Il “Patto di Assisi” e le attuali caricature ecclesiastiche di san Francesco.
Di san Francesco si parla anche all’inizio dell’enciclica “Fratelli Tutti” di papa Francesco. Il titolo stesso dell’enciclica è preso dalle parole del santo, che però, nel discorso fonte della citazione, egli rivolgeva ai suoi frati e non al genere umano come la “Fratelli tutti” fa credere.
Inoltre, nell’enciclica la figura di san Francesco è forzatamente stiracchiata, soprattutto tramite il travisamento del suo viaggio in Egitto per incontrare il Sultano. Del resto, la “Fratelli tutti” è piena di considerazioni sociologiche e politiche che non possono essere facilmente ricondotte al santo di Assisi, come invece essa pretenderebbe. Anche la Laudato sì’ – che prende addirittura il titolo da una lauda di san Francesco – vorrebbe far passare come francescane molte sue considerazioni e valutazioni opinabili e anche contestabili sul clima.
Siamo allora alla presenza di una sistematica deformazione di san Francesco, per farlo diventare il “logo” di una pastorale e di una politica ecclesiastica nella quale il santo è tirato per i capelli e la sua vita e il suo messaggio vengono secolarizzati in un ecologismo alla moda e in una fratellanza politicamente corretta.
Come antidoto, allora, può essere molto utile leggere cosa scriveva di san Francesco il grande storico della filosofia Étienne Gilson nell’opera “La filosofia di san Bonaventura” del 1978 [che di seguito citerò nella edizione Jaka Book del 2017]: in essa non c’è traccia di alcuna caricatura di san Francesco e quindi può fare appunto da valido antidoto alle caricature attuali. Gilson si occupa qui di san Francesco perché san Bonaventura era frate francescano. Egli, accanto a san Tommaso, fu tra i più grandi filosofi e teologi della Scolastica nonché Dottore della Chiesa, e, poco più che trentenne, dovette lasciare l’insegnamento per diventare il settimo successore di san Francesco alla guida dei Minori. Secondo Gilson, “ciò che san Francesco aveva vissuto e sentito, san Bonaventura lo avrebbe pensato”: da qui la necessità, per poter presentare la filosofia di san Bonaventura, di dire cosa san Francesco avesse “vissuto e sentito”.
“San Francesco tendeva a vivere in una sorta di contatto permanente con la vita divina; lo cercava innanzitutto nella solitudine, e san Bonaventura aveva ragione di dire che la vita eremitica era uno degli elementi costitutivi dell’ideale francescano … il corpo nel quale la sua anima era rinchiusa restava la sola barriera che lo separasse dal cielo; fin da questa terra era cittadino della patria celeste… ma la sua barriera di carne gli permetteva di isolarsi dal mondo mentre essa lo separava da Dio. Mente gli si parlava, troncava la conversazione smettendo di intendervi; era ancora là col corpo, ma era rientrato in se stesso; la sua anima era partita, non era più di questo mondo. Quando queste visitazioni divine lo coglievano in pubblico, si faceva una cella col proprio mantello; se non aveva mantello si nascondeva il viso con la manica; se credeva di non poterlo fare, si faceva una solitudine col suo stesso petto e il suo cuore si comunicava con Dio”.
È molto difficile fare di questo santo il patrono della fratellanza esteriore, vuotamente umanistica, e l’esempio di un ambientalismo naturalistico. Egli viveva tutto nelle sue estasi, “Avendo toccato Dio, san Francesco ne poteva svelare la presenza anche là dove semplici mortali non l’avrebbero sospettato”, egli “leggeva il senso delle cose” perché “non era più di questo mondo”. Il santo “viveva permanentemente in mezzo ad una foresta di simboli”, “di qui quella gioia interiore ed esteriore che costantemente attingeva in tutte le cose; toccandole e contemplandole, sembrava che il suo spirito non fosse più sulla terra, ma in cielo”. Se da queste altezze si scende a parlare di seguire san Francesco differenziando e riciclando i rifiuti, cosa ne resta?
