ACTA APOSTATICAE SEDIS : come, cambiando un po' qua e un po' la, si può cambiare tutto...

domenica 29 novembre 2020

Dalle mascherine ai cappucci?

Concistoro in mascherina per i nuovi cardinali

Settimo Concistoro del pontificato bergogliano, il primo dell'era Covid. Tredici creati, di cui due assenti perché non possono muoversi dai loro Paesi, causa pandemia. "Il pastore che non è vicino al popolo e sente di essere 'un'eminenza' sarà fuori strada", avverte Papa Francesco nella sua omelia. Un saluto speciale all'ottantenne Enrico Feroci: "Il Papa fa cardinale un parroco". 

                              I nuovi cardinali (mons. Gregory in primo piano)

Settimo Concistoro del pontificato bergogliano, il primo dell'era Covid. E dunque niente abbracci tra il Papa ed i nuovi cardinali e niente visite di cortesia al Palazzo Apostolico ed in Aula Paolo VI. Tra i tredici creati due assenti che, come da antica prassi calata in contesto inedito, riceveranno la berretta rossa da un emissario papale in un secondo momento. Sono il bruneiano Cornelius Sim ed il filippino Jose F. Advincula bloccati nei loro rispettivi Paesi dalle restrizioni agli spostamenti per la pandemia (nel Sultanato il divieto di uscita è in vigore dal 16 marzo).

L'indirizzo d'omaggio al Santo Padre è stato pronunciato dal primo dei cardinali creati, il maltese Mario Grech, ed è stato dedicato alla sinodalità definita "forma e stile della Chiesa". Più che un omaggio a nome di tutti, il discorso del vescovo emerito di Gozo è sembrata una dichiarazione d'intenti relativa al suo nuovo incarico come segretario generale del Sinodo dei vescovi. "Desidero che la Segreteria possa fare di più, ad esempio sostenendo i vescovi e le Conferenze episcopali nella maturazione di uno stile sinodale, senza interferire, ma accompagnando i processi in atto ai diversi livelli della vita ecclesiale", ha detto Grech. Papa Francesco, commentando la lettura del Vangelo, ha esortato i nuovi cardinali a non andare fuori "la strada del Figlio di Dio", ricordando loro che "il rosso porpora dell’abito cardinalizio, che è il colore del sangue, può diventare, per lo spirito mondano, quello di una eminente distinzione" e in quel caso "il pastore non è vicino al popolo, sente di essere 'un'eminenza' e sarà fuori strada". Al termine dell'omelia, il pontefice ha pronunciato la consueta formula di creazione con l'elenco dei nuovi membri del Collegio. Un momento seguito dal giuramento dei nuovi cardinali (che per l'occasione si sono tolti la mascherina indossata durante la cerimonia), dall'imposizione della berretta e dalla consegna di anello e Bolla.

Leggendo l'assegnazione del Titolo e della Diaconia, Francesco ha sussurrato alcune parole al neocardinale non elettore Raniero Cantalamessa, in saio francescano dopo aver ottenuto la dispensa dall'ordinazione episcopale. Poco dopo ha salutato un altro dei neoporporati ultraottantenni, Enrico Feroci, esclamando ad alta voce: "Il Papa fa cardinale un parroco". Feroci, che è parroco di Santa Maria del Divino Amore a Castel di Leva, si è vista assegnata la diaconia proprio della sua parrocchia. Oggi, intanto, la Messa domenicale all'Altare della Cattedra della Basilica di San Pietro concelebrata dai tredici nuovi cardinali che sono, oltre ai già citati, Marcello Semeraro, Antoine Kambanda, Wilton Daniel Gregory, Celestino Aós Braco, Augusto Paolo Lojudice, Mauro Gambetti, Felipe Arizmendi Esquivel e Silvano Maria Tomasi. Sono dieci i nuovi membri del Collegio che potrebbero entrare in un eventuale Conclave. Con sette Concistori - in un arco di quasi otto anni di pontificato - Francesco si avvicina a San Giovanni Paolo II che ne fece nove ma in quasi ventisette anni, supera San Paolo VI (sei in quindici anni), mentre ha già surclassato San Giovanni XXIII (cinque in meno di cinque anni) e il suo predecessore Benedetto XVI (cinque in sette anni). 

