Che Avvenire non è più un giornale cattolico, si comprende già da tempo, ma comunque resta il quotidiano della Conferenza Episcopale Italiana. Ed è questo che non si comprende. E come mai la gerarchia della Chiesa Cattolica Romana non interviene. Il giornale ufficiale dei vescovi italiani non si sa spiegare come mai in 600mila hanno firmato una petizione contro un’aberrazione. Come non capiscono come mai vengono abbandonati dai lettori… rimasti cattolici, nonostante il martellamento del fu loro giornale. Ovviamente, tutto sta nel “leggere correttamente e presentare bene” da parte di “cattolici maturi”. Si sa, come succede con la frutta in estate, che la distanza tra “maturo” e “marcio” talvolta (anzi spesso) è breve.
Faccio seguire questa manifestazione del non voler capire, dopo una “Nota sociale” dell’amico Prof. Marco Brusati, che nostri lettori già conoscono bene, come studioso dell’influsso dei modelli antropologici mass-mediali su bambini e giovanissimi nell’era dello smartphone e che divulga i risultati delle analisi attraverso gli scritti e la formazione per docenti, genitori ed educatori, online o in presenza. È professore a contratto presso l’Università degli Studi di Firenze nel master “Comunicazione istituzionale”. Ha curato i contenuti di numerosi eventi ecclesiali, nazionali e internazionali, 10 pontifici, con oltre 5 milioni di partecipanti. A quello che esprime non ho da aggiungere altro.
«Cuties» di Netflix mostra vere ragazzine in balli e pose da strip-club. Quale rispetto per le piccole attrici?
di Marco Brusati
Dire Oltre, 17 settembre 2020
Per chi studia i fenomeni Social come TikTok, il film «Cuties» («Mignonnes») distribuito da Netflix è un già-visto: in rete, sono migliaia e migliaia le ragazzine che si esibiscono in maniera sessualmente non-neutra, in primis facendo twerking. Facciamo subito chiarezza: twerking (o «to twerk» o «twerkare») significa «ballare una musica famosa in un modo sessualmente provocante che coinvolge i movimenti di spinta dell’anca in una posizione accovacciata» (cf. dizionario Oxford online), essendo un tipo di danza sviluppatosi negli strip-club (cf. Wikipedia English); inoltre sui siti pornografici ci sono oltre un milione di video categorizzati alla voce twerking e sue varianti.
Per questa sua connotazione ontologica, si dovrebbe universalmente convenire che il twerking non è un ballo adatto a bambine e ragazzine, anche quando viene presentato col sorriso sulle labbra in una trasmissione come «Me contro te» prodotta da Disney e dedicata principalmente a bambini e bambine in età prescolare (cf QUI), a partire dai 3-4 anni.
Passando a Netflix, possiamo dire che in «Cuties» si scontrano 1) la trama e 2) le scene in cui le giovanissime ragazzine sono riprese in pose, mosse (e toccamenti) da strip-club che non lasciano molto all’immaginazione.
1) La trama: Amy, undicenne originaria del Senegal, vive con la madre, la zia e il fratello in un sobborgo di Parigi in attesa del ritorno del padre che è diventato poligamo sposando un’altra donna; ha difficoltà di inserimento e integrazione; soffre l’assenza del padre; entra in un gruppo di danza moderna composto da quattro ragazzine; ne diventa leader spingendo il gruppo verso un tipo di danza sempre più erotizzato; dopo esperienze con questi balli, Amy torna a giocare come una bambina. Se parliamo astrattamente del film senza pensare a chi lo ha realizzato, la trama sta in piedi, anche se non presenta novità sconvolgenti.
2) Le scene: sono profondamente disturbanti ed inficiano le buone intenzioni della trama, se si pensa che le protagoniste non sono ologrammi o personaggi di fantasia, ma ragazzine reali, con la loro vita, le loro relazioni e, soprattutto, con il diritto alla loro intimità, che qui è stato violato con immaginabili conseguenze sulla loro vita.
