Rilancio ampi stralci dall’intervista che il card. Camillo Ruini ha concesso a Cazzullo del Corriere della sera.

Camillo Ruini, cardinale

Camillo Ruini, cardinale

 Cardinale Ruini, il nuovo libro di Massimo Franco parla del declino politico-culturale della Chiesa italiana. Lei è d’accordo?

«Sì, purtroppo. La dimensione culturale è strettamente legata alla fede e la dimensione politica ha un’ovvia connessione con quella culturale. Questo declino non può non preoccupare. Occorre reagire: un compito che spetta ai laici credenti, ma anche alla Chiesa come tale. Oggi è più difficile di qualche anno fa; ma non è impossibile».

Lei ha la sensazione che i temi storicamente cari ai cattolici, a cominciare dalla difesa della vita e della famiglia, non facciano più parte dell’agenda politica?

«Direi che ne fanno parte assai meno di prima. Ma non sono spariti, e nemmeno lo potrebbero: nel contesto dell’Occidente contemporaneo sono inevitabilmente oggetto di dibattito. È di pochi giorni fa una buona notizia, almeno dal mio punto di vista: la Santa Sede ha ribadito con forza il rifiuto dell’eutanasia». 

Che cos’ha provato nel vedere i portoni chiusi delle chiese? (durante la pandemia, ndr)

«Li ho visti solo in tv: esco raramente di casa. Ne ho avuto un’impressione triste, mitigata dalla fiducia che il Signore possiamo trovarlo ovunque. Anzi, lui per primo trova sempre la strada per incontrarci». 

Torniamo al declino della Chiesa. Cosa dovrebbero fare i cattolici per contare di più, sia nella politica che nella discussione culturale? Come si ferma la scristianizzazione?

«Dobbiamo avere più fiducia nella bontà e nell’attualità di una cultura che abbia il cristianesimo alle sue radici. Un rapporto sano e fecondo tra cattolici e politica passa attraverso la mediazione della cultura. Poi naturalmente occorrono capacità politiche e un grande amore per la libertà. Fermare la scristianizzazione è molto difficile. Non si può farlo solo a livello culturale e tanto meno politico. Decisiva è una testimonianza cristiana autentica, personale e comunitaria. In ultima analisi, decisiva è la grazia di Dio».  

Qualche guaio però in Curia gli italiani l’hanno combinato. Che idea si è fatto del caso Becciu?

«Non ho elementi per una mia valutazione personale. Vorrei dire però che i mezzi di comunicazione sono comprensibilmente attenti alle vicende negative; ma esiste nella Chiesa una moltitudine di persone e di comportamenti che sono invece decisamente positivi, e che la gente conosce perché ne fa esperienza. Per questo la Chiesa è sopravvissuta nei secoli alle sue peggiori crisi». 

Però nella Chiesa la corruzione esiste.

«La corruzione, specialmente in alto loco, è una delle più gravi piaghe della Chiesa. Da giovane pensavo che si trattasse di un problema del passato ormai remoto; ma mi illudevo. Continuo a sperare che ne usciremo, con l’aiuto di Dio e facendo ciascuno la propria parte». 

Non abbiamo un Papa italiano da quasi mezzo secolo. Essere italiano è ormai un handicap per diventare Papi?

«Penso proprio di no. Direi piuttosto che non è più un vantaggio, o addirittura un pre-requisito; ma è bene che non lo sia più. Papa deve essere eletto colui che è ritenuto più degno e idoneo, indipendentemente dalla nazionalità». 

Esiste un movimento conservatore internazionale contro Francesco?

«In qualche modo, esiste; ma ha varie accentuazioni e sfaccettature. Solo pochi possono davvero essere considerati “contro” Papa Francesco: ad esempio, non tutti coloro che hanno formulato qualche critica con intenti costruttivi». 

C’è spazio oggi in Italia per un partito dei cattolici? Magari al seguito del premier Conte…

«Non vedo uno spazio del genere. I cattolici devono puntare sui contenuti dell’azione politica, individuati anche alla luce di una visione cristiana dell’uomo e della società; e devono collaborare con chi, cattolico o no, condivide tali contenuti. Oggi purtroppo in larga misura manca proprio l’attenzione a una visione cristiana». 

Lei un anno fa disse al Corriere che con Salvini bisognava dialogare. L’hanno molto criticata per questo. Si è pentito? Ora Salvini appare un po’ ridimensionato…

«Non mi sono pentito affatto. Dialogare bisogna. A Salvini e a Giorgia Meloni, che adesso meritatamente è sulla cresta dell’onda, vorrei dire che se vogliono fare il bene del Paese e arrivare al governo devono sciogliere il nodo dei loro rapporti con le forze che sono stabilmente alla guida dell’Unione europea». 

Lei cos’ha votato al referendum sul taglio dei parlamentari? È stata una vittoria dell’antipolitica?

«Ho votato No. È stato un successo del desiderio, comprensibile ma ingenuo, di ridurre i costi della politica». 

Ora si parla del ritorno a una legge elettorale proporzionale. Lei cosa ne pensa?

«È una proposta sbagliata e soprattutto pericolosa. Fin dall’inizio la nostra Repubblica ha avuto seri problemi di governabilità. Quando De Gasperi aveva la maggioranza assoluta dovette affrontare una crisi di governo all’anno, perché non solo ogni partito ma ogni corrente si sentiva libera di pretendere sempre più spazio. È facile immaginare cosa accadrebbe adesso, quando nessuna forza politica può aspirare all’autosufficienza». 

Sarebbe meglio una legge maggioritaria?

«Penso di sì. A mio parere, il maggioritario è stato il principale tra i pochi progressi della Seconda Repubblica».

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