ACTA APOSTATICAE SEDIS : come, cambiando un po' qua e un po' la, si può cambiare tutto...

lunedì 6 luglio 2020

Le strane religioni delle élite

R2020: smettiamola di chiamarla “arte”, tantomeno “politica”


L’epifenomeno “R2020” – portatore di un nome alfanumerico in scadenza pur essendo neonato – ha scombussolato per la durata di qualche settimana la galassia antisistema, quella che gravita intorno ad alcune evidenze storiche e scientifiche relative alla cosiddetta pandemia e alle molte incongruenze della sua gestione sanitaria, politica, mediatica.
All’ingrossarsi delle fila dei cosiddetti “complottisti” – per eccesso di evidenze e incongruenze non compatibili con la narrazione canonica – qualcuno deve aver pensato che era il momento di passare all’incasso. E di intestarsi tutto quell’esuberante ben di Dio.

COLLAGE COMPLOTTISTA Ed ecco, dal nulla, risuonare in Parlamento uno stravagante sermone patchwork dell’onorevole Sara Cunial (ex 5 stelle e attuale Gruppo misto) e rimbalzare dappertutto, ottenendo come per magia l’effetto pressoché immediato di unire i complottisti di tutta Italia dietro un nuovo estemporaneo beniamino.
È bastato sganciare nel cuore delle istituzioni un petardo artigianale preparato affastellando tutti i pezzi sparsi del pensiero alternativo raccattati sui social e cuciti insieme con qualche citazione simil-dotta e una spruzzata di latinorum. Ne è uscito qualcosa come il temino di quello, o quella, che copia dal compagno di banco, ma alla farina del sacco altrui aggiunge di proprio pugno qualche ghirigoro inedito, e qualche errore di sintassi e di punteggiatura. Pensierini scritti male e letti peggio, ma capaci di intercettare i motivetti più orecchiabili della nuova canzone popolare: talmente tanta era l’attesa per l’epifania di un capopolo (o capapopolo) che nessuno è andato troppo per il sottile e tutti hanno risposto al richiamo del primo candidato che è riuscito nell’impresa di recitare in sei minuti la lista quasi completa degli slogan di contro-ordinanza.
CIRCO NEW AGE Il numero inscenato a Montecitorio ha poi avuto un seguito sorprendente. Un seguito che, per la verità, era in agenda prima del monologo, visto che il nome del movimento in gestazione era già stato concepito e registrato. Fatto sta che, capitalizzato tanto consenso con tanto poco sforzo, si è evidentemente pensato che tanto valeva esagerare, chiamare a raccolta gli amici, gli amici degli amici, e buttarla sul folklore senza confini.
E così si è allestito un circo con «anime stupende che si sono unite a noi e hanno deciso di mettere a disposizione di tutti i partecipanti la loro #arte e il loro #talento» per svelare i loro segreti, quelli «di chi ha riscoperto la propria ritualità e una rinnovata armonia con la natura, che è fuori e dentro di noi». Nello specifico, vengono presentati «Performer, Mangiafuoco, Ritual Body Painter, Acrobati, Disegnatori, Attori, Giocolieri, Musicisti, Scultori e poi Workshop, arti Olistiche, Digitali, Plastiche e tanti altri artisti che vi accompagneranno in questo viaggio dove non sarete dei semplici passeggeri, ma cellule senzienti del sistema immunitario che collaborerà a guarire questa #Terra».
Di fronte a un programma politico così ricco e profondo, uno si poteva aspettare qualche rinsavimento illustre, qualche pubblica presa di distanza. Invece no. Prevendite di biglietti, venghino signori venghino che sta per cominciare lo spettacolo.
Vien da considerare allora quanto elementare sia portare a compimento il solito giochino, ben noto nelle stanze dei bottoni quando il dissenso diventa più vivace del dovuto: basta agglutinarlo dietro un nuovo straccio di bandiera per farlo defluire nell’imbuto della irrilevanza, magari condannandolo pure al ridicolo. Un metodo sempre efficace per disinnescare in un colpo solo i focolai sparsi di reazione spontanea, onesta e sincera. Spesso disperata.
Meglio ancora se persino gli stessi sbandieratori sono quasi inconsapevoli della loro parte, storditi dai fumi della festa, da luci, «cerchi sonori» e «musiche organiche» capaci di condurli a «riscoprire e riconoscere nella nostra coscienza gli archetipi dell’Amore, risvegliando un sapere già presente nella nostra anima, dove le forme degli alberi danzano con gli animali e le acque limpide scorrono tra i cristalli», in modo che «come nella scissione dell’atomo, l’energia che libereremo provocherà nuove reazioni d’amore per i colori» e «quando tutti i confini si saranno dissolti e ogni fibra del nostro essere vibrerà e pulserà all’unisono, diventeremo un oceano, persi l’uno nelle mani dell’altro. Ed è lì che nascerà di nuovo l’amore». Ogni commento è superfluo.
