l “gioco degli specchi”: Giuda, Bergoglio e la gerarchia ecclesiastica – Danilo Quinto – 2 ottobre 2020
Anche ai tempi di Gesù, c’era chi era molto attento al denaro. Prima di vendere Gesù ai Sommi Sacerdoti per trenta denari – la somma che a quei tempi serviva per comprare uno schiavo – come racconta il Vangelo (Gv 12, 1-8), il traditore si lamentò con il Maestro quando questi accettò, in una casa di Betània, dove si trovava anche Lazzaro, che Maria, la sorella di Marta, Gli cospargesse i piedi di olio profumato di vero nardo, molto prezioso (il suo valore era pari a quello di un salario che un operaio percepiva in un intero anno di lavoro), per poi asciugarli con i suoi capelli, con la casa che si riempì del profumo dell’unguento.
Dice San Giovanni che quel che Giuda affermò in quell’occasione («Perchè quest’olio profumato non si è venduto per trecento denari per poi darli ai poveri?»), non lo disse «perchè gli importasse dei poveri, ma perchè era ladro e, siccome teneva la cassa, prendeva quello che vi mettevano dentro».
Immaginiamo che fosse davvero esigua la cassa degli apostoli e che il traditore, attraverso piccoli furti quotidiani, abbia maturato la predisposizione d’animo per poi vendere Gesù ai Suoi carnefici. Constatiamo che la sua lagnanza, quindi, abbia costituito solo un atto d’ipocrisia, perchè, come scrive San Paolo (2 Cor 11,14-15), «Spesso i servitori di satana si mascherano da servitori della giustizia».
Anche Bergoglio è molto attento al denaro – in questo caso non si tratta di una piccola cassa, ma delle enormi finanze vaticane – e la comunicazione ufficiale, sia vaticana, sia “para-vaticana”, sia laica, sottolinea dall’inizio del suo mandato gli sforzi immani che egli compie per sanare le storture. Sforzi vani, considerati i risultati, soprattutto in termini di scelta dei suoi collaboratori.
Alcuni, addirittura, sottolineano che la sua elezione sia stata dovuta principalmente all’obiettivo di risanare, dal punto di vista finanziario ed economico, i metodi, le procedure e i comportamenti interni rispetto ai poteri della curia, alla necessità della sua “riforma”, com’è stato ripetutamente sbandierato. In altri termini, il “Gruppo dei chierici di San Gallo” (dal nome della località Svizzera dove ogni anno si riunivano) o altrimenti detto da mons. Ivo Fürer, l’ospite del gruppo, “Una cerchia di amici” (chierici di alto rango e riformisti, che inizialmente comprendevano – come elenca Wikipedia – Carlo Maria Martini, arcivescovo di Milano; Paul Verschuren, vescovo di Helsinki; Jean-Félix-Albert-Marie Vilnet, vescovo di Lilla; Johann Weber, vescovo di Graz-Seckau; Walter Kasper, vescovo di Rottenburg-Stoccarda (in seguito cardinale), e Karl Lehmann, vescovo di Magonza (in seguito cardinale), per poi inglobare il cardinale Godfried Danneels, arcivescovo di Maline-Bruxelles; Adrianus Herman van Luyn, vescovo di Rotterdam; 2001: Cormac Murphy-O’Connor, arcivescovo di Westminster (in seguito cardinale); Joseph Doré, arcivescovo di Strasburgo; Alois Kothgasser, vescovo di Innsbruck, in seguito arcivescovo di Salisburgo; Achille Silvestrini, cardinale della Curia romana, mentore dell’attuale Presidente del Consiglio, Giuseppe Conte; Ljubomyr Huzar, arcivescovo maggiore di Leopoli degli Ucraini; José Policarpo, patriarca di Lisbona) o “Gruppo di San Gallo” (nome diventato pubblico dopo un capitolo completo ad esso dedicato nella biografia del cardinale Godfried Danneels, pubblicato nel 2015 dagli storici della Chiesa Karim Schelkens e Jurgen Mettepenningen) o, in alternativa, “Mafia di San Gallo” (come la chiamava il compianto mons. Livi) e “club di San Gallo” – al quale si deve l’indicazione del nome del cardinale Bergoglio per il Conclave del 2013, che avrebbe dovuto eleggere il successore di Benedetto XVI, aveva l’intento di trovare … un buon amministratore per la Chiesa.
