Covid, una psicosi dell'Occidente anziano
C'è una psicosi pandemica che non è più giustificata dall'emergenza sanitaria, ormai superata. Ma la paura del futuro, la rinuncia a vivere sono caratteristiche di società gerontocratiche e infertili, in cui la spinta vitale si è ormai quasi arrestata. Il panico da Covid è diventato un sintomo ed al contempo un propellente della loro decadenza.
Tampone drive in a Roma
L'”emergenza” Covid non è più sanitaria, ma in primo luogo politica, e in secondo luogo socio-psicologica. E queste due componenti concorrono in misura decisiva a creare una terza emergenza, la più grave di tutte: quella economica.
L'allarme sanitario in senso stretto si può circoscrivere al periodo tra febbraio e giugno, ed è consistito in un repentino, altissimo picco di mortalità tra individui molto anziani e gravati da patologie connesse all'età avanzata, in particolare tra quelli ricoverati in ospedali o cliniche e quelli ospitati in Rsa. Un picco concentrato soprattutto in paesi occidentali dall'alto tasso di longevità e dal basso tasso di fecondità, cioè con una forte sproporzione tra popolazione anziana e giovane, ed in zone metropolitane ad alta concentrazione di residenti.
A queste precondizioni si è aggiunto, favorito dal panico dell'impennata iniziale di casi gravi, un approccio rovinoso alla terapia, con un'ospedalizzazione disordinata, la mancanza di isolamento dei focolai, terapie che si sono dimostrate completamente sbagliate, allora consigliate dall'Oms sulla scorta dei resoconti provenienti dalla Cina.
In contesti così delineati si è innescato il circolo vizioso di letalità e paura che ha condotto alle politiche di “lockdown”, anch'esse ricalcate sul modello cinese, e attuate con maggiori restrizioni proprio in quei paesi: con risultati non esaltanti, dal momento che in essi la letalità si è attestata, in quei mesi, ai livelli più alti del mondo, rimanendovi (tra il 10 e il 15% di morti in relazione ai casi, e dai 600 morti per milione di abitanti in su).
A partire dalla tarda primavera, però, il rush di casi gravi e decessi legati a fattori gerontologici si è abbattutto rapidamente, e con esso si sono abbattuti i tassi di mortalità e letalità. L'estate, con la tendenza ovunque a minori concentrazioni di persone in luoghi chiusi, ha visto anche una discesa nettissima dei casi diagnosticati nei contesti dove la pandemia aveva mietuto il maggior numero di vittime.
Con l'autunno i casi diagnosticati sono tornati invece a crescere in tutta Europa e in parte dell'Asia a ritmo molto sostenuto: crescita favorita, nel vecchio continente, anche da una politica di screening diagnostici di massa che precedentemente non era stata minimamente attuata. Ma mortalità e letalità sono rimaste bassissime, andandosi ad equiparare sostanzialmente a quelle del resto del mondo, che non erano mai ascese ai livelli sopra ricordati, o superandole al ribasso.
Rispetto ai casi censiti, la percentuale di decessi si è attestata ormai mediamente intorno allo 0,3-0,5%. L'età media dei contagiati (sintomatici e non) si è notevolmente abbassata, e i casi più seri vengono trattati farmacologicamente in maniera molto più efficace. Se sono però affidabili (e non c'è ragione di credere il contrario) le stime di molti epidemiologi (da ultimo Micheal Ryan, capo per le emergenze dell'Oms) secondo i quali il numero effettivo dei casi a livello mondiale sarebbe addirittura 20 volte superiore a quello ufficialmente accertato (750 milioni invece di 38), la letalità su tutto il periodo della pandemia andrebbe “retrocessa” allo 0,13%, e se ci si limita al periodo da giugno ad oggi la percentuale scenderebbe ulteriormente, ben al di sotto di un caso su mille.
Con ogni evidenza, il virus si sta diffondendo in maniera crescente e trasversale, ma in una forma sempre più inoffensiva, adattandosi all'uomo. E non esistono più nemmeno nei paesi in primavera più colpiti le condizioni di nuove impennate di casi gravi e vittime.