Si parla molto di come san Francesco chiamasse fratello e sorella gli elementi della natura. Sì, ma in che senso? “L’universo attraverso cui passava san Francesco era dotato di una essenza tutta particolare; come il suo corpo era per lui solo una barriera che gli nascondeva Dio, così il mondo attraverso cui si affrettava era solo un luogo di pellegrinaggio, un esilio di cui scorgeva già il termine. Anche qui san Francesco trasformava profondamente un tema conosciutissimo del suo ambiente e del suo tempo, quello del contemptus mundi. Per essere radicale, il suo disprezzo del mondo non aveva nulla di quel tetro odio in cui certi asceti credevano di dover avvolgere l’universo; in un certo senso ne usava come un campo di battaglia contro i principi delle tenebre, ma in un altro senso vi vedeva il chiaro specchio della bontà di Dio” (70-71). La sua era una ecologia divina.
Oggi si parla molto di risparmiare l’acqua, sentite come ne parlava san Francesco: “Quando si lavava le mani, faceva in modo di non lasciar cadere gocce d’acqua in posti dove rischiassero di essere calpestate dai piedi, perché l’acqua raffigura la santa penitenza ed è per mezzo dell’acqua del battesimo che l’anima è lavata dal peccato originale” (71).
Ascesi, contemplazione, lotta interiore, battaglia contro le tenebre, rifugio continuo in Dio, visione della natura con lo sguardo di Dio, preghiera, solitudine. Questo era san Francesco senza le stiracchiature di oggi.
Stefano Fontana
FRATELLI TUTTI, MANIFESTO GLOBALISTA POLITICAMENTE CORRETTO
23 Novembre 2020 47 Commenti
Marco Tosatti
Carissimi Stilumcuriali, riceviamo e volentieri rilanciamo questo editoriale del direttore del giornale, Vitantonio Marasciulo, apparso su Il Borgo di Monopoli, che tratta della recente enciclica di papa Bergoglio. Buona lettura.
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“FRATELLI TUTTI”
“Fratelli Tutti”, impone la domanda: si può vivere il valore del bene comune con tutti gli dei del mondo per una convivenza pacifica?
Non è facile dare risposta, perché il tema della fraternità come bene comune, è un tema complesso sebbene di disarmante semplicità che fa capo alla medicina della medicina: l’Amore! Il punto è: quale Amore ci rende liberi, ci rende fratelli e sorelle, ci rende la dignità umana salvaguardata?
L’enciclica di Papa Francesco firmata ad Assisi il 3 ottobre scorso, più che provenire dal capo del corpo mistico di Cristo, proviene piuttosto da un eminente esponente politico dell’ONU. Afferma che la fraternità universale si conseguirebbe insieme agli altri dei. L’ enciclica è un manifesto sociopolitico attraverso cui sviluppa temi etici che annacquerebbero la Trinità e ripiegherebbe Gesù Cristo ad un ecumenista spicciolo.
La domanda sorge spontanea: tutti gli dei sono uguali a Dio – Padre di Gesù Cristo?
L’enciclica avanza l’idea che per combattere il male nel mondo è necessaria la convivenza fra le religioni e fra i popoli. Si prefigurerebbe, secondo il mio modesto parere, una poltiglia, in cui tutto si mescola, finendo per non realizzare nessuna identità. C’è il sospetto che questo sacro documento voglia far passare Gesù Cristo, declassandolo a profeta, un Budda, un Maometto, uno dei tanti sani illuminati della storia dell’uomo. Sarebbe poi un controsenso alla prima lettura di domenica 18 ottobre: “Dal libro del profeta Isaia”: “(…) Io sono il Signore e non c’è alcun altro, fuori di me non c’è dio … Io sono il Signore, non ce n’è altri”.
Sui migranti papa Francesco fa un’analisi della carità che ristora, (sì), i cuori e dà senso del perché dell’accoglienza e dell’integrazione, ma allo stesso tempo afferma che provocano alterazioni al tessuto sociale e che bisogna aiutarli nel loro paese (v. punto 38). Il fenomeno dei migranti è complesso dentro il quale c’è tanto sporco interesse. (vedi Cina, Francia, Gran Bretagna con le loro egemonie nel continente nero). Ritorno al punto: quale Amore?
Nell’Enciclica non si trova scritto, a chiare lettere, e non sullo sfondo, che la salvezza proviene solo dall’Amore di Cristo che ha portato su di sé le nostre miserie fino alla croce. Quel corpo straziato e quel sangue sono segno che quell’Amore è offerto per tutte le sue creature, per ciascun uomo di questo pianeta e non per molti, come si celebra oggi durante l’epiclesi: “Il mio sangue versato per voi e per molti”. Vi è una sostanziale differenza rispetto all’edizione precedente in cui si diceva: “Il mio sangue versato per voi e per tutti”, per dire che Cristo è venuto a comunicare la vita del Padre per tutti, non per molti.