Nico Spuntoni

https://lanuovabq.it/it/concistoro-in-mascherina-per-i-nuovi-cardinali

Dies irae. La difesa infima dell’Espresso. E si “dimentica” di rispondere alle 12+2 domande. Altra carta straccia, per il giorno del giudizio che arriverà. Dies illa…


Le anticipazioni dell’Espresso, che domani domenica 29 novembre 2020 in edicola ritorna sul caso Becciu, rafforzano una certezza. Questa difesa infima del killeraggio mediatico ai danni del Cardinale Angelo Becciu (che sempre cardinale è, contrariamente a quanto vuole far credere L’Espresso ai suoi “attenti lettori”) operato dal falsario Massimiliano Coccia, che si spacciava per segretario del Papa, è una lagna. Carta straccia, sic et simpliciter.

Il settimanale smascherato da Libero mette la classica toppa peggio del buco. “L’Espresso, la prima pagina dedicata a Papa Francesco: una pezza sullo scandalo-Becciu?”, scrive Renato Farina su Libero: “Dopo aver dato spazio al millantatore che ha ingannato il Vaticano sul caso Becciu, il settimanale dedica il nuovo numero a Francesco e al suo ‘rinnovamento della Chiesa’”. Sbattendo le due parole – Dies irae – in copertina, Damiliamo avrebbe dovuto leggere e riflettere sul resto, la sorte che attende tutti noi, nel giorno del Giudizio Universale, ma per lui e la sua testata anche prima, in un tribunale terreno però.

Dies irae, dies illa, dies tribulationis et angustiae, dies calamitatis et miseriae, dies tenebrarum et caliginis, dies nebulae et turbinis, dies tubae et clangoris super civitates munitas et super angulos excelsos.

Giorno d’ira quel giorno, di angoscia e di afflizione, giorno di rovina e di sterminio, giorno di tenebre e di caligine, giorno di nubi e di oscurità, giorno di squilli di tromba e d’allarme sulle fortezze e sulle torri d’angolo.


Le anticipazioni dell’Espresso di domani

“Dies irae: L’Espresso in edicola e online da domenica 29 novembre”
La rivoluzione di Papa Francesco
di Angiola Codacci-Pisanelli
L’Espresso online, 27 novembre 2020

«Il primo piano del volto di un uomo anziano assorto nei suoi pensieri, le dita posate sulle labbra lasciano intravedere un grosso anello con una croce. Così da vicino, Papa Francesco non lo ha mai visto nessuno, tanto che il lettore a stento lo riconosce. Ma proprio a lui è dedicata la copertina del nuovo numero dell’Espresso. Il titolo è comprensibile a tutti, anche se è in latino: “Dies irae”, il giorno dell’ira, il giorno del giudizio. Quello che segna l’inizio di un’epoca di rinnovamento della Chiesa. Una rivoluzione che porterà prima di tutto pulizia e trasparenza in Vaticano. Ma anche l’alleanza con il nuovo presidente americano, il cattolico Biden. L’impegno per un’economia giusta. E nuovi cardinali per il conclave che, un giorno, sceglierà il successore di Bergoglio.
“La rivoluzione non si ferma” si intitola il lungo articolo di Marco Damilano: un ritratto del Papa a tutto tondo, dalle lotte interne ai grandi nomi della società civile coinvolti nelle accademie, ai propositi raccolti nel nuovo libro che esce a pochi giorni dal suo ottantaquattresimo compleanno. Non si ferma neanche, malgrado una richiesta di 10 milioni di euro di risarcimento, l’inchiesta dell’Espresso sull’ex numero tre del Vaticano, Monsignor Becciu: Massimiliano Coccia ricostruisce la scatola cinese di mediazioni che ha permesso all’ex cardinale di investire fondi vaticani in speculazioni spericolate, responsabili di voragini nei conti della Chiesa.

“La rivoluzione di papa Francesco non si ferma”
La pulizia nella Curia, l’appello per un’economia più giusta, il rapporto con Biden e i nuovi Cardinali in maggioranza nel Conclave. Così Bergoglio guida il rinnovamento della Chiesa
di Marco Damiliano
L’Espresso online, 27 novembre 2020

