Una voce fa tremare la Chiesa: “In gioco i destini del mondo”
I toni di monsignor Carlo Maria Viganò sono i consueti. Quelli che hanno avuto modo di palesarsi già in altre occasioni. L’uomo che ha chiesto le dimissioni del pontefice argentino per via del caso McCarrick continua la sua battaglia, che è volta a quella che potrebbe essere definita “restaurazione”. La “rivoluzione” di papa Francesco non piace al cosiddetto “fronte tradizionale”. E l’ex nunzio apostolico negli Stati Uniti è forse la voce più decisa in questo che appare davvero alla stregua di un combattimento tra due “schieramenti”.
Quello che sta accadendo all’interno della Chiesa cattolica e le elezioni americane di novembre finiscono così con l’intrecciarsi, in un contesto che per Viganò costituisce un vero e proprio “scontro epocale”. Perché se Trump dovesse perdere – in estrema sintesi – sarebbe un male per tutti i cattolici. Papa Francesco, nel contempo, prosegue nella sua opera riformistica, certo che la strada della “Chiesa in uscita” sia l’unica percorribile per il futuro del cattolicesimo. E gli scontri elettorali non sembrano avere per il Vaticano il valore che invece viene attribuito dai “tradizionalisti”. Difficile, nella società contemporanea, individuare un cammino differente rispetto a quello scelto da Jorge Mario Bergoglio. Com’è noto, però, c’è pure chi non è d’accordo, e boccia di netto l’azione del Santo Padre. Una bocciatura che non riguarda solo il piano dottrinale o quello pastorale, ma anche il terreno geopolitico. In questo senso, quanto dichiarato da monsignor Viganò all’interno di questa intervista è di certo incasellabile all’interno di quella dialettica continua che sta interessando la vita ecclesiastica ormai da qualche anno. Ma è solo una delle posizioni che circolano. Altri sono persino persuasi che l’ex arcivescovo di Buenos Aires non possa essere sottoposto a critiche di questa tipologia dall’interno dell’Ecclesia. Ma questi, come ricorda un inflazionato adagio cinese, sono “tempi interessanti”. Quelli in cui le vicende pronosticabili sono davvero poche. Nessuno si sarebbe aspettato la rinuncia di un pontefice, come nel caso di Benedetto XVI. Così come nessuno poteva pronosticare che un arcivescovo chiedesse ad un successore di Pietro di farsi da parte. Ascoltare i protagonisti di ogni storia, in specie di storie importanti come queste, è tuttavia, in maniera rinomata, il dovere del giornalismo.
Monsignor Viganò, come mai ha scritto una lettera in favore di Trump?
Benedetto XVI mi fece sapere, il 14 agosto 2011, che era sua convinzione che in quel momento la mia posizione provvidenziale era la Nunziatura negli Stati Uniti d’America. Così mi scrisse: “Vorrei comunicarLe che ho riflettuto e pregato in riferimento alla sua condizione dopo gli ultimi avvenimenti. La dolorosa notizia della scomparsa di Sua Eccellenza Mons. Pietro Sambi mi ha confermato nella convinzione che la Sua posizione provvidenziale in questo momento sia la Nunziatura negli Stati Uniti d’America. D’altra parte, sono certo che la Sua conoscenza di questo grande Paese L’aiuterà a prendere in mano l’impegnativa sfida di questo lavoro, che in molti sensi risulta determinante per il futuro della Chiesa universale”. Il mio incarico ufficiale in quell’immenso e amato Paese si è concluso, ma quella sfida, a cui papa Benedetto quasi profeticamente aveva fatto riferimento e in cui mi aveva coinvolto, è più che mai aperta, anzi è diventata sempre più drammatica, assumendo dimensioni tremende: il destino del mondo si sta giocando in quest’ora proprio sul fronte americano. Ormai libero dal mio incarico ufficiale, l’ispirazione confidatami da papa Benedetto mi permette di rivolgermi al presidente Trump con la massima libertà, evidenziando quale sia il suo ruolo nel contesto nazionale ed internazionale, e quanto la sua missione sia decisiva nello scontro epocale che va delineandosi in questi mesi.
