Ricatti e burocrazia: quei vescovi che non riaprono
Oggi ripartono in tutt'Italia le Messe col popolo. Ma non per tutti. A Pinerolo il vescovo terrà ancora chiuso. I motivi? «Contagi ancora alti in Piemonte». Ma è falso. Il ricatto ai preti: «Se scopro che non faranno nulla nella cura delle relazioni e l'attenzione ai poveri, posticiperò l’inizio della celebrazione». La Messa diventa strumento di pressione, ma in fondo è tutto coerente con la nuova Chiesa di Stato che si sta preparando.
Derio Olivero
E’ lunedì e ricominciano le Messe. Finalmente, ma non per tutti. Ci sono alcuni vescovi infatti che hanno deciso di posticipare il ritorno in chiesa dei fedeli. A Mondovì ad esempio, il vescovo non aprirà le chiese fino al 25 maggio perché prima vuole aspettare di vedere come procede la Fase 2. Insomma, la Messa deve aspettare i bollettini della Protezione Civile. Ma in Piemonte c’è un altro vescovo che ha deciso di tenere chiuse le chiese e privare parroci e fedeli delle Messe pubbliche. E’ vescovo di Pinerolo Derio Olivero, il quale, grazie a Dio reduce dal Covid che lo ha fortemente provato (a proposito: tante felicitazioni e in bocca al lupo per la convalescenza), ha giustificato i motivi della serrata con una lettera ai fedeli.
I motivi? Svariati.
A cominciare dal fatto che il vescovo si definisce ancora «lento» a seguito della malattia e pertanto impossibilitato a scrivere un decreto. Umanamente comprensibile, ma fosse solo questo il problema, si potrebbe comprendere. Invece quel che non si comprende sono le altre motivazioni addotte da Olivero che vanno decisamente oltre.
Il vescovo asserisce che «il Piemonte è ancora fortemente colpito dal virus, non dobbiamo essere superficiali». Sarà, ma i dati non dicono affatto questo, ad oggi i contagiati in Regione sono al di sotto delle 2000 unità, dunque non c’è una situazione pandemica più grave della vicina Lombardia che invece oggi riaprirà.
Come terza scusa Olivero adduce il fatto che, dato che sarebbe meglio celebrare all’aperto, servirebbe «una deroga alla legge Legge Gabrielli» e per questo, sindaco di Pinerolo e Prefetto sono informati, ma non è ancora arrivata una risposta. Quindi, per “colpa” della burocrazia statale le Messe possono aspettare. Curiosa conseguenza di quell’asservimento di una diocesi italiana al volere e ai tempi statali. Un brutto segnale per la libertas eccleasiae da qui in avanti.
Un quarto motivo è che a detta del vescovo alcune parrocchie non si ancora attivate per «essere secondo la normativa relativa alle Messe in chiesa» e dato che «voglio essere sicuro, prima di dare il permesso della Celebrazione, che tutti siano preparati al rispetto della normativa CEI, la questione è molto seria», ecco che si rimanda dunque al 25 maggio.
Insomma, tra impedimenti burocratici presentati come insormontabili e motivazioni sanitarie non dimostrate e false, a Pinerolo e dintorni la Messa può aspettare.
Ovviamente non si starà con le mani in mano. Il vescovo si è raccomandato con i preti di telefonare ad ammalati e anziani e prendersi cura delle relazioni. Però, e qui sta l’aspetto più discutibile, «alcuni non hanno fatto ancora nulla».
Il vescovo sgrida i suoi preti un po’ deboli sul fronte carità? Quale miglior occasione per una pandemia per mettersi in mostra e mettere alla berlina il proprio clero, sgridandolo pubblicamente sulle sue presunte mancanze? Ma c’è di più. Si arriva persino al ricatto: «Se vengo a sapere che in qualche parrocchia non si farà nulla in questa direzione (cura delle relazioni e attenzione ai poveri), in tale parrocchia posticiperò ulteriormente l’inizio della celebrazione della Messa con il popolo».