Ecco alcune delle immagini prese dal film: evidenzo che le stelle gialle di censura sono mie e non ci sono nell’orginale.
di Marco Brusati
Dire Oltre, 17 settembre 2020
Per chi studia i fenomeni Social come TikTok, il film «Cuties» («Mignonnes») distribuito da Netflix è un già-visto: in rete, sono migliaia e migliaia le ragazzine che si esibiscono in maniera sessualmente non-neutra, in primis facendo twerking. Facciamo subito chiarezza: twerking (o «to twerk» o «twerkare») significa «ballare una musica famosa in un modo sessualmente provocante che coinvolge i movimenti di spinta dell’anca in una posizione accovacciata» (cf. dizionario Oxford online), essendo un tipo di danza sviluppatosi negli strip-club (cf. Wikipedia English); inoltre sui siti pornografici ci sono oltre un milione di video categorizzati alla voce twerking e sue varianti.
Per questa sua connotazione ontologica, si dovrebbe universalmente convenire che il twerking non è un ballo adatto a bambine e ragazzine, anche quando viene presentato col sorriso sulle labbra in una trasmissione come «Me contro te» prodotta da Disney e dedicata principalmente a bambini e bambine in età prescolare (cf QUI), a partire dai 3-4 anni.
Passando a Netflix, possiamo dire che in «Cuties» si scontrano 1) la trama e 2) le scene in cui le giovanissime ragazzine sono riprese in pose, mosse (e toccamenti) da strip-club che non lasciano molto all’immaginazione.
1) La trama: Amy, undicenne originaria del Senegal, vive con la madre, la zia e il fratello in un sobborgo di Parigi in attesa del ritorno del padre che è diventato poligamo sposando un’altra donna; ha difficoltà di inserimento e integrazione; soffre l’assenza del padre; entra in un gruppo di danza moderna composto da quattro ragazzine; ne diventa leader spingendo il gruppo verso un tipo di danza sempre più erotizzato; dopo esperienze con questi balli, Amy torna a giocare come una bambina. Se parliamo astrattamente del film senza pensare a chi lo ha realizzato, la trama sta in piedi, anche se non presenta novità sconvolgenti.
2) Le scene: sono profondamente disturbanti ed inficiano le buone intenzioni della trama, se si pensa che le protagoniste non sono ologrammi o personaggi di fantasia, ma ragazzine reali, con la loro vita, le loro relazioni e, soprattutto, con il diritto alla loro intimità, che qui è stato violato con immaginabili conseguenze sulla loro vita.
Ecco alcune delle immagini prese dal film: evidenzo che le stelle gialle di censura sono mie e non ci sono nell’orginale.
Se qualcuno, come me, si è sentito scosso, mi scuso, ma ho ritenuto importante pubblicare queste immagini sia per far capire di cosa stiamo parlando, sia per rispondere alle critiche di chi accusa gli «scandalizzati» di avere visto solo la locandina originaria del film, poi ritirata e sostituita. Come si vede, la vecchia locandina era in linea con le scene girate dalle ragazzine, dalle quali, sappiate, ho tagliato immagini con primi piani anatomici ancora più imbarazzanti, persino difficili da censurare.
In conclusione, restano aperte tre domande. La prima: senza le scene «esplicite» il film sarebbe stato distribuito a livello globale? La seconda: se un regista volesse per esempio condannare la pornografia perché offende la dignità della donna, girerebbe un film con scene pornografiche e una bella trama che facesse alla fine intendere la sua condanna del fenomeno? La terza, più importante: quale rispetto è stato tributato alle piccole attrici?
Marco Brusati
[*] La Finestra di OvertonIl Cardinale Angelo Bagnasco, allora Presidente della Conferenza Episcopale Italiana, nella Prolusione del 30 settembre 2015 al Consiglio permanente della CEI, nelle sue riflessioni sulla famiglia ha citato una tecnica di persuasione delle masse, la cosiddetta “Finestra di Overton”, per dimostrare come con vere e proprie strategie di comunicazioni si riescono a fare accettare “l’introduzione e la successiva legalizzazione di qualsiasi idea o fatto sociale”.
