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lunedì 20 luglio 2020

PapApp

Ora pure il Papa finisce "schedato" dall'estensione pro Lgbt

L'estensione che "stana" gli "anti-Lgbt" ha colorato di rosso anche le pagine di papa Francesco. Pure Bergoglio tra i "marchiati"

Chi si è dotato di shinigami eyes, l'estensione che colora di rosso i profili di chi non condivide certe istanze Lgbt, può essere consapevole di come anche la pagina Facebook di papa Francesco sia tra i "marchiati".
L'operazione è semplice: l'estensione di Chrome si può installa con grande velocità. Subito dopo può iniziare una perlustrazione che consente di comprendere chi sia stato "colorato" e chi no. Sulla "panoramica" di shinigami eyes si legge che l'estensione rimarca "utenti, pagine e gruppi di Facebook con colori diversi". La ratio è dunque quella di individuare la transfobia o le posizioni ritenute "anti-Lgbt".
Jorge Mario Bergoglio, nel corso di questi anni, è stato spesso attaccato dal "fronte tradizionale" per via delle sue aperture nei confronti degli omosessuali e per via del dibattito sul rapporto dottrinale tra Chiesa cattolica ed omosessualità. In Germania, per esempio, buona parte dell'episcopato pensa che una riforma dottrinale sul tema sia essenziale. Il "sinodo interno" dei teutonici si sta occupando anche di questi aspetti, suscitando le preoccupazioni dei conservatori.
Dal "chi sono io per giudicare" agli aiuti mandati in piena pandemia mediante il cardinale elemosiniere ai transessuali di Torvaianica, passando per le pastorali aperturiste che sono state sviluppate all'interno di alcuni contesti diocesani italiani: papa Francesco non è un omofobo. Eppure la sua pagina è finito all'interno del paniere di quelle che sono state colorate di rosso.
Certo, l'ex arcivescovo di Buenos Aires ha bocciato di netto la cosiddetta "teoria gender", parlando di "colonizzazione ideologica", ma queste considerazioni sono sufficienti affinché il pontefice argentino venga ritenuto un esponente "anti-Lgbt"? Il Papa, come scritto in uno degli ultimi libri di don Luigi Maria Epicoco, pensa ad esempio che "...questa apparente uniformità li ha portati all' autodistruzione perché è un progetto ideologico che non tiene conto della realtà, della vera diversità delle persone, dell' unicità di ognuno, della differenza di ognuno". Il riferimento è a Babele, mentre il senso della riflessione è chiaro: non si può "distruggere alla radice quel progetto creaturale che Dio ha voluto per ciascuno di noi: la diversità, la distinzione".
Se Bergoglio è stato etichettato come un "anti-Lgbt", insomma, lo si deve con buone probabilità alla sua campagna contro la "colonizzazione ideologica". Il rosso compare anche sul profillo Twitter di Bergoglio: l'estensione non interessa solo il celebre social network fondato da Mark Zucckerberg. Non è colorato in rosso, ad esempio, la pagina di James Martin, gesuita e consultore per la Comunicazione del Vaticano che è noto per le sue battaglie in favore della costruzione di un "ponte" tra la Chiesa cattolica ed il mondo Lgbt. Ma l'estensione riguarda pure un successore di Pietro ritenuto progressista dai più.
Non solo il direttore Alessandro Sallusti, il senatore Simone Pillon ed i leader Matteo Salvini e Giorgia Meloni: anche il successore di Pietro è finito per far parte di questo elenco.

Omofobia: Don Lillo fa una omelia infuocata contro il ddl Zan-Scalfarotto

Ecco un parroco che non le manda a dire, il cui parlare è “sì sì, no no”!
Don Calogero D’Ugo, detto don Lillo, è parroco della Parrocchia del SS.Crocifisso di Belmonte Mezzagno, città metropolitana di Palermo.

