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giovedì 8 ottobre 2020

Alcune gocce da un oceano

Fratelli tutti: tante opinioni, poco magistero

I fedeli sono chiamati a dare assenso e religioso ossequio ai pronunciamenti del magistero, ma ancora una volta nella Fratelli tutti il magistero non svolge il suo compito, e quasi tutta l'enciclica è un susseguirsi di opinioni e spunti che possono essere interessanti ma ricadono nel campo dell'opinabilità.


Oggi tra i documenti del magistero ecclesiastico e il fedele cattolico che li legge non tutto va liscio. Il fedele cattolico lettore dei documenti magisteriali è costretto a chiedersi se debba dare il suo assenso e il suo “religioso ossequio” proprio a tutto quanto legge nel tale o talaltro documento. È una questione seria, che causa gravi problemi di coscienza e divide fedeli e pastori, ma anche i fedeli tra loro.

Di per sé i criteri sono chiari. Per esempio sono stati ben spiegati nell’Istruzione Donum veritatis sulla vocazione ecclesiale del teologo del 1990. Poi, però, ci si scontra ormai con un linguaggio magisteriale al quale è impossibile applicare quei criteri. Non si tratta di cattiva volontà del fedele cattolico, ma della trasformazione oggettiva del modo di esprimersi del magistero stesso per cui, pur con tutta la buona volontà, non si riesce più a capire bene sia il tenore veritativo dei diversi brani dei testi, sia il loro carattere vincolante il nostro “ossequio leale” per fede. 

A me sembra che questo grosso problema chiami in causa prima di tutto il magistero e solo in seconda battuta i fedeli. Il magistero ha dato dei criteri per valutare i suoi insegnamenti, quindi dovrebbe sentire il dovere di produrre dei testi ai quali essi possano essere applicati. Sembra che questo oggi non avvenga più..

Il problema si è ripresentato con l’enciclica Fratelli tutti. Essa è molto lunga, meandrica, difficile da decodificare. Ciononostante ho cercato di leggerla dal punto di vista del valore obbligante la mia coscienza di fedele. Ecco alcuni risultati.

La breve introduzione dice cose condivisibili ma presenta in modo inaccettabile san Francesco ed ha espressioni molto approssimative sulla sua epoca.

Il primo capitolo fa un quadro della situazione storica di oggi. Si tratta di constatazioni accettabili, altre volte perfino ovvie, altre ancora generiche o troppo sintetiche per tematiche così complesse.

Il capitolo II è la presentazione della parabola del Buon Samaritano. Qui siamo nel campo della predicazione che per sua natura è di stimolo ma non vincolante. In nessuna di queste tre parti mi è sembrato di dover aderire a qualcosa di fondamentale riguardante la dottrina e la vita cristiana. Il testo si presta ad una selezione personale nella ricerca di spunti utili o edificanti, ma non mi sembra contenere insegnamenti obbliganti.

Nei capitoli successivi si entra nel vivo delle principali tematiche dell’enciclica.

Il capitolo terzo parla di apertura, integrazione, fraternità e solidarietà. Troviamo frasi ovvie: “Ogni essere umano ha diritto a vivere con dignità”. Altre sono retoriche, generiche e bisognose di chiarimento: “un mondo dove compaiono continuamente, e crescono, gruppi sociali che si aggrappano a un’identità che li separa dagli altri”. Altre ancora sono auspici con una certa ambiguità: “Quanto ha bisogno la nostra famiglia umana di imparare a vivere insieme in armonia e pace senza che dobbiamo essere tutti uguali!”. Uguali in che senso? Altre infine confondono il lettore: “L’amore che si estende al di là delle frontiere ha come base ciò che chiamiamo “amicizia sociale” in ogni città e in ogni Paese”. Non è forse il contrario?

Ci sono molte affermazioni interessanti ma è difficilissimo isolare frasi o periodi chiari e sicuramente richiedenti il nostro assenso. I concetti, poi, di apertura, integrazione, fraternità e solidarietà sono sviluppati senza riferimento a Cristo, il che ne secolarizza il contenuto e li sottrae all’obbligo di adesione per fede..

Il capitolo quarto è dedicato a migrazioni e ordinamento politico mondiale. Anche qui è lo stesso. La seguente frase non può essere obbligante, perché non è vera: “L’arrivo di persone diverse, che provengono da un contesto vitale e culturale differente, si trasforma in un dono”. Non è sempre né solo così. Questa è retorica: “L’immigrato è visto come un usurpatore che non offre nulla”. La seguente è generica: “Abbiamo bisogno di un ordinamento mondiale giuridico, politico ed economico”.

