Il punto di vista di Phil Lawler sul Rapporto McCarrick pubblicato su Catholic Culture

Eccolo nella mia traduzione. 

L’ex card. Theodore McCarrick

L’ex card. Theodore McCarrick ora ridotto allo stato laicale

 

Il Vaticano ha pubblicato un rapporto di 450 pagine sull’ex cardinale Theodore McCarrick, riconoscendo che le notizie sulla cattiva condotta sessuale di McCarrick erano circolate per anni, ma insistendo sul fatto che Papa Francesco non era a conoscenza di gravi accuse contro l’influente prelato americano fino a poco prima che fosse spogliato dei suoi onori ecclesiastici.

Il rapporto vaticano, tuttavia, solleva alcuni dubbi sulle azioni di due precedenti Pontefici, affermando che Papa Giovanni Paolo II ha nominato McCarrick arcivescovo di Washington nonostante le voci dannose, e Papa Benedetto XVI ha scelto di non intraprendere azioni disciplinari formali su rapporti più gravi.

Il rapporto attribuisce la colpa anche ai vescovi americani che “hanno fornito informazioni imprecise e incomplete” in risposta alle domande del Vaticano sulla condotta di McCarrick. Diversi vescovi americani sapevano – e hanno informato il Vaticano – che McCarrick aveva convinto i seminaristi a condividere il suo letto. Ma hanno scelto di non vedere quel comportamento come un segno di pericolo.

I dettagli del rapporto confermano alcune delle accuse mosse dall’arcivescovo Carlo Maria Viganó, ex nunzio apostolico negli Stati Uniti, in una drammatica accusa rilasciata nel 2018, riconoscendo che i funzionari vaticani erano a conoscenza di storie sull’omosessualità di McCarrick. Ma il rapporto mina l’accusa più dannosa dell’arcivescovo Viganó: che aveva messo in guardia papa Francesco su McCarrick diversi anni prima. Il rapporto recita: “Il nunzio Viganò ha affermato per la prima volta nel 2018 di aver menzionato McCarrick durante gli incontri con il Santo Padre nel giugno e nell’ottobre 2013, ma nessun documento sostiene il resoconto di Viganó e le prove di ciò che ha detto sono fortemente contestate”.

 

Domande chiave messe da parte

 

Due delle preoccupazioni che i critici avevano sollevato sull’influenza di McCarrick sono trattate solo brevemente nel rapporto:

I critici si sono chiesti perché un prelato sospettato di cattiva condotta abbia continuato ad agire come rappresentante del Vaticano in delicati colloqui internazionali, soprattutto nei negoziati con la Cina. Il rapporto vaticano tenta di sviare tale accusa, dicendo che “McCarrick non è mai stato un agente diplomatico della Santa Sede”. Ma anche se non era ufficialmente accreditato come inviato, lo stesso rapporto vaticano ammette che McCarrick era impegnato in una “diplomazia soft”. Infatti il rapporto rileva che fu riconosciuto come “un vescovo eccezionalmente laborioso ed efficace, in grado di gestire incarichi delicati e difficili sia negli Stati Uniti che in alcune delle parti più sensibili del mondo – compreso l’ex blocco orientale e in particolare la Jugoslavia”.

I critici hanno anche suggerito che l’ascesa di McCarrick tra i ranghi ecclesiastici sia attribuibile al suo leggendario successo come raccoglitore di fondi, che ha portato enormi contributi al Vaticano. Il rapporto nega categoricamente questa teoria:

“Nel complesso, il resoconto sembra mostrare che, sebbene le capacità di McCarrick nella raccolta di fondi siano state soppesate pesantemente, non sono state determinanti rispetto alle importanti decisioni prese in relazione a McCarrick, inclusa la sua nomina a Washington nel 2000. Inoltre, l’esame non ha rivelato prove che le abituali regalie e donazioni di McCarrick abbiano avuto un impatto sulle decisioni significative prese dalla Santa Sede riguardo a McCarrick in qualsiasi periodo.”