«L’uomo che il mondo chiama Francesco comincia ogni mattina la sua giornata con una risata. Più che un sorriso, una risata lunga, calda, coinvolgente. Fare una risata all’inizio della mattina fa bene allo spirito, sostiene, soprattutto nell’ora di tenebra che sta vivendo il mondo, di una barca in tempesta, in balia delle onde, con l’umanità fragile e disorientata per la pandemia, come disse nel momento più drammatico, citando il Vangelo di Marco e ricordando che, in mezzo alle onde furiose e con i discepoli terrorizzati, il Maestro dormiva sereno. Anche la Chiesa che è stato chiamato a guidare assomiglia a quella barca impaurita. E alcuni uomini che reputava più vicini, quelli che avevano giurato di essergli fedeli usque ad sanguinis effusionem, fino all’effusione del sangue, il sacrificio della vita, non hanno esitato a tradirlo, con la loro condotta privata e pubblica. L’uomo chiamato Francesco, però, non smette di essere sereno. Non arretra. Non crede di avere molto tempo ancora per svolgere l’opera di rinnovamento che gli è stata affidata. Rilancia».

Quindi, secondo L’Espresso il Santo Padre (non è il mondo che lo chiama Francesco, è il nome che ha scelto dopo la sua elezione a Vescovo di Roma e Sommo Pontefice della Chiesa Cattolica Romana) inizia la sua giornata con una lunga risata, anche se pensavamo che la iniziasse con una preghiera rivolta al Signore, visto che è il Vicario di Cristo. Ma cosa ha da ridere l’Uomo che Veste di Bianco, come riesce a stare sereno, vedendo la devastazione della Chiesa e della fede dei cattolici? O ride proprio per questo? Quel che sia, alla fine ride bene chi ride ultimo.

Un fatto è certo: Coccia dopo le ore 20.19 del 19 novembre non ha fatto più post sul suo diario Facebook. Damilano batte un colpe (che ci ha fatto ridere molto a lungo), ripreso a scrivere, prima da solo e ora con Codacci-Pisanelli che adopera il turibolo come tureferario incaricato. Dopo lo scoop di Feltri, che su Libero ha smascherato le falsità dell’Espresso sul Cardinale Becciu, l’articolo di Scaraffia sul gruppo del Quotidiano Nazionale e l’intervista di Minoli a Scaraffia, sembra che Coccia nella naftalina ha giocato con delle scatole cinese. Vedremo.


Scatole cinesi autentiche, non farlocche da falsario.

Oppure, Damiliano riferisce sempre alle falsificazioni “esclusive” (difficile chiamarlo “inchiesta”) del Coccia, alias Don Andrea Andreani, vecchie di 2 mesi, che furono annunciate da Angiola Coddacci-Pisanelli in una anticipazione dal titolo “Ecco perché il cardinale Becciu si è dimesso: L’Espresso di domenica 27 settembre”: «C’è papa Francesco visto di spalle sulla copertina del nuovo numero dell’Espresso. Ha in mano un crocifisso d’argento reso fosforescente dal lampo dei flash. E il gesto non sembra di benedizione ma di minaccia: “Fuori i mercanti dal tempio”, invoca il titolo che rimanda a un’inchiesta esclusiva di Massimiliano Coccia. Che scavando nella gestione del denaro del Vaticano ha scoperto centinaia di milioni nascosti in scatole cinesi e fondi offshore. Affari di famiglia finanziati con le elemosine destinate ai poveri. Indagini interne che si concentrano sul cardinale Becciu e, con la notizia dell’inchiesta dell’Espresso, lo portano a delle frettolose dimissioni. Mentre il Papa ordina: pugno di ferro contro i corrotti”».


Dall’Uomo che Veste di Bianco che minaccia e non benedice, dobbiamo ancora vedere il “pugno di ferro contro i corrotti” che avrebbe ordinato secondo L’Espresso, nel suo tribunale però per mano dei suoi magistrati, non solo nella sua personale giustizia sommaria della cacciata, il tagliare di teste virtuale da Mastro Titta, ‘er boia de Roma nei Stati Pontifici.

Il risultato di tutto quel scavare nelle fantomatiche scatole cinesi è che ‘er Coccia si stava iniziando a auto-scavare la fossa. Appunto perché il suo castello cinese è sbriciolato come la merenga tra le mani del collegio difensivo del Cardinale Angelo Becciu. A seguito delle “indagini interne che si concentrano sul cardinale Becciu e, con la notizia dell’inchiesta dell’Espresso, lo portano a delle frettolose dimissioni”.