Addirittura uno scontro epocale?
La Santa Sede appare oggi assalita da forze nemiche. Io parlo come vescovo, come successore degli apostoli. Il silenzio dei pastori è assordante e sconvolgente. Alcuni addirittura preferiscono appoggiare il Nuovo ordine mondiale allineandosi alle posizioni di Bergoglio e del cardinale Parolin che, frequentatore del Bilderberg Club, si è servilmente sottomesso ai suoi diktat, alla stregua di tanti esponenti politici e dei media mainstream. Sono persuaso che quanto ho denunciato nella mia lettera aperta al presidente Trump dello scorso giugno sia ancora valido e possa costituire una chiave di lettura per comprendere gli eventi che stiamo vivendo. Essa rimane un invito alla speranza.
La Chiesa cattolica americana, in relazione alle presidenziali e non solo, appare spaccata. Il Papa dice che dividere è opera del demonio, ma il frazionamento dell’episcopato americano è evidente. Cosa succede?
La spaccatura in seno all’episcopato americano è il risultato di un’azione ideologica condotta sin dagli anni Sessanta specialmente dalle università cattoliche – e dai gesuiti in particolare – nella formazione di intere generazioni di giovani. L’indottrinamento progressista (sul fronte politico) e modernista (sul fronte religioso) ha creato un supporto ideologico al Sessantotto iniziato con il Concilio Vaticano II, come peraltro ha confermato Benedetto XVI nel suo saggio Principi di teologia cattolica: “L’adesione ad un marxismo anarchico ed utopistico (…) è stata sostenuta in prima linea da tanti cappellani universitari e di associazioni giovanili, i quali vi vedevano lo sbocciare delle speranze cristiane. Il fatto dominante si trova negli avvenimenti del Maggio 1968 in Francia. Sulle barricate v’erano dominicani e gesuiti. L’intercomunione realizzata durante una Messa ecumenica in sostegno alle barricate fu ritenuta una specie di pietra miliare nella storia della salvezza, una sorta di rivelazione che inaugurava una nuova era del cristianesimo“.
Una spaccatura che interessa solo gli Stati Uniti?
Questa spaccatura negli Stati Uniti, divenuta oggi ancor più evidente nell’imminenza delle elezioni presidenziali, è diffusa anche in Europa e in Italia: i vertici della Chiesa hanno voluto compiere una scelta radicale – e a mio parere sciagurata – preferendo accodarsi al pensiero mainstream dell’ambientalismo, dell’immigrazionismo, dell’ideologia Lgbt piuttosto di ergersi coraggiosamente contro di esso e proclamare fedelmente la Verità salvifica annunciata da Nostro Signore. Una scelta che ha subito un balzo in avanti a partire dal 2013, con l’elezione di Jorge Mario Bergoglio, ma che rimonta ad almeno sessant’anni fa. È significativo che anche allora i gesuiti – e tutta l’intelligencija cattolica di sinistra – guardassero alla Cina di Mao come ad un interlocutore privilegiato, quasi un propulsore delle istanze di presunto rinnovamento sociale, esattamente come oggi La Civiltà Cattolica di Spadaro, s.j. guarda alla Cina di Xi Jinping. I gesuiti, che hanno appoggiato la guerriglia in America Latina e che nel Maggio francese erano sulle barricate, oggi usano i social con rivendicazioni analoghe, sempre con lo sguardo rivolto a Pechino e con lo stesso livore nei riguardi dell’America.