 

Un’indagine di due anni

 

Il rapporto vaticano, pubblicato dalla Segreteria di Stato il 10 novembre, è il risultato di un’indagine durata due anni. Il Vaticano era stato sottoposto a forti pressioni per fornire una spiegazione dell’ascesa di McCarrick, e della sua continua influenza all’interno della Chiesa, dopo le esplosive rivelazioni secondo le quali egli aveva abusato di giovani uomini – rivelazioni che avevano portato alle sue dimissioni dal Collegio cardinalizio nel giugno 2018, e la sua laicizzazione l’anno scorso dopo un processo canonico.

La relazione non si concentra sui dettagli della cattiva condotta di McCarrick, ma si concentra invece sulla questione del perché sia stato in grado di mantenere la sua posizione e la sua influenza per anni dopo che le notizie di quella cattiva condotta hanno cominciato a circolare.

Il Rapporto McCarrick sostiene che, sebbene le voci su McCarrick fossero diffuse al momento della sua nomina ad arcivescovo di Washington nel 2000, il Vaticano non aveva prove concrete di cattiva condotta. Il rapporto si preoccupa in modo particolare di affermare che Papa Francesco non era stato informato di accuse credibili. “Fino al 2017, nessuno, inclusi il cardinale Parolin, il cardinale Ouellet, l’arcivescovo Becciu o l’arcivescovo Viganò, ha fornito a Papa Francesco alcuna documentazione riguardante le accuse contro McCarrick…”.

 

“Informazioni imprecise e incomplete”

 

Tuttavia, come rivela il rapporto, il defunto cardinale John O’Connor di New York aveva espresso preoccupazione per le voci, prendendo posizione contro la promozione di McCarrick – che all’epoca era arcivescovo di Newark, New Jersey – a diventare arcivescovo di Washington. A quel punto il Vaticano interrogò gli altri quattro vescovi delle diocesi del New Jersey. Il risultato, dice il rapporto, scagionò McCarrick: “Tre dei quattro vescovi americani fornirono alla Santa Sede informazioni imprecise e incomplete sulla condotta sessuale di McCarrick con i giovani adulti”.

Significativamente, i vescovi del New Jersey hanno confermato la voce che il cardinale O’Connor aveva sentito: che McCarrick aveva convinto i seminaristi a dormire con lui in una casa sulla riva. Tuttavia tre dei quattro vescovi interrogati (i vescovi Hughes, Smith e McHugh) non vedevano alcuna ragione per incolpare McCarrick di questo comportamento. “Le risposte dei vescovi all’inchiesta hanno confermato che McCarrick aveva condiviso il letto con giovani uomini, ma non hanno indicato con certezza che McCarrick avesse avuto un comportamento sessuale scorretto”.

Il rapporto vaticano non spiega perché questi tre vescovi americani non considererebbero il fatto di andare a letto con giovani uomini come, come minimo, una grave scorrettezza e un’indicazione di imprudenza. Né indica perché i funzionari vaticani, informati di questo modo di comportarsi, hanno adottato lo stesso atteggiamento compiacente.

Consapevole delle preoccupazioni che erano state sollevate, l’allora arcivescovo McCarrick scrisse per difendersi, indirizzando una lettera personale non a papa Giovanni Paolo II ma al suo potente segretario, l’allora arcivescovo Stanislaw Dziwisz. In quella lettera McCarrick insisteva sul fatto che “non aveva mai avuto rapporti sessuali con nessun uomo o donna, giovane o vecchio, chierico o laico”. Apparentemente persuaso da quella lettera, Papa Giovanni Paolo II ha portato avanti il suo piano di nominare McCarrick a capo dell’arcidiocesi di Washington.

A quel punto, il rapporto assicura ai lettori che solo voci sul cattivo comportamento di McCarrick – non prove evidenti o anche accuse specifiche – erano giunte a Roma. Eppure il rapporto dice anche che almeno una donna aveva riferito l’approccio di McCarrick ai giovani uomini, in lettere inviate a molti prelati americani già negli anni Ottanta. Nessuna notizia di quelle accuse è giunta in Vaticano e nemmeno al nunzio del Vaticano a Washington, si legge nel rapporto.