Ed ecco, ritorniamo sempre alla copia de L’Espresso che era sulla scrivania davanti al Papa quando ha cacciato Becciu, obbligandolo a presentare le dimissioni… “frettolose” sì, un modo burrascosa a sorpresa in quella Udienza delle ore 18.00. Fatto che oggi Damiliano tenta di nascondere ai suoi “attenti lettori”.

Intanto, delle 12 domande di Feltri e delle 2 aggiuntive nostre [QUI], ma soprattutto delle 12+2 risposte di Damilano pare non esservi traccia.

O dobbiamo prendere per risposta quello che Damiliano scrive, sempre ieri, nell’edizione dell’Espresso online dal titolo “Tutti gli errori dell’ex cardinale Angelo Becciu nelle accuse che lancia all’Espresso”? Per davero?

Intanto, inizia con una affermazione fuori della realtà: “A due mesi dal nostro scoop, neanche una notizia è stata ancora smentita. E la difesa del non più porporato sembra solo un diversivo per cercare di cambiare discorso. Sua Eminenza Reverendissima cardinale Giovanni Angelo Becciu. Così si firma, per mezzo dei suoi legali in un atto di citazione, l’uomo che chiede dieci milioni di euro di risarcimento danni all’Espresso. È il primo errore, da cui ne conseguono tutti gli altri. Il cardinale Becciu ha ricevuto la porpora dalle mani di Francesco nel 2018, (…) ed è stato costretto a restituirla la sera del 24 settembre 2020, dopo un’udienza durata 23 minuti”.

E già qui c’è l’ennesima falsità che L’Espresso tenta di spacciare per vangelo ai suoi “attenti lettori”. Falso, perché Becciu sempre cardinale è (o a L’Espresso è arrivato l’informativa da “qualcuno” dentro la Città del Vaticano, che il Papa toglierà la porpora a Becciu? Vedremo).

Poi, “in due mesi nulla di quanto scritto nella nostra inchiesta è stato smentito”. Altro falso.

E infine, un paragrafo che ha provocato una lunga risata, questa volta a noi: “All’Espresso viene chiesto di spiegare: come mai sul nostro sito è stata creata una pagina con il titolo “Ecco perché Becciu si è dimesso” alle ore 10.12 del 24 settembre, sette ore e 40 minuti prima che le dimissioni avvenissero. O addirittura, come abbiamo fatto a «divulgare la notizia con due ore e 18 minuti prima che cominciasse l’udienza del papa con il cardinale», hanno reclamato di conoscere gli improvvisati agenti mediatici del cardinale. Ma se era stata divulgata allora lo sapeva non solo il papa, ma anche Becciu, tutto il Vaticano e il resto del mondo, e l’udienza non si sarebbe mai svolta. Un mondo parallelo”.

Ecco, fatto è che Becciu non lo sapesse prima dell’Udienza delle ore 18.00; in Vaticano lo sapessero solo coloro che hanno stilato e fatto arrivare l’informativa, caricato da Coccia alle ore 10.12 online, sette ore e 40 minuti prima che cominciasse l’Udienza in cui l’Uomo che Veste di Bianco ha cacciato Becciu; nel resto del mondo lo sapesse solo L’Espresso. Quello che Damilano ha inteso come una smentita, è una conferma di quanto affermato e dimostrato dal difensore del Cardinale Becciu.

E quanto segue è penoso, una lagna. Se fosse stato a firma del falsario Coccia, nell’ordine delle cose. Ma a firma di un giornalista come Damiliano, incomprensibile: “Solo chi non mette piede nella redazione di un giornale da decenni può fare domande del genere. Solo chi ha dimenticato l’angoscia di scrivere qualcosa che sarebbe poi smentito dalla realtà, l’ansia quotidiana di chi fa il nostro mestiere, può immaginare che un titolo sia costruito con ore di anticipo rispetto a un avvenimento che dipende dalla volontà di altri. In questo caso, addirittura dalla volontà del papa, che non può essere condizionato da nessuno nella sua decisione. In ogni caso, quel titolo non è stato composto con mezza giornata di anticipo. Lo posso affermare con certezza perché l’ho scritto io, alle ore 22.27, quando la notizia era sulle agenzie di stampa da più di due ore. Così come il tentativo di spostare l’attenzione dall’inchiesta al suo autore (Massimiliano Coccia) è una manovra fin troppo banale per una persona intelligente come il cardinale Becciu. Un diversivo. Affidarsi agli avvocati mediatici sbagliati, i meno titolati a giudicare il percorso professionale altrui, dato il loro passato: ecco un altro errore di Sua ex Eminenza. Troppi per chi si riteneva degno di diventare papabile nel prossimo conclave, quantificando la perdita del trono di Pietro in dieci milioni di euro. La nostra inchiesta, intanto, andrà avanti. Come si vede sull’Espresso di questa settimana”.

