ACTA APOSTATICAE SEDIS : come, cambiando un po' qua e un po' la, si può cambiare tutto...

venerdì 25 settembre 2020

“Il deep state, affiancato da una deep church”

Cina, il Vaticano sta sbagliando. Mons. Viganò spiega perché Pompeo ha ragione


“Bene ha fatto il Segretario di Stato Pompeo a censurare il rinnovo dell’Accordo segreto stipulato tra Bergoglio e Xi Jinping”. A parlare è Monsignor Carlo Maria Viganò. Lo fa senza veli, al solito, e senza mezzi termini.

Arcivescovo, già Segretario generale del Governatorato Vaticano e Nunzio apostolico negli Stati Uniti, personalità di spicco della Chiesa, e al tempo stesso al centro di tante controversie, dallo scandalo Vatileaks al dossier sul cardinale McCarrick, torna a parlare in pubblico, e a Formiche.net confida il suo sdegno per i negoziati in corso fra Cina e Santa Sede volti a rinnovare dopo due anni l’accordo sulle nomine dei vescovi.
Il suo è un endorsement netto alle parole di Mike Pompeo, il Segretario di Stato di Donald Trump che in un intervento sul sito conservatore First Things ha denunciato il rinnovo dell’accordo, a soli nove giorni dalla sua visita in Vaticano, prevista il prossimo lunedì. Viganò rincara la dose: “La sua lucida denuncia porta alla luce l’aberrante atteggiamento vaticano, il tradimento della missione della Chiesa, l’abbandono della Comunità cattolica cinese per bieco calcolo politico, l’allineamento al pensiero unico”.
Non è certo un mistero la posizione di Viganò sul pontificato di papa Francesco. Negli ultimi due anni, dopo che nel 2018 ne ha auspicato le dimissioni pubblicando un dossier relativo alla condotta scandalosa dell’ex arcivescovo di Washington Dc Theodore McCarrick, accusato di abusi sessuali e ridotto allo stato laicale nel 2019, non ha mai fatto sconti. E il giudizio sul pontificato in essere è rimasto invariato.
“Se pensiamo che tra le personalità che si occuparono dell’elaborazione dell’Accordo tra la Santa Sede e il Partito comunista cinese vi fu l’allora Cardinale McCarrick, su incarico di Bergoglio, si comprende anche il motivo per cui gli atti del processo canonico che ha portato alla riduzione allo stato laicale del potente Prelato rimangano coperti dal segreto – dice oggi – in entrambi i casi un’operazione di trasparenza e di verità è urgente e dovuta, perché sono in gioco l’onore e l’autorevolezza morale della Chiesa Cattolica dinanzi al mondo”.
È uno degli attacchi più duri sferrato alla Santa Sede da quando Pompeo ha lanciato il suo appello per annullare il rinnovo dell’intesa. Per Viganò “non si comprende perché un accordo presentato come assolutamente limpido e privo di punti oscuri sia stato secretato e non possa esser letto nemmeno dal benemerito Cardinale cinese, Joseph Zen”.
Finora le reazioni del mondo ecclesiastico all’affondo di Pompeo sono state misurate con il conta-gocce. Un editoriale di Gianni Cardinale su Avvenire, il quotidiano della Cei (Conferenza episcopale italiana), ha stigmatizzato l’intervento, dubitando che possa “spostare anche solo di una virgola la posizione vaticana riguardo il dialogo con Pechino”.