La Finestra di Overton è uno schema di comunicazione-persuasione ideato da Joseph P. Overton (1960-2003), già Vice-presidente del centro studi statunitense Mackinac Center for Public Policy. In estrema sintesi, si tratta di uno spazio concettuale graduato all’interno del quale si individuano alcune fasi, sei per la precisione, in cui si può descrivere lo spostamento dell’atteggiamento dell’opinione pubblica rispetto a una certa idea. Si tratta quindi di una spiegazione di uno dei modi in cui avviene la persuasione politica e dei meccanismi che possono essere utilizzati. Sulla base della Finestra di Overton, si possono costruire e sono state costruite campagne a favore di alcune idee non ancora accettate dalla società. Le idee passano dalle seguenti fasi:
1. impensabili (inaccettabile, vietato)
2. radicali (vietato ma con eccezioni)
3. accettabili
4. sensate (razionalmente difendibili)
5. diffuse (socialmente accettabili)
6. legalizzate (introdotte a pieno titolo)
Il concetto di base è capire in quale finestra si trovi attualmente un’idea (ad esempio, la legalizzazione delle droghe, l’aborto o le relazioni omosessuali, l’introduzione di app Immuni o biochip) e farla progressivamente slittare verso quella successiva, in una serie di passi. Ovviamente, avere questo schema non consente molto di più di una fotografia della situazione, se non si è in grado effettivamente di influenzare l’opinione pubblica con esempi, testimonial, propaganda mirata, capacità di persuasione, narrazioni di episodi specifici, potere politico.
Marco Brusati
[*] La Finestra di OvertonIl Cardinale Angelo Bagnasco, allora Presidente della Conferenza Episcopale Italiana, nella Prolusione del 30 settembre 2015 al Consiglio permanente della CEI, nelle sue riflessioni sulla famiglia ha citato una tecnica di persuasione delle masse, la cosiddetta “Finestra di Overton”, per dimostrare come con vere e proprie strategie di comunicazioni si riescono a fare accettare “l’introduzione e la successiva legalizzazione di qualsiasi idea o fatto sociale”.
La Finestra di Overton è uno schema di comunicazione-persuasione ideato da Joseph P. Overton (1960-2003), già Vice-presidente del centro studi statunitense Mackinac Center for Public Policy. In estrema sintesi, si tratta di uno spazio concettuale graduato all’interno del quale si individuano alcune fasi, sei per la precisione, in cui si può descrivere lo spostamento dell’atteggiamento dell’opinione pubblica rispetto a una certa idea. Si tratta quindi di una spiegazione di uno dei modi in cui avviene la persuasione politica e dei meccanismi che possono essere utilizzati. Sulla base della Finestra di Overton, si possono costruire e sono state costruite campagne a favore di alcune idee non ancora accettate dalla società. Le idee passano dalle seguenti fasi:
1. impensabili (inaccettabile, vietato)
2. radicali (vietato ma con eccezioni)
3. accettabili
4. sensate (razionalmente difendibili)
5. diffuse (socialmente accettabili)
6. legalizzate (introdotte a pieno titolo)
Il concetto di base è capire in quale finestra si trovi attualmente un’idea (ad esempio, la legalizzazione delle droghe, l’aborto o le relazioni omosessuali, l’introduzione di app Immuni o biochip) e farla progressivamente slittare verso quella successiva, in una serie di passi. Ovviamente, avere questo schema non consente molto di più di una fotografia della situazione, se non si è in grado effettivamente di influenzare l’opinione pubblica con esempi, testimonial, propaganda mirata, capacità di persuasione, narrazioni di episodi specifici, potere politico.
