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martedì 30 giugno 2020

La riforma liturgica del Coronavirus

Coronavirus: La punizione di Dio si trasforma in benedizione per la Liturgia

04:23


Coronavirus: La punizione di Dio si trasforma in benedizione per la Liturgia

È evidente che il coronavirus sia stato un castigo divino per tanti papi, vescovi e sacerdoti che hanno umiliato e banalizzato la Liturgia cattolica. Dio ha usato il virus per punire la Chiesa con la chiusura mondiale della liturgia. Ora il virus sta imponendo al clero cattolico molti miglioramenti liturgici. Questo è visibile dalla "Guida per la celebrazione della Messa" che i vescovi inglesi e gallesi hanno pubblicato giovedì scorso per la riapertura delle loro chiese il 4 luglio.

Ritorna la distanza liturgica

Il primo miglioramento è il requisito di distanziamento sanitario di 2 m, che è un buon antidoto contro le liturgie di allegria con le mani tremanti e gli abbracci. L'allontanamento sanitario crea una sana e adeguata distanza liturgica tra il sacerdote e i fedeli che esprime la distinzione tra sacro e profano. Dopo la messa, il sacerdote è tenuto a tornare in sacrestia dove "solo il necessario" deve essere presente". Questo evita che la Messa degeneri immediatamente in una sessione di pettegolezzi e dà al sacerdote e alla sua congregazione il tempo per il ringraziamento.

Sono tornati molti dettagli liturgici

Al sacerdote viene chiesto di preparare il proprio calice. Questa è una pratica comune nella Messa tradizionale latina, perché alle mani non consacrate non è permesso toccare il calice benedetto. I sacerdoti di tendenza non sono in grado di capire questo, così Dio ha fornito loro una spiegazione accessibile: il coronavirus. L'importante è che questa vecchia pratica sia di nuovo rispettata. La Guida insiste anche sul fatto che il calice sia coperto con la palla (pezzo di stoffa inamidato) , un requisito che è scomparso in molte chiese, soprattutto a causa della pigrizia del clero. Ora è tornato.

La "partecipazione attiva" è scomparsa

L'ossessione della Nuova Messa per la "partecipazione attiva" - dei laici, che ha trasformato la Messa in un'attività superficiale che tiene la gente occupata, si è notevolmente ridotta a causa del coronavirus. Questo permette ai fedeli di concentrarsi totalmente sulla Messa. I libri degli inni, i messali e altro materiale stampato sono stati eliminati. La Preghiera dei fedeli, chiacchierona e superficiale, viene omessa. Le inutili processioni offertorie sono scomparse. Il segno della pace che ha interrotto la Messa in un momento cruciale è morto.

L'unico inconveniente

L'unico inconveniente è la comunione obbligatoria della mano, anche se le mani sono le parti del corpo più esposte a qualsiasi tipo di virus. Non ha senso si dica al sacerdote di pulirsi le mani con un disinfettante alcolico prima di distribuire la Santa Comunione se poi fa cadere la Santa Comunione su mani che sono state dappertutto prima di entrare in chiesa.

La riforma liturgica del Coronavirus

I vescovi inglesi offrono anche la possibilità di distribuire la Comunione al di fuori della Messa, dopo la benedizione finale. Ricevere la Comunione al di fuori della Messa era comune prima del Concilio Vaticano II. La gente andava a confessarsi e riceveva la Santa Comunione subito dopo. Tutto sommato, il coronavirus è molto benefico per la liturgia cattolica ed è stato in grado di realizzare ciò che i papi esitanti non sono stati in grado di fare.