 

Critica dell’arcivescovo Vigano

 

Più tardi, quando sono sorte specifiche accuse, papa Benedetto XVI ha riconosciuto il problema. Ma poiché McCarrick era già in pensione, papa Benedetto XVI ha scelto di non avviare procedimenti disciplinari formali. Ha invece ordinato a McCarrick di ritirarsi dalla vita pubblica. Il rapporto vaticano rileva che le direttive di Papa Benedetto XVI non erano sanzioni formali. “Erano, piuttosto, raccomandazioni, impartite a lui oralmente nel 2006 e poi per iscritto nel 2008…”. McCarrick ha ignorato queste istruzioni, mantenendo la sua alta visibilità.

Mentre continuavano ad emergere prove di cattiva condotta, il Vaticano rivela ora, il cardinale Marc Ouellet, prefetto della Congregazione per i Vescovi, chiese all’arcivescovo Vigano di “prendere alcuni provvedimenti, tra cui un’inchiesta con specifici funzionari diocesani”, per valutare l’accuratezza delle accuse. Il rapporto vaticano, nella sua nota più dannosa per coloro che riferirono le notizie (spie, ndr), dice: “Viganò non ha fatto questi passi e quindi non si è mai messo in condizione di accertarne la credibilità”.

Per quanto riguarda Papa Francesco, il rapporto dice che egli non ha agito contro McCarrick fino al 2017 perché non gli è stata presentata alcuna nuova prova:

Ritenendo che le accuse fossero già state riviste e respinte da Papa Giovanni Paolo II, e ben consapevole che McCarrick era attivo durante il pontificato di Benedetto XVI, Papa Francesco non vedeva la necessità di modificare l’approccio adottato negli anni precedenti.

 

Domande senza risposta

 

Nonostante la sua lunghezza e l’apparente completezza, il rapporto vaticano lascia due domande chiave senza risposta.

McCarrick era protetto da una rete omosessuale? La parola “omosessuale” non compare nel sommario del rapporto di 450 pagine, e solo raramente nel testo integrale. Ma l’arcivescovo Viganò ha accusato che la carriera di McCarrick è stata fatta avanzare dai chierici omosessuali, e che il presule americano a sua volta ha contribuito a promuovere altri membri della “mafia della lavanda”. Il contenuto effettivo del rapporto della Segreteria di Stato sostiene questa ipotesi. Perché alcuni vescovi americani hanno dato al Vaticano informazioni fuorvianti sul comportamento di McCarrick? Perché altri sono rimasti in silenzio su voci insistenti? Perché sia i vescovi americani che i funzionari vaticani non hanno riconosciuto il fatto di andare a letto con i seminaristi come un comportamento che dovrebbe squalificare un candidato alla promozione ecclesiastica?

Come ha impattato l’influenza di McCarrick sulla politica del Vaticano e sulla gerarchia americana? Per anni, anche dopo il suo ritiro e dopo le rivelazioni sui suoi abusi, McCarrick è stato una figura potente a Roma. Parlò del suo tentativo di promuovere l’allora cardinale Bergoglio come candidato al papato; in seguito si recò in Cina per parlare delle prospettive dei legami tra Roma e Pechino. Era considerato il prelato americano più influente nella nomina di nuovi vescovi per gli Stati Uniti. Le preferenze di McCarrick guidano ancora la politica vaticana? I suoi protetti stanno ancora avanzando tra i ranghi ecclesiastici?

Il rapporto vaticano riconosce la storia di Theodore McCarrick come un grave danno per la Chiesa cattolica. Ma non affronta la questione cruciale dell’influenza all’interno della Chiesa: l’influenza che McCarrick ha esercitato, e le influenze che lo hanno promosso.