L'emergenza sanitaria è dunque di fatto finita da molti mesi. Tra i casi diagnosticati, intorno al 95% è asintomatico (portatori sani) o presenta sintomi lievi come quelli di un raffreddore, e solo il 4-5% ha bisogno di sorveglianza e terapia maggiori, e i casi gravi a livello mondiale sono circa lo 0,8% di quelli diagnosticati (da dividere anche questi probabilmente per 20 se si considerano quelli sommersi).
Non sembrano numeri di una calamità di massa, ma di affezioni fisiologicamente connesse all'ordinarietà delle società industrializzate. Il Covid rimane oggi un virus da monitorare, affinché sommandosi ad altri bacilli para-influenzali stagionali in arrivo nell'emisfero boreale non produca un sovraffollamento delle strutture sanitarie. E rimane giustificata l'esigenza di una sorveglianza e protezione attiva sulle fasce di popolazione anziana e pluripatologizzata, che giustifica anche qualche precauzione sociale generale.
Ma certo osservando le cifre attuali non si vede cosa possa mai giustificare il ritorno di restrizioni generalizzate alla vita sociale, di relazione, economica, culturale, artistica, scolastica, universitaria sul modello di quelle attuate in primavere – ammesso e non concesso che all'epoca siano state utili o opportune.
Eppure è proprio in quella direzione che alcuni stati si stanno ancora una volta muovendo, reagendo così alla crescita dei casi individuati senza minimamente distinguere la quantità dalla qualità, né considerare l'incidenza sostanzialmente irrilevante dei casi più seri, ormai non certo superiore a quella delle influenze stagionali: uno studio dell'Università di Edinburgo ha stimato che nel 2019 ci siano stati nel mondo circa 850.000 morti per influenza e per complicazioni respiratorie ad essa associate, una cifra molto vicina al milione di morti finora censiti per il Covid. E, non a caso, a puntare verso chiusure e restrizioni sono i governi nazionali o locali di quei paesi che hanno avuto la massima incidenza di morti in primavera.
Come si spiega razionalmente una tale dinamica? E' come se quei paesi – tra cui l'Italia si pone in prima fila – non riuscissero più ad uscire dal clima di terrore che allora li ha attanagliati, nonostante la situazione sanitaria sia ora completamente diversa, infliggendosi così danni non facilmente recuperabili.
Possiamo rispondere affermando che è in atto ormai in quelle società una vera e propria psicosi, che sottrae l'atteggiamento verso il virus ad ogni regola di buon senso. Una psicosi partita sette mesi fa dalle classi politiche, incapaci di gestire una situazione che le avevano prese in contropiede, diffusa alle opinioni pubbliche attraverso campagne mediatiche di martellante allarmismo, e poi ritornata dalle opinioni pubbliche al ceto dirigente nella forma di una richiesta ossessiva di protezione e sicurezza, un attaccamento spasmodico alla “nuda vita” che ha fatto anche dimenticare le difficoltà economiche e le costrizioni alla libertà imposte dai lockdown.
Infine, ora i governi rafforzano ulteriormente questo circolo vizioso producendo una “narrazione” dell'epidemia fondata sul messaggio per cui se le cose migliorano, è merito dei governanti, mentre se peggiorano è colpa dell'irresponsabilità dei cittadini che non rispettano “le regole”: producendo una polarizzazione di aggressività sociale e accuse reciproche tra allarmisti e “negazionisti”.
Ma la psicosi pandemica, la tendenza delle società suddette a chiudersi in se stesse, la loro monocorde sintonizzazione sulla paura del futuro, la rinuncia a vivere e a voltare pagina, non sono sintomi casuali. Rappresentano, invece, caratteristiche tipiche proprio di società anziane, gerontocratiche, infertili, in cui i giovani sono pochi e intimoriti. La spinta vitale in esse si è attenuata fin quasi ad arrestarsi. Il panico da Covid è diventato un sintomo ed al contempo un propellente della loro decadenza.
Eugenio Capozzi
https://lanuovabq.it/it/covid-una-psicosi-delloccidente-anziano
CALIARI: PANDEMIA E PANDEMONIO. MA ORMAI IL RE È NUDO.
11 Ottobre 2020 19 Commenti
Marco Tosatti
Carissimi Stilumcuriali, Gian Pietro Caliari ci regala questa sua riflessione sul pandemonio che stiamo attraversando. E ci dimostra come in realtà stiamo assistendo – da spettatori e vittime – a una nuova versione dello stesso gioco…ma anche questa volta il Re è nudo. Magari con la mascherina, ma nudo.