(Se il video non si carica fare il refresh di questa pagina o cliccare qui)

La natura del progetto di legge Zan

Alessandro Zan

Alessandro Zan
di Annarosa Rossetto
Quante volte in questi giorni parlando del ddl Zan alle nostre preoccupazioni sulla sua portata liberticida avete sentito questo o quel sostenitore minimizzare dicendo «ma no, la libertà di parola sarà sempre garantita, impossibile che si arrivi a chiedere interventi della legge per chi esprime semplicemente un’opinione»?
Ecco, a me sentendo queste parole che vorrebbero tranquillizzarci, viene in mente una frase di Chesterton a proposito dei legislatori progressisti:
«Sono quelli che ci danno ad intendere che ogni riforma moderna funzionerà a puntino, perché ci saranno loro a controllare. […] Se chiedete come funzionerà questa o quella cosa rispondono: «Oh, io non mi spingerei tanto avanti!». […] Di costoro basterà dire che non capiscono la natura di una legge più di quanto capiscano la natura di un cane. Una legge, se la si lascia andare per conto suo, si comporta come un cane. Obbedirà alla propria natura, non alla vostra.”
Ecco, la legge è come un cane: se compri un cane da caccia avrà sempre l’istinto del cacciatore anche se lo vuoi far passare per un cane da compagnia. Se chi fa una legge contro l’omofobia è lo stesso che chiama “omofobia” tutto ciò che si oppone all’agenda che vorrebbe portare avanti , non è difficile immaginare che la legge contro l’omofobia sia in realtà pensata per contrastare non già la violenza contro le persone omossessuali (già difese come ogni persona dal Codice Penale) ma per impedire qualunque resistenza culturale e civile.
In questi giorni diverse sono state le occasioni in cui è caduta la maschera di tolleranza che la compagine Lgbt sta cercando di tenere sul viso mentre cerca di far approvare la legge Zan.
I commenti dei sostenitori del disegno di legge Zan-Scalfarotto e c. a questi episodi bastano per capire che il vero obiettivo è esattamente impedire alle voci che difendono un’antropologia che vede nella differenza/complementarietà uomo-donna le basi dell’identità della persona e della famiglia di difendere la loro idea di società.
Il primo episodio è l’intervista del 6 luglio della senatrice del M5S Alessandra Maiorino al portale LGBT Gay.it in cui c’è questo scambio tra intervistatore e la vicepresidente dei senatori 5S:
Giorni fa lei si è detta dispiaciuta per l’aver dovuto “rinunciare al reato di propaganda”, perché “la maggioranza ha scelto una via più “soft” per evitare polemiche. Anche se in realtà sterili polemiche ci sono ugualmente”. Non crede che con il “reato di propaganda” all’interno del testo quelle sterili polemiche sarebbero state ancor più pressanti, e soprattutto non si sarebbe corso il rischio di andare incontro ad un’eventuale incostituzionalità?
Assolutamente sì. Avevo proposto di metterlo comunque, semmai l’avremmo tolto. Si sarebbe dato anche un segnale. Non averlo messo non ci dà questo spazio di manovra. […] Contenutisticamente, invece, se non fossimo in Italia, ma siamo in Italia, il problema non si sarebbe posto. Perché chiunque capisce che la chiesa cattolica e i suoi rappresentanti, in base ai dettami della propria fede, possono continuare a dire ciò che  credono, sempre che non sia un insulto, perché rientra in una sfera religiosa. Ma ciò non vale per quelle organizzazioni che religiose non sono e che non possono avvalersi di questo manto che le rende qualcosa di altro, tipo Pro Vita, Forza Nuova e Casa Pound, che dicono cose aberranti sulla comunità LGBT, e temo che non avendo messo il reato di propaganda potranno continuare a farlo. Anche seavendo inserito il reato di incitamento all’odio, lì prendiamo tutto.
Dalla domanda del giornalista e dalle parole della Maiorino è evidente il rammarico per non aver potuto inserire un esplicito divieto di “propaganda” alle idee di chi contrasta l’agenda politica LGBT così come è evidente la soddisfazione di poter “prendere tutto” con il reato di “incitamento all’odio”. Interessante, per inciso, come la senatrice non sappia distinguere movimenti e associazioni con contenuti tanto diversi come ProVita e Forza Nuova, accomunando tutti nel contenitore di coloro che dicono “cose aberranti”.
Altro episodio chiarificatore è stato “l’incidente di Lizzano” di cui avete letto anche su questo blog.
La richiesta del Sindaco del paese, chiamata da un’attivista Lgbt nella piazza dove si svolgeva una protesta, che i Carabinieri prendessero i nominativi dei fedeli riuniti in preghiera per la famiglia (e, tra le altre intenzioni, anche perché il ddl Zan non venga approvato) e il successivo post sul suo profilo Facebook hanno suscitato una serie di reazioni molto interessanti per capire le intenzioni profonde e mai dichiarate esplicitamente di chi sostiene questa proposta di legge.
La senatrice Monica Cirinnà, da poco nominata a capo del Dipartimento “Diritti Civili” del PD e paladina della causa LGBT, l’ha condiviso immediatamente la mattina successiva con parole di apprezzamento verso l’operato del sindaco che avrebbe promosso la laicità dello Stato chiedendo ai Carabinieri di interrompere la preghiera per prendere i nomitativi dei partecipanti. 