L’ex Nunzio apostolico trova invece perfettamente legittima la richiesta di Pompeo. E anzi si chiede perché, se “Bergoglio può impunemente affermare che «Trump non è cristiano» evocando i fantasmi del nazismo e del populismo, per quale motivo il Segretario di Stato americano, con un obiettivo più che lecito di sicurezza internazionale, non avrebbe il diritto di esprimere il suo giudizio sulle connivenze della Santa Sede nei riguardi della più feroce – ma anche più potente ed influente che mai – dittatura comunista?”. E ancora: “Per quale motivo il Vaticano, che tace dinanzi all’appoggio dell’aborto da parte dei democratici e alla violazione dei più elementari diritti in Cina, considera un’indebita ingerenza quella dell’amministrazione Trump in un accordo che ha evidenti ripercussioni negli equilibri politici internazionali?”.
In America, fra i cattolici-conservatori, Viganò ha un’eco profonda. È un punto di riferimento per il fronte antibergogliano. Lo stesso Trump ne apprezza le pubbliche uscite. Tanto che a giugno ha voluto postare su twitter una lettera di supporto inviatagli dall’arcivescovo, che nelle tensioni scoppiate con il caso Floyd e, di rimando, nelle elezioni presidenziali di novembre, scorge una battaglia in corso fra “figli della luce e figli delle tenebre”. Allora, il presidente si era detto “onorato” e aveva invitato chiunque, “religioso o no”, a leggere la missiva.
La dura critica del Segretario di Stato ed ex capo della Cia all’accordo Cina-Santa Sede, sostiene Viganò, rientra in una lettura più ampia che l’attuale amministrazione americana fa della Chiesa di Francesco. Una lettura che vede in Vaticano un supporto aperto alla corsa di Joe Biden per la Casa Bianca. “Gli Stati Uniti vedono i vertici ed i centri di influenza culturale della Chiesa Cattolica americana schierata spudoratamente a favore del candidato democratico e in genere di tutto l’apparato che in questi decenni si è andato consolidando all’interno dell’amministrazione pubblica”, dice il monsignore.
“Il deep state, nemico giurato di Trump, è affiancato da una deep church che non risparmia critiche e accuse al Presidente in carica, mentre ammicca indecorosamente a Biden e ai Blm, seguendo pedissequamente la narrazione imposta dal mainstream. Poco importa che Trump sia dichiaratamente pro-life e che difenda quei principi non negoziabili cui hanno rinunciato i democratici”: l’importante è trasformare la Chiesa Cattolica nel braccio spirituale del Nuovo Ordine Mondiale, al fine di avere un imprimatur da parte della massima autorità morale al mondo. Cosa impossibile con Benedetto XVI”.
In Italia, Viganò rinviene il volto più autentico di quella stessa “deep church” nei gesuiti, che per la prima volta nella loro storia esprimono un loro esponente al soglio petrino. La critica dell’arcivescovo è frontale. “Cercare nell’azione recente della Compagnia di Gesù una qualche coerenza con ciò che essa fu nelle intenzioni di Sant’Ignazio di Loyola è opera ardua se non impossibile, al punto da rendere improvvida, col senno di poi, la ricostituzione dell’Ordine nel 1814 dopo la sua soppressione decisa da Clemente XIV nel 1773”. Reputa addirittura “determinante” il ruolo dei gesuiti nel “processo di dissoluzione e di autodemolizione cui è sottoposto l’intero corpo ecclesiale”.