Il boicottaggio. “Mignonnes” (Cuties) è un film duro, ma educativo
Non si spiega la campagna contro Netflix: non c’è alcuna «scandalosa sessualizzazione di adolescenti» come hanno scritto alcuni tra i 600mila firmatari di una petizione
di Andrea Fagioli
Avvenire, 16 settembre 2020
Gli utenti che si sono indignati con Netflix lanciando una campagna di sabotaggio contro la piattaforma online per il film Mignonnes, conosciuto con il titolo internazionale Cuties, o non l’hanno visto o si sono limitati davvero alla locandina. Altrimenti non l’hanno capito o l’hanno guardato con occhi sbagliati. Il film della regista franco-senegalese Maïmouna Doucouré non ruota intorno a una «scandalosa sessualizzazione di adolescenti» né ovviamente «incentiva la pedofilia», come invece hanno scritto alcuni tra gli oltre 600 mila firmatari di una petizione contro il colosso della distribuzione di film e serie tv via internet. Tuttavia, come ha rilevato domenica Massimo Calvi in un commento su ‘Avvenire’, il sospetto è che l’opera sia stata promossa da Netflix proprio giocando ambiguamente su alcuni contenuti specifici. Mignonnes è infatti un film duro, molto duro. È uno spaccato su una realtà, quella dei ragazzini di 11–12 anni di cui anche i genitori a volte non si rendono o non vogliono rendersi conto. Una riflessione inserita in un contesto molto più complesso attraverso la storia di Amy, undicenne originaria del Senegal, che vive con la madre, la zia e il fratello in un sobborgo di Parigi in attesa del ritorno del padre che però, nel frattempo, è diventato poligamo sposando un’altra donna.
Amy assiste alle sofferenze della madre e soffre lei stessa per l’assenza del padre e per le rigide regole imposte dalla religione islamica e dalle tradizioni di famiglia. Ha difficoltà a inserirsi nell’ambiente scolastico e nei rapporti con le coetanee, fino a che diventa amica di Angelica, una vicina di casa, che fa parte di un gruppo di ballo moderno formato da quattro ragazzine. Amy ne diventerà leader spingendo il gruppo verso una danza sempre più audace. E qui sta il punto controverso perché la regista non forza assolutamente la mano sull’aspetto sensuale, anzi: cerca di mettere in evidenza, sia pure in un quadro contraddittorio, la loro innocenza, il fatto che sono bambine (una è bruttarella, una è grassa, una ha i brufoli…) che fanno cose fuori dalla loro portata, che non riescono mai ad arrivare alle estreme conseguenze.
Parlano, anche con un linguaggio volgare, ma poi dimostrano di non sapere nulla del sesso o di preoccuparsi se vengono considerate male. Per di più Amy si trova nel mezzo di due culture completamente diverse, subendo fortissime spinte contrarie in un momento della vita particolarmente complicato come il passaggio dall’infanzia all’adolescenza. Avverte persino un contrasto sull’ideale di bellezza femminile. Per Amy tutto quello che fa, senza averne piena coscienza, è una forma di riscatto nei confronti della propria famiglia, della propria cultura e nei confronti di chi la discrimina per forme di razzismo o di bullismo. È comunque sempre tremendamente combattuta, fino al bellissimo finale in cui, con il gioco del salto della corda, si riscopre per quello che è: ancora una bambina.
Il problema, quindi, non sono questi ragazzi che per certe cose crescono troppo in fretta senza avere la maturità sufficiente o le difese immunitarie necessarie. Il problema è il mondo che gli abbiamo creato intorno, con genitori assenti (tutte le ragazze hanno alle spalle famiglie complicate), con i social che ti spingono a credere di esistere e di essere qualcuno solo per il numero di like che ricevi, con la facilità con cui può accedere in internet a forme (in quel caso sì) di sessualità sbagliata e con il cellulare che diventa l’unico mezzo per creare uguaglianza. Tutto questo la regista lo mette bene in evidenza, anche se il film non può essere dato in pasto a tutti. Ma se letto correttamente e presentato bene, Mignonnes può diventare un film educativo.