Condivido le parole di questa Sindaca coraggiosa e pienamente consapevole della laicità delle istituzioni repubblicane. Una laicità incisa nell'articolo 7 della Costituzione e basata sul reciproco rispetto.
[Articolo 7. Lo Stato e la Chiesa cattolica sono, ciascuno nel proprio ordine, indipendenti e sovrani.]
Ovviamente nelle sue interviste continua a ribadire che, anche con la legge Zan, i sacerdoti in chiesa potranno dire quello che vorranno se non “istigheranno alla violenza o faranno propaganda ai crimini d’odio”, come capiscono bene “i cattolici adulti”. Ma, nella stessa intervista, si sostiene anche che il solo fatto che sia stato presentato il progetto di legge ha dato forza alla “sindaca” di fare richiesta alle Forze dell’Ordine di “schedare” i fedeli.  Non è, come minimo, una posizione cognitivamente dissonante?
Anche Dario Accolla, attivista LGBT giornalista per alcune testate nazionali e autore di un libro commemorativo su Mario Mieli, il 15 luglio ha pubblicato su Il Fatto Quotidiano un lungo articolo in difesa dell’amministratrice pubblica presentandola quasi come un eroina civica. Dopo averla elogiata per il post in cui spiegava al parroco del paese quali fossero le cose per cui avrebbe fatto meglio a pregare (alla faccia della tanto proclamata laicità dello Stato che su cosa e come pregare non dovrebbe avere voce in capitolo) così prosegue:
“Gira, infatti, un filmato in cui redarguisce una pattuglia di carabinieri che prendevano le generalità di alcuni liberi cittadini – cittadini riuniti di fronte alla chiesa in cui si celebrava la preghiera in questione – ricordando ai militari che l’Italia è un paese democratico dove è legittimo protestare. E quando il carabiniere prova a giustificarsi, dicendo di agire per motivi di pubblica sicurezza, lei lo gela: “E allora identificate prima quelli che stanno dentro. Perché siamo in un paese democratico!”.[…]
Antonietta D’Oria ha dimostrato di non aver timore di dire a un sacerdote che una messa contro una legge che tutela le persone Lgbt+ è, in buona sintesi, una messa contro quelle stesse persone. Traducendo in termini ancora più concreti: un atto di omo-transfobia.”
Ci pare che le sue parole vogliano presentare le preghiere dei fedeli di Lizzano quali “atto di odio omotransfobico” perseguibile quindi per legge una volta che fosse approvato il ddl  Zan.
Il 16 luglio Accolla torna sull’argomento “libertà religiosa” con un altro pezzo, questa volta pubblicato su L’inKiesta.
Ci spiega che:
“Ovunque è stata approvata una legge contro l’omo-transfobia, non si è mandato in galera nessuno per la sua fede religiosa. È stato, semplicemente, più facile portare qualche omofobo davanti ad un giudice. Tutto qui.”
Quindi, tranquilli, (forse) niente galera se pregherete per qualcosa che un attivista LGBT non gradisce o se direte qualcosa che viene considerato “atto di omofobia” ma solo qualche processo a spese vostre mentre chi vi denuncerà avrà il patrocinio gratuito pagato dallo Stato.
