Beata Vergine del Monte Carmelo
di Antonello Iapicca
È nato prima il Coronavirus o la sua narrazione e gestione ideologico-politica? La risposta è di un’evidenza solare e incontrovertibile. 

Eppure il dramma di questi mesi è che a questa risposta non sono e non saranno concessi né spazi né legittimazioni. Se fosse accettata dovrebbero cambiare radicalmente molte cose, e le persone, in tutto il mondo, sarebbero sottratte al regime di terrore sanitario, per vivere con prudenza e serenità questo momento di precarietà. 
Invece, siccome si tratta di un affare del demonio, la menzogna regna sovrana al punto di trasformare, usare (o produrre?) un virus come strumento di potere, soggiogamento e arricchimento. Un virus per cambiare la storia e la vita delle persone, che è esattamente ciò che ci viene ripetuto in tutte le salse, come un lavaggio del cervello nel tritacarne della paura e della fobia. 
Si tratta di un’offensiva forte della bestia, che, non dimentichiamolo, punta diritto a coloro i quali portano la testimonianza di Gesù. 
Ma oggi è la memoria della Beata Vergine Maria del Carmelo, simbolo di dolcezza e bellezza. Quelle di Maria, la Donna dell’Apocalisse che lotta contro il drago, e che schiaccia la testa al serpente. 
Coraggio allora, entriamo in questo tempo duro stretti a Maria, sotto il suo manto di misericordia, lo scapolare che ci protegge e ci conduce alla salvezza. Lei ci porta a Cristo, abbracciandomi e nutrendosi della sua fede. Anche sotto la Croce, anche con l’anima spezzata dalla lancia, nella certezza che nulla e nessuno potrà mai separarci dall’amore di Dio in Cristo Gesù, che scaccia la Paura e ci dona la pace.
Don Antonello Iapicca è missionario da 30 anni in Giappone. Ora opera nella città di Takamatsu.
Lo Scapolare, così Maria ci riveste di Cristo
La devozione dello Scapolare carmelitano affonda le radici nel XIII secolo, un dono della Madonna per la protezione dalle fiamme dell’Inferno e, dunque, di preparazione alle gioie del Paradiso. San Giovanni Paolo II lo indossava il giorno dell’attentato e quello scapolare, intriso di sangue, è diventato una reliquia.