RITUALI LIBERATORI Uno potrebbe sperare che la cosa sia finita qui. E però no, c’è ancora dell’altro, perché la pozzanghera eco-esoterica teosofica new age del casaleggismo di ritorno non si è manifestata solo come diversivo grottesco: contiene acqua torbida, e a cascarci dentro c’è il rischio serio di rimanere imbrattati.
Officiare con un sinistro rituale, negli spazi di un ex mattatoio, il battesimo di un movimento con velleità politiche, non è cosa normale. Nonostante si provi a citare in soccorso Giordano Bruno o Ipazia di Alessandria. Non si va troppo distanti dalle strane religioni delle élite che sulla carta si dice di voler combattere. In ogni caso, la messa in scena della bruttezza e dello squallore dovrebbe provocare di per sé una istintiva reazione di rigetto in tutti coloro che abbiano a cuore le sorti delle nuove generazioni. Davanti alla degenerazione estetica, morale e culturale senza più alcun freno non si può restare né zitti né indifferenti.
APPLAUSI O POMODORI Come sempre, invece, è scattato l’incredibile complesso di sudditanza dello spettatore programmato all’applauso coatto di fronte all’”artista” autocertificato: basta che un tizio si esibisca sopra un palco definendo “arte” la sua performance, che il pubblico si sente obbligato a riconoscergli l’omaggio riservato a una categoria intoccabile per definizione. Qualunque sia l’oltraggio arrecato alla dignità dello spettatore, nessuno ha più il fegato di fischiare o lanciare ortaggi alla volta di quanti si rendano fieri interpreti dell’imbarbarimento collettivo, nell’esercizio del diritto alla volgarità globalizzata che è promosso e alimentato dalle nuove élite culturali amanti dell’occulto.
Tutt’al più qualcuno osa avanzare qualche sommessa critica, chiedendo scusa se si permette di farlo, mettendola sul piano dei gusti e della sensibilità personali, del mi piace non mi piace, pollice su o pollice giù.
E così si alimenta la macchina del brutto, che è poi la macchina del male, distruttrice dell’animo e di una intera civiltà la quale pure, fin dai suoi albori, seppe scolpire in una sola parola il legame indissolubile tra il bello e il buono (kalòs kài agathòs) nell’educare alla virtù. Alla kalokagathia distillata nell’arte si abbeverava il popolo che affollava il teatro antico e che, destinatario privilegiato di opere grandi e senza tempo, pur essendo per la più parte analfabeta, era perfettamente in grado di apprezzarne la bellezza e la bontà, e di trarne occasione per una elevazione personale sotto il profilo morale, culturale, estetico. In quel circuito virtuoso per cui un popolo da un lato attinge linfa vitale dalle sue arti, dall’altro restituisce quanto da esse assorbito per ispirarle e fecondarle ancora. Il circuito che si fatalmente si inverte appena prenda il sopravvento un’etica degenerata capace di innescare un inesorabile processo involutivo e di travolgere tutto. Il culto della Pachamama sugli altari profanati delle chiese ex cattoliche è espressione somma del medesimo dilagante degrado.
SE IL BUON COSTUME ESISTE ANCORA Ma allo scempio pseudoartistico eletto a strumento di promozione politica non c’è soltanto una controindicazione estetica e spirituale. C’è un preciso limite giuridico, oggettivo e cogente. È la stessa Costituzione, oggi pericolosamente data in pasto a psico-santoni o imbonitori da avanspettacolo, a offrircelo come l’antidoto a certe insidiose derive: il limite generale del buon costume di cui all’art. 21 ultimo comma della Carta Costituzionale è posto a presidio del comune senso della decenza, del decoro e della moralità. Un limite che dovrebbe funzionare soprattutto quando si tratti di proteggere i più piccoli.
Ma se si dismettono le categorie e la lingua del diritto, che ne sorreggono la logica, per brandire la Costituzione come fosse non una legge positiva ma il breviario del Mago Otelma, allora si sconfina senza più punti di riferimento in un altro campo, quello di una falsa religione senza logos capace di stravolgere ogni principio regolatore della vita collettiva.
AD MAIORA In un momento complesso e drammatico come l’attuale non abbiamo bisogno di guru, di «anime stupende», di epifanie, di rituali, di folklore. C’è un popolo stremato che non merita becchime tossico né ulteriori delusioni, ma deve semplicemente ritrovare l’orgoglio di riunirsi intorno al patrimonio di valori e di bellezza sedimentato nella terra dei propri padri in più di due millenni di storia. E di difenderlo per salvare la vita dei propri figli e il loro futuro.
Elisabetta Frezza Luglio 6, 2020

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