Ma dividere è “opera del demonio”…
È vero che dividere è opera del demonio: Satana semina divisione tra l’uomo e il suo Creatore, tra l’anima e la Grazia. Il Signore invece non divide, ma separa: Egli crea un confine tra la Città di Dio e la Città di Satana, tra chi Lo serve e chi Lo combatte. Egli stesso separerà i giusti dai malvagi nel giorno del Giudizio (Mt 25, 31-46), dopo essersi posto ‘come pietra di inciampo’ (Rm 9, 32-33). Separare la luce dalle tenebre, il bene dal male, secondo l’insegnamento del Signore, è doveroso, se vogliamo seguire Cristo e rifiutare Satana. Ma occorre separare anche quando si sceglie chi meglio tutela i diritti e la Fede dei Cattolici da chi solo nominalmente si proclama cattolico e nei fatti promuove leggi palesemente in contrasto con la legge divina e la legge naturale. Così come è divisivo il Pastore che mette in guardia il gregge dagli attacchi dei lupi (Gv 10, 1-18). Accusare Trump di non essere cristiano per il solo fatto di voler proteggere i confini della nazione; evocare lo spettro del sovranismo come una sciagura, mentre viene favorita la tratta degli esseri umani; tacere dinanzi alla persecuzione dei cristiani in Cina ed altrove, o alle migliaia di profanazioni di chiese che avvengono da mesi in tutto il mondo: tutto questo non è divisivo?
Joe Biden è un abortista, ma alcuni ambienti cattolici americani sembrano sorvolare su questo aspetto. Guardi, per esempio, a James Martin. Cosa ne pensa?
Padre James Martin, s.j. è il portabandiera dell’ideologia Lgbt e nonostante questo – anzi, in virtù di questo – è stato nominato da Bergoglio come Consultore della Segreteria per le Comunicazioni della Santa Sede. La sua opera – questa sì, veramente “divisiva” nel senso peggiore del termine – serve a rinsaldare, all’interno del corpo ecclesiale, una quinta colonna dell’agenda progressista, in modo da creare una spaccatura ideologica e dottrinale in seno alla Chiesa e far credere che le istanze del progressismo, ivi compresa la cosiddetta omoeresia, vengano dalla base. In realtà sappiamo bene che i fedeli sono molto meno inclini alle innovazioni di quanto non si voglia far credere all’opinione pubblica, e che il voler mostrare una presunta “volontà popolare” per legittimare scelte incompatibili con l’insegnamento perenne della Chiesa è un escamotage al quale si è già fatto ricorso tanto a livello ecclesiale (pensiamo alla riforma liturgica, che nessuno chiedeva) quanto a livello civile (ad esempio l’ideologia gender). Mi permetta di ricordare le parole dell’arcivescovo americano mons. Fulton J. Sheen (1895-1979): “Il rifiuto di prendere posizione sui grandi problemi morali è di per sé una decisione. Esso rappresenta un tacito assenso al male. La tragedia del nostro tempo è che coloro che credono nella virtù mancano di fuoco e di convinzione, mentre coloro che credono nel vizio sono pieni di appassionata convinzione“. Impariamo a separare chi è con Cristo da chi è contro di Lui, visto che non è possibile servire due padroni.
Lei ha parlato di “deep church”. Possibile ne esista una? Da chi è composta?
L’espressione “deep church” rende bene l’idea di quello che avviene parallelamente a livello politico e a livello ecclesiale. La strategia è la medesima, come identici sono gli scopi e, in ultima analisi, la mens che vi sta dietro. In questo senso la “deep church” è per la Chiesa ciò che il “deep state” è per lo Stato: un corpo estraneo, illegale, eversivo e privo di qualsiasi legittimazione democratica che usa l’istituzione in cui si è incistato per ottenere scopi diametralmente opposti a quelli dell’istituzione stessa. Ne è un esempio John Podesta, “cattolico” liberale, democratico, già collaboratore di Bill e Hillary Clinton, e collegato al Centre for American progress di John Halpin. In una mail dell’11 Febbraio 2012 Sandy Newman scrive a Podesta chiedendogli indicazioni per “piantare i semi di una rivoluzione” nella Chiesa in materia di contraccezione, aborto e parità di genere. Podesta risponde confermando che per ottenere questa “primavera della Chiesa” (si noti l’assonanza con la “primavera conciliare”) erano stati creati la Catholics in alliance for the common good e Catholics united. Queste associazioni ultra-progressiste sono state finanziate da George Soros, come le fondazioni dei Gesuiti e il viaggio apostolico di Bergoglio negli Usa nel 2015. Va inoltre ricordata la congiura della Mafia di San Gallo, volta a spodestare Benedetto XVI, di concerto con Obama e la Clinton che consideravano Joseph Ratzinger un ostacolo alla diffusione dell’agenda mondialista.
