ACTA APOSTATICAE SEDIS : come, cambiando un po' qua e un po' la, si può cambiare tutto...

giovedì 30 luglio 2020

Il velo di Maya

Vaticano sotto attacco informatico made in China


Hackers cinesi si sarebbero infiltrati nelle reti informatiche del Vaticano nel corso degli ultimi tre mesi, prima dell’inizio dei negoziati tra Santa Sede e Pechino previsti in settembre. È quanto ha concluso un gruppo di monitoraggio privato, che parla apertamente di spionaggio.

L’attacco è stato rilevato da Recorded Future, una società di cybersecurity statunitense con sede a Somerville, nel Massachussets.
Il Partito comunista cinese – scrive il New York Times nel dare la notizia dell’attacco informatico – sta conducendo da tempo una vasta campagna per rafforzare la sua presa sui gruppi religiosi, in quello che i leader del governo hanno definito come uno sforzo per “cinesizzare le religioni” nel paese.
La Cina riconosce ufficialmente cinque religioni, incluso il cattolicesimo, ma le autorità restano convinte che un mancato controllo del Partito comunista e dello Stato sulle religioni costituisca una minaccia per la sicurezza nazionale.
Hacker cinesi e autorità comuniste in passato hanno spesso usato gli attacchi informatici per cercare di raccogliere informazioni su gruppi di tibetani buddisti, uiguri musulmani e praticanti del Falun Gong fuori dalla Cina, ma questa è la prima volta che gli hacker, individuati dagli esperti di sicurezza informatica della Recorded Future, hanno portato un attacco diretto al Vaticano.
Secondo le previsioni, Santa Sede e Pechino inizieranno il prossimo settembre i colloqui a due anni di distanza dalla firma dell’accordo provvisorio del 2018. I temi centrali saranno il controllo sulla nomina dei vescovi e lo status dei luoghi di culto.
La serie di intrusioni informatiche sarebbe partita ai primi di maggio con un malware inserito in una e-mail di condoglianze per la morte di un vescovo cinese firmata dal cardinale Pietro Parolin, segretario di Stato vaticano, e inviata al monsignore Javier Corona Herrera, cappellano che dirige la missione di studio del Vaticano a Hong Kong, la Holy See Study. 
Non è chiaro – spiega il New York Times – se la lettera sia stata fabbricata o se sia trattato di un vero documento che gli aggressori informatici avevano ottenuto e quindi collegato a un malware che ha consentito loro di accedere ai computer degli uffici della Chiesa cattolica di Hong Kong e ai server della posta del Vaticano.
Matteo Bruni, il portavoce vaticano, non ha risposto a una richiesta di commento sulla vicenda. Anche alti funzionari vaticani con esperienza sulla Cina hanno rifiutato di commentare, sostenendo di non avere informazioni sufficienti sul presunto attacco informativo.
La rivelazione arriva in un momento in cui l’amministrazione Trump vive uno scontro quasi quotidiano con la Cina su molti argomenti: la gestione della pandemia di coronavirus, la chiusura di missioni diplomatiche, la campagna di Pechino per rivendicare vaste aree del Mar Cinese Meridionale e gli sforzi americani per limitare i progressi tecnologici cinesi negli Stati Uniti.
Secondo Recorded Future l’attacco contro il Vaticano è stato effettuato da un gruppo sponsorizzato dallo Stato cinese, chiamato Red Delta. La tattica usata dal gruppo è simile a quello di altre operazioni di hacking sponsorizzate dalle autorità comuniste e scoperte in passato.
Che il Vaticano stia vivendo con difficoltà la gestione del rapporto con Pechino è dimostrato dal fatto, ricorda il New York Times, che il 5 luglio scorso papa Francesco, durante l’Angelus domenicale, ha “dimenticato” di esprimere rammarico e preoccupazione per la crisi di Hong Kong dopo l’entrata in vigore della contestata legge sulla sicurezza nazionale. Bergoglio avrebbe dovuto lanciare un invito agli abitanti dell’ex colonia britannica per affrontare con “coraggio, umiltà e non violenza” la nuova situazione imposta da Pechino, affermando di seguire con attenzione e preoccupazione lo sviluppo della situazione a Hong Kong. “Spero – avrebbe dovuto dire il papa – che la vita sociale e soprattutto religiosa possa essere espressa in piena e vera libertà, come in effetti prevedono numerosi documenti internazionali”, ma quel paragrafo del testo non è mai stato letto dal pontefice.
L’Accordo provvisorio sulla nomina dei vescovi firmato in Cina il 22 settembre 2018 è ormai in scadenza. A distanza di due anni, il testo è però ancora secretato.
Sotto il dominio del leader comunista Xi Jinping, il partito ha rafforzato il controllo sulla vita religiosa e spirituale in tutta la Cina. Restrizioni particolarmente severe contro i cristiani sono state imposte nella Cina sud-orientale. Le autorità della provincia di Zhejiang, dove XI è stato capo del partito, hanno ordinato di abbattere le croci di quasi duemila chiese.
Gli hacker, scrive il New York Times, potrebbero aver tentato di penetrare nei sistemi informatici della missione di studio della Chiesa cattolica a Hong Kong non solo per cercare di ottenere informazioni sui negoziati in corso, ma anche per monitorare il gruppo durante i disordini in città.
Sempre secondo il giornale, gli hacker cinesi hanno cercato di aiutare le autorità di Hong Kong a reprimere le proteste anche mediante attacchi informatici su un’applicazione di messaggistica utilizzata da molti manifestanti.
A.M.V.