E conclude:
“Insomma, in buona sintesi, se la tua fede istiga all’odio […], il problema è la tua religione, il tuo modo di pensare, le tue scelte politiche. Non una legge – la legge Zan – che cerca di porre rimedio a tutto questo.”
Come si vede non parla solo di atti violenti o discriminazioni ingiuste ma dice chiaramente che la fede può istigare “odio” e che il problema non sta nella legge che “cerca di porre rimedio” ma nella religione. Cosa si intende per “odio” da parte di un attivista LGBT lo sappiamo bene, basta vedere a chi lo imputava nell’articolo precedente, ovvero alle persone che pregano per impedire che questa legge venga approvata. Dunque, tali persone sono già state dichiarate colpevoli.
Interessante anche la posizione di  Massimo Battaglio, un attivista di Gionata, un “ministero cattolico per persone Lgbt”, già noto alle cronache dei lettori cattolici per aver collaborato alle giornate “Alla luce del sole” della diocesi di Torino per le coppie omosessuali.
Massimo Battaglio
Condividendo il video dell’episodio di Lizzano in un post su FB (ora oscurato per il pubblico ma che potete vedere nello screenshot) ha scritto:
“Mi dispiace per il parroco ma questa è precisamente una di quelle azioni che, giustamente, la legge Zan potrebbe punire. Perché sfido chiunque a credere che si tratti di una preghiera da non considerare come gesto provocatorio e di istigazione all’odio.” Concludendo con “Fateli pure i vostri rosari blasfemi. Saranno gli ultimi”.
Decisamente un post “benaugurante” rispetto alla possibilità di esprimere liberamente la propria contrarietà verso le richieste LGBT.
Ricordiamo poi come il vittimismo degli attivisti gay stravolga qualunque azione contro i loro progetti politici in “odio” verso le persone omosessuali: ancora oggi a Padova nell’ambito del Pride proprio l’on. Zan ha tacciato di “odio e violenza” le pacifiche piazze della campagna #RestiamoLiberi che nelle settimane scorse hanno manifestato contro la sua legge.
Tornando al paragone di Chesterton, questa legge nasce in un ambito culturale che chiama “odio” tutto ciò che contrasta il suo progetto politico, dal “matrimonio egualitario” al divieto di approcci psicologici diversi da quelli “gay-affermativi”, dall’adozione per le coppie dello stesso sesso all’accesso al “cambio di genere anagrafico” senza percorsi medici e chirurgici, dall’educazione sessuale nelle scuole tenuta anche da attivisti arcobaleno alle terapie ormonali gratuite per i bambini con disforia di genere.
Chi si oppone “odia” e “discrimina” e quindi va fermato.
Stanno portando avanti la loro legge nell’indifferenza se non l’approvazione anche di molti cattolici.
Speriamo di non dover scoprire che si tratta di un pitt-bull, come da molti indizi appare, e non di un barboncino, come invece ci raccontano.