Il capitolo quinto è dedicato a populismi e liberalismi. È una analisi politologica e sociologica estesa anche ai “movimenti popolari” su cui si può essere o meno d’accordo. Alcune frasi mi sono sembrate pericolose: “lo sviluppo di istituzioni internazionali più forti ed efficacemente organizzate, con autorità designate in maniera imparziale mediante accordi tra i governi nazionali e dotate del potere di sanzionare»”; “dare vita a organizzazioni mondiali più efficaci, dotate di autorità per assicurare il bene comune mondiale”.

Il capitolo VI è dedicato al dialogo. Qui il testo ondeggia continuamente tra una cultura del dialogo come “discussione pubblica” e occasione di consenso alla Habermas e il dialogo fondato sulla verità oggettiva della natura delle cose. Il tentativo di unire le due prospettive presta il fianco a numerose possibili critiche. Il fedele lettore dovrebbe inoltrarsi in una analisi complessa e difficile.

Il capitolo VII parla della pace e della guerra. La seguente frase si mostra astratta  e retorica: “superare ciò che ci divide senza perdere l’identità di ciascuno”. Questa fa confusione: “Se potessimo riuscire a vedere l’avversario politico o il vicino di casa con gli stessi occhi con cui vediamo i bambini, le mogli, i mariti, i padri e le madri. Che bello sarebbe!”. La trattazione della guerra ha molti spunti positivi, peraltro già noti, ma contiene la sua condanna in assoluto, cosa nuova rispetto alla dottrina tradizionale. A ciò si aggiunge la nuova e discussa posizione sulla pena di morte.

Il capitolo VIII riguarda le religioni. Qui risulta evidente una impostazione che rende problematico l’intero capitolo: il riferimento è ad un trascendente generico, alla religione e alle religioni, e non vi si trova l’unicità di Cristo: “Altri bevono ad altre fonti. Per noi, questa sorgente di dignità umana e di fraternità sta nel Vangelo di Gesù Cristo” La fraternità di Maria è significativa ma solo “per molti cristiani”.

Ho estratto alcune gocce da un oceano. So bene che questi miei riferimenti possono avere un valore indicativo ma non esaustivo. Nell’enciclica ci sono spunti interessanti su vari temi, ma il fedele che la legge non distingue più cosa abbia da ritenere per fede e cosa sia opinione discutibile. E alla fine le cose da ritenere come vincolanti secondo i criteri della Istruzione del 1990 gli appaiono essere veramente poche.

Stefano Fontana

https://lanuovabq.it/it/fratelli-tutti-tante-opinioni-poco-magistero

«L'uomo imprudente dispiace in ciò in cui vuol far piacere» - Danilo Quinto - 8 ottobre 2020

Ho letto per intero – con dolore – l'ultima Enciclica di Bergoglio. Un dolore profondo, dall'inizio alla fine. Il dolore di chi ritiene che un testo della Chiesa universale rivolto ai suoi fedeli debba avere un elemento dal quale non si può prescindere: la Fede. Quest'Enciclica è un testo privo di questo elemento. La dimensione trascendente e spirituale, l'unica in grado d'interpretare il dipanarsi delle vicende umane – la Rivelazione - è ignorata, per far posto ad un “pensiero liquido”, ideologico. La religione cattolica non è questo. Non è un'ideologia. Non è un insieme di idee da esprimere sotto il profilo politico o sociologico. Deriva direttamente dalla Croce, ai piedi della quale devono stare inginocchiati dal papa all'ultimo dei fedeli. La Persona-Dogma affida dalla Croce un unico compito alla Sua Chiesa: la conversione e la salvezza delle anime. Non affida l'interpretazione delle vicende umane sulla base delle “convenienze” e, tanto meno, delle “mode”. Affida il compito evocato alla Verità, che deriva dalle Sacre Scritture, dal Magistero perenne e dalla Tradizione della Chiesa. Questo è il “deposito della fede” e l'unico mandato che deve svolgere colui che siede sulla Cattedra di Pietro è quello di confermare i suoi fratelli nella fede, non è quello di portare a compimento il disegno di costruire una religione diversa da quella cattolica. Per questa ragione, le parole dell'Enciclica creano dolore, perchè mettono in discussione la certezza della fede, che è cristocentrica: si poggia solo sulla vita, sulla morte e sulla resurrezione di Nostro Signore Gesù Cristo.