Le tre lezioni del Rapporto McCarrick


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Sono almeno tre le lezioni che si ricavano dalle 447 pagine del “Rapporto” sul caso dell’ex cardinale Theodore McCarrick pubblicato il 10 novembre dalla segreteria di Stato vaticana:

> RAPPORTO…

> REPORT…

La prima lezione è l’inadeguatezza della risposta delle autorità della Chiesa – compresi gli ultimi tre papi – al progressivo montare delle accuse contro McCarrick.

Sono accuse che coprono un arco di decenni. Ma è soltanto quando nel giugno del 2017 arriva contro di lui la prima denuncia pubblica di aver abusato anche di un minorenne che scattano il processo canonico e la condanna.

Tutte le accuse precedenti riguardavano atti sessuali compiuti con giovani e adulti, tutti e solo di sesso maschile. Atti che McCarrick, negli anni in cui era vescovo di Metuchen e poi di Newark, presentava alle sue prede – si legge nel “Rapporto” – come “una cosa normale e accettata negli Stati Uniti”, specie se “tra sacerdoti”.

Evidentemente anche per le autorità ecclesiastiche la gravità di quegli atti non era giudicata tale da imporre un immediato e rigoroso accertamento della verità delle accuse.

In senso controcorrente si distinse il cardinale John J. O’Connor (1920-2000), arcivescovo di New York, autore, con una lettera del 28 ottobre 1999 alle autorità vaticane, del più forte richiamo d’allarme sulla reale gravità delle accuse contro McCarrick.

La lettera di O’Connor arrivò a papa Giovanni Paolo II ed ebbe l’effetto di bloccare la promozione di McCarrick ad arcivescovo di Washington, come già poco prima era avvenuto, per gli stessi motivi e sempre su pressione di O’Connor, per le sedi di Chicago e di New York.

Ma all’improvviso, nell’estate del 2000, Giovanni Paolo II cambiò posizione e insediò McCarrick a Washington. All’origine di questa inversione di marcia c’era sicuramente una lettera di McCarrick al segretario del papa Stanislao Dziwisz, nella quale egli assicurava che non aveva “mai avuto rapporti sessuali con alcuna persona, maschio o femmina, giovane o vecchio, chierico o laico”. Ma nel “Rapporto” c’è anche scritto che “sembra potersi presumere che la passata esperienza di Giovanni Paolo II in Polonia, relativa al ricorso a false accuse contro i vescovi per minare il ruolo della Chiesa, abbia inciso sulla sua inclinazione a dare credito alle smentite di McCarrick”.

Nel 2001, McCarrick è anche fatto cardinale. E come vicario generale della sua diocesi di Washington ha accanto a sé per quasi sei anni Kevin Farrell, che poi dirà di non aver mai visto “un solo gesto che fosse poco decente” del suo superiore, ma soltanto di aver udito “vecchie voci” contro di lui che comunque “non riguardavano l’attività sessuale”. E ciò benché in quegli stessi anni – notizia che non poteva certo sfuggire – le due diocesi di Metuchen e Newark delle quali McCarrick era stato precedentemente vescovo avessero pagato decine di migliaia di dollari per chiudere le vertenze con ex preti che lo avevano denunciato d’avere abusato sessualmente di loro.

Poco dopo la sua elezione a papa, nel 2005, Benedetto XVI ritenne invece le accuse sufficientemente “credibili” per chiedere a McCarrick di dare “spontaneamente” le dimissioni da vescovo di Washington entro la Pasqua del 2006, a 75 anni compiuti. Il che avvenne. In più, fu chiesto a McCarrick dall’allora cardinale prefetto della congregazione per i vescovi Giovanni Battista Re – nel 2006 oralmente e nel 2008 per iscritto – di “tenere un basso profilo e ridurre al minimo i viaggi”.

Benedetto XVI escluse invece che fosse avviato un processo canonico formale contro McCarrick per accertare la verità o no delle accuse, come era stato suggerito dalla segreteria di Stato con due “Appunti” del 2006 e del 2008 dell’allora delegato per le rappresentanze pontificie Carlo Maria Viganò.