Pensandoci meglio, penoso è dire poco. Rende miglio l’idea, produzione di carta straccia.

“Humanum fuit errare, diabolicum est per animositatem in errore manere”. La frase di Sant’Agostino dai suoi Sermones è perfetta come conclusione, dopo aver letto la “difesa” infima di Damiliano: “Cadere nell’errore è stato proprio dell’uomo, ma è diabolico insistere nell’errore per superbia”.

L’Espresso in ginocchio dal Papa. Così prova a metterci una pezza
di Renato Farina
Libero, 28 novembre 2020

Il falsario torna tra noi, portato in gloria dall’Espresso che gli rimette in mano l’alabarda di guardia svizzera un tantino abusiva. Massimiliano Coccia, stavolta portato sulle spalle dal suo direttore Marco Damilano, ci riprova a fare il boia, perché la prima volta non gli è riuscito tanto bene. Era convinto, lui insieme ai suoi burattinai, di aver decapitato e seppellito senza processo, ovvio, il cardinale Angelo Becciu. Era il 24 settembre. Vittorio Feltri su Libero ha risposto punto per punto con una controinchiesta, restituendo piena dignità all’uomo prima che al porporato, accusato di depredare i soldi della Chiesa per i poveri. Fallita l’imboscata, ci riprovano, poveretti, certo con strumenti più potenti dei nostri. Ma la vedremo.

È uscita ieri l’anticipazione a uso di propaganda del numero del settimanale in edicola da domenica. Viene riprodotta la copertina, dedicata al volto antico e vibrante furore di papa Francesco, col titolo «Dies Irae». È proprio sicuro L’Espresso che le saette dell’Onnipotente e del suo Vicario in terra non siano in realtà destinate a fulminare proprio chi ha creduto e crede di maneggiarle a proprio piacimento? Mah, non ne saremmo tanto sicuri. La presunzione di avere Bergoglio a disposizione delle proprie mire politico-teologiche parte dal presupposto di un Pontefice prigioniero del sacro imbroglio (definizione di Vittorio Feltri) ordito di qua e di là dalle Mura leonine. Ci ostiniamo a ritenerlo impossibile, e ne abbiamo dei segnali.

La “rivoluzione”

La trappola annunciata dall’Espresso è di più vasta pretesa e perciò persino più scoperta nei suoi fini estranei alla verità. Si tratta stavolta di impagliare la personalità del vescovo argentino di Roma in un progetto ideologico.

Questo lascia intendere Angiola Codacci Pisanelli, con movenze di penna da Isadora Duncan, a proposito dell’articolo-manifesto a firma del direttore Marco Damilano. «La rivoluzione non si ferma», questo il titolo trozkista che darà modo all’evangelista Marco (Damilano) di predicare il Nuovo Verbo domenica sui vostri schermi, altro che l’Angelus del Papa destinato al popolo bue dei poveri fedeli, basato sul Vangelo old style. Spiega la Codacci che ce n’è un altro: «Quello che segna l’inizio di un’epoca di rinnovamento della Chiesa. Una rivoluzione che porterà prima di tutto pulizia e trasparenza in Vaticano. Ma anche l’alleanza con il nuovo presidente americano, il cattolico Biden. L’impegno per un’economia giusta. E nuovi cardinali per il conclave che, un giorno, sceglierà il successore di Bergoglio». La redattrice dell’Espresso non si tiene nella pelle per l’entusiasmo verso il proprio direttore-profeta: «Un ritratto del Papa a tutto tondo, dalle lotte interne ai grandi nomi della società civile coinvolti nelle accademie, ai propositi raccolti nel nuovo libro che esce a pochi giorni dal suo ottantaquattresimo compleanno».