Da cattolico e da consacrato, come giudica l’operato di Trump?
Mi limito ad osservare quello che ha fatto Trump negli anni del suo mandato presidenziale. Ha difeso la vita del nascituro, tagliando i fondi alla multinazionale dell’aborto Planned Parentood e, proprio in questi giorni, emanando un provvedimento che impone cure immediate ai neonati non uccisi dall’aborto: fino ad oggi erano lasciati morire o usati per espiantare loro organi destinati alla vendita. Trump sta combattendo la pedofilia e il pedosatanismo. Non ha aperto nuovi fronti di guerra e ha ridotto drasticamente quelli esistenti, stipulando accordi di pace. Ha ridato a Dio il diritto di cittadinanza, dopo che Obama aveva addirittura cancellato il Natale e imposto misure che ripugnano all’animo religioso degli americani. E osservo anche la guerra mediatica mossa dalla stampa e dai centri di potere nei riguardi del Presidente: è stato demonizzato sin dal 2016, nonostante egli abbia democraticamente ottenuto la maggioranza dei suffragi. Si comprende bene che l’odio verso Trump – non dissimile da quanto avviene in Italia nei confronti di ben più morbidi esponenti dell’opposizione – trova la propria motivazione nella consapevolezza del suo ruolo fondamentale nella lotta al deep state e a tutte le sue ramificazioni interne ed estere. La coraggiosa denuncia del Comunismo – di cui gli Antifa e i Blm sono la versione global e la dittatura cinese l’incubatore – viene in qualche modo a sanare il silenzio della Chiesa, che nonostante gli accorati appelli della Vergine Maria a Fatima e a La Salette ha preferito non rinnovare la condanna di questa ideologia infernale. E se mons. Sanchez Sorondo può impunemente affermare contro ogni evidenza che “la Cina è la migliore realizzatrice della dottrina sociale della Chiesa”, c’è da rallegrarsi per le parole del presidente degli Stati Uniti e per quelle non meno coraggiose del suo Segretario di Stato Pompeo.
Bergoglio non incontrerà il Segretario di Stato americano, a quanto pare.
Siamo ormai giunti al paradosso, al ridicolo. Certi atteggiamenti sembrano più confacenti ai capricci di uno scolaro indisciplinato che non alla prudenza e al protocollo diplomatico. Pompeo denuncia la violazione dei diritti umani in Cina e da Santa Marta arriva la piccata risposta: “E io non gioco più”. Sono comportamenti indegni, dei quali iniziano a provare malcelata vergogna anche gli stessi membri del cerchio magico di Bergoglio. Il quale non solo non riceve il Segretario di Stato per non sentirsi dire ore rotundo che l’America non rimarrà a guardare mentre la Chiesa si consegna nelle mani di una feroce dittatura, ma non risponde nemmeno alla richiesta del cardinal Zen di esser ricevuto in udienza, confermando la precisa volontà del Vaticano di rinnovare la sua sottomissione al Partito Comunista Cinese.
Lei ha organizzato un “Rosario per Trump”? Come mai?
