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mercoledì 29 luglio 2020

La modernizzazione della Chiesa conciliare

Chiesa conciliare: un passo in più verso il «sacerdozio dei laici» e i «preti sposati»
 



Papa Francesco ha appena dato una spinta verso il «sacerdozio dei laici» attraverso l’Istruzione La conversione pastorale della comunità parrocchiale al servizio della missione evangelizzatrice della Chiesa, redatta dalla Congregazione per il Clero e pubblicata il 20 luglio scorso.

In pratica, il ruolo dei laici che rimpiazzano il parroco esiste già: chi non è stato in qualche funerale «celebrato» dal sacrestano della parrocchia o da una signora della pastorale?
Quanti fedeli conciliari subiscono la cosiddetta ADAP (Assemblea Domenicale in Assenza del Presbitero), al posto della Messa di Paolo VI, già di per sé protestantizzata, Messa che il parroco è stanco di celebrare  - una alla Domenica basta – dopo essersi occupato dei «migranti» della sua parrocchia.

In questa Istruzione, la Congregazione per il Clero esplicita la «corresponsabilità ecclesiale» dei laici. Vi si legge che il vescovo «potrà affidare certi incarichi ai diaconi, ai consacrati o ai laici, sotto la direzione e la responsabilità del parroco». Questi laici, laddove la Messa non può essere celebrata per mancanza di preti, potranno presiedere la «liturgia della Parola»; essi non possono pronunciare l’omelia durante l’Eucarestia, possono però «predicare» in chiesa o all’oratorio in caso di bisogno. In più, il vescovo può delegare dei laici per assistere ai matrimoni. Lo stesso vale anche per le religiose, come è già successo in Australia.

Una parte dell’ottavo capitolo è dedicato alla «dottrina del diaconato» elaborata dal concilio Vaticano II, che non ha niente a che vedere col diaconato tradizionale fissato dal Concilio di Trento, che riservava questo primo grado del sacramento dell’Ordine ai soli chierici consacrati in vista del sacerdozio.
Oggi il diacono è un laico, spesso sposato. La Chiesa Conciliare - che ha l’arte di usare il linguaggio novecentesco e quindi di offuscare i punti essenziali - definisce l’ufficio di diacono come una partecipazione del Sacramento dell’Ordine, e quindi lo “ordina”, il che ci permette di credere che egli detenga il primo grado del Sacramento dell’Ordine, come era prima del Concilio Vaticano II. Ed è grazie a questa ambiguità che certuni chiedono venga loro accordato, logicamente, il secondo grado del Sacramento dell’Ordine, il sacerdozio, anche se non sono celibi.

La nuova Istruzione bergogliana insiste a lungo sulle «numerose funzioni ecclesiali» che possono essere affidate ad un diacono: «esso è stato istituito nell’ambito di una visione ministeriale di Chiesa e, perciò, come ministero ordinato al servizio della Parola e della carità; quest’ultimo ambito comprende anche l’amministrazione dei beni. quest’ultimo ambito comprende anche l’amministrazione dei beni. Tale duplice missione del diacono, poi, si esprime nell’ambito liturgico, nel quale egli è chiamato a proclamare il Vangelo e a prestare servizio alla mensa eucaristica»
Quindi, tutto fa pensare al diacono come ad un futuro prete.

Non bisogna ingannarsi, si tratta della messa in pratica del «sacerdozio dei laici». Quindi, questa Istruzione è l’anticamera per arrivare al sacerdozio degli uomini sposati e mettere fine al celibato sacerdotale.
Ciò che il Sinodo sull’Amazzonia non ha ottenuto, ma di cui ha gettato le basi, Papa Francesco lo realizza in questo testo. La rivoluzione bergogliana, che non è altro che la continuazione della rivoluzione del Vaticano II, segue il suo corso e il suo obiettivo: la protestantizzazione – o la modernizzazione direbbero i benpensanti adoratori del progresso – della Chiesa conciliare.

di Francesca de Villasmundo


Pubblicato sul sito Medias Presse Info




Comunione in mano, attacco dei protestanti al sacerdozio

L'uso di comunicarsi sulla mano, “neutro” nell'età patristica, fu ripreso dai riformatori protestanti con una chiara connotazione dottrinale. Secondo Martino Bucero, promotore della riforma anglicana, la pratica di non dare la Comunione sulla mano si doveva a due “superstizioni”: il “falso onore” che si pretende attribuire a questo Sacramento e la “perversa credenza” che le mani dei ministri, a causa dell’unzione ricevuta nell’ordinazione, siano più sante delle mani dei laici. A partire da questo momento, il gesto di ricevere la Comunione sulla mano ha un senso marcatamente polemico per attaccare la Presenza reale e il sacerdozio.