Non si spiega la campagna contro Netflix: non c’è alcuna «scandalosa sessualizzazione di adolescenti» come hanno scritto alcuni tra i 600mila firmatari di una petizione
di Andrea Fagioli
Avvenire, 16 settembre 2020
Gli utenti che si sono indignati con Netflix lanciando una campagna di sabotaggio contro la piattaforma online per il film Mignonnes, conosciuto con il titolo internazionale Cuties, o non l’hanno visto o si sono limitati davvero alla locandina. Altrimenti non l’hanno capito o l’hanno guardato con occhi sbagliati. Il film della regista franco-senegalese Maïmouna Doucouré non ruota intorno a una «scandalosa sessualizzazione di adolescenti» né ovviamente «incentiva la pedofilia», come invece hanno scritto alcuni tra gli oltre 600 mila firmatari di una petizione contro il colosso della distribuzione di film e serie tv via internet. Tuttavia, come ha rilevato domenica Massimo Calvi in un commento su ‘Avvenire’, il sospetto è che l’opera sia stata promossa da Netflix proprio giocando ambiguamente su alcuni contenuti specifici. Mignonnes è infatti un film duro, molto duro. È uno spaccato su una realtà, quella dei ragazzini di 11–12 anni di cui anche i genitori a volte non si rendono o non vogliono rendersi conto. Una riflessione inserita in un contesto molto più complesso attraverso la storia di Amy, undicenne originaria del Senegal, che vive con la madre, la zia e il fratello in un sobborgo di Parigi in attesa del ritorno del padre che però, nel frattempo, è diventato poligamo sposando un’altra donna.
Amy assiste alle sofferenze della madre e soffre lei stessa per l’assenza del padre e per le rigide regole imposte dalla religione islamica e dalle tradizioni di famiglia. Ha difficoltà a inserirsi nell’ambiente scolastico e nei rapporti con le coetanee, fino a che diventa amica di Angelica, una vicina di casa, che fa parte di un gruppo di ballo moderno formato da quattro ragazzine. Amy ne diventerà leader spingendo il gruppo verso una danza sempre più audace. E qui sta il punto controverso perché la regista non forza assolutamente la mano sull’aspetto sensuale, anzi: cerca di mettere in evidenza, sia pure in un quadro contraddittorio, la loro innocenza, il fatto che sono bambine (una è bruttarella, una è grassa, una ha i brufoli…) che fanno cose fuori dalla loro portata, che non riescono mai ad arrivare alle estreme conseguenze.
Parlano, anche con un linguaggio volgare, ma poi dimostrano di non sapere nulla del sesso o di preoccuparsi se vengono considerate male. Per di più Amy si trova nel mezzo di due culture completamente diverse, subendo fortissime spinte contrarie in un momento della vita particolarmente complicato come il passaggio dall’infanzia all’adolescenza. Avverte persino un contrasto sull’ideale di bellezza femminile. Per Amy tutto quello che fa, senza averne piena coscienza, è una forma di riscatto nei confronti della propria famiglia, della propria cultura e nei confronti di chi la discrimina per forme di razzismo o di bullismo. È comunque sempre tremendamente combattuta, fino al bellissimo finale in cui, con il gioco del salto della corda, si riscopre per quello che è: ancora una bambina.
Il problema, quindi, non sono questi ragazzi che per certe cose crescono troppo in fretta senza avere la maturità sufficiente o le difese immunitarie necessarie. Il problema è il mondo che gli abbiamo creato intorno, con genitori assenti (tutte le ragazze hanno alle spalle famiglie complicate), con i social che ti spingono a credere di esistere e di essere qualcuno solo per il numero di like che ricevi, con la facilità con cui può accedere in internet a forme (in quel caso sì) di sessualità sbagliata e con il cellulare che diventa l’unico mezzo per creare uguaglianza. Tutto questo la regista lo mette bene in evidenza, anche se il film non può essere dato in pasto a tutti. Ma se letto correttamente e presentato bene, Mignonnes può diventare un film educativo.