MONS. SANGUINETI SULLA LEGGE ZAN: AMBIGUA E PERICOLOSA

20 Luglio 2020 Pubblicato da  3 Commenti


Marco Tosatti

Carissimi Stilumcuriali, ci sembra utile e interessante continuare a informare su quanto attiene al DDl Zan, che come ben sapete consideriamo inutile e dannoso per la libertà di pensiero e di espressione garantite dalla Costituzione. Vi offriamo oggi diversi spunti. Oltre all’editoriale del vescovo Corrado Sanguineti, di Pavia, che come altri presuli – e il Presidente della Conferenza Episcopale, il card. Bassetti, ritiene pericoloso il DDL Zan, c’è una riflessione, corredata da screenshot, di Jacopo Coghe, di Pro Vita e Famiglia, che si batte con determinazione contro questo disegno di legge liberticida. E anche uno screenshot interessante, sul caso di Lizzano, dove un rosario pro-famiglia, in chiesa,  è stato disturbato da una manifestazione di attivisti LGBT. Ora, il commento che vedete, postato da un esponente del gruppo “Gionata” la dice lunga sul genere di libertà di espressione che i fautori della legge vogliono imporre. Anche sul contenuto delle preghiere, in chiesa. Buona lettura. 

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Jacopo Coghe
Viviamo oramai nell’era della post-verità ossia quella condizione secondo cui, in una discussione relativa a un fatto o una notizia, la verità viene considerata una questione di secondaria importanza.
L’imperativo è comunicare per orientare la percezione delle persone perchè in fondo come ben sanno gli addetti ai lavori “perception is reality”.
Un caso di studio è proprio la cosiddetta legge contro l’omotransfobia: ti creo il problema e ti offro la soluzione.
Mi spiego meglio: se scorrete la pagina facebook dell’On. Zan potrete verificare voi stessi, ma se non ne avete voglia vi propongo qui tutti gli screenshots allegati. Dai primi di maggio, ossia dal periodo più o meno corrispondente con la ripresa della discussione in commissione giustizia del suo ddl contro l’omotransfobia, è un continuo di articoli e post di denuncia di “presunti” casi di omotransfobia. Dopo aver letto il titolo altisonante, andando ad analizzare questi articoli e post di denuncia si rimane un pochino interdetti: quasi sempre il fatto è raccontato in maniera generica, non c’è mai l’intervento delle forze dell’ordine, la violenza non era proprio violenza “avrebbero voluto tirarmi lo zaino”, “stavano per strapparmi la bandiera”, etc. etc.
Adesso non vorrei mettere mai in discussione la parola di un Onorevole della Repubblica ma il dubbio mi viene: non sarà che il pullulare di “presunti” casi di omotransfobia negli ultimi due mesi e relativi titoloni di giornali e post sia solo un caso di post-verità per mostrare la percezione di un clima di odio nei confronti delle persone con tendenze omossessuali necessario per giustificare una legge che in realtà è solo utile a discriminare e imbavagliare visto che il nostro codice civile giustamente punisce già ogni sopruso?

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“Restiamo liberi! Una legge ambigua e pericolosa”
L’editoriale di Mons. Corrado Sanguineti, Vescovo di Pavia, sul numero de “il Ticino” del 17 luglio 2020