§§§
Dixerunt venite faciamus nobis civitatem et turrem cuius culmen pertingat ad caelum et celebremus nomen nostrum
di Gian Pietro Caliari
Il pandemonio babelico della conclamata pandemia ha svelato il vero political game degli ultimi trent’anni, o come direbbe il bambino della celebre favola di Hans Christian Andersen che sotto “I vestiti nuovi dell’Imperatore”, in realtà: “Il Re è nudo!”.
I mirabolanti destini del globalismo progressista, ultra indulgente nelle prassi finanziare, ferocemente intransigente nell’economia reale e ultra-libertario e libertino nell’etica personale e collettiva, all’apparire di una minaccia vera o presunta, virus o chimera, casuale o voluta – solo il seguito della cronaca ce lo dirà! – ha mostrato il suo ghigno liberticida e la sua malcelata aspirazione totalitaria.
Non ci troviamo, in realtà, di fronte a uno scenario inedito ma di una medesima partitura che dal 2007 si ripropone costante con variazioni sul tema.
All’inizio, era il tempo delle politiche di austerity, ovviamente scientificamente adottate per salvare l’economia e i popoli in pericolo. Al grido di “salviamo l’economia”, costi quel che costi, i popoli ne sono usciti con le ossa rotte e con l’economia al collasso!
Uno dei massimi esponenti di quel non lontano periodo, Christine Lagarde – allora Direttore Generale del Fondo Monetario Internazionale e principale attuatore delle politiche d’austerity, costi quel che costi – ha impunemente ammesso, tre giorni fa in una conferenza a Francoforte, che la teoria scientifica su cui si basava quella politica era totalmente errata!
Dall’austerity la variazione sul tema fu, poi brevemente, l’ambiente al grido di “salviamo il pianeta” e delle teorie, scientifiche ovviamente, che imponevano il passaggio a una green economy, anche in questo caso, costi quel che costi!
Il salvare il pianeta, insieme ai suoi scienziati e alla sua autoproclamata profetessa Greta Thunberg, ha però ben presto lasciato la partitura a una nuova variazione sul tema: “salviamo vite umane”, ancora scientificamente costi quel che costi!
Siamo così ai nostri giorni e ci tocca in sorte di leggere sull’autorevole giornale italiano del fautori del globalismo nostrano che: “L’obbligo di indossare la mascherina all’aperto è un richiamo. Non importa se scientificamente ha senso oppure no. È un segnale di attenzione per noi stessi e per la comunità” (Alberto Villani membro e portavoce del Comitato Tecnico Scientifico presso la Presidenza del Consiglio dei Ministri).
Come nel celebre episodio biblico della Torre di Babele, anche il globalismo neo-liberista voleva ergere una torre il cui culmine violasse la sacralità del cielo e ne celebrasse il suo nome e non quello di Dio (cfr. Genesi 11, 4). Appunto, come allora, non importa se scientificamente – e soprattutto eticamente – ha senso oppure no!
Le magnifiche sorti della globalizzazione che dovevano consacrare la riuscita unificazione di lingua, di costumi, di consumi e di modelli di vita imposti dal politicamente accettabile, per eterogenesi dei fini, ha svelato invece il vero “nemico del popolo”, come direbbe Henrik Ibsen.
Un nemico ben diverso da quello additato dal mainstream corrente che ancora si ostina, nonostante tutto, a indicare la sovranità dei popoli e delle nazioni come il nemico giurato del nuovo “Sol dell’Avvenire”.
L’attuale variazione del liberismo globalista è l’agenda neo-umanista di un trans-umanesimo, anti-teologico e anti-etico, che ha trovato un nuovo virus – non inaspettato ma apertamente invocato da almeno tre anni – che alla bisogna ben si presta e si manipola, sempre sulla base di uno scientificamente corretto che “ha senso oppure no”, per uno scellerato uso politico in funzione di un auto-legittimato bio-potere totalitario.
Gli ultimi trent’anni, in realtà, come è stato acutamente osservato, sono stati il tentativo di imporre un nuovo modello di governance mondiale: quello della post-democrazia. E non è certo un caso che questo modello sia stato osservato e teorizzato, mentre lo modellavano concretamente leader progressisti come Tony Blair, in Europa, Bill Clinton e Barack Obama negli Stati Uniti.