Fantastico. Chiara l’ideologia di questa sinistra onnicomprensiva. E si capisce benissimo perché occorreva far fuori un cardinale non assimilabile a questo disegno, e – per il ruolo avuto di sostituto della Segreteria di Stato e prefetto delle Cause dei santi – in grado di rompere le uova nel paniere al progetto in cui, dentro e fuori il Vaticano, si vuole incapsulare Francesco. In questa visione per Bergoglio è prefigurato il ruolo di condottiero pan-religioso rispetto a quello di maresciallo politico-finanziario rappresentato (per ora) da Biden. Una riedizione della dottrina eretica medievale dei «due Soli». Il Papa bolivariano e terzomondista, oltre che capo dell’Onu delle religioni, condurrà la lunga marcia rivoluzionaria a braccetto con la sinistra liberal-americana, sancendo l’alleanza globale cino-american-vaticana. Damilano arriva a spiegare come, essendo anziano, Bergoglio stia anticipando le intenzioni dello Spirito Santo come Chávez con Maduro, con una scelta scientifica dei prossimi cardinali (e l’esclusione di chi potrebbe rompere le scatole al Conclave).

Visonario, il nostro Damilano. Ma è così impegnato ad affrescare il neo-mondo e la neo-Chiesa onde collocare il Papa nel presepe politicamente corretto, che si dimentica di rispondere alle nostre 12 banali domande. Come diavolo faceva L’Espresso il 24 settembre a scrivere, 7 ore e 48 minuti prima dei fatti, che il Papa avrebbe imposto le dimissioni al suo stretto collaboratore? Questo è solo uno dei quesiti. Perché tace? Sapeva delle attitudini da falsario praticate dal suo segugio Coccia, che per questo reato è stato destinato dal Tribunale di Roma a «lavori di pubblica utilità»?

Ma ecco che, appena l’abbiamo nominato, Coccia ritorna. Scrive Codacci Pisanelli (anche lei il 24 settembre ha pubblicato sul web la notizia delle dimissioni di Becciu 2 ore e 18 minuti prima del fatto): «Non si ferma neanche, malgrado una richiesta di 10 milioni di euro di risarcimento, l’inchiesta dell’Espresso sull’ex numero tre del Vaticano, Monsignor Becciu: Massimiliano Coccia ricostruisce la scatola cinese di mediazioni che ha permesso all’ex cardinale di investire fondi vaticani in speculazioni spericolate, responsabili di voragini nei conti della Chiesa».

Silenzio oltretevere

Scatole cinesi? Aspettiamo di aprirle anche noi per osservare le impronte digitali. Le sue precedenti puntate sono state così farlocche che – dice l’avvocato Natale Callipari, legale di Becciu – «in 41 anni di professione non mi era mai capitato di trovarmi davanti una serie di accuse così incredibilmente false che per smontarle mi è bastato una prima verifica alle fonti attingibili da chiunque negli atti depositati. Lo si è fatto con una tranquillità assoluta, perché chi ha agito era convinto che il cardinale sarebbe stato impossibilitato a difendersi». Possibile che nessuno abbia ancora informato il Santo Padre che l’autore del fake-scoop contro Becciu sia quello stesso sedicente don Andrea Andreani, spacciatosi per suo segretario personale e denunciato per questo, nel febbraio 2019, al Tribunale vaticano dal giornalista Enrico Rufi, vittima dei suoi inganni infami? Il quale aspetta di sapere perché, nonostante il cardinal Dominique Mamberti ne abbia informato il Pontefice (vedi Libero del 21 novembre), il provvedimento riposi ancora sulla scrivania dei promotori di giustizia.



28 Novembre 2020   Blog dell'Editore

di Vik van Brantegem

http://www.korazym.org/51796/dies-irae-la-difesa-infima-dellespresso-e-si-dimentica-di-rispondere-alle-122-domande-altra-carta-straccia-per-il-giorno-del-giudizio-che-arrivera-dies-illa/#more-5179

Come Bergoglio vuole rivoluzionare la Curia



Un concistoro straordinario, il secondo del suo pontificato, è il coniglio che Bergoglio tirerà fuori dal suo zucchetto per rivoluzionare la Curia vaticana ponendola al servizio degli ultimi più che della dottrina. L’occasione gliela darà l’agognata fine dell’emergenza sanitaria, quando tutti i porporati del mondo, per ordine del Sommo Pontefice, si ritroveranno riuniti, con gli assembramenti di nuovo legalizzati, a pregare per l’umanità. Ma quello che in realtà il Papa vuole dimostrare urbi et orbi con questa adunanza straordinaria è che il suo magistero è solido e non teme scismi grazie alla maggioranza delle porpore elevate quasi tutte a sua immagine e somiglianza.

