazione d’un fenomeno che ha sconvolto il mondo si fa con i numeri.
I morti per tutte le altre malattie infettive sono quasi venti volte di più, e quelli per suicidio il 50% in più, circa tremila al giorno, misura del tendenziale fallimento esistenziale del nostro tempo, che pretende invece d’aver scoperto il segreto della felicità nella “liberazione” dell’io e delle sue voglie. Ognuno potrà farsi un’idea, alla stregua dei dati, dell’effettivo impatto – certo doloroso e dolorosissimo per tanti – del coronavirus. Ma il numero degli aborti – le cui vittime non sono registrate all’anagrafe e non entrano in alcuna statistica di mortalità -, cioè dei bambini uccisi nel grembo della madre e da esso strappati via, è sessanta volte maggiore. Un’autentica “pandemia morale”.
  1. Parlo solo di ciò di cui posso fornire le evidenze. Così per i numeri – in mancanza di prove e documentazione di numeri diversi – mi attengo a quelli ufficiali; così per le vicende socio-politiche, non parlo di “complotti” – e chi mi conosce sa che non l’ho mai fatto – perché non ne ho le prove (ma non ho neppure le prove che non esistano), e perciò mi attengo a quello che si vede e si sa ufficialmente. Però conservo un pregiudizio di dubbio su tutto quanto viene dalla Cina, certo intenzionata a restaurare il proprio storico impero con strumenti finanziari più che militari, e quel che è peggio in salsa capital-marxista.
Ciò detto, e in coerenza ad esso senza immaginare un disegno retrostante sin dalla comparsa del virus, abbiamo vissuto scenari oggettivamente da socialismo reale.
Chiusura delle chiese, sospensione del culto pubblico, quindi relegazione tendenziale della religione nella dimensione intimo-privata, culto che viene regolamentato in via amministrativa (anche contro le tradizionali teologia e disciplina cattoliche); riduzione anch’essa amministrativa della decisione pubblica (i famigerati DPCM, sottratti ad ogni controllo parlamentare e quindi politico), come vagheggiato da Lenin con la nota parabola delle cuoche al governo (certo, per noi sarebbe meglio se fossero davvero delle cuoche a governare); desolazione urbana; micro, piccola e media impresa commerciale, artigianale, professionale, turistica e di servizi, etc., messa in ginocchio, in molti casi forse in modo irreversibile; proprietà aggredita da provvedimenti che ne sterilizzano l’uso; incremento esponenziale della povertà globale. Questo, ripeto, oggettivamente.
Al di là d’ogni ipotesi ideologica-dietrologica – che non affermo e neppure escludo, come detto -, è evidente che lo stato moderno, cioè l’uomo politico moderno, miri per propria incoercibile tendenza ad un potere totale, nella convinzione che la sua regolamentazione della vita sociale e persino di quella individuale funzioni infinitamente meglio della libertà e delle scelte dei singoli e dei gruppi sociali, a cominciare dalla famiglia. E quindi non è parso vero ai politici d’aver un’occasione come questa per regolamentare, regolamentare, regolamentare, proibire, comandare, fino a mettere in detenzione domiciliare quasi tutta la nazione. Naturalmente per il suo bene. Non senza la gratificazione d’ogni possibile vanità soggettiva, con il “balcone” quotidiano a disposizione, non in muratura, ma molto più diffusivum sui a reti unificate, nazionali, locali, private. Il balconazo già denunciato da Stilum Curiae (https://www.marcotosatti.com/2020/03/23/lo-scandaloso-balconazo-di-conte-mattarella-tace/).

Era necessario? Era indispensabile? Mi sento di dire di no, sia quanto all’intensità, sia quanto all’estensione sull’intero territorio nazionale, sia quanto alla durata. Il che non vuol dire che non doveva essere fatto niente, soprattutto nei luoghi (Lombardia, Piemonte ed Emilia Romagna) in cui è concentrato il 50% circa dei contagi e dei morti in Italia: non sono don Ferrante. Ma condivido quanto asserito dal professor Giulio Tarro: chiudere la gente in casa ovunque e per tanto tempo non è stata una buona idea. E ciò può essere serenamente sostenuto alla stregua d’una obiettiva osservazione dei numeri (mai oltre la soglia dello zero virgola o addirittura dello zero virgola zero qualche unità per cento della popolazione, sia regionale che nazionale); della sostanziale invarianza della curva del contagio prima e durante la segregazione forzata, il cui calo adesso è evidentemente da attribuire al progressivo e inevitabile indebolimento del virus e alla sua scomparsa dovuta al caldo (anche qui, Tarro dixit); degli scenari diversi in larga parte d’Italia (ad oggi, in Campania, risulta contagiato lo 0,08% della popolazione); e soprattutto dell’esperienza di altri e importanti stati, da alcuni di quelli dell’Unione alla Svezia, dove le misure come quelle adottate in Italia o non ci sono state o sono state di molto più leggere, senza che l’epidemia si sia implementata quanto o più che in Italia (rectius, nelle tre regioni su menzionate), e quindi le misure di contenimento da loro adottate o non adottate, pur non avendo favorito l’epidemia, non rischiano d’essere completamente peggiori del male in corso, con conseguenze di fatto disastrose, e non solo sul piano socio-economico, ma anche su quello antropologico e sanitario.

Non sono stato breve quanto sperassi, anzi. Riservo perciò, se Stilum Curiae me ne dà il permesso, un altro intervento per concludere questo punto, e sviluppare gli altri due, dedicati rispettivamente alla “Grande Paura” e all’atteggiamento degli uomini di Chiesa al cospetto di questo fenomeno ch’è sanitario, e poi politico, ma anche se non soprattutto psico-sociale, e che avrebbe potuto essere per loro una grande occasione nel senso buono del termine, e invece sembra essere stato occasione di fuga e abdicazione.

  1. Panico sociale: la grande paura, sottomissione e delazione, perché si temono solo morte e malattia.

  1. La Chiesa dice “pandemia” e prima diceva “cambiamento climatico”, ma non dice aborto, non dice i novissimi.

§§§


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