“In questo modello” – scrive il politologo britannico Colin Crounch – “mentre certamente ancora si celebrano le elezioni e i governi possono cambiare, il pubblico dibattito elettorale è strettamente controllato, da gruppi di professionisti dell’informazione; la massa dei cittadini gioca un ruolo passivo e persino apatico, rispondendo solo ai segnali che gli vengono inviati dallo spettacolo politico. Nel frattempo dietro le quinte, il gioco politico è – in realtà – diretto dal rapporto fra i governi e le élites, che in maniera sostanziale rappresentano gli interessi economici. Così la politica viene de-politicizzata, i cittadini emarginati e i governi diventano meri partner dei poteri economici e dello spettacolo mediatico” (Post-democracy, 2004, p. 4).
In questo contesto, persino i tradizionali concetti di democrazia reale – la sovranità popolare – e di democrazia formale – i rappresentanti eletti dal popolo – vengono meno. Si è così creata una separazione e un confronto insanabile fra il reale, vale a dire il popolo, e il formale, i rappresentanti, che – in realtà – non rappresentano altro che gli interessi finanziari ed economici di poteri esterni alla tradizionale dinamica democratica fra popolo e sovranità (cfr. Jacques Rancière, Demokratie und Postdemokratie, in: Rado Riha, Politik der Wahrheit, 1997).
Mutatis mutandis, ciò si è verificato – negli ultimi sette anni – anche all’interno della Chiesa dove i Pastori non sono più il riflesso del Popolo di Dio e del suo sensus fidei communis, ma i propugnatori di un’agenda politica, sociale e persino religiosa imposta da altri agenti estranei e, persino, palesemente ostili alla stessa Chiesa Cattolica.
Significativa di questo inedito ed ereticale sensus Ecclesiae nella gerarchia cattolica è la citazione scomposta e arbitraria, in Fratelli Tutti, delle Fonti Francescane che sono strumentalizzate per invitare i cattolici a “vivere un’umile e fraterna sottomissione”, pure nei confronti di coloro che non condividono la fede cristiana. Non solo, dunque, nei confronti dell’Islam – che sottomissione appunto significa in lingua araba – ma anche da dhimmi, cioè da credenti giuridicamente, socialmente e moralmente inferiori rispetto all’ideologia dominante della post-democrazia globalista.
Negli ultimi anni, dalla crisi finanziaria del 2007, i promotori della post-democrazia – quasi esclusivamente i partiti cosiddetti democratico-progressisti alleati delle élites finanziarie – si sono ammantati, non solo in Italia, di una mitologica aura di superiorità antropologica, culturale e morale – che tanto da vicino ricorda quella di gramsciana memoria – in nome di un progressismo neo-liberista e globalista.
Da una parte, al grido di “restiamo umani” si scardina ogni precondizione antropologica e morale per favorire ogni tipo di vero o presunto emarginato, escluso, perseguitato o minoranza auto-dichiarata, per affermare principi etici e presunti diritti, che non hanno alcuna base razionale e logica. Dall’altra, ci si asservisce alle élites finanziare e dei mercati, da cui i cittadini devono imparare a come votare, a come e da chi essere governati, e ora persino a come vivere.
Nel pandemonio, assolutamente reale, dell’attuale pandemia, vera o presunta che sia, il potere post-democratico ha avuto gioco facile nell’evolvervi in bio-politica e nell’attuarsi come un bio-potere.
Già, alla fine degli anni Settanta, il politologo Michel Foucault definiva la bio-politica come la gestione, l’utilizzazione e il controllo del corpo umano in una società basata non più sul concetto politico di polis – vale a dire di ideali e norme condivise e accettate – ma su quello del controllo totale esercitato dai mercati e dalla finanza.
Così, come il corpo del singolo individuo, spodestato della sua qualifica di essere umano e di cittadino, anche i processi biologici vitali (nascita, vita, sessualità, salute e malattia, morte) devono essere sottoposti a una direzione bio-politica e determinati da un bio-potere (cfr. Birth of Biopolitics: Lectures at the Collège de France, 1978-1979, 2008).
Ancora una volta – e non stupisce – Giorgio Agamben ha evidenziato come – per eterogenesi dei fini – il dominio dei mercati e della finanza nell’intreccio perverso fra bio-politica e bio-potere abbiano appieno realizzato il concetto marxiano di dominio reale (State of Exception, 2005).
