ACTA APOSTATICAE SEDIS : come, cambiando un po' qua e un po' la, si può cambiare tutto...

lunedì 27 luglio 2020

L’inferno, o qualcosa che vi somiglia molto.

UN BILANCIO DEL "PROGRESSO"?


Perdite e acquisti? Fino a 50 anni fa c’erano più sorrisi in giro, perché c’era più "serenità". C’era un’autentica "fede in Dio": i dolori venivano deposti ai suoi piedi, come offerte d’amore e non vissuti con intima ribellione 
di Francesco Lamendola  
  
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C’è stato un tempo in cui le persone avevano l’animo più leggero e il cuore più contento di oggi. Questa età favolosa è stata non mille anni fa, e neppure nel Tempo del Sogno, come direbbero gli aborigeni australiani, ossia in un remoto passato che confina col mistero del mito, ma talmente vicino che noi stessi abbiamo fatto in tempo a vederlo. Quel tempo è esistito non più tardi di una cinquantina d’anni fa, e ne serbiamo un ricordo nitido e incancellabile, sebbene ora sia difficile, per noi, darne un’idea alle nuove generazioni. 


Esse pensano, senza dubbio, che si tratta di  una idealizzazione soggettiva operata dalla memoria dell’infanzia e che è in fondo normale, perché tutti tendono, da grandi, a ripensare alla propria fanciullezza con infinita nostalgia, imprestandole quelle tinte poetiche che in realtà non ebbe. Invece ora sappiamo che la percezione del mondo che abbiamo avuto da bambini era oggettiva, e che coglieva un tratto caratteristico, perfettamente reale: la serenità diffusa nella vita delle persone, o, quanto meno, un livello assai maggiore di serenità, rispetto a quello odierno. Come possiamo affermarlo con tanta sicurezza? Come possiamo essere certi che non si tratti d’una semplice illusione prospettica? Ne siamo certi perché siamo stati testimoni di cose reali, in un certo senso verificabili e misurabili, che oggi più non si vedono, se non in casi assolutamente eccezionali, mentre allora erano ampiamente diffuse, tanto da essere comuni,  talché la gente non vi faceva un particolare caso, considerandole del tutto normali. Un esempio fra le decine di quelli che potremmo fare: allora era cosa comunissima il fatto di cantare, le donne specialmente, mentre sbrigavano le faccende di casa, o comunque mentre stavano lavorando. Ricordiamo benissimo – certo, con viva nostalgia, ma anche con oggettivo distacco – la voce armoniosa della mamma che cantava, non a mezza bocca, ma a voce spiegata, mentre faceva i mestieri di casa, stirare, preparare da magiare, e si spandeva per tutte le stanze, avvolgendole con la sua calda onda. Era molto intonata: era un piacere sentirla. A volte, quando aveva un po’ di tempo, tirava fuori dalla custodia la sua grossa fisarmonica, prendeva lo spartito e si metteva a suonare, accompagnandosi col canto: come potremmo scordare le note della Paloma, che si diffondevano con tanta poesia, facendo vibrare di emozione quelli che la udivano? E non è che alla mamma, ancora così giovane - come poi abbiamo compreso, crescendo - mancassero i pensieri e le preoccupazioni, né le ragioni per essere stanca: tutt’altro.

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Fino a 50 anni fa c’erano più sorrisi in giro perché c’era più serenità. C’era un’autentica fede in Dio: i dolori venivano deposti ai suoi piedi, come offerte d’amore e non vissuti con intima ribellione!

Tornata dalla scuola, ove si recava ad insegnare come maestra, e aver provveduto a noi bambini, si recava in ospedale tutti i giorni, a visitare il papà, ricoverato per una lunga malattia; tornata a casa, sbrigava le faccende e si occupava di noi, sempre allegra, o almeno così pareva, senza mai appesantirci con le sue preoccupazioni; la sera, fino a tardi, studiava per preparare le lezioni, scrupolosa e innamorata della sua professione, e studiava anche per dare l’esame di concorso e avvicinarsi a casa mediante l’assegnazione ad una sede più vicina e quindi più comoda. Aveva perciò il suo bel daffare e la sua brava dose di pensieri: eppure cantava sovente, amava cantare e anche suonare; e come lei molte altre persone. Era assai frequente udire e vedere le persone che cantavano, non certo perché non avessero nulla da fare, ma al contrario, proprio per accompagnare il lavoro quotidiano indizio certissimo del fatto che il loro cuore era lieto, che le difficoltà quotidiane non avevano rubato dal loro mondo interiore la gioia e la bellezza del vivere. E di esempi di questo genere, ripetiamo, se ne potrebbero fare in gran numero, arrivando sempre alla stessa conclusione: c’erano più sorrisi in giro perché c’erano più serenità, maggiore adesione alle piccole, semplici cose belle della vita. C’era una maggiore accettazione delle avversità e c’era un’autentica fede in Dio: per cui dolori e angosce venivano deposti ai suoi piedi, come offerte d’amore, e non vissuti con intima ribellione.