E il partito del terrore ora punta sui positivi

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Riguardo a ciò che io considero come il più rilevante fenomeno di follia collettiva della storia repubblicana, la lotta italiana al Covid-19, vi è da segnalare la precisa presa di posizione in favore di una sostanziale uscita dall’emergenza sanitaria, basata su un studio piuttosto accurato realizzato dal laboratorio di microbiologia dell’Ospedale San Raffaele di Milano, da parte di dieci illustri studiosi indipendenti che hanno controfirmato un documento ufficiale.
Un consesso di medici e ricercatori piuttosto accreditati che di seguito elenchiamo: Giuseppe Remuzzi, direttore dell’Istituto Mario Negri di Milano; Alberto Zangrillo, direttore del reparto di Rianimazione dell’ospedale San Raffaele di Milano; Matteo Bassetti, infettivologo dell’ospedale San Martino di Genova; Arnaldo Caruso, direttore del reparto di Microbiologia degli Spedali civili di Brescia; Massimo Clementi, direttore del Laboratorio di Microbiologia del San Raffaele e Luciano Gattinoni, direttore della Terapia intensiva del Policlinico di Milano. Quindi ancora Donato Greco, consulente dell’Organizzazione mondiale della sanità; Luca Lorini, direttore dell’Unità di rianimazione dell’ospedale Papa Giovanni XXIII di Bergamo; Giorgio Palù, docente di Virologia dell’Università di Padova e infine Roberto Rigoli, direttore del reparto di Microbiologia dell’ospedale di Treviso.
Lo stesso Zangrillo, ospite mercoledì scorso di una puntata estiva de “L’aria che tira”, in onda la mattina su La7, si è reso ancora protagonista di un acceso confronto a distanza con gli esponenti più in vista di quello che potremmo definire come il partito del terrore sanitario. “Non c’è una guerra tra guelfi e ghibellini, noi osserviamo delle cose che sono fortunatamente molto positive ma qualcuno purtroppo appare irritato”, ha esordito il celebre clinico, affondando il colpo alla fine del suo breve intervento in merito alla paventata seconda ondata: “Dire adesso ‘forse non faremo tornare i bambini a scuola, non dobbiamo prendere gli aerei, dobbiamo rimanere a casa’, equivale a dire che dobbiamo morire, chiuderci in casa in attesa che arrivi questa seconda terribile ondata e cercare di morire il meno possibile: non è così! Piantiamola – ha concluso il professore – siamo tutti dalla stessa parte, stiamo facendo scienza, le evidenze ci dicono che domani è bello anche dal punto di vista dell’epidemia”.
Ovviamente il fronte compatto degli scienziati ortodossi che si rifanno al Savonarola ha immediatamente reagito, lanciando anatemi e profezie di sciagure imminenti. Tra questi il virologo di Padova Andrea Crisanti, il quale ha lanciato il suo allarme, immediatamente amplificato dai megafoni del terrore: “Qualcosa non sta funzionando, ancora troppi contagi”. Tutto questo presupponendo un ritorno tragico del virus a partire dal prossimo autunno.
In realtà, il punto di vista di Crisanti, adottato da tempo dallo stesso partito unico del terrore, soprattutto quando l’argomento ricoveri e terapie intensive è franato di fronte all’avanzata inesorabile della realtà, è intellettualmente abbastanza truffaldino, poiché si tende a creare una correlazione automatica tra contagi e malattia, quando tutti i riscontri, che oramai si ripetono da circa due mesi, ci dicono che tale correlazione non esiste. Proprio come evidenziato nel citato documento dei 10 luminari, “evidenze cliniche non equivoche da tempo segnalano una marcata riduzione dei casi di Covid-19 con sintomatologia. Il ricorso all’ospedalizzazione per sintomi ascrivibili all’infezione virale è un fenomeno ormai raro e relativo a pazienti asintomatici o paucisintomatici”.
Tutto questo farebbe ulteriormente propendere nella direzione teorizzata anche da altri studiosi di livello internazionale, come il professor Guido Silvestri, secondo cui sarebbe in atto da tempo un fenomeno positivo di co-adattamento tra virus e ospite umano.
Il che, unito alla migliorata capacità da parte dei medici di affrontare una malattia che oramai conoscono bene, dovrebbe tenerci ragionevolmente al riparo dallo scenario catastrofico che il partito del terrore, sempre capeggiato da quello che sembra il peggior Governo di sempre, ci continua a sventolare davanti agli occhi.
E per tutta questa composita compagine di personaggi in gran parte spuntati dal nulla è rimasto solo il tema assurdo e attualmente inconsistente della positività al tampone come ultimo rifugio. Francamente un po’ poco anche per i milioni di sprovveduti analfabeti funzionali che si ostinano a uscire da soli all’aria aperta con le mascherine, quasi che quest’ultime avessero assunto la funzione della tradizionale zampa di coniglio o del caratteristico cornetto portafortuna.
Claudio Romiti
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