Va di moda la difesa del creato? Ebbene, attribuire - come fa l'Enciclica - la diffusione della pandemia ai mali derivanti dalla globalizzazione, al capitalismo e alla sua gestione, alla crisi ambientale, celando la responsabilità di un Paese che ha occultato per settimane, se non per mesi, la diffusione al suo interno del Covid-19, com'è emerso in maniera circostanziata, significa rendere un cattivo servizio alla Verità. Con quest'omissione, ci si schiera dalla parte di un regime ateo e comunista come quello cinese, che rappresenta il più grande pericolo dell'odierna vicenda umana e con il quale si fanno accordi per consegnare i martiri nelle mani dei loro carnefici.

Le oligarchie del potere civile utilizzano una “dittatura sanitaria” per consolidare se stesse? La Chiesa non può disinteressarsene o essere addirittura sodale in questo disegno di costruzione di un Nuovo Ordine Mondiale. Non può rispondere a questo disegno - come fa quest'Enciclica – con richiami alle “società aperte” (l'eco a George Soros è implicito), alla libertà, all'uguaglianza e alla fraternità (la “fonte” illuminista e rivoluzionaria dalla quale nacque l'inizio della dissoluzione della società europea originata dalla Massoneria), all'amicizia sociale, al bene morale e alla solidarietà (“categorie” che vengono abusate in tutti i discorsi dei professionisti della politica), al dialogo (termine mai usato nel Vangelo, come se la Verità, che è Cristo solo, dipendesse dal dialogo), alla fratellanza umana e universale (sono certo che anche i membri della Trilaterale e del Gruppo Bilderberg perseguono quest'obiettivo). Se vuole contrapporsi al Nuovo Ordine Mondiale, la Chiesa deve seminare e coltivare il “terreno” di Cristo, non quello dei Suoi nemici. Deve parlare di vita eterna, non di quella mondana.

Bergoglio afferma che nella stesura del testo si è «sentito stimolato in modo speciale dal Grande Imam Ahmad Al-Tayyeb, con il quale mi sono incontrato ad Abu Dhabi, per ricordare che Dio ha creato tutti gli esseri umani uguali nei diritti, nei doveri e nella dignità, e li ha chiamati a convivere come fratelli tra di loro». Io, in quanto cattolico, non mi sento fratello nella fede di un mussulmano, di un buddista o di un protestante. Mi sento fratello di coloro che, come me, nutrono fede nell'unico Dio che salva, che è il Dio dei cattolici. Se sono invitato a spogliarmi della mia identità di cattolico, in nome di una “fratellanza umana”, la mia fede viene tradita, perchè la “fratellanza” che mi viene proposta non ha nulla a che fare con quella di San Francesco, che ha un solo punto di riferimento: Dio. Francesco è uomo di Dio, sa di essere nel mondo, ma di non essere del mondo. Il suo amore per la persona umana e per il creato nel suo insieme non è “orizzontale”, è trascendente. Discende dall'amore per Dio. E' amore per il Verbo Incarnato.

Da quest'amore, San Francesco trae la forza e il coraggio di affrontare nel 1219, durante la Quinta Crociata, il Sultano Malik al-Kamil. Nell'Enciclica si afferma: «Senza ignorare le difficoltà e i pericoli, San Francesco andò a incontrare il Sultano col medesimo atteggiamento che esigeva dai suoi discepoli: che, senza negare la propria identità, trovandosi “tra i saraceni o altri infedeli […], non facciano liti o dispute, ma siano soggetti ad ogni creatura umana per amore di Dio”. In quel contesto era una richiesta straordinaria. Ci colpisce come, ottocento anni fa, Francesco raccomandasse di evitare ogni forma di aggressione o contesa e anche di vivere un’umile e fraterna “sottomissione”, pure nei confronti di coloro che non condividevano la loro fede».

Che San Francesco «raccomandasse di evitare ogni forma di aggressione o contesa e anche di vivere un’umile e fraterna “sottomissione”», lo può far credere solo Bergoglio e chi, con lui e per lui, ha scritto quest'Enciclica.