Capito? Non solo la Chiesa nel nostro Paese sta diventando sempre più Chiesa di Stato, come quella anglicana, ma ora si ricattano persino i preti e i parrocchiani che non aderiscono in toto al diktat della misericordia: o telefoni e fai relazioni umane oppure non ti lascio dire Messa. Ovviamente si tratta di una minaccia, un ricatto che nella storia della Chiesa non si è mai visto perché il dovere del sacerdote di celebrare la Santa Messa va oltre le povere miserie dei singoli sacerdoti nell’esercitare la carità. Che bisogno c'è di punire in questo modo un parroco e a sua volta la comunità che guida?
La Messa del Signore non può essere utilizzata come strumento di pressione o come premio per chi accetta di partecipare al “gioco aperitivo” del vescovo. Certo, ci sono sacerdoti tiepidi nella carità, ma il compito del vescovo dovrebbe essere quello di richiamarli paternamente, non di chiudergli le chiese per ritorsione. È una logica più da questore che da pastore.
Purtroppo, la logica della burocrazia ecclesiale al posto della misericordia, che non è la parola passepartout oggi tanto in voga, ma l’aver pietà (misèreo) di cuore (cordis), ha ormai preso il sopravvento. Si susseguono di giorno in giorno dispacci ministeriali e provvedimenti episcopali che poco hanno a che fare con il senso della comunità e molto con l’imposizione degli uffici curiali che in questo frangente devono giustificare la loro esistenza – e i loro stipendi - come efficiente macchina di burocrazia ecclesiale.
Si è parlato già delle Messe a numero chiuso, prenotate e a capienza massima. Massimo 200 fedeli, anche nel duomo di Milano che potrebbe ospitarne, adeguatamente distanziati, almeno 1000. Per non dimenticare l’ultima trovata che verrà adottata in moltissime diocesi: nel ricevere la comunione non si dovrà rispondere Amen, si vede per non sprecar fiato come fanno i pagani… Il momento dell’Amen dovrà essere fatto comunitariamente prima della comunione.
E’ l’ennesima profanazione del momento della Comunione, che in questa Fase 2 è finito sul banco della vivisezione per diventare un momento di distribuzione alimentare. Smantellano la liturgia con la scusa della pandemia. A cominciare dalla proibizione della comunione in bocca, che il protocollo della Cei siglato col Governo non prevedeva nemmeno, ma che è stata aggiunta successivamente in ogni singolo decreto episcopale.
A proposito di protocollo approvato dal Comitato tecnico scientifico: in quello siglato dal Governo con le confessione dei cristiani Ortodossi si dice che l’Ostia sarà offerta «senza venire a contatto con i fedeli». Nessun riferimento alle mani dato che nei riti ortodossi non è permesso ricevere la comunione in mano. Nessuno ha fatto storie, né da parte del governo, né da parte del clero ortodosso. Si vede che per certe confessioni, la Comunione in bocca non porta con sé alcun rischio di contagio. O forse si vede che certe confessioni non sono – per stare in tema con un’altra parola magica di questi giorni – responsabili.
Andrea Zambrano
https://lanuovabq.it/it/ricatti-e-burocrazia-quei-vescovi-che-non-riaprono
Il Governo Conte bis, la pandemia da Covid-19 e l'arrogante presenza di "Tecnici" e "Virologi": ma chi sono questi tecnici?