Nel libro sull’introduzione della comunione in mano di cui abbiamo parlato nell’articolo precdente, mons. Laise riprende i dettagli di questa ricostruzione storica, dal prezioso racconto dei fatti che fa, nel suo libro di memorie La Riforma liturgica 1948-1975, mons. Annibale Bugnini, che non solo fu testimone ma anche protagonista di essi. Secondo i documenti trascritti da questo libro, con questa concessione si mirava soprattutto ad evitare che «in questi tempi di forte contestazione (...) l’autorità non venga battuta sulla breccia, mantenendo una proibizione che difficilmente avrebbe seguito nella pratica». Infatti, quando si considerarono le diverse soluzioni possibili, si tenne conto che «è da prevedere anche una reazione violenta in alcune zone e una disubbidienza piuttosto diffusa dove l’uso è stato già introdotto». La volontà chiaramente restrittiva del legislatore, palesemente manifestata nel documento, avrebbe dovuto far sì, d'altra parte, che la concessione fosse interpretata e applicata in modo tale da favorirne la diffusione il meno possibile.

Questa legislazione non venne successivamente mai modificata, né le possibilità di introdurre la comunione sulla mano vennero ampliate, eppure: le richieste delle conferenze episcopali – benché non ci fossero le condizioni richieste per domandare l’indulto –; l’insistenza nel riconsiderare il problema in luoghi dove già era stata previamente verificata l’assenza di quelle restrittive condizioni; la sua fin troppo facile concessione da parte del dicastero pertinente e, soprattutto, l’assoluto silenzio che posteriormente si fece sulla disubbidienza irriducibile che, come spiega chiaramente Mons. Laise, era esattamente l’unico motivo per cui è stato concesso l’indulto, fecero si che la prassi si estendesse quasi universalmente. 

Un secondo punto dello studio di mons. Laise che richiama l’attenzione, è dove dimostra che la nuova prassi non sarebbe stata davvero una «riscoperta» di una «antica tradizione», «nel tornare a ricevere la Comunione come nella Chiesa delle origini e dei padri» come si sente dire spesso. In proposito, esposi davanti a Mons. Laise la convinzione che il Vangelo di Giovanni e gli scritti di alcuni padri, oltre che il codice purpureo di Rossano (V secolo), di provenienza siriaca, dimostrino invece che Gesù ha dato la Comunione agli Apostoli in bocca.

Nell’Istruzione Memoriale Domini si dice chiaramente che, sebbene nel cristianesimo primitivo la S.Comunione si riceveva normalmente sulla mano, «col passare del tempo si approfondì la conoscenza del mistero eucaristico, della sua efficacia e della presenza di Gesù Cristo in esso, in modo che, sia per il senso di riverenza verso questo Sacramento che per il senso di umiltà col quale bisogna riceverlo, si introdusse la pratica di collocare sulla lingua del comunicante la Sacra Specie». 

Così fu che, a un determinato momento, un uso finì per sostituire l’altro, al punto che quello di prima non fu soltanto abbandonato ma addirittura esplicitamente proibito. Dal contesto si vede chiaramente che, per Paolo VI, quel cambiamento della pratica costituiva il passaggio da un modo imperfetto a uno più perfetto. 

Infatti, nei testi antichi non si menziona mai che i Padri della Chiesa abbiano trovato alcun vantaggio nel comunicarsi sulla mano, né che essi abbiano mai elogiato questa prassi in quanto tale, ma semplicemente descrivono l'unico modo da loro conosciuto. Anzi, come dice Mons. Laise, nell’allertare ripetutamente sui pericoli ad essa collegati, i Padri evidenziano una imperfezione inerente a questa modalità di ricevere la Comunione. Perciò, l’autore ritiene si possa affermare che la Comunione sulla mano fu, certamente, il modo di comunicarsi che hanno avuto i santi Padri, ma che la Comunione in bocca è il modo che avrebbero desiderato.