“Fratelli Tutti” avrebbe un senso se contemplasse il valore epicletico: “Il mio sangue versato per voi e per tutti”. Se considerassimo la versione “per molti”, che fine fanno gli altri, sono abbandonati da Cristo? Fratelli non di tutti, ma di molti?
Se non c’è dunque questo annuncio viene da sé pensare che siamo in presenza di un annacquamento della fede cristiana, posta sullo stesso piano delle altre religioni. Come la mettiamo poi con il primo comandamento della chiesa cattolica: “Non avrai altri Dio all’infuori di me”?
“Fratelli Tutti” è un manifesto globalista, politicamente corretto. Il valore della fratellanza universale è coniugato con i valori ontologici, spendibili per un discorso politicamente corretto: dignità umana, diritti umani, amicizia sociale, sussidiarità, etc. etc. Sembra come detto, un’enciclica redatta da un uomo politico, non dal capo del corpo mistico di Cristo. La fratellanza universale la si ottiene come insegna il Vangelo, nel riconoscere la comune paternità di Dio, tramite l’appartenenza all’unica Chiesa, non con l’appiattimento di tutte le religioni declinato nella solidarietà, rispetto ambiente, nel pacifismo. Questo è ideologia, non capo del corpo mistico di Cristo e custode della fede.
“Fratelli Tutti” stride con quanto successo con il card. Becciu e precedentemente con altri prelati cacciati via senza appello. In nome di “Fratelli Tutti”, quantomeno ci si aspettava più misericordia nei confronti di quanti hanno perso l’incarico, sebbene si fossero macchiati di mancanze. Se non c’è unione negli ambienti sacri del Vaticano, dove si decidono le sorti della Chiesa cattolica apostolica romana, come si può parlare di fratellanza?
Sinceramente mi sarei aspettato di più, perché la fede di cui il Pontefice, come detto, è custode, non può essere annacquata alle logiche del politicamente corretto. Certo gli altri dii sono portatori di luce, di sapienza, di benessere, di ordine, ma la salvezza viene solo da Gesù Cristo, figlio di Dio, seconda persona della Santissima Trinità, che si è incarnato ed è risuscitato e sta con noi per comunicarci la vita del PADRE, fino alla fine dei tempi.
Se non è chiara questa suprema verità, sono in discussione anche i miracoli, che non avrebbero più senso, quelli posti sulla scala più alta della santità. Allora, perché papa Francesco ha firmato l’11 ottobre scorso ad Assisi la santità di Carlo Acutis?
Credo che l’abbia firmata, perché è stato Cristo, il figlio di Dio, che tramite il giovanissimo Carlo ha permesso di guarire un bambino di 6 anni in Brasile, affetto da una malattia congenita al pancreas. E così per i santi del passato. Lo stesso Francesco, una volta in Egitto dal sultano, non andò per annacquare la fede. L’enciclica Fratelli Tutti, invece, ha un’altra narrazione, che Francesco non era andato per fare polemica e imporre la fede in Cristo al sultano. Del contenuto dell’incontro parlano alcune fonti cristiane, tra cui quelle francescane e la Cronaca d’Ernoul, datata 1227-1229. In entrambe le versioni, Francesco riesce a parlare con il Sultano e ad annunciare la sua fede in Cristo, dichiarando a motivo della sua visita, la salvezza ad Malik al-Kāmil e del suo popolo. Vi è anche un’altra versione quella del racconto del card. Jacques de Vitry, che concorda con la versione della Cronaca d’Ernoul, specialmente riguardante l’attraversata coraggiosa di Francesco e di frate Illuminato. De Vitry racconta “che Francesco partì per il campo del Sultano d’Egitto senza alcuna paura, forte dello scudo della fede”. Il sultano da parte sua venne “convertito alla dolcezza dallo sguardo di quest’uomo di Dio”. Al contrario dell’Ernoul, De Vitry racconta che Francesco non solo si professò cristiano, ma ebbe modo di parlare al Sultano della sua fede in Cristo nel corso di diversi giorni e di essere ascoltato. Un racconto confermato da San Bonaventura. Francesco dunque non è andato ad annacquare la fede.