Sono stato sollecitato da più parti a lanciare questa iniziativa e non ho esitato ad aderirvi, facendomi promotore di questa crociata spirituale. Questa è una guerra senza quartiere, in cui “Satana è sciolto dalle catene e le porte degli inferi” tentano in ogni modo di prevalere sulla stessa Chiesa. Una simile contraddizione si fronteggia soprattutto con la preghiera, con l’arma invincibile del Santo Rosario. L’impegno dei cattolici in politica, sotto la guida dei loro pastori, costituisce l’azione concreta come cittadini e membri tanto del Corpo Mistico di Cristo quanto del corpo sociale: il cattolico non è un dissociato, che in chiesa crede che Dio sia autore e signore della vita ma nell’urna o in parlamento approva l’uccisione di bambini innocenti. A questa azione di ordine naturale si affianca – si deve affiancare – la consapevolezza che le vicende umane, e con esse gli eventi sociali e politici, hanno una dimensione spirituale trascendente, nella quale l’intervento della divina Provvidenza è sempre determinante. Per questo motivo, il cattolico non si astrae dal mondo, non fugge dall’agone politico aspettando passivamente che il Signore intervenga con la folgore, ma al contrario dà un senso al proprio agire quotidiano, al proprio impegno nella società, dandogli un’anima, uno scopo soprannaturale. La preghiera, in questo senso, invoca al Signore del mondo e della storia quelle grazie, quell’aiuto speciale che solo Lui può dare tanto all’azione del privato cittadino quanto all’opera del governante. E se in passato anche dei re pagani hanno potuto essere strumenti di bene nelle mani di Dio, questo può avvenire ancor oggi, in un momento in cui la biblica battaglia tra “figli delle tenebre e figli della luce” è giunta ad un punto cruciale.
Quali scenari attendono i Cattolici del mondo nel caso Trump dovesse perdere?
Se Trump perde le elezioni presidenziali, verrà meno l’ultimo kathèkon (2Tes 2, 6-7), ossia ciò che impedisce al “mistero dell’iniquità” di manifestarsi, e la dittatura del Nuovo ordine mondiale avrà nel nuovo presidente americano un alleato, dopo aver già conquistato alla propria causa Bergoglio. Joe Biden non ha una consistenza propria: egli è solo l’espressione di un potere che non osa mostrarsi per quello che è, e che si nasconde dietro un personaggio totalmente inadeguato alla carica di Presidente degli Stati Uniti, anche per le sue degradate condizioni di salute mentale; ma è proprio nella sua debolezza per le denunce pendenti, nella sua ricattabilità per i conflitti di interessi, che Biden si mostra come una marionetta manovrata dall’élite, un fantoccio nelle mani di persone assetate di potere e disposte a tutto per espanderlo. Ci troveremmo dinanzi a una dittatura orwelliana voluta dal “deep state” e dalla “deep church”, in cui i diritti che oggi consideriamo fondamentali e inalienabili verrebbero conculcati, con la complicità dei media mainstream.
Vuole evidenziare altro?
Voglio evidenziare che la religione universale auspicata dalle Nazioni Unite e dalla massoneria trova nei vertici della Chiesa Cattolica attivi collaboratori che ne usurpano l’autorità e ne adulterano il Magistero. Al Corpo Mistico di Cristo, posto come unica arca di salvezza per l’umanità, si sta opponendo “il corpo mistico dell’Anticristo“, secondo la profezia del Venerabile Arcivescovo Fulton Sheen. Ecumenismo, ambientalismo malthusiano, pansessualismo, immigrazionismo sono i nuovi dogmi di questa religione universale, i cui ministri preparano l’avvento dell’Anticristo prima dell’ultima persecuzione e della vittoria definitiva di Nostro Signore. Ma come la Resurrezione gloriosa del Salvatore è stata preceduta dalla Sua Passione e Morte, così la Chiesa si avvia verso il proprio Calvario; e come il Sinedrio pensava di aver eliminato il Messia crocifiggendoLo, così la setta infame crede che l’eclissi della Chiesa preluda alla sua fine. Rimane un “piccolo resto”, fatto di cattolici ferventi, proprio come ai piedi della Croce restavano la Madre di Dio, San Giovanni e la Maddalena. Noi sappiamo che i destini del mondo non sono nelle mani dell’uomo, e che il Signore ha promesso di non abbandonare la Sua Chiesa: “Le potenze dell’inferno non prevarranno” (Mt 16, 18). Le parole di Cristo sono la roccia della nostra speranza: “Ecco, io sono con voi tutti i giorni, fino alla fine del mondo” (Mt 28, 20).
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