La verità storica è che San Francesco mette nel conto il suo martirio nell'incontro con il Sultano. Nei numeri 2690 e 2691 delle Fonti Francescane, frate Illuminato - compagno di Francesco, che fece parte del primo gruppo di giovani che si strinse attorno a lui e che divise, secondo san Bonaventura, biografo di Francesco, l’esperienza della visita al Sultano – riporta: «Mentre era alla corte, il sultano volle mettere alla prova in questo modo la fede e la devozione che il beato Francesco mostrava d’avere verso il Signore nostro crocifisso. Un giorno fece stendere uno splendido tappeto, decorato quasi per intero con segni di croce, e poi disse ai presenti: “Si chiami ora quell’uomo, che sembra essere un cristiano autentico. Se per venire fino a me calpesterà sul tappeto i segni di croce, gli diremo che fa ingiuria al suo Signore; se invece si rifiuterà di passare, gli dirò perché mi fa questo dispetto di non venire”. Chiamato allora quell’uomo, che era pieno di Dio e da questa pienezza era bene istruito su quanto doveva fare e su quanto doveva dire, passando su quel tappeto si accostò al sultano. Quegli, ritenendo d’aver motivo sufficiente per rimproverare l’uomo di Dio perché aveva fatto ingiuria a Cristo Signore, gli disse: “Voi cristiani adorate la croce, come segno speciale del vostro Dio; perché dunque non hai avuto timore a calpestare questi segni della croce?”. Rispose il beato Francesco: “Dovete sapere che assieme al Signore nostro furono crocifissi anche dei ladroni. Noi possediamo la vera croce di Dio e del Salvatore nostro Gesù Cristo, e questa noi l’adoriamo e la circondiamo della più profonda devozione. Ora, mentre questa santa e vera croce del Signore fu consegnata a noi, a voi invece sono state lasciate le croci dei ladroni. Ecco perché non ho avuto paura di camminare sui segni della croce dei ladroni. Tra voi e per voi non c’è nulla della Santa Croce del Salvatore”». Prosegue Frate Illuminato: «Lo stesso sultano gli sottopose anche un’altra questione: “Il vostro Dio nei suoi Vangeli insegnò che voi non dovete rendere male per male, e non dovete salvaguardare la vostra tonaca (…). Quanto più dunque i cristiani non dovreste invadere le nostre terre (…)”. Rispose Francesco: “Mi sembra che voi non abbiate letto tutto il Vangelo di Cristo nostro Signore. Altrove, infatti, dice: ‘Se il tuo occhio ti è occasione di scandalo, cavalo e gettalo lontano da te’. E con questo ha voluto insegnarci che nessun uomo è a noi così amico e così parente, fosse pure a noi caro come un occhio della testa, che non dovremmo allontanarlo, strapparlo e del tutto sradicarlo, se tentasse di distoglierci dalla fede e dall’amore del nostro Dio. Proprio per questo, i cristiani giustamente invadono voi e le terre che avete occupato, perché bestemmiate il nome di Cristo e allontanate dal suo culto quanti più uomini potete. Se invece voi voleste conoscere, confessare e adorare il Creatore e Redentore del mondo, vi amerebbero come se stessi”. Tutti gli astanti furono presi da ammirazione per le risposte di lui».

Questa sarebbe la “sottomissione” che San Francesco visse in quell'occasione? Come si possono stravolgere e distorcere fatti storici di tale portata e significato solo per fini speculativi e propagandistici? Come fanno i vescovi a non alzare la loro voce di fronte a tali affermazioni? Vogliono essere complici? Un giorno, un amico sacerdote, riferendosi alla presenza islamica nel nostro Paese, mi disse: “spero di morire nel mio letto da cattolico”. Se le guide spirituali tacciono, le parole di quel sacerdote possono considerarsi profetiche. Dovremmo condividere il “sentire” del Grande Imam Ahmad Al-Tayyeb e convertirci all'Islam per sopravvivere, richiamando per giunta la “tradizione cristiana” rappresentata dalla vita di San Francesco d'Assisi?

Quest'Enciclica crea Magistero. E' essa stessa Magistero. E' un testo che fa scandalo, dedicato ad un mondo che ha dimenticato Dio e che – con l'aiuto determinante della gerarchia cattolica degli ultimi sessant'anni – ha creato i suoi idoli pagani.

A proposito di San Francesco, dal quale Bergoglio trae ispirazione: nella sezione terza, n. 2642, delle Cronache Francescane scritte da Salimbene de Adam, viene riportato un episodio della vita del Santo di Assisi, che per un periodo di riposo, si recò al convento di Ferrara, dove aveva abitato per sette anni. Francesco osservò che alla mensa, sia a pranzo, sia a cena, si sedevano accanto a lui sempre gli stessi frati e concluse che il guardiano faceva preferenze di persone. Commentò: «L'uomo imprudente dispiace in ciò in cui vuol far piacere».
https://gloria.tv/post/9bmjt6XF1g1n3MjTG8R46K4bQ

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