Lo stesso vale per altri santi: non hanno posto al centro il valore della dignità umana, cui appunto gli uomini del mondo sono per diritto naturale accomunati, ma hanno posto al centro Gesù Cristo, Figlio di Dio, che è la suprema dignità dell’uomo, da cui costruire una terra di fratelli e sorelle.
“Fratelli Tutti”, dunque, non può essere declinato con l’ideologia o con l’etica politica, ma mettere al centro Cristo, figlio di Dio nello Spirito Santo. La politica ha il fine di soddisfare i bisogni dei popoli: economici, servizi, finanziari, assistenziali, etc. etc. Ma è solo un corollario, perché l’essenza del bisogno sta all’interno dell’animo umano. Già l’animo.
- Chi ha in mano la conversione delle anime, conosce il mondo spirituale ed emotivo dell’uomo interiore? Solo Dio di Gesù Cristo sa di cosa ha bisogno l’uomo.
- Perché, dunque, non è stato posto al centro il Divino Trinitario?
Pur volendomi imporre una riserva alle osservazioni espresse fin qui, la riserva viene spazzata via perché non sta assolutamente in piedi, perché la salvezza proviene solo dal Dio Trinitario.
Conclusione. Con “Fratelli Tutti” la fede ne esce indebolita, Cristo ne esce indebolito, la chiesa ne esce disorientata.
- Che valore ha ancora la fede?
- Senza un valore trascendente preciso, come posso incontrare gli altri e quale dignità vivere?
“Fratelli Tutti” avrebbe una forza dirompente se solo i personaggi dell’organizzazione del sistema chiesa si svuotassero dei propri averi (vedi car. Angelo Becciu e prima ancora il card. Tarcisio Bertone, per non citare altre eminenze scoperte dal giornalista, Gianluigi Nuzzi).
Dico questo perché alla scuola di S. Paolo ho imparato che Gesù Cristo annientò sé stesso (exinanivit), per venire incontro agli uomini.
Vitantonio MARASCIULO
(borgomensile@libero.it)
https://www.marcotosatti.com/2020/11/23/fratelli-tutti-manifesto-globalista-politicamente-corretto/
Padre nostro / Ecco perché continuerò a pregare dicendo “e non ci indurre in tentazione”
Cari amici di Duc in altum, vi propongo il mio più recente intervento per la rubrica La trave e la pagliuzza in Radio Roma Libera. Il tema è la nuova versione del Padre nostro.
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Vorrei spiegare in due parole perché continuerò a recitare il Padre nostro dicendo “e non ci indurre in tentazione” e quindi non adotterò la nuova traduzione secondo la quale dovrei dire “e non abbandonarci alla tentazione”.
Dio può indurci in tentazione? Certo che può. Lo fa per il nostro bene. Indurci in tentazione significa metterci alla prova, e ogni buon educatore mette alla prova il discepolo, per vedere a che punto è nel cammino di formazione.
A causa del peccato originale, io sono continuamente tentato dal peccato. E Dio è liberissimo di indurmi in tentazione per verificare la mia fedeltà, per testare la mia fortezza, per consentirmi di misurare la mia disponibilità a spogliarmi di me stesso al fine di seguire e servire solo Lui.
La tentazione serve a valutare. È come un’interrogazione, come un compito in classe.
Il fedele che chiede al Padre “non mi indurre in tentazione” è come l’alunno che implora l’insegnante: “Per favore, non mi interroghi!”. Lo studente sa benissimo che l’insegnante, se è tale, dovrà interrogarlo, però, piccolo e debole com’è, ci prova lo stesso.
Esattamente come lo studente nei confronti dell’insegnante, anche noi fedeli sappiamo benissimo che, prima o poi, il Padre ci indurrà in tentazione, però, piccoli e deboli quali siamo, ci proviamo lo stesso: “Per favore, Padre, ti supplico; siccome non ho studiato e non sono pronto, non mi mettere alla prova, non mi interrogare”.
Ma allora, mi chiederete, perché, subito dopo, diciamo al Padre “ma liberaci dal Male”?