Il piano di Bergoglio


Coglierà il pretesto del concistoro per presentare in pompa magna, con un motu proprio, la Praedicatae Evangelium la bramata riforma della Curia romana, da sempre promessa e mai attuata e le cui linee fondamentali Il Tempo è in grado di anticipare. Ma Papa Francesco, dalle poche notizie che filtrano intenderebbe fare una forzatura e presentarsi, direttamente con un motu proprio, con quella che, più che una semplice riforma, pare sarà una vera e propria rivoluzione della Curia romana. Da quando l’ha introdotta Pio V a metà Cinquecento, la Curia romana segue una gerarchia di apparati ben precisa: dopo il Supremo (il Papa), viene la Congregazione della dottrina della fede (che è anche, oltretutto, il vero tribunale papale), i dicasteri disciplinari (quelli dei vescovi, clero e religiosi), e quelli pastorali (Propaganda Fide, l’Educazione Cattolica ed altri).

Secondo i piani di Papa Francesco, questa gerarchia dovrebbe essere così rovesciata: prima Propaganda Fide (che incorporerebbe anche la Nuova Evangelizzazione), poi un neonato dicastero della Carità (che accorperebbe almeno due degli attuali dicasteri), poi ancora un nuovo dicastero della Giustizia. La consacrazione quindi della Chiesa dei Poveri. In base al decorso della pandemia, le date possibili per convocare questo concistoro straordinario, che prevede l’arrivo sotto il Cupolone di oltre cento cardinali, potrebbero coincidere con una delle feste delle Madonne più amate, ossia il 11febbraio (Madonna di Lourdes), oppure il 13 maggio, il giorno della Madonna di Fatima.

Quel Cardinale che sussurra al Papa

Ma chi può aver convinto il Papa, finora sempre riottoso, a chiamare a consulto il supremo organo della Chiesa dopo la non particolarmente felice esperienza del febbraio 2014, in cui venne discussa e contestata da ben 15 porpore l’impostazione decisa dal cardinal Walter Kasper sul sinodo per la famiglia e in cui si accendeva un faro sui divorziati? Secondo i rumors di Santa Marta, si tratta del cardinale dell’Honduras, Oscar Mariadaga: sarebbe riuscito a sussurrare a Papa Francesco di ordinare questa grande adunanza, consigliandolo sommessamente che non può più essere il ristretto consiglio del cardinali – passato dal cosiddetto C8 al C9 per arrivare poi ad uno striminzito C6, in modo molto gesuitico, dicono i maligni – a portare avanti la faticosa ristrutturazione dell’apparato vaticano, predicando la collegialità e razzolando l’assolutismo.

Il concistoro straordinario è fondamentale non solo per supportare il Papa ma anche per fare in modo che la maggior parte dei porporati attesi a Roma, alcuni dei quali scelti “a sorpresa” da paesi remoti e sconosciuti, si conoscano e non solo, quando sarà, per eleggere il nuovo Pontefice. A curare la macchina organizzativa sarà l’ufficio del cardinale Giovanni Battista Re, dal 2018 decano del collegio cardinalizio.

Per creare una comunità, e non solo di spirito, i precedenti pontefici (San Giovanni Paolo II e Benedetto XVI) erano soliti riunire il Sacro Collegio prima di ogni concistoro “pubblico” in vista della creazione di nuovi cardinali o per le nuove canonizzazioni e lo stesso veniva fatto con il Sinodo dei Vescovi. Ciò al fine di garantire – da parte del Vicario di Cristo – quella sede preparatoria di confronto, collegialità e condivisione propria del così detto “Senato del Papa”. Il Pontificale Romano prevede infatti che, quando sono riuniti in concistoro, dopo ogni annuncio del Papa (decisioni, canonizzazioni, nomine cardinalizie, scelta dei vescovi per le diocesi più importanti), i cardinali siano interpellati uno ad uno e invitati a manifestare il loro pensiero. Che può essere un “placet”, un “non placet”, ma anche un placet iuxta modum (sono d’accordo a certe condizioni). Di questo, forse, Bergoglio ha un certo timore. Un terremoto quello della riforma della Curia che, se sarà così, farà tremare anche il colonnato del Bernini. In saecula saeculorum.

Luigi Bisignani, Il Tempo 29 novembre 2020

https://www.nicolaporro.it/come-bergoglio-vuole-rivoluzionare-la-curia/?utm_source=partner&utm_medium=link&utm_campaign=porro

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