Sono loro, continua l’arcivescovo, i più accorti tessitori delle interlocuzioni con il governo cinese. “La vicinanza ideologica della Compagnia di Gesù a movimenti rivoluzionari di sinistra risale ai prodromi del Sessantotto, di cui il Vaticano II pose le basi ideologiche e che trovarono nella Teologia della Liberazione la loro massima espressione, dopo aver espunto dai documenti preparatori del Concilio la condanna del Comunismo”.
Nel mirino c’è la storica rivista della Compagnia di Gesù, la “Civiltà Cattolica” diretta da padre Antonio Spadaro, che da sempre studia e dialoga con l’ex Celeste Impero. Un dialogo che si è fatto serrato negli ultimi anni, con un via-vai di esponenti di primo piano della politica italiana, vedi Romano Prodi, ai convegni a tema ospitati a via di Porta pinciana.
“Vedere Prodi e Gentiloni assieme a padre Spadaro per la presentazione del saggio “Nell’anima della Cina” non deve scandalizzare: essi sono l’espressione di quel deprecabile “cattolicesimo adulto” che ignora la doverosa coerenza dei Cattolici in politica auspicata da Giovanni Paolo II e da Benedetto XVI, ma che tiene insieme l’eterogeneo bestiario del progressismo in nome dell’ambientalismo malthusiano, dell’accoglienza indiscriminata degli immigrati, della teoria gender e dell’indifferentismo religioso sancito dalla Dichiarazione di Abu Dhabi”, commenta impassibile Viganò. Trump, aggiunge il prelato, “ha ben capito” che la “svolta antropocentrica e la svolta green della chiesa bergogliana”, segnate, dice, da due appuntamenti imminenti, “Il Convegno di Assisi – Economy of Francesco – e la prossima Enciclica Fratelli tutti, non sarebbero altro se non un assist alle “istanze ambientaliste e immigrazioniste dell’agenda globalista”.
Ma la schiera di chi improvvidamente cerca una special relationship con Pechino, accusa Viganò, è molto più estesa, ed ha la sua regia ai piani alti della politica italiana. Anche a Palazzo Chigi. “A Prodi e Gentiloni in Italia – e potremmo dire anche al Premier Conte, vista la sua provenienza e la sua formazione –, sul versante americano fanno pendant personaggi sedicenti cattolici come Joe Biden, Nancy Pelosi e Andrew Cuomo: tutti orgogliosamente sostenitori dell’aborto e dell’indottrinamento gender, e tutti fieramente favorevoli ai movimenti Antifa e Black Lives Matter, che stanno mettendo a ferro e a fuoco intere città americane”.
Non è un caso se l’Italia è oggi attenzionata speciale dell’amministrazione Trump, conclude l’ex Nunzio a Washington. “Nel contesto geopolitico internazionale il ruolo dell’Italia può apparire per certi versi marginale: in realtà essa è un laboratorio nel quale sono compiuti quegli esperimenti di ingegneria sociale che l’agenda globalista intende estendere a tutti i governi nell’arco dei prossimi dieci anni. E questo avviene sia in campo politico ed economico, sia in campo religioso”.