di Vik van Brantegem
Cuties, un film che è bene non vedere
Nel film Cuties (Mignonnes), diffuso da Netflix, le protagoniste undicenni sono riprese in balli provocanti e atteggiamenti sessuali espliciti. Per la regista il fine è denunciare l’ipersessualizzazione. No, le bambine sono state usate e ritratte in modi degradanti: un male in sé. Se si vuole perseguire un fine buono si educa al bene, dunque alla purezza, per la quale c'è una sola via
Chi scrive non ha visto il film - acquistato da Netflix - che va sotto il titolo internazionale di “Cuties” (“Carine”, “Mignonnes” nell’originale francese), se si eccettua il minuto e mezzo di trailer e i manifesti per pubblicizzarlo. Più che sufficienti per formarsi un giudizio cristiano, stante il fatto che si tratta di una presentazione intrinsecamente malvagia. La teoria secondo cui “bisogna vedere” tutto il film per giudicare è uno specchietto per le allodole. Cerchiamo di spiegare perché.
Qualcuno sosterrà che la sua visione può offrire un quadro più completo sui significati manifesti o impliciti, le possibili intenzioni (che solo Dio realmente conosce), ecc., di chi ha prodotto il film. Ma la verità è che ci si imbatterebbe in cortine fumogene (intenzionali o meno) simili a quelle che resero l’antico frutto «gradevole agli occhi» (Gn 3, 6). È un po’ come se si sostenesse di dover percorrere un tunnel abbandonato, buio, più volte franato mortalmente addosso a chi lo ha percorso di recente e che, tra l’altro, non porta a nessuna meta (buona), giusto per poter dare un giudizio dettagliato della sua pericolosità…
Il trailer espone delle undicenni in vestiti attillati, si sofferma sul loro fondoschiena, le mostra mentre sculettano, ne fa vedere i balli provocanti, il dito in bocca, ecc. Tutto questo è oggettivo. Delle bambine vi sono state sottoposte concretamente: c’è bisogno di altro per dire che è stata calpestata la loro dignità? Contro di loro è già stata commessa una violenza. E a nulla vale come “giustificazione” che la regista abbia loro comunicato gli scopi del film, perché nel frattempo i loro corpi, i loro volti sono stati usati in modo degradante.
L’uscita del film su Netflix - piattaforma non nuova alla diffusione di contenuti contrari alla morale - ha fatto perdere in borsa al colosso dell’intrattenimento 9 miliardi di dollari in un giorno solo; centinaia di migliaia di utenti hanno promesso di cancellare o hanno già cancellato (Deo gratias) i loro abbonamenti. Di fronte alle accuse di promozione della pedofilia, la regista franco-senegalese Maïmouna Doucouré ha detto che sta conducendo «la stessa battaglia» di chi la critica. Possiamo anche credere che sia sincera, ma per combattere l’ipersessualizzazione che conduce dritta dritta alla pedofilia legale è necessario riscoprire il senso del pudore. Da alcune foto pubbliche della regista (quantomeno volutamente sensuali, eppure ritenute ormai normali), non ci sembra che ad oggi ne possa essere una testimone credibile. Non certo per l’inversione a U che serve.
Si è detto che immagini di balli provocanti, di adulti e anche di piccolissimi, circolano già su Internet e non poche bambine ne imitano le mosse nella vita quotidiana. Vero. Ma questo non significa che bisogna continuare a moltiplicare questi attacchi all’innocenza. Il fatto che pressoché tutto l’ambiente in cui cresciamo sia ipersessualizzato non significa che il limite debba essere spinto sempre più in là. Anche perché ci sono genitori che cercano - con estrema fatica - di custodire i loro figli, trasmettendo loro princìpi sani, inserendoli in una scuola parentale, preservandoli da uno smartphone in tenera età, ecc.
Qui il male non è stato solamente riprodotto a mo’ di documentario per far aprire gli occhi, mostrando cioè delle immagini già presenti sul web (il che è già di per sé discutibile e richiede la più grande prudenza), ma è stato creato ex nihilo, dal nulla.