Quanto al sacerdote, che tristezza considerarlo alla stregua di un tecnico dell’anima! Eppure è proprio questo il ruolo che egli stesso si è scelto, da quando la Chiesa cattolica, dal Concilio Vaticano II, si è messa decisamente sulla strada della modernità, rinnegando se stessa e tradendo la propria missione. Perché da quel momento una legione di tecnici, di biblisti, di filologi, di liturgisti, si è messa in testa di aggiornare la dottrina cattolica e quindi ha cominciato a tagliare, cucire, aggiungere, manipolare, senza alcun rispetto per la Tradizione, fino alle presenti aberrazioni: cambiare con un atto d’imperio del (sedicente) papa il catechismo (la pena di morte, § 2267) o le parole del Padre nostro (e non indurci in tentazione, ecc.) e perfino l’unicità e l’insostituibilità del vero Dio (Dio non è cattolico; Dio vuole la pluralità delle fedi religiose, dichiarazione di Abu Dhabi). Ed è il sacerdote stesso che si qualifica come un tecnico, per giunta riconoscendo di essere un tecnico subordinato ai veri tecnici, quindi un tecnico di serie B, o C. Quando, ad esempio, un sacerdote accetta, o lui stesso spontaneamente decide, di distribuire l’Ostia con i guanti; quando pretende che i fedeli la ricevano sulla mano, anch’essi indossando i guanti, per via di una presunta emergenza sanitaria; quando si presenta all’altare con la mascherina, magari stando dietro uno schermo di plexigas, e prende le Particole con una pinzetta, come se fossero infette: ebbene, mostra di considerarsi egli stesso un tecnico di bassissimo rango, che deve sottostare a quanto è stato deciso dal tecnico di primo livello, perché la sapienza di cui egli è portatore, che è la sapienza dell’anima, passa in seconda o terza fila quando sono in ballo la salute e la malattia, la vita e la morte, che sono evidentemente molto più importanti e sulle quali egli non ha nulla da dire, ma solo da attenersi alle disposizioni vigenti. Perché se mai gli saltasse il grillo di dire che la vita vera è la vita dell’anima; che Gesù Eucaristico non potrà mai e poi mai costituire un pericolo per la salute di chicchessia, né quella del corpo né, meno ancora, quella dell’anima; che andare alla santa Messa con fede, e possibilmente comunicarsi con devozione, è una medicina non inferiore, semmai di molto superiore alla medicina dei quei tecnici che sono i medici, e che, con tutto rispetto per loro, essi si occupano di un ambito assai più limitato, perché altro non vedono che il corpo, mentre il vero sacerdote, in quanto pastore del gregge di Cristo, vede l’uomo nella sua totalità, e dà senz’altro la priorità allo spirito, perché l’uomo cristiano è l’uomo rinato nello Spirito, è l’uomo spirituale che vive in grazia di Dio e non l’uomo carnale, peccatore impenitente che si rotola nel fango e magari vuol prolungare i suoi giorni terreni senza mai darsi pensiero della propria anima, come nella parabola del ricco stolto – eccola qui, la parola stoltezza! – allora lui per primo proverebbe imbarazzo e vergogna di sé e si affretterebbe a domandare scusa, e riconoscerebbe di aver esorbitato dalle sue competenze e dalle sue funzioni. Perché di tutto sono preoccupati questi preti, vescovi e cardinali bergogliani, tranne che della grazia di Dio e della vita soprannaturale dell’anima; la loro maggior preoccupazione è quella di mostrarsi ad ogni costo dei bravi cittadini, obbedienti alle leggi dello Stato e ai dettami della scienza medica, insomma delle persone aggiornate e al passo con la modernità, non relitti del passato che si aggrappano a credenze sorpassate e a modi di vita che hanno fatto il loro tempo.
Oggi il sacerdote è un tecnico dell’anima! Ed è proprio questo il ruolo che egli stesso si è scelto, da quando la Chiesa cattolica, dal Concilio Vaticano II, si è messa decisamente sulla strada della modernità, rinnegando se stessa e tradendo la propria missione!
Il problema della società moderna è che essa si affida a dei tecnici, i quali fanno dei ragionamenti esclusivamente tecnici, per risolvere i suoi problemi; e ciascuno di quei tecnici pensa e agisce come se esistesse solo la scienza della quale è esperto, e tutto il resto non contasse alcunché. Quel particolare tipo di tecnico che è l’urbanista, insieme a quell’altro tecnico che è l’architetto, decide quale volto dare alle città: abbattendo case e interi quartieri, rifacendo completamente il volto dei luoghi, fino a renderli irriconoscibili nel giro di una sola generazione. Lo stesso vale per l’architetto che progetta un edificio religioso: nella modernità egli ragiona da tecnico, mentre un tempo ragionava innanzitutto da uomo di fede: ed è questa la ragione per cui le chiese medievali trasudano spiritualità e misticismo, mentre le chiese postconciliari paiono fabbriche, banche o case del popolo. C’è poi un altro fatto da tener presente: i tecnici della modernità non sono dei sapienti col paraocchi, vale a dire degli stolti, o quanto meno degli sprovveduti, in tutto ciò che non attiene al loro specifico sapere; sono anche, quasi tutti, massoni o paramassoni, vale a dire che sono quasi tutti acquisti al progetto ideologico sotteso alla modernità: l’auto-glorificazione dell’uomo e la sua emancipazione da ogni senso di trascendenza, da ogni vera religiosità (perché il Grande Architetto dell’Universo non è che una caricatura dell’autentico sentimento religioso). Di conseguenza, sono quasi tutti, consapevolmente o inconsapevolmente, animati da una forte antipatia, per non dire da un’aspra inimicizia, nei confronti del cristianesimo, nel quale vedono il maggiore ostacolo all’instaurazione totale della loro ideologia materialista, immanentista, utilitarista ed efficientista.