Con tutte le urgenze che come Paese stiamo affrontando, in questo tempo di faticosa ripresa, segnato da incertezze e difficoltà economiche e sociali, che probabilmente si aggraveranno nei prossimi mesi, non si comprende proprio la fretta con cui il Parlamento si prepara a esaminare la proposta di legge Zan che intende modificare due articoli del codice penale (604-bis e 604-ter), per sanzionare reati di omotransfobia come discriminazioni, violenze o provocazione alla violenza dettate da motivi di orientamento sessuale e identità di genere.
I Vescovi italiani, nel comunicato dello scorso 10 giugno, hanno espresso un giudizio che mi sembra opportuno citare in esteso: «Le discriminazioni – comprese quelle basate sull’orientamento sessuale – costituiscono una violazione della dignità umana, che – in quanto tale – deve essere sempre rispettata nelle parole, nelle azioni e nelle legislazioni. Trattamenti pregiudizievoli, minacce, aggressioni, lesioni, atti di bullismo, stalking… sono altrettante forme di attentato alla sacralità della vita umana e vanno perciò contrastate senza mezzi termini. Al riguardo, un esame obiettivo delle disposizioni a tutela della persona, contenute nell’ordinamento giuridico del nostro Paese, fa concludere che esistono già adeguati presidi con cui prevenire e reprimere ogni comportamento violento o persecutorio. Anzi, un’eventuale introduzione di ulteriori norme incriminatrici rischierebbe di aprire a derive liberticide, per cui – più che sanzionare la discriminazione – si finirebbe col colpire l’espressione di una legittima opinione, come insegna l’esperienza degli ordinamenti di altre Nazioni al cui interno norme simili sono già state introdotte. Per esempio, sottoporre a procedimento penale chi ritiene che la famiglia esiga per essere tale un papà e una mamma – e non la duplicazione della stessa figura – significherebbe introdurre un reato di opinione. Ciò limita di fatto la libertà personale, le scelte educative, il modo di pensare e di essere, l’esercizio di critica e di dissenso».
È chiaro che a ogni persona, qualunque sia il suo orientamento sessuale, è dovuto rispetto e vanno evitate forme odiose di discriminazione e di disprezzo, ma la modifica proposta apre la porta a interpretazioni e prassi che, come è accaduto in altri Stati che hanno norme simili, configurano dei reati di opinione e ledono gravemente la libertà di pensiero. L’articolo 604-bis del codice penale afferma che è punito «con la reclusione fino ad un anno e sei mesi o con la multa fino a 6.000 euro chi propaganda idee fondate sulla superiorità o sull’odio razziale o etnico, ovvero istiga a commettere o commette atti di discriminazione per motivi razziali, etnici, nazionali o religiosi». La proposta di legge vorrebbe aggiungere: «oppure fondati sul sesso, sul genere, sull’orientamento sessuale e sull’identità di genere». Qui si apre un crinale scivoloso, perché resta molto indeterminata la categoria di ciò che è propaganda e di ciò che può essere interpretato come istigazione a commettere atti di discriminazione, fondati sul sesso, sul genere, sull’orientamento sessuale e sull’identità di genere.
“Il pericolo di un pensiero unico”
Più radicalmente, la legge è ambigua e pericolosa perché, con l’intento di sanzionare atti discriminatori verso soggetti che liberamente praticano scelte di vita e di orientamento sessuale, tende a privilegiare e a tutelare una certa visione della sessualità, che considera possibile e normale la dissociazione tra il sesso (maschile o femminile) e l’orientamento di genere che ognuno può assumere, in base alla percezione soggettiva di sé, non poche volte indotta e favorita dal vissuto personale, dall’ambiente sociale e culturale, o da una sottile e pervasiva ideologia che pensa la libertà come pura e continua “invenzione” e “sperimentazione” di sé. Si prospetta anche l’istituzione di una “Giornata contro l’omotransfobia” che facilmente diventerà occasione per diffondere, soprattutto nelle scuole, questa visione che tende a essere dolcemente imposta come pensiero unico, a cui tutti devono sottostare; ci sono già esempi di prassi che tendono a utilizzare in questo senso l’educazione sessuale nelle scuole o interventi sui temi dell’omofobia e omotransfobia, spesso affidati, in modo esclusivo, a esponenti del mondo e delle associazioni LGBT.
“Noi tutti siamo figli di un uomo e di una donna”