Parecchi secoli più tardi l’uso di comunicarsi sulla mano, “neutro” nella età patristica, fu ripreso dai riformatori protestanti con una chiara connotazione dottrinale. Per esempio, secondo Martino Bucero, promotore della riforma anglicana, asserisce che la pratica di non dare la Comunione sulla mano si doveva a due “superstizioni”: il “falso onore” che si pretende attribuire a questo Sacramento e la “perversa credenza” che le mani dei ministri, a causa dell’unzione ricevuta nell’ ordinazione, siano più sante delle mani dei laici. A partire da questo momento, il gesto di ricevere la Comunione sulla mano ha un senso marcatamente polemico che si contrappone alla Comunione in bocca come espressione di una dottrina opposta, e questo in due punti fondamentali che contraddistinguono la posizione protestante da quella cattolica: la presenza reale e il sacerdozio. Da quel tempo in poi questa implicazione non può essere ignorata.

Perciò, quando nella seconda metà del secolo XX la Comunione sulla mano iniziò a penetrare negli ambienti cattolici, non si trattava più di un mero ritorno ad un uso primitivo. Dunque, non è un caso, come evidenzia Monsignor Laise, che proprio in uno dei primi luoghi dove la Comunione sulla mano venne introdotto abusivamente, fosse stato pubblicato poco tempo prima un “Nuovo Catechismo” (il noto “Catechismo Olandese”) a cui la Santa Sede dovette imporre numerose modifiche (14 principali e 45 minori) per correggere gravi errori dottrinali. In questo testo, commissionato dall’episcopato olandese e presentato mediante una “lettera pastorale collettiva”, si metteva in dubbio la presenza reale e sostanziale di Cristo nell’Eucaristia, si dava una spiegazione inammissibile della transustanziazione e si negava qualsiasi forma di presenza di Gesù Cristo nelle particelle o frammenti staccatisi dall’Ostia dopo la Consacrazione. D’altra parte si faceva confusione fra il sacerdozio comune dei fedeli e il sacerdozio gerarchico.

Terzo aspetto che il compianto presule argentino mette opportunamente in evidenza è che, persino dove è permesso l’uso della Comunione sulla mano, non si tratta di un’opzione in più proposta dalla Chiesa, di pari valore rispetto all’altro uso vigente.

Infatti, la posizione della Santa Sede riguardo alla maniera di comunicarsi non è indifferente: anche per quei posti dove si è recepito l’indulto, la Comunione in bocca è il unico modo autorizzato dalla legge della Chiesa ed è stato sempre chiaramente raccomandato, mentre l’altro modo è soltanto tollerato (e ciò come conseguenza di quello che Laise definisce la «disobbedienza più grave all’autorità papale negli ultimi tempi»), dovendosi inoltre prendere una serie di precauzioni, specialmente per ciò che riguarda la pulizia delle mani e la cura attenta delle particelle (prescrizioni che, del resto, sono di rado tenute in conto nella pratica).

Secondo quanto afferma l’Istruzione Memoriale Domini, la modalità di comunicarsi in bocca che da più di un millennio ha sostituito universalmente la pratica di ricevere la Comunione sulla mano “è propria alla preparazione che si richiede per ricevere il Corpo del Signore nel modo più fruttuoso possibile e assicura più efficacemente che la Sacra Comunione sia distribuita con riverenza, decoro e dignità, allontanando così ogni pericolo di profanare le sacre Specie Eucaristiche”, facendo attenzione con diligenza alla cura che la Chiesa ha sempre raccomandato anche nei riguardi delle particelle stesse del pane consacrato (con la Comunione sulla mano invece ci vorrebbe ogni volta un miracolo, perché non cada per terra una particella o non rimanga un piccolo frammento sulla pelle).

Perciò Paolo VI ricordava - nella enciclica Mysterium Fidei - come Origene raccontasse che «i fedeli si credevano in colpa, (“e giustamente”, aggiunge il Papa), se, ricevuto il corpo del Signore, pur conservandolo con ogni cautela e venerazione, ne cadesse per negligenza qualche frammento».

Le espressioni dei Padri, il cambiamento nel modo di ricevere la Comunione alla fine del primo millennio e gli argomenti di Paolo VI per negare la reintroduzione del modo arcaico, riflettono tutti l’unica fede della Chiesa nella presenza reale, sostanziale e permanente, anche nelle più piccole particelle, le quali esigono attenzione e adorazione.

Nicola Bux

- UNA DISOBBEDIENZA LEGITTIMATA/1
https://lanuovabq.it/it/comunione-in-mano-attacco-dei-protestanti-al-sacerdozio

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