Il risultato fu che in assenza di sanzioni canoniche McCarrick continuò come in precedenza a svolgere le sue attività pubbliche, compresi gli innumerevoli viaggi.

E così continuò senza sosta anche nei primi anni del pontificato di Francesco, al quale non fu consegnata – si legge nel “Rapporto” – alcuna documentazione specifica sulle accuse, che il nuovo papa  “riteneva fossero già state esaminate e respinte da Giovanni Paolo II”.

Fu solo dopo che nel giugno 2017 – come s’è detto – arrivò contro McCarrick l’accusa di aver abusato di una vittima con meno di 18 anni che papa Francesco lo dimise da cardinale, lo fece giudicare colpevole dalla congregazione per la dottrina della fede con procedimento penale amministrativo e infine lo ridusse allo stato laicale.

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La seconda lezione riguarda lo straordinario “successo” di McCarrick sia dentro la Chiesa che fuori, nonostante le accuse contro di lui e la richiesta di ritirarsi a vita privata.

Il personaggio era imbattibile come “fundraiser”. Fin da giovane si era creata una proficua rete di amicizie con ricchi benefattori, i cui figli chiamava “nipoti” facendosi chiamare da loro “zio Ted”, con nomenclatura che poi trasferì sui seminaristi e i giovani preti fatti oggetto delle sue pratiche omosessuali.

Fondò e diresse la Papal Foundation e fu sempre molto generoso in regalie a ecclesiastici di alto rango, anche se nel “Rapporto” si esclude che queste sue donazioni abbiano realmente influito sulle carriere di lui e dei suoi protetti, ad esempio sulla nomina di Blase Cupich ad arcivescovo di Chicago.

Viaggiò moltissimo in tutto il mondo, quasi sempre per conto di istituzioni religiose e laiche come la conferenza episcopale degli Stati Uniti, il dipartimento di Stato americano, la Santa Sede, il Catholic Relief Service. Si prodigò per il dialogo con l’islam, con l’ebraismo, con la Cina. A Cuba fu personaggio chiave della strategia distensiva di Barack Obama col regime castrista.

Il “Rapporto” precisa che mai “McCarrick agì come agente diplomatico della Santa Sede, né con alcun mandato ufficiale della segreteria di Stato”.

Tuttavia nello stesso “Rapporto” c’è scritto di ripetuti contatti tra McCarrick e il cardinale segretario di Stato Pietro Parolin fino a tutto il 2016, su Cuba, Cina e Medio Oriente. Nell’estate del 2014, alla vigilia di un ennesimo viaggio di McCarrick in Cina, il segretario ai rapporti con gli Stati Dominique Mamberti si era detto “completamente contrario a favorire qualsiasi iniziativa in Cina” del cardinale, ma il suo superiore Parolin volle ugualmente utilizzarlo come “canale alternativo”, “aderendo al precetto diplomatico che è meglio promuovere il dialogo e non chiudere mai una porta”.

Nel 2016, dopo un altro viaggio di McCarrick in Cina, a Parolin che gli faceva notare che “continua a scrivere. continua a viaggiare, continua a incontrare persone”, papa Francesco rispose che “forse McCarrick potrebbe ancora fare qualcosa di utile”.

Insomma, grazie a questa formidabile rete di contatti ai più alti livelli, a queste iniziative internazionali, ai legami con vescovi e cardinali influenti che pur sapevano – o sospettavano – delle sue pratiche omosessuali, McCarrick si credeva praticamente inattaccabile. E non temette di violare impunemente fino all’ultimo quel “basso profilo” che gli era stato non imposto, ma solo timidamente richiesto.

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La terza lezione ha a che fare con il grande accusatore Carlo Maria Viganò. Ed è una lezione per lui disastrosa, stando a ciò che documenta il “Rapporto”.