Scendendo più in profondità, qualunque visione della sessualità possa essere affermata e praticata, occorre fare i conti con la realtà e, da questo punto di vista, rispettare le scelte soggettive, senza discriminare e senza offendere, non significa rinunciare a distinguere e a esprimere giudizi di natura morale, che riguardano le azioni e che dipendono dalla visione stessa dell’uomo e della donna, dell’amore, della famiglia, della vita: ovviamente senza pretendere di giudicare la coscienza delle persone, senza voler imporre per legge o con mezzi sottili la propria concezione.
Che esista un’irriducibile differenza sessuale tra maschio e femmina, inscritta nella natura sessuata dell’essere umano, essenziale per una relazione tra soggetti differenti e per la generazione della vita umana, è un fatto: noi tutti siamo figli di un uomo e di una donna. Ci possono essere soggetti che vivono una fatica, a volte temporanea, nel riconoscimento della propria identità sessuale, che avvertono una sorta di frattura tra ciò che sono, dal punto di vista del sesso (maschile o femminile), e ciò che sentono. Resta comunque un dato di realtà da cui non si può prescindere, come se noi potessimo assumere qualsiasi forma di vita e di affettività. Inoltre le forme di fecondazione in coppie dello stesso sesso introducono sempre figure doppie e artificiali, giungendo a configurare una paternità e una maternità giuridica, accanto a quella biologica, o addirittura a ridurre il grembo di una donna a “contenitore” di un figlio destinato a essere dato ad altre persone, che a volte, non hanno nessun legame genetico con il neo-nato: un figlio venduto, ridotto a oggetto, con caratteristiche scelte in cataloghi offerti da sollecite agenzie, in un “business” squallido e disumano, che lede la dignità del nascituro e della donna gestante!
Così si è espressa la giornalista Costanza Miriano, nel parere che le è stato chiesto dalla Commissione Giustizia della Camera circa il ddl Zan: «Tra le tante parole spese nei ddl non ho letto le più utili e le più necessarie: cosa si intende per omofobia. Non è ammissibile ritenere discriminatoria qualsiasi affermazione di differenze basate sull’orientamento sessuale o sull’identità di genere, quando, invece, il principio di uguaglianza presupporrebbe di trattare in modo uguale situazioni uguali; e in modo ugualmente differente situazioni differenti. E’ evidente che una coppia eterosessuale aperta alla vita è totalmente diversa da una coppia dello stesso sesso che non può concepire una nuova vita … La differenza è enorme e non di dettaglio, è normale dire che siano diverse, non è offensivo. È semplicemente la realtà. La sanno tutti, solo che con questa legge non si potrà più dire: norme così fumose servono precisamente a questo, non a proteggere dalla violenza, cosa sacrosanta ma già prevista dalla legge. Servono a proibire alle persone di dire quello che vedono tutti (mi ricorda la fiaba di Andersen, ma ci sarà pur qui un bambino che avrà il coraggio di dire “il re è nudo”): dire che una coppia di due persone dello stesso sesso è diversa da una formata da uomo e donna non può offendere nessuno. Se guardiamo ai Paesi dove leggi simili sono in vigore, l’esito è spaventoso: padri di famiglia in carcere per un’immagine sulla felpa (Francia), Vescovi incriminati per l’espressione delle verità professate, dipendenti pubblici licenziati per un “like” (Spagna), per non parlare dei Paesi di “common law” (l’ostetrica sollevata dall’incarico per aver detto che solo le donne partoriscono, in Gran Bretagna, idem per l’eroe dei pompieri Usa, capo del corpo nazionale, perché sostenitore del matrimonio uomo donna). Su temi valoriali discriminare, cioè distinguere, non solo non può essere reato, ma è un diritto intoccabile e sacro: giudicare – le azioni, non le persone – è ciò che dice come stiamo nel mondo, dove io – e quelli che la pensano come me – abbiamo lo stesso diritto di cittadinanza degli altri».
L’educazione e i valori trasmessi dai genitori ai figli
C’è di più: oltre alla libertà di pensiero, va riconosciuta la libertà di proporre una concezione della vita e dell’agire umano, che comporta anche una valutazione morale degli atti e delle scelte. Questo diritto appartiene innanzitutto alla famiglia, ai genitori che nell’educazione dei figli trasmettono una visione dell’esistenza e cercano di far maturare la capacità di un giudizio morale. In questo senso, non può e non deve diventare un reato perseguibile per legge il fatto che dei genitori esprimano ciò che riconoscono come vero ed essenziale: per esempio che in natura si è uomini o donne, che la famiglia nasce dal matrimonio, come unione di un uomo e di una donna, che un bambino ha diritto a nascere in una coppia stabile con le due figure chiare del padre e della madre.