Il Grande Architetto dell'Universo: Lucifero? Sanno realmente i "Fratelli minori" chi è il vero Dio adorato dai “Massoni”!
Oh, sono molto abili nel reclutare le nuove leve: basti dire che al neofita richiedono di prestare un giuramento sulla Bibbia, il che gli confonde le idee quanto basta per nascondere i loro scopi ultimi, che sono decisamente anticristiani e anticattolici. Ma gli affiliati ai gradi superiori sanno chi è il vero Dio adorato dai “fratelli”: Lucifero, il portatore di luce, l’angelo che si ribellò a Dio per portare agli uomini, secondo loro, la sapienza con la quale emanciparsi. Ecco allora che quasi tutti i tecnici della modernità, dagli scienziati agli scrittori, dagli economisti ai politici, dai registi di cinema ai rappresentanti delle grandi istituzioni mondiali, altro non sono che esponenti di una cultura doppiamente anticristiana: perché privilegiano l’uomo carnale rispetto all’uomo spirituale, e perché odiano Cristo e la sua Chiesa e vogliono sostituire quest’ultima con una falsa chiesa, fatta secondo le loro intenzioni e concepita per attirare in un gigantesco inganno i seguaci di Cristo, i quali, simili a ignare pecorelle, seguono i loro falsi pastori, i vescovi e i cardinali massoni, senza rendersi conto che si stanno allontanando dal Signore per mettersi nelle mani dell’antico nemico, il diavolo.
Torniamo dunque a leggere e meditare ciò che dice la Bibbia della stoltezza (Salmo 53, 1-4):
Lo stolto ha detto in cuor suo: «Non c'è Dio».
Sono corrotti, commettono iniquità,
non c'è nessuno che faccia il bene.
Dio guarda dal cielo i figli degli uomini
per vedere se c'è una persona intelligente
che cerchi Dio.
Tutti si sono sviati, tutti sono corrotti,
non c'è nessuno che faccia il bene, neppure uno.
Sono dunque senza conoscenza questi malvagi,
che divorano il mio popolo come se fosse pane
e non invocano Dio?
Tratto da:
L'UOMO SAVIO E L'UOMO STOLTO
http://www.accademianuovaitalia.it/index.php/cultura-e-filosofia/filosofia/9059-uomo-savio-e-uomo-stolto
Un mio amico, riflettendo sulle norme igieniche dettate dal protocollo a presidio della distribuzione della Comunione, mi ha inviato le seguenti considerazioni che a me paiono piuttosto ragionevoli e sensate. Le condivido con i lettori di questo blog.
di Un amico
Fra le incongruenze delle disposizioni igienico-sanitarie, che a partire dal 18 maggio dovranno essere applicate durante la celebrazione della S. Messa con fedeli, ce n’è una in particolare palesemente assurda. Già qualcuno ha attirato l’attenzione su questo aspetto. Lo facciamo di nuovo per essere ancora più precisi e per suggerire ai vescovi e ai preti, che si troveranno a dover applicare queste indicazioni, di far prevalere la semplice intelligenza alla “fede nella pseudo-scienza”.
Si prescrive dunque:
“La distribuzione della Comunione avvenga dopo che il celebrante e l’eventuale ministro straordinario avranno curato l’igiene delle loro mani e indossato guanti monouso”.