Facciamo un esempio: c’è un film avvincente, con un cast eccezionale, una trama intrigante, che vuole trasmettere il messaggio che bisogna essere contro l’uccisione dell’innocente. Piccolo particolare: il copione del film prevede di mettere in scena e compiere, concretamente (per rendere la cosa più realistica, no?), l’omicidio di un innocente. Mettiamo anche che fosse stato informato… sarebbe lecito? No. Tanto più non sarebbe stato lecito se quel consenso informato avesse riguardato un bambino, che gli adulti hanno il dovere di proteggere.
Altro esempio, con le stesse premesse. Un film contro la droga, in cui i protagonisti - magari bambini/ragazzini - sono ripresi mentre effettivamente si drogano. Anche loro informati sulle finalità del film e le sue intenzioni “buone”. Già, ma che cosa rimane di oggettivo? L’innocente ammazzato, i bambini drogati non avrebbero già forse subìto la loro violenza? E, poi, c’è il possibile effetto di imitazione e normalizzazione della cosa. Perché in diverse recensioni non si è notato che la stessa violenza è stata commessa sulle bambine protagoniste di Cuties e sulle circa 700, nel complesso, che hanno partecipato al casting?
Pensiamo ancora a queste piccole. Credere che non saranno oggetto come minimo di battutine e parole offensive da parte di (alcuni) compagni di scuola è un po’ come credere che viviamo su Marte. In che modo le guarderanno? Non sono già state denudate della loro innocenza? Si è tenuto conto che un film di quel tipo è una ferita aperta a quello che dovrebbe essere l’armonico sviluppo di bambine sulla soglia dell’adolescenza? Se può essere messo in scena, con persone in carne e ossa, quello che prima non si sarebbe mai immaginato - bambini in atteggiamenti sessuali espliciti - quale limite rimane perché questo non venga ritenuto lecito, legale, anche al di fuori delle riprese di un film?
Sempre a proposito di prospettiva cristiana. Non solo nel fronte dei media liberal (non tutti) ma perfino in casa cattolica - vedi Avvenire - ci si è lanciati in tentativi di difesa del film, spesso con la voglia di essere controcorrente rispetto a qualcosa di fronte a cui un popolo numeroso (per una volta) si è giustamente indignato. Andrea Fagioli ha addirittura scritto che il film, se «presentato bene», può diventare «educativo». Vi immaginate un educatore, editore e scrittore come san Giovanni Bosco, messo al corrente di un trailer/film così, consigliare la visione ai suoi ragazzi? Il suo più famoso allievo, san Domenico Savio, strappò i giornali osceni portati in oratorio da un fanciullo più grande: non gli consigliò certo di addentrarsi nei testi per capire se fossero educativi. Uno dei più salutari insegnamenti cristiani è la custodia degli occhi. E l’educazione per evitare il male non deve passare mai dal commetterlo (che non è mai lecito) bensì dal presentare il bene.
Disquisire quindi sulla “bontà” della trama (che si può leggere sul web) è irragionevole. Anche perché ci saranno sempre spettatori a cui della trama non fregherà nulla, ma si interesseranno solo a certe immagini, che hanno un potere molto spesso superiore a quello di tante parole e vanno dritte al cuore e alla mente. Nel bene e nel male. Ciò che è già passato con questo film è che è normale, o comunque permesso, mandare in mondovisione delle immagini così.
Se si vuole combattere veramente l’ipersessualizzazione - un peccato gravissimo che ha nei bambini il primo bersaglio - bisogna sapere che la battaglia è contro l’impero delle tenebre. Dunque, non c’è altra via che ritornare a insegnare il pudore (sbeffeggiato dalla cultura del Sessantotto), il valore della purezza. E per riuscirci serve l’aiuto di colei che della Purezza, e di noi tutti, è la Madre: Maria. Insegniamola ai bambini, guidiamoli a consacrarsi a Lei, e li avremo salvati dalle insidie odierne, aprendoli a una Bellezza che questo mondo non conosce più.
Ermes Dovico
https://lanuovabq.it/it/cuties-un-film-che-e-bene-non-vedere
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