Lo stesso diritto va riconosciuto alle comunità religiose o di altra ispirazione, nella formazione dei propri aderenti e fedeli: qui entra in gioco la libertà religiosa, che è parte della libertà di pensiero e di espressione, riconosciuta nelle moderne democrazie. In Italia il Concordato (art. 2) tra Repubblica Italiana e Chiesa Cattolica garantisce «ai cattolici e alle loro associazioni e organizzazioni la piena libertà di riunione e di manifestazione del pensiero con la parola, lo scritto e ogni altro mezzo di diffusione».
Il rischio che si corre con l’ambiguità del ddl Zan sui reati di omotransfobia è che nell’interpretazione da parte di associazioni LGBT e di qualche magistrato particolarmente “sollecito” e sensibile a certi temi, si leda il diritto delle famiglie, delle associazioni, delle comunità religiose, a esprimere con libertà il proprio pensiero e a offrire indicazioni etiche ai propri membri. Con l’intenzione di tutelare i diritti di alcuni, si finisce per circoscrivere e limitare i diritti di altri, e paradossalmente per garantire la tolleranza e il rispetto per scelte e orientamenti di vita, non da tutti condivisi, si diventa intolleranti per chi non si adegua al “mainstream” delle grandi “lobbies” culturali. Mi permetto di citare ancora un passaggio del contributo richiesto a Costanza Miriano dalla Commissione Giustizia della Camera circa il decreto in discussione: «Cosa vuol dire omofobia (ammesso che si possa considerare reato una paura, sempre che esista)? E se è tutelata la libertà delle persone di scegliere la propria appartenenza di genere – cioè se un uomo che si sente donna ha la libertà di cercare di diventarlo – allo stesso modo io non ho la libertà di percepirlo comunque come un uomo? Può una legge entrare in una sfera privatissima, sacra e intoccabile come la percezione delle cose? Può essermi imposto per legge come percepire le persone? Possiamo imporre agli altri in uno stato democratico come ci devono percepire?».
“Un serio pericolo, più volte indicato nel Magistero della Chiesa”
Come dimostrano casi accaduti là dove sono vigenti norme di questo tipo, siamo davanti a un serio pericolo, più volte indicato nel Magistero della Chiesa: che in nome della libertà, intesa come disposizione di sé, svincolata dalla verità, per la quale i desideri dei singoli individui diventano diritti da riconoscere e da tutelare, si arrivi a un nuovo “totalitarismo”. Per San Giovanni Paolo II «una democrazia senza valori si converte facilmente in un totalitarismo aperto oppure subdolo», per Benedetto XVI «si va costituendo una dittatura del relativismo che non riconosce nulla come definitivo e che lascia come ultima misura solo il proprio io e le sue voglie», e Papa Francesco, proprio con riferimento alle tematiche del “gender”, ha evocato più volte il rischio di «una colonizzazione ideologica» e di «un pensiero unico» che tende ad affermarsi, schiacciando culture e tradizioni di popoli e di nazioni.
Per tutto ciò che è in gioco nella discussione in atto sulle modifiche della legge Zan, come Vescovo e come cittadino italiano, faccio appello a tutti i politici di ogni schieramento che hanno a cuore la vera libertà nel nostro Paese, “in primis” ai parlamentari cattolici: è in questione la libertà di pensiero e di espressione di ogni persona, di ogni famiglia, di ogni associazione, di ogni comunità religiosa! Troppo grave è il rischio che surrettiziamente si introduca un reato di opinione e che venga meno un libero e critico confronto di idee e di concezioni dell’umano.
Come pastore, vorrei infine, esprimere il desiderio che fosse meno silente il laicato cattolico: a parte rare eccezioni, fino ad ora, è mancata una presa di posizione e di giudizio chiara da parte di associazioni, movimenti e comunità di laici cristiani, e l’unica voce è stata quella della CEI e di alcuni singoli Vescovi. Non si tratta d’innalzare barricate o di arrivare a scontri ideologici, ma di difendere la libertà di tutti e di ciascuno a esprimersi su aspetti fondamentali dell’esperienza umana. Perché valgano anche su questi temi, le parole indebitamente attribuite all’illuminista Voltaire: «Non condivido la tua idea ma darei la vita perché tu la possa esprimere» (frase scritta nel 1906 dalla scrittrice britannica Evelyn Beatrice Hall in “The Friends of Voltaire” con lo pseudonimo di S. G. Tallentyre, erroneamente attribuita a Voltaire).

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