Viganò fu nunzio apostolico negli Stati Uniti dal 2011 al 2016 e in tutti quegli anni – in contrasto con quanto aveva scritto nei suoi esigenti “Appunti” del 2006 e del 2008 – manifestò ripetutamente a McCarrick, sia in cerimonie pubbliche che in incontri e scambi di lettere privati, una prossimità a tratti calorosa, con cortesi scambi d’informazione prima e dopo i frequenti viaggi del cardinale.

Nell’estate del 2012, dopo che Viganò aveva informato il cardinale prefetto della congregazione per i vescovi Marc Ouellet di una nuova accusa circostanziata arrivata contro McCarrick, e dopo che Ouellet gli aveva ordinato di procedere a una immediata verifica dei fatti interrogando sia il cardinale che il suo accusatore e altri testimoni, il nunzio non fece nulla di tutto ciò, né si procurò la connessa documentazione, col risultato – si legge nel “Rapporto” – che “la denuncia civile che descriveva in dettaglio tre episodi sessuali con McCarrick non è stata ricevuta dalla nunziatura o dalla Santa Sede fino alla fine del 2018”, cioè quattro anni dopo e per altre vie.

Ancora. Si legge nel “Rapporto” che Viganò lasciò all’oscuro i vescovi degli Stati Uniti del “basso profilo” a cui McCarrick avrebbe dovuto attenersi, come confermato dall’arcivescovo Joseph E. Kurtz che presiedette la conferenza episcopale in quegli anni.

Quanto a papa Francesco, il “Rapporto” afferma con sicurezza che “prima dell’accusa [per abuso su minore] presentata all’arcidiocesi di New York nel 2017, il papa non era mai stato informato da nessuno del fatto che McCarrick avesse abusato sessualmente o aggredito qualche persona, a prescindere dall’età di quest’ultima, […] né vide mai fino a dopo l’agosto del 2018” la lettera del 2008 nella quale il cardinale Re chiedeva a McCarrick di condurre una vita ritirata.

Il che contrasta frontalmente con la dichiarazione di Viganò del 22 agosto 2018, quella della richiesta a Francesco di dimettersi, nella quale egli asseriva di aver parlato del caso McCarrick con il papa il 23 giugno del 2013, in questi termini:

"'Santo Padre, non so se lei conosce il cardinale McCarrick, ma se chiede alla congregazione per i vescovi c’è un dossier grande così su di lui. Ha corrotto generazioni di seminaristi e di sacerdoti e papa Benedetto gli ha imposto di ritirarsi ad una vita di preghiera e di penitenza'. Il papa non fece il minimo commento a quelle mie parole tanto gravi e non mostrò sul suo volto alcuna espressione di sorpresa, come se la cosa gli fosse già nota da tempo, e cambiò subito di argomento".

Il “Rapporto” non solo respinge questa versione dei fatti, ma fa notare che al cardinale Re e a un altro suo interlocutore Viganò riferì dell’incontro avuto con Francesco “in maniera entusiastica, […] come se lo considerasse un alleato” nella battaglia contro la corruzione.

Inoltre, il “Rapporto” segnala che dieci giorni prima dell’incontro col papa del 23 giugno Viganò aveva scritto al cardinale Ouellet, prefetto della congregazione per i vescovi, per comunicargli – senza alcun suo commento – che l’azione civile contro McCarrick intrapresa dall’accusatore entrato in campo nel 2012 era stata respinta e non poteva più essere riproposta, e per trasmettergli due lettere del vescovo di Metuchen Paul Bootkoski che squalificavano come “false e scandalose” le denunce dell’accusatore.

Nel giugno del 2016, quando Christophe Pierre prese il posto di Viganò come nunzio negli Stati Uniti – si legge ancora nel “Rapporto” –, “il predecessore non gli fornì alcuna informazione, né orale né scritta, relativamente a McCarrick”.

Viganò ha subito replicato al “Rapporto” con una breve dichiarazione indignata, che sicuramente non sarà l’ultima della serie. E “l’intendence suivra”.

Settimo Cielo

di Sandro Magister 11 nov

http://magister.blogautore.espresso.repubblica.it/2020/11/11/le-tre-lezioni-del-rapporto-mccarrick/