Pompeo, Conte e il 5G: verso un vertice decisivo?

Washington chiama, Roma risponde. Mike Pompeo sarà a Roma la prossima settimana e, in vista dello sbarco del Segretario di Stato degli Usa il governo italiano si prepara sui dossier che Pompeo vorrà affrontare in un viaggio che lo porterà ad incontrare sia le autorità del nostro Paese che quelle del Vaticano.
Il tema più caldo sarà quello tecnologico, e l’arrivo in Italia di Pompeo porterà certamente a un vertice decisivo per capire come, sul lungo periodo, l’Italia si posizionerà nella guerra del 5G combattuta dagli Stati Uniti contro la Cina e, in particolare, Huawei. Gli Stati Uniti chiedono il bando totale del colosso di Shenzen dal 5G nazionale e non sono soddisfatti delle misure prese dal governo Conte dopo aver consultato servizi segreti e Copasir: l’esclusione de facto di Huawei dai bandi per il 5G di Telecom Italia non cancella una situazione che vede l’azienda cinese fortemente presente e radicata sul territorio nazionale. Gli Stati Uniti chiedono una svolta “britannica”, ovvero che l’Italia si adegui alla decisione presa dal governo di Boris Johnson, dopo diverse resistenze, di dismettere gli asset Huawei dalla rete di ultima generazione entro il 2027.
Il contenimento “pompeiano” della Cina è a dir poco aggressivo, e investe anche gli alleati transatlantici degli Usa. Giuseppe Conte lo sa bene dai tempi in cui il National Security Council, nel marzo 2019, avvertì sulla firma del memorandum della “Nuova via della seta“. L’avvicendamento della Lega col Partito Democratico a fianco dei Cinque Stelle nel governo non ha cambiato il livello di allarme di Washington per i legami sino-italiani. Dunque alla conferma della visita di Pompeo il governo ha convocato a Palazzo Chigi un vertice ad hoc sulla rete di ultima generazione.
Alla riunione, svoltasi giovedì 24 settembre, erano presenti  il premier, i capi delegazione della maggioranza (Alfonso Bonafede, Dario Franceschini, Teresa Bellanova, Roberto Speranza) e i ministri interessati al dossier: i due toccati direttamente dal tema dello sviluppo della rete, Stefano Patuanelli per il Mise e Roberto Gualtieri per il Mef, a cui si sono aggiunti il ministro degli Esteri Luigi Di Maio, degli Affari europei Vincenzo Amendola, della Difesa Lorenzo Guerini, il sottosegretario alla presidenza del Consiglio Riccardo Fraccaro. Un consiglio dei ministri quasi del tutto completo nei suoi nomi più importanti, in cui spicca però l’assenza della titolare dell’Innovazione Paola Pisano, che ha fatto il punto sulla linea che il governo dovrà presentare a Pompeo.
Il vertice avrebbe confermato il fatto che il governo italiano ha piena consapevolezza dei potenziali rischi in ambito securitario per la gestione dei dati sensibili trasmessi nella rete 5G nazionale in caso di controllo di potenze straniere e sostenuto l’adesione italiana a una strategia d’indipendenza tecnologica in ambito europeo. In cui però Roma fatica a declinare la sua partecipazione, staccata dal piano franco-tedesco Gaia-X. In tal senso va valutato che ruolo potrà giocare l’attore pubblico nel contesto della rete unica, questione complementare al 5G, che il governo Conte immagina guidata dal consorzio Tim-Cdp, mentre Beppe Grillo perora l’opzione di un ente completamente pubblico.
Fonti governative sentite da Il Fatto Quotidiano segnalano che il governo italiano, nel confronto con Pompeo, sembra destinato a unire alla consapevolezza dei rischi la presentazione degli strumenti normativi di cui l’Italia si è dotata per prevenire una caduta della sua rete sotto mani potenzialmente ostili: “Il confronto – hanno riferito le fonti del quotidiano diretto da Marco Travaglio  – ha condotto a una condivisa valutazione positiva dell’assetto normativo di cui l’Italia si è dotata negli ultimi tempi, che appare ben strutturato, orientato alla definizione e prescrizione di standard di sicurezza molto elevati, e idoneo a garantire un adeguato livello di protezione delle infrastrutture e delle reti di comunicazione di rilevanza strategica”. Impossibile non pensare al golden powerche il governo Conte II ha nei primi giorni di vita esteso alla rete 5G. Ma la domanda chiave è capire se a Pompeo tutto ciò basterà o se il Segretario di Stato chiederà un contenimento molto più diretto e aggressivo.
L’amministrazione Trump ragiona in termini di brutali rapporti di forza, ma sul dossier Cina è lecito pensare che anche in caso di vittoria di Joe Biden l’orientamento statunitense, teso a indicare nell’Impero di Mezzo il rivale strategico per eccellenza, non cambierà di molto. Già il Regno Unito aveva provato a presentare come attenuante i suoi elevati standard securitari, come ricordato prima della nomina a capo della task force anti-coronavirus dall’ex ad di Vodafone Vittorio Colao  per strappare a Washington il via libera agli affari coi cinesi, ricevendo un brusco semaforo rosso. Possibile che Pompeo aumenti la pressione per una dismissione totale degli asset cinesi: come reagirebbe il governo italiano posto di fronte all’alternativa tra la scelta di campo e il rischio di rimanere a metà del guado? Abbiamo un piano per inserire in maniera strategica Huawei? Esiste un piano B nel caso ciò costi a Roma posizioni nelle gerarchie politiche occidentali? A queste domande il governo Conte dovrà rispondere presto: nella battaglia dei giganti tra Cina e Usa con l’ignavia non si va da nessuna parte.
Andrea Muratore

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