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Perdite e acquisti: un bilancio del progresso?

Scriveva lo studioso cattolico del paranormale Leo Talamonti (1914-1998) nel suo libro più bello e maturo, I protagonisti invisibili (Milano, Rizzoli, 1990, pp.191-192):
Qualcosa è mutato, negli ultimi decenni. S’incontrano persone, ma non sguardi amichevoli e neppure indifferenti. Visi corrucciati, piuttosto, sguardi addirittura malevoli. Perché? Non li conosciamo, non gli abbiamo fatto niente.  Dove sono finiti i sorrisi? Rassegniamoci: anche i sorrisi sono ormai tra le abitudini che quest’epoca va cancellando; quest’epoca che ci fa respirare un’atmosfera sempre più ammorbata  da ostilità latenti, immotivate, pronte ad esplodere  per un pretesto occasionale.
La storia corre in fretta. L’odio è sempre esistito, con il suo immancabile corollario di violenze  spesso sanguinose. È un retaggio  atavico dell’uomo, come tante altre inclinazioni negative che lo affliggono dal tempo della caduta. Ma non era stato mai GLORIFICATO, come oggi avviene. C’è sempre stata una logica perversa ma in qualche modo connaturata alla  condizione malata della razza, che ha contraddistinto nei secoli le sue innumerevoli manifestazioni: odio tra razze, nazioni, famiglie; rancori inestinguibili, vendette a catena senza fine. La storia rigurgita di atrocità, di fatti crudelissimi, di torture inflitte per il diabolico gusto di far soffrire; ma nel quadro generale erano casi marginali; al limite, patologici. E poi, c’era un contrappeso rappresentato dall’orrore e dalla ripugnanza che quei fatti suscitavano. Ma da qualche tempo a questa parte, e man mano che la storia si è messa a correre più in fretta, le violenze stanno diventando la regola, e l’esecrazione di un tempo sta cedendo il posto all’assuefazione. Non ce ne accorgiamo, ma è un fatto che ci stiamo abituando a considerare come normale ciò che normale non è, non può essere.
C’è di più: l’odio va assumendo specificazioni sempre nuove. C’era una volta l’odio tra razze e nazioni, e purtroppo c’è ancora. Le sue conseguenze le abbiamo in parte vissute, per il resto le abbiamo apprese dai testi scolastici. Venne poi l’odio tra le classi, che ha dato vita alle forme moderne e “scientifiche” di tirannia, insanguinando l’intero secolo. In tempi più recenti abbiamo visto sorgere e affermarsi L’ODIO ANAGRAFICO, vale a dire l’ostilità preconcetta, sfumata di venature sprezzanti, dei giovani verso gli anziani, considerati quali depositari di idee superate e ingombranti che tendono a inceppare il progresso (la parola “progresso” è una di quella che Fogazzaro avrebbe definito “pneumatiche”, perché si può gonfiare di significati come un palloncino si gonfia d’aria):
Un luogo comune di vecchia data era quello della “guerra dei sessi”: si riferiva al blando, consueto e tutto sommato fisiologico che è sempre esistito tra l’uomo e la donna, in ragione delle rispettive e complementari diversità. Era per sua natura bonariamente componibile, tant’è vero che non è mai riuscito – tranne in circostanze eccezionali – a inficiare in maniera grave la stabilità delle coppie coniugate, se erano composte da persone equilibrate e non troppo egoiste. Oggi l‘antagonismo non è più blando, né latente, né componibile: è stato artificiosamente acuito fino a ingenerare vere e proprie atmosfere guerresche, che vedono le schiere disorganizzate e sgomente dei maschi perdere continuamente terreno dinnanzi all’aggressività crescente del femminismo oltranzista. Peccato, sciupare così malamente le ottime ragioni di fondo che le donne avevano e hanno da far valere.

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Se il progresso toglie il sorriso e la voglia di cantare alle persone, se le rende più tristi ancorché più longeve e capaci di fare tante più cose, forse non è proprio quella bella cosa che molti ci dicono, ma è un autentico flagello!

Perdite e acquisti: un bilancio del progresso 
di Francesco Lamendola

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