Lo diciamo – per restare al paragone scolastico – perché, sapendo di essere perennemente impreparati ed essendo ben coscienti della nostra ignoranza, ci rivolgiamo al Padre in questo modo: “Senti, invece di interrogarmi, di mettermi alla prova, per favore liberami del tutto dall’ignoranza in cui mi trovo”. Richiesta comprensibile, e anche legittima se e quando è motivata non da opportunismo ma da sincero desiderio di superare l’ignoranza. Richiesta, tuttavia, che per il nostro bene è impossibile da soddisfare. Perché, a causa del peccato originale, io sono completamente esposto al rischio del peccato e ho bisogno del decisivo aiuto del Padre per non esserne fagocitato.
Secondo me il “non ci indurre in tentazione” non solo non andava cambiato, ma è molto bello. Esprime tutta la nostra piccolezza, la nostra inadeguatezza. Ma esprime anche la confidenza con il Padre. Pur sapendo che non potrà accogliere la nostra richiesta (perché è chiaro che, se è veramente Padre, Egli ci indurrà in tentazione, e lo farà per il nostro bene, per la nostra crescita), noi gli chiediamo ugualmente di risparmiarci la prova e di liberarci dall’ignoranza, ovvero dal peccato. La richiesta non sta in piedi, perché il Padre, proprio in quanto tale, ha non solo il diritto ma il dovere di metterci alla prova, ma noi la formuliamo come fanno i piccoli alunni nei confronti del maestro. È una richiesta insieme assurda e tenera, con la quale diciamo quanto siamo piccoli e, nello stesso tempo, ci mettiamo del tutto nelle mani del Padre.
Se invece dico “non abbandonarmi alla tentazione” affermo due cose. Primo, che la tentazione, la prova, non ha alcun valore educativo ma è solo una cattiveria. Secondo, che il Padre può in effetti abbandonarmi, cioè togliersi di mezzo, sparire, lasciarmi solo di fronte al peccato. E, in questo modo, dico una cosa terribile, perché implicitamente accuso il Padre di potersi disinteressare di me.
Io preferisco di gran lunga un Padre che, per il mio bene, mi induce in tentazione piuttosto di uno che mi può abbandonare al peccato. Il primo è un educatore. Certamente severo, ma tutto dalla mia parte, tutto schierato con me nella lotta al peccato, uno che mi è sempre accanto. Il secondo, visto che mi può abbandonare, non è un vero educatore. Magari apparirà più simpatico, meno arcigno, ma non è veramente dalla mia parte.
I sostenitori della necessità della nuova traduzione dicono è stato fatto un grande passo avanti teologico, perché si è resa giustizia a Dio, il quale “può volere solo il nostro bene”. E aggiungono: “Prevale la visione di Dio misericordioso, Dio amore, quella che piace a papa Francesco”. Infatti “quando Gesù insegnò la sua preghiera agli apostoli non trasmise un’immagine arcigna di Dio, ma lo chiamò Padre”.
Mi sembra che qui siamo di fronte a un grande fraintendimento.
È proprio perché Dio è amore, e vuole il nostro bene, che può indurci in tentazione. Se non lo facesse, se non ci mettesse alla prova, non sarebbe veramente Padre e non dimostrerebbe autentico amore.
Il santo Curato d’Ars scrisse che “la tentazione è per noi molto necessaria, per poter conoscere chi siamo veramente”. È proprio così. È necessaria in quanto verifica, in quanto prova. “Niente è più necessario della tentazione – aggiungeva san Jean-Marie Vianney – per renderci convinti del nostro nulla e per impedirci di lasciarci dominare dall’orgoglio”.
Se gli chiedo di non abbandonarmi alla tentazione dimostro di non avere una grande considerazione del Padre. Come immaginare che possa abbandonarmi se Egli è Amore?
Ho l’impressione che l’abolizione del “non indurci in tentazione” nasca da quella mentalità sessantottina che all’epoca nelle università pretese di eliminare gli esami e di imporre il “diciotto politico”. Così come allora il presunto diritto dello studente alla promozione veniva fatto prevalere sul dovere, che il docente in quanto tale ha, di valutarne la preparazione, oggi il presunto diritto del credente di essere perdonato viene fatto prevalere sul dovere di Dio di metterne alla prova la fede. Non a caso, i paladini dell’abolizione del “non indurci in tentazione” appartengono allo stesso filone teologico che ha messo in soffitta il peccato. In primo piano non c’è più Dio, non c’è più il giudizio divino, ma c’è l’uomo, con la sua pretesa di essere comunque perdonato.
Ecco perché, con buona pace della Conferenza episcopale e del papa, continuerò a pregare come ci ha insegnato Gesù.
Aldo Maria Valli
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