In questo Stato di eccezione, o di emergenza sine termino non solo vengono annientate tutti i presupposti e le aggregazioni naturali e sociali che preesistono allo Stato ma lo stesso bio-potere si auto-leggitima e si rende svincolato da qualsiasi norma morale e persino legale, benché sancita da quel patto – il Diritto – che regge il rapporto fra popolazione, territorio e governo.
Come, ammonirebbe Sant’Agostino: “Togli il Diritto e, allora, che cosa distingue lo Stato da una grossa banda di briganti?” (De Civitate Dei IV, 4, 1).
Ricordando la figura di San Tommaso Moro a Westminster Hall, Benedetto XVI si chiedeva: “Quali sono le esigenze che i governi possono ragionevolmente imporre ai propri cittadini, e fin dove esse possono estendersi? A quale autorità ci si può appellare per risolvere i dilemmi morali? Queste questioni ci portano direttamente ai fondamenti etici del discorso civile”. E osservava: “Se i principi morali che sostengono il processo democratico non si fondano, a loro volta, su nient’altro di più solido che sul consenso sociale, allora la fragilità del processo si mostra in tutta la sua evidenza. Qui si trova la reale sfida per la democrazia” (Discorso, Westminster Hall – City of Westminster, 17 settembre 2010).
L’esiziale crisi che sta vivendo la democrazia italiana e, al contempo, lo stato agonico-vegetativo della Chiesa Cattolica in Italia non possono che essere superati nel prendere coraggiosamente atto che il governo della Repubblica come quello della Chiesa sono ostaggi di un distinto, ma certamente convergente, ricatto di una governance di matrice post-democratica e bio-cratica
I veri attori protagonisti di tale governance hanno, di certo, trovato vaste complicità e volenterosi correi anche all’interno dell’Italia e della Chiesa Cattolica, ma sono non solo estranei ma oltremodo ostili ad entrambi.
Un serio e severo pubblico dibattito, nell’agone politico anche e con più urgenza in questi frangenti, dovrebbe appunto articolarsi alle questioni risuonate nella Westminster Hall dieci anni fa.
Fin dove possono spingersi i governi nell’esercizio di un bio-potere, che viola le stesse fondamenta etiche del discorso civile? Quale autorità può illuminare i dilemmi morali che tale stato delle cose solleva? Può il mero consenso elettorale, vero o fittizio – come nel caso italiano – bastare al processo democratico senza che sia solidamente fondato su chiari e condivisi principi morali?
All’interno della Chiesa Cattolica italiana, poi, dopo aver rilevato la sua totale irrilevanza culturale e persino religiosa di fronte alle sfide etiche poste dalla post-democrazia e dal bio-potere, sarebbe opportuno ricordare ciò che, ampiamente citando il Concilio Vaticano II, Giovanni Paolo II scriveva nel 1995: “Quando viene meno il senso di Dio, anche il senso dell’uomo viene minacciato e inquinato, come lapidariamente afferma il Concilio Vaticano II: La creatura senza il Creatore svanisce… Anzi, l’oblio di Dio priva di luce la creatura stessa. L’uomo non riesce più a percepirsi come misteriosamente altro rispetto alle diverse creature terrene; egli si considera come uno dei tanti esseri viventi, come un organismo che, tutt’al più, ha raggiunto uno stadio molto elevato di perfezione. Chiuso nel ristretto orizzonte della sua fisicità, si riduce in qualche modo a una cosa e non coglie più il carattere trascendente del suo esistere come uomo. […] Essa diventa semplicemente una cosa, che egli rivendica come sua esclusiva proprietà, totalmente dominabile e manipolabile” (Evangelium Vitae 22).
https://www.marcotosatti.com/2020/10/11/caliari-pandemia-e-pandemonio-ma-ormai-il-re-e-nudo/
Un filosofo e un neurologo cattolici hanno scritto un saggio che illustra gli effetti medici e politici del coronavirus. La loro conclusione è che la manipolazione del panico pubblico è, tranne in pochi casi, più pericolosa della malattia.
Un articolo di Dorothy Cummings McLean, pubblicato su LifeSiteNews, nella traduzione di Riccardo Zenobi.