In questo “capolavoro” di sapienza igienico-sanitaria, troviamo diverse incoerenze macroscopiche. La prima: si parla di “guanti monouso”. L’aggettivo indica che, usati una volta, dovrebbero essere sostituiti. Ma in questo caso “una volta” cosa significa? Se lo scopo è quello di non trasmettere il contagio dovremmo dire: cambiateli ad ogni fedele che riceve la comunione. Altrimenti non si tratta più di guanti monouso, ma pluriuso. Se vengono 50 o 60 persone a fare la comunione, il guanto monouso che si presume protegga da possibili contagi – il ché è tutto da dimostrare, come si vedrà – andrebbe sostituito ogni volta. Se è “monouso”, appunto! Se poi non è monouso, allora si eviti la parola e se ne usi un’altra. Per esempio “guanti al lattice” o altro.
E qui veniamo al secondo aspetto, il più incredibile. I guanti monouso non vanno confusi con i guanti sterili. Questi ultimi sono contenuti in genere in buste sigillate di plastica trasparente, dopo che sono stati opportunamente sterilizzati con metodiche collaudate. Come si fa anche con i ferri chirurgici. I guanti sterili servono non a proteggere l’operatore, ma a non infettare il paziente o colui verso il quale viene condotta una qualunque operazione che richieda sterilità.
I guanti monouso, al contrario, sono dei comuni guanti contenuti in pacchetti di cartone sottile non sigillati, che prendono aria da varie fessure e al cui interno possono essere presenti vari tipi di microbi o anche semplicemente polvere. Il modo di trattare questi pacchetti di guanti è molto disinvolto. Prima di arrivare all’utente possono essere passati da vari ambienti, da mezzi di trasporto più o meno sporchi e da varie mani più o meno pulite e aver inglobato al loro interno diversi “ospiti” microscopici. Anche il modo, non sempre semplice, con cui si estraggono dalla scatola “tirandoli” non è certo garanzia di sterilità. Essi, infatti, non servono a proteggere da infezioni il paziente o la persona su cui eventualmente si svolge una qualche operazione con le mani, ma serve semmai a proteggere l’operatore dallo sporcarsi o dal venire direttamente a contatto con oggetti o persone igienicamente non affidabili. Sono i guanti che usano anche gli addetti alle pulizie, per intendersi, o una donna di casa che vuol pulire i carciofi senza macchiarsi le mani. La loro funzione non è diversa dai guanti di gomma che qualche volta si usano quando si lavano le stoviglie. Non proteggono le stoviglie, ma le mani di chi lava.
Se questa è la loro effettiva funzione, allora i guanti monouso proteggono non i fedeli (anzi, semmai il contrario, visto che sono meno puliti delle mani igienizzate) ma le mani del celebrante. Ma se questo fosse il timore, non sarebbe meglio allora fare a meno dei guanti e alla fine della distribuzione lavarsi o igienizzarsi di nuovo le mani? Il ché dovrebbe essere comunque fatto, dopo essersi tolti i guanti monouso, come chiunque ben sa, per via se non altro del sudore che essi producono.
L’aspetto più ridicolo della prescrizioni in esame è che si raccomanda al celebrante di igienizzarsi prima le mani (per esempio con soluzione disinfettante) e poi di infilarsi questi guanti, che non hanno, come già detto, nessuna garanzia di igiene e di cui non si dice che devono essere igienizzati. Insomma, il celebrante dopo essersi ben igienizzate le mani se le deve di nuovo sporcare toccando e indossando questi guanti, la cui carica microbica è imponderabile, per poi dare l’ostia ai fedeli. Come dire: prima mi lavo le mani ben bene, poi mi metto i guanti monouso per poi mettermi a tavola a mangiare. Ecco, proprio questi guanti monouso, che monouso non sono, vengono fatti indossare per distribuire la comunione dopo che si sono igienizzati… non i guanti, ma le mani che devono essere coperte dai guanti, i quali non sono per nulla puliti, ma solo “non usati”. Una bella differenza.
Morale della favola: oltre a non dare disposizioni illogiche e insensate è altrettanto importante, prima di metterle in pratica, verificare la loro pertinenza. Altrimenti si rischia di obbedire ciecamente a qualunque cosa ci venga detta da qualunque persona che disponga su qualunque argomento. E questo non fa bene alla salute!
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