Agli inizi del XIII secolo, quando la Terra Santa liberata dai crociati tornò ad essere meta di pellegrinaggi, tra i luoghi sacri più amati e ricercati c’era anche il Monte Carmelo abitato da alcuni eremiti latini che vi avevano edificato una chiesa alla Santa Vergine, da loro onorata come “Signora del luogo”. Vi si tramandava già, in quegli anni, una vera “storia poetica” che narrava di una antichissima familiarità tra la famiglia di Nazareth e la comunità “dei Figli dei profeti” (discendenti di Elia) che avevano abitato per secoli sulla sacra montagna del Carmelo.
Quegli eremiti medievali si sentivano eredi privilegiati di quell’antica storia e di quella particolare familiarità con la Vergine Santa. Quando poi - scacciati dai saraceni ­- dovettero trasmigrare in Occidente, vi giunsero sconosciuti e indesiderati.
Qui si innestò la vicenda di san Simone Stock (superiore generale dei Carmelitani) che nel 1251 implorò la Vergine di concedere ai suoi frati un segno di particolare protezione e ricevette in dono lo Scapolare (una parte dell’abito già in uso) con questa assicurazione bruciante: «Chi morirà indossandolo non cadrà nelle eterne fiamme dell’Inferno».
E fu l’evidente passione mariana dei Carmelitani e l’evidente protezione della Santa Vergine a salvarli. La devozione allo Scapolare si diffuse in tutte le nazioni cristiane e l’Ordine fu accettato e stimato nella Chiesa, al punto tale che gli stessi Sommi Pontefici, nei loro documenti ufficiali, non esitavano a dire che «la Beata Vergine Maria aveva dato alla luce Cristo e aveva messo al mondo l’Ordine carmelitano».
Tornando alla promessa della Santa Vergine, non bisogna trascurare il fatto che nel Medioevo la questione del destino ultimo (salvezza o dannazione) era la questione decisiva che il cristiano sapeva di doversi porre. Che ci si potesse salvare solo nel nome di Cristo e dentro la sua Chiesa era una persuasione assoluta: una persuasione che riguardava cioè la loro propria salvezza e la loro propria dannazione.
In più si era divulgata la convinzione che, per salvarsi, fosse anche necessaria una seria copertura: e i laici potevano trovarla proprio nell’abito religioso. Così, in quei secoli si diffuse enormemente un uso che oggi ci farebbe sorridere (anche se ne restano tracce anche ai nostri giorni): quello dei laici che chiedevano la grazia di poter essere seppelliti indossando l’abito religioso al quale si sentivano spiritualmente vicini: e c’era chi sceglieva l’abito benedettino o certosino o domenicano o francescano o carmelitano o di qualche altro Ordine. E questi laici avevano parte ai meriti e preghiere e suffragi propri dell’Ordine, e la Chiesa garantiva loro particolari indulgenze.
Il dono dello Scapolare, fatto dalla Vergine a san Simone Stock, ebbe dunque questa valenza immediata: la Madonna confermava ai suoi figli carmelitani la sicurezza di quel sacro rivestimento contro tutti i pericoli, anche quelli infernali. In tal modo, però, Ella si rivolgeva anche a tutti i fedeli indicando nel Carmelo un rifugio di salvezza eterna.
Con opportune correzioni dell’autorità ecclesiastica - che andavano tutte nel senso di legare la veste esteriore con l’atteggiamento filiale del cuore -, la pratica di rivestirsi dello Scapolare carmelitano si diffuse in maniera incredibile, ereditando praticamente (e conservandolo fino ai nostri giorni) l’immenso flusso di devozione con cui il Medioevo si rivolse a Maria e corse a rifugiarsi sotto il suo manto misericordioso.
Col passare dei secoli e il maturare della riflessione teologica, la visione del sacro abito che doveva preservarci dall’Inferno maturò verso la gioia d’aver ricevuto un abito per prepararci alle gioie del Paradiso.
Vale ora la pena di rivedere i fondamenti e i contenuti teologici di questa devozione, ripercorrendo il cammino a ritroso: partendo, cioè, dalla maggiore chiarezza che oggi possediamo, fino a rintracciare le sante radici da cui ancora traiamo linfa.
Il segno della veste è, tra tutti, quello che meglio rievoca il mondo biblico in genere e quello familiare in specie (potremmo dire: il mondo dell’Incarnazione, il mondo di Nazareth). E ha anche il vantaggio di essere elementare, addirittura semplice e modesto, ma può condurci fino alle più abissali profondità mistiche. Poiché tutta la devozione allo Scapolare, nel corso della storia, si regge sulla certezza delle ripetute approvazioni pontificie, oggi vale la pena di sottolineare questo fatto: i Papi più recenti hanno volutamente immesso nell’antica devozione carmelitana un nuovo elemento che intende valorizzare gli apporti delle ultime due grandi apparizioni mariane: quelle dell’Immacolata Concezione a Lourdes che si conclusero la sera della festa del Carmine (il 16 luglio 1858) e quelle di Fatima, in cui Maria chiese appunto la consacrazione del mondo al suo Cuore Immacolato, apparizione che Ella concluse, il 13 ottobre 1917, mostrandosi rivestita del santo abito carmelitano.
Giovanni Paolo II, nella Lettera indirizzata agli Ordini Carmelitani per il 750° anniversario della consegna dello Scapolare, ha esplicitamente affermato che «la forma più genuina della devozione alla Vergine Santissima, espressa dall’umile segno dello Scapolare, è la consacrazione al suo Cuore Immacolato».
Quel che oggi ci è chiesto è di rileggere, in maniera ecclesiologicamente corretta, la questione di fondo che sorregge tutta la storia che abbiamo raccontato: come vedere nella vita consacrata (per noi quella carmelitana) e nell’abito che la esprime un dono e un appello per la santità di tutti?
Gli antichi medievali accorrevano per stringersi sotto la veste di Maria, chiedendo a Lei, in tal modo, di «rivestirli di Cristo». I Carmelitani hanno saggiamente sviluppato una loro particolare assimilazione, anche dottrinale, di questo dono, e la potremmo esprimere con questa semplice formula (semplice come è semplice il simbolo della veste!): Maria ci vuole rivestire di suo Figlio, bisogna lasciarla agire e facilitarle il compito, assumendo verso di Lei gli atteggiamenti di suo Figlio. Con una splendida sintesi, già un carmelitano dei primi secoli diceva che il Carmelo ha la missione, nel mondo, di perpetuare e prolungare l’amore di Gesù verso sua Madre e quello della Madre verso il suo Figlio.
Sono innumerevoli i racconti di episodi legati alla devozione dello Scapolare. Ai nostri giorni, è stato bello che Giovanni Paolo II abbia permesso la diffusione di una sua fotografia del tempo in cui era operaio alla Solvay, a petto nudo, ma visibilmente adornato dal Santo Scapolare che aveva ricevuto da bambino. Lo indossava anche da Papa, il giorno dell’attentato, e non se ne volle separare nemmeno durante l’operazione chirurgica a cui fu subito sottoposto. Fu così che quello Scapolare macchiato di sangue divenne anche una preziosa reliquia.
Antonio Maria Sicari*
*Sacerdote e Carmelitano Scalzo
https://lanuovabq.it/it/lo-scapolare-cosi-maria-ci-riveste-di-cristo

Arcivescovo fuori di testa: esiste un "diritto" a uccidere direttamente esseri umani innocenti


Usare cellule di bambini abortiti per sviluppare un vaccino contro il coronavirus "non è immorale", ha detto Agrelo Martínez (78), arcivescovo emerito di Tangeri (Marocco), a ElConfidencial.com (28 giugno).

Agrelo sì è definito giustamente un "ignorante" dicendo che "anche un ignorante come me sa che ci sono aborti che non hanno nulla di immorale." Si sbaglia: l'uccisione diretta di un innocente (come avviene nell'aborto) è sempre riprovevole, senza eccesioni.

Però, Agrelo è convinto che “tutti nella Chiesa sappiano" che ci sono aborti che "non possono in alcun modo essere condannati moralmente".

Ancora: “Non sono autorizzato a pensare che qualunque donna abbia abortito l'abbia fatto in condizioni immorali, senza avere il diritto di farlo." Questo prelato spagnolo, che giustifica l'omicidio, è stato nominato vescovo nel 2007 da Benedetto XVI.

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