Un filosofo e un neurologo cattolici hanno scritto un saggio che illustra gli effetti medici e politici del coronavirus. La loro conclusione è che la manipolazione del panico pubblico è, tranne in pochi casi, più pericolosa della malattia.
Il dottor Carlos A. Casanova, professore di filosofia presso l’Università di San Tommaso in Cile, e il neurologo americano dottor Thomas Zabiega hanno scritto un saggio che delinea il grave danno che i blocchi indiscriminati e il rifiuto di un trattamento efficace per COVID-19 sta avendo e continuerà ad avere a livello globale.
“Quest’anno è stato segnato dal fenomeno del ‘coronavirus'”, scrivono.
“Verso la fine del primo trimestre, l’Organizzazione mondiale della sanità (OMS), insieme ai media principali e a molti governi, è riuscita a creare una situazione di panico nella popolazione dell’emisfero occidentale”, hanno continuato.
“Questo panico ha portato all’adozione di disastrose misure di salute pubblica (principalmente, allontanamento sociale, reclusione e quarantene), che violano la libertà delle persone e le istituzioni democratiche dell’Occidente e di altre nazioni”.
Nel loro articolo in tre parti, Casanova e Zabiega esaminano la crisi del coronavirus come un fenomeno medico, un disastro politico e un grave pericolo per il futuro dell’umanità. Non è la malattia in quanto tale il problema, ma il cinico incoraggiamento e manipolazione del panico pubblico diffuso. Il risultato finale, sospettano, sarà l’inoculazione coercitiva di milioni di persone con un vaccino a RNA non ancora testato.
“Siamo chiari: i vaccini sono una cosa meravigliosa che hanno reso l’umanità immune a [malattie] molto gravi”, hanno scritto.
“Ma non c’è dubbio che oggigiorno i vaccini siano spesso mescolati con sostanze nocive o non etiche; e inoltre non c’è dubbio che la letalità di Sars-CoV-2 non giustifichi quarantene, misure di allontanamento sociale estremo e molto meno vaccinazioni forzate”.
All’inizio del loro articolo, lo studioso e il neurologo esaminano lo strano rifiuto dell’idrossiclorochina come trattamento efficace, l’inspiegabile rifiuto del consiglio medico professionale di non imporre gli arresti domiciliari agli anziani, lasciando in pace gli altri, e la catastrofica espulsione degli anziani dagli ospedali verso le case di cura, dove si è verificata la stragrande maggioranza dei decessi legati al coronavirus. Le quarantene hanno portato a un aumento dei problemi sociali, come il consumo eccessivo di alcol e l’abuso di droghe, nonché l’abbandono delle persone con altre malattie, come il cancro. L’efficacia del cosiddetto allontanamento sociale e l’uso della maschera sono in dubbio, così come qualsiasi esigenza di panico. L’idea che non abbiamo un sistema immunitario in grado di combattere un “nuovo” coronavirus è falsa, dicono: “Certo che lo facciamo! Ogni anno potrebbe esserci un nuovo virus e per migliaia di anni li abbiamo combattuti”.
Per quanto riguarda la natura politica del panico del coronavirus, Casanova e Zabiega sottolineano che la quarantena è motivata politicamente, non dal punto di vista medico. Notano il ruolo svolto dal Partito Comunista Cinese e i legami della Cina sia con il Direttore dell’Organizzazione Mondiale della Sanità che con il Dr. Anthony Fauci della Task Force contro il Coronavirus della Casa Bianca. Sostengono che il concetto ippocratico di medicina è stato corrotto da un neomarxismo che minaccia anche le libertà umane fondamentali. Nei mesi delle quarantene, gli studiosi non sono stati in grado di pubblicare ricerche sul coronavirus che sfidano la narrativa, le piccole e medie imprese sono state distrutte, la libertà di riunione è stata criminalizzata, il culto religioso è stato sospeso, sono state approvate leggi anti-famiglia, e l’organizzazione Open Democracy, finanziata da Soros, ha apertamente deriso l’idea della casa familiare come un rifugio sicuro.
“Il punto ora è che vediamo la necessità di alzare la voce e avvertire il mondo che dietro i blocchi si nasconde un triste programma e tale programma include chiaramente l’abolizione della famiglia”, scrivono gli autori.