L’obiettivo del “Gruppo”? Far fallire la Chiesa. Farla fallire non solo dal punto di vista spirituale e trascendente – ci voleva poco, in realtà, per raggiungere questo risultato, considerati il “terreno preparato” e la devastazione operata nei decenni precedenti, da molto prima del Concilio Vaticano II (anche l’ultimo papa santo, Pio XII, almeno negli ultimi 10 anni del suo pontificato, dovette fronteggiare una poderosa corrente modernista e progressista che cercava di abbattere tutte le certezze che derivano dal deposito della fede) – ma farla fallire dal punto di vista economico e, quindi, finanziario. Depredare la cassa. Svuotarla. Tant’è che in questi 7 anni, come mai in precedenza – nonostante Bergoglio e i suoi intenti, tutti lodevolissimi e così tanto decantati – hanno operato, all’interno del Vaticano, all’interno del suo “mondo economico”, come le cronache giornalistiche hanno impietosamente raccontato, personaggi di tutti i tipi. Affaristi, faccendieri, brokers, predatori finanziari. Con responsabilità interne? Forse. Questo dovranno accertarlo i giudici vaticani (che nel caso di Becciu, si pronunceranno – se si pronunceranno – dopo decisioni di estromissione già prese e questo è obiettivamente un fatto gravissimo) o quelli dei Paesi coinvolti dagli scandali che si sono susseguiti.
L’ultimo scandalo – sarà l’ultimo?, non lo crediamo – che coinvolgerebbe il cardinale Becciu e di riflesso i suoi familiari, sarà sicuramente oggetto di altri capitoli di libri di questo o quell’autore che inneggeranno all’opera di “pulizia” di Bergoglio, contrastata dai suoi nemici o di altre inchieste dell’Espresso e di Repubblica, la testata che l’ex arcivescovo di Buenos Aires – come egli stesso ha dichiarato – legge tutte le mattine.
A noi, questi scandali interessano molto poco. Anzi, per nulla. Come il Vangelo dimostra, anche ai tempi di Gesù esistevano i ladri e uno di questi – come San Giovanni afferma – faceva parte dei dodici apostoli. Gesù lo sapeva e non era certamente questo che gl’importava. Gl’interessava che l’anima del traditore non si dedicasse alle cose della Terra, che si ravvedesse, che si pentisse, che non continuasse nella sua perdizione. Anche quando Giuda lo rimprovera per essersi fatto cospargere i piedi del prezioso olio di nardo, senza pensare ai poveri, Gesù – che conosce di Giuda tutto, anche la sua ipocrisia nel citare i poveri a sproposito, accadeva duemila anni fa, come accade oggi – delicatamente gli dice: «Lasciala fare, perchè lo conservi per il giorno della mia sepoltura. I poveri infatti li avete sempre con voi, ma non sempre avete me». L’insegnamento è grande. Gesù richiama lui e soprattutto i discepoli al dovere, manifestato magnificamente da Maria in quell’occasione, di essere splendidi nel culto di Dio. «Opus enim bonum operata est in me», riporta Matteo nel suo Vangelo («Essa ha compiuto un’azione buona verso di me»).
La domanda da porre è questa: è splendida la Chiesa agli occhi di Dio, compie cose buone per Lui o vuole occuparsi solo ed esclusivamente delle cose della Terra? Un’altra questione è ancora più decisiva, considerata la situazione senza precedenti che sta vivendo la Chiesa. Siamo sicuri che una buona parte della gerarchia ecclesiastica non sia proprio dalla parte di Giuda, piuttosto che dalla parte del Cristo? Perchè viene esaltata la figura di Giuda, perchè si dice che fosse un “povero uomo pentito” o che si sarebbe salvato, con l’espiazione derivata dal suo suicidio? Non è forse più coerente ed anche comodo, rispetto ai “programmi moderni” che vengono enunciati della “Chiesa in uscita”, stare dalla parte di colui che – nel caso descritto dal Vangelo di Giovanni – invece di adorare Dio, pensa ai poveri? Non è forse comprensibile, rispetto ai “progetti” in atto – e qui il ragionamento si fa ancora più sottile – che il “messaggio” che si vuole dare al “popolo di Dio”, abituato da secoli a fare l’elemosina come opera di misericordia corporale che è principio di dissoluzione senza l’opera di misericordia spirituale, sia quello di “stare attento” a continuare a farlo, perchè in questo momento l’elemosina la si darebbe ad una “spelonca di ladri”? D’altra parte, che cosa si è fatto credere sul tema della pedofilia, se non che la Chiesa fosse piena zeppa di predatori seriali?
Maurizio Blondet 2 Ottobre 2020
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