Hong Kong, cosi il Vaticano ha trasferito i documenti segreti

Il Vaticano, prima che scoppiassero le proteste di Hong Kong, ha trasferito il suo "archivio segreto" nelle Filippine. Cina e Santa Sede sembrano essere più distanti

Il Vaticano, nonostante l'accordo provvisorio con la Cina - quello che ha di fatto sancito un passo avanti storico da un punto di vista diplomatico - , ha trasferito i documenti presenti nella nunziatura di Hong Kong nelle Filippine, per poi dirottare il materiale a Roma.


La questione è balzata agli onori delle cronache, in specie dopo le rivelazioni che riguardano dei presunti "attacchi hacker" operati dalla Repubblica popolare cinese nei confronti dei server ascrivibili alla Santa Sede.
A rivelare il retroscena sui documenti trasferiti l'estate scorsa, dunque prima che le proteste di Hong Kong prendessero piede, è stato Massimo Franco, in questo articolo pubblicato su Il Corriere della Sera. Le questioni aperte sono molte. Innanzitutto, Vaticano e Cina sembravano, in funzione del patto stipulato due anni fa, aver trovato una sintonia geopolitica. La Cina ha smentito di aver attaccato i server papali.
La Santa Sede, dal canto suo, non ha però esitato a prevenire eventuali dispersioni del materiale "segreto" che era presente all'interno di un vero e proprio "archivio". Quello che il Vaticano aveva ad Hong Kong. Quali sono, dunque, i rapporti reali tra il "dragone" ed il Vaticano? Di cosa aveva timore la Santa Sede?
Papa Francesco, nel corso di questi anni, si è avvicinato alla Repubblica popolare. Dopo essere stato riconosciuto in qualità di autorità religiosa legittima, dopo aver istituito nuove diocesi ed aver creato nuovi vescovi, Bergoglio ora vorrebbe procedere con un viaggio ufficiale a Pechino, ma la pandemia rischia di compromettere anche l'accordo provvisorio per cui Cina e Vaticano si erano concessi due anni di verifica. La sensazione è che si voglia optare per un rinnovo, in attesa che tempi migliori consentano una verifica effettiva. Per quanto in queste ore, tra le mura leonine, circolino anche voci opposte. Quelle che parlerebbero di una "impossibilità" di procedere con un rinnovo dell'accordo. Si vedrà.
Il patto stipulato tra Cina e Vaticano - com'è noto - è contestato dal "fronte tradizionale", che vorrebbe che la Chiesa cattolica si opponesse a Xi Jinping. La mossa del Vaticano - quella di procedere, di soppiatto, con il trasferimento dei documenti - può in qualche modo squarciare il velo di Maya: i rapporti tra Santa Sede e Pechino potrebbero non essere così idilliaci. Altrimenti perché, in fondo, temere le conseguenze dell'intervento della Cina ad Hong Kong?
Come ha fatto notare pure la fonte sopracitata, papa Francesco, nel corso di questi mesi, ha plaudito alla Cina per la reazione alla crisi dovuta al nuovo coronavirus ed ha evitato di tuonare sulla situazione di Hong Kong. Cosa che invece non ha evitato di fare il cardinale Joseph Zen, che è il più attivo tra gli ecclesiastici conservatori in quella zona di mondo. In fin dei conti, Zen non sembra essere l'unico ecclesiastico a non fidarsi del nuovo clima di concordia tra Repubblica popolare e Santa Sede.
Giuseppe Aloisi

Nessun commento:

Posta un commento

Nota. Solo i membri di questo blog possono postare un commento.