“Questo è un motivo in più per cui i popoli della Terra dovrebbero insorgere contro le costrizioni arbitrarie imposte alla loro libertà di movimento e associazione”.
Di Riccardo Zenobi
STORIE ORDINARIE DI COVID 19. PANDEMENZA IS IN THE AIR…
11 Ottobre 2020 30 Commenti
Marco Tosatti
Carissimi Stilumcuriali, voi sapete bene che Stilum Curiae, ben lontano dal negare l’esistenza del Covid 19, ha molte perplessità specialmente italiane sulla gestione di questo fenomeno (a mio avviso addirittura con risvolti di negligenza e stupidità criminale, nella primavera scorsa, in tema di diagnosi e autopsie) e sull’uso politico e non solo che di questo fenomeno con rara abilità stanno facendo molti in molti modi diversi. Un amico, un professionista di notevole standing, ci ha inviato questo breve raccontino che ci dimostra come il terrorismo mediatico sia riuscito a creare in tutta la società meccanismi e reazioni che avremmo criticato come assurdi e folli nella Milano dei Promessi Sposi, a tal punto da doverci domandare da quale anfratto della mente umana possano provenire. Chiedendoci come mai la gente avrebbe potuto credere agli untori…eccoci qua, e buona lettura.
§§§
“PANDEMENZA IS IN THE AIR”
(quando la realtà supera la fantasia…da qualche parte ..nei cieli italiani)
Un tizio prende un aereo di una qualsiasi compagnia che vola sui cieli italiani. All’ingresso in cabina viene subito omaggiato della fantastica mascherina di carta velina azzurra ..a loro dire sanitaria e protettiva ..perché quella di stoffa che indossava non era conforme al loro regolamento.
Raggiunto il proprio posto scopre però che su 180 di capienza ne erano occupati solo 25 e tutti ammassati, dunque per la compagnia aerea senza problemi di assembramento.
Decide allora di spostarsi di almeno 2 file, con sollievo di tutti, così da non avere nessuno attorno.
Dopo un po’ arriva uno steward che lo redarguisce perché il “criminale” aveva il naso fuori dalla mascherina, e lo minaccia di “interrompere le procedure di volo” se non l’avesse indossata anche sul naso.
Il tizio con calma risponde: ok, ma io devo respirare e siccome ho anche fame mangerò per tutto il volo ..ed e’ possibile togliere la mascherina per mangiare o bere come da vostro regolamento (mettendogli sotto il suo, di naso, il cartoncino con le loro nuove presunte norme anti covid da osservare in volo dove era scritta tale possibilità).
Lo steward quindi desiste e così il tizio comincia a mangiare grissini. Ovviamente però il presunto delinquente e’ stato “attenzionato” perché ha creato “il caso” ..essendo chiaramente un potenziale sobillatore eversivo.
Ed infatti dopo un po’ durante il volo il comandante gli invia ad personam il capo steward per richiedere i dati fornendogli documento e carta d’imbarco.
A quel punto sempre con calma il tizio si qualifica osservando che la richiesta non era legittima perché non aveva infranto alcuna norma e stava osservando il loro stesso regolamento, chiedendogli quindi di andare a riferirlo al comandante.
Il capo steward si allontana un po’ deluso e, finalmente, finiscono le minacce e nessuno torna più ad interrompere il pericolosissimo sgranocchiamento di grissini. Fine della storia…“vera”.
Domanda: qualcuno ha ancora dubbi che siamo sotto una dittatura che ha creato l’ipocondria di Stato ..favorita dall’imbecillità dei più che ormai hanno accettato l’addomesticamento, rinunciando anche solo a difendere la ragione, la libertà o semplicemente il buon senso? (Ovviamente chiedo per un amico).
Marco Tosatti
Il governo Conte ha approvato le nuove norme sull’uso delle mascherine all’aperto con sanzioni per chi non la indossa che vanno dai 400 ai 1000 euro.
L’ultima puntata di Quarta Repubblica ha infatti avuto al centro del dibattito l’obbligatorietà dell’uso della mascherina estesa all’aperto: è giusto? Ne nasce uno scontro tra Alessandro Meluzzi, Vittorio Sgarbi e Jacopo Fo.
Dalla puntata del 5 ottobre 2020
https://www.nicolaporro.it/mascherine-obbligatorie-allaperto-meluzzi-vs-fo/
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