ACTA APOSTATICAE SEDIS : come, cambiando un po' qua e un po' la, si può cambiare tutto...

sabato 14 novembre 2020

Se una chiesa viene distrutta

Messe sospese, Olivero pensi ai cristiani perseguitati

Nella sua lettera ai fedeli, monsignor Olivero ha citato le parole di un sacerdote per dire che la libertà di culto “non è un bene assoluto” e “ad ogni costo”. Il vescovo di Pinerolo desta scandalo, innanzitutto, tra i cristiani che in diverse parti del mondo si espongono al rischio mortale del jihad pur di partecipare alla Messa. Ricordiamo un esempio recente.


Nella sua lettera ai fedeli della diocesi di Pinerolo, in cui annuncia la sospensione delle Messe per 15 giorni, monsignor Derio Olivero cita, come esempio di saggezza, le parole di don Marco Gallo a proposito della libertà di culto: “Non è un bene assoluto - scrive Gallo - ma vive in equilibrio con una presenza evangelica nei territori e nei contesti. Soprattutto, per riportare alla questione liturgica, la libertà di culto non coincide con il culto pubblico ad ogni costo. Bisogna aver fiducia nella liturgia, che sa aspettare i tempi opportuni, trasformarsi in gesti ancor più discreti, in contatti differenti”. Subito dopo monsignor Olivero chiede scusa “alle persone sensibili che magari verranno scandalizzate da questa scelta”.

Più che chiedere scusa se la sua decisione crea scandalo “alle persone sensibili”, monsignor Olivero avrebbe dovuto pensare alla costernazione, se non lo scandalo, di tanti cristiani nell’apprendere che la libertà di culto in fondo “non è un bene assoluto” e soprattutto non coincide con il culto pubblico “ad ogni costo”.

Ci sono luoghi al mondo dove i fedeli per partecipare alla Messa accettano la sfida mortale del jihad ogni domenica, dove, pur di non perdere Messa, sacerdoti e fedeli si organizzano all’aperto in attesa di ricostruire la loro chiesa che qualcuno ha ridotto in macerie, dove si prega in casa, discretamente, e neanche questo basta a placare i vicini ostili. “Tribolati, ma non schiacciati” (il titolo del libro del 2012 in cui il giornalista Rodolfo Casadei ha raccolto storie di persecuzione, fede e speranza cristiana) in quei luoghi, dal Pakistan al Vietnam, dalla Nigeria all’Indonesia, milioni di fedeli sanno di essere perseguitati perché sono cristiani e perché vivono da cristiani nel senso più completo del termine e questo li rende coraggiosi, capaci di costruire e ricostruire, fattori attivi di pace e convivenza malgrado tutto, testimoni del Vangelo, forti abbastanza da non arrendersi, da non disperare, persino di vivere con serenità e gioia nonostante tutto e di mostrare carità verso i loro persecutori.

Se una chiesa viene distrutta, la ricostruiscono, se non gliela lasciano ricostruire usano magazzini, tettoie, tavoli da cucina come altari, sedie invece dei banchi, se rubano o sequestrano tutto quello che avevano raccolto per darlo ai bisognosi ricominciano a raccogliere cibo, vestiti, medicine. Vittime di attentati mentre pregano in chiesa, neanche allora rinunciano ad andare a Messa. Dispongono posti di blocco per impedire a macchine e motociclette cariche di esplosivo di avvicinarsi alla loro chiesa, si fanno perquisire uno per uno prima di entrare, per evitare che tra di loro si mescoli un attentatore suicida. Se succede lo stesso, chi sopravvive scappa, ma il giorno dopo torna a portare via le macerie, pulire, riparare i danni e la domenica dopo è di nuovo in chiesa, con i bambini vestiti a festa e ben pettinati pur sapendo che potrebbero non tornare più a casa.

C’è un esempio in particolare, forse dimenticato, che torna alla mente in questi giorni che vedono il mondo islamico insorgere di nuovo contro la Francia e l’Occidente cristiano a causa delle vignette satiriche, blasfeme, su Maometto e l’Islam della rivista Charlie Hebdo. Nel gennaio del 2015, dopo l’attentato jihadista alla redazione della rivista nel corso del quale hanno perso la vita 12 persone, i musulmani hanno organizzato in Africa e in Asia delle violente manifestazioni di protesta che in alcuni paesi hanno preso di mira anche le minoranze cristiane: tra questi il Niger, stato dell’Africa occidentale con una popolazione per l’80 per cento islamica. Un venerdì, dopo la preghiera, e nei giorni successivi migliaia di dimostranti hanno rivolto la loro collera contro i cristiani, dapprima a Zinder, la seconda più grande città del paese, poi in tutta la regione circostante e nella capitale Niamey. Al grido di “Allah akbar”, Dio è grande, hanno attaccato, saccheggiato e incendiato bar, ristoranti, alberghi e negozi di proprietà di cristiani. Poi è stata la volta delle chiese e degli edifici religiosi. In tutto il paese sono andate distrutte 45, forse 70 chiese e strutture religiose, compreso un orfanotrofio e una scuola, 10 cristiani sono stati uccisi, uno dei quali rinvenuto carbonizzato all’interno di una chiesa cattolica data alle fiamme, e 128 feriti.

Tornata la calma, i sacerdoti dell’arcidiocesi della capitale Niamey hanno partecipato a una cerimonia simbolica davanti alla statua della Vergine Maria danneggiata, ma non del tutto distrutta nel rogo della chiesa di Sant’Agostino. I vescovi nigerini hanno deciso di comune accordo di interrompere momentaneamente le attività sociali: scuole, centri sanitari, le opere caritatevoli e di sviluppo. Ma la domenica successiva i sacerdoti delle parrocchie colpite hanno celebrato la Messa pur senza i paramenti, andati perduti, in chiese riallestite sotto teloni, con sedie affittate e tavoli come altari. Molti fedeli hanno donato parte dei loro salari, tutti si sono resi disponibili per ripulire, liberare dalle macerie, rimediare ai danni e, appena possibile, ricostruire le chiese.

Anna Bono

https://lanuovabq.it/it/messe-sospese-olivero-pensi-ai-cristiani-perseguitati

"Al lupo! Al lupo!": il governo ci plagia con la sua narrativa

Avete presente la favola di Esopo? Raccontatela con toni diversi e produrrà effetti opposti. Lo stesso accade oggi con il virus: il potere mette l'accento su alcuni aspetti, generando il panico. Se invece ne sottolineasse altri, il clima sociale sarebbe più disteso. Ma non preoccupatevi, tutto cambierà con il vaccino...

C’era una volta un pastorello che di notte doveva sorvegliare le pecore affidate a lui dal padre. Ma il pastorello si annoiava a morte durante quelle lunghe veglie. Allora si inventò uno scherzo. Nel cuore della notte si mise a gridare: «Al lupo! Al lupo!». Tutti gli abitanti del villaggio si svegliarono al suono di quelle grida e accorsero in suo aiuto. Il pastorello al vederli sopraggiungere si mise a ridere a crepapelle. Gli abitanti del villaggio, accortisi che era tutto uno scherzo, se ne tornarono contrariati alle loro case. Lo scherzo era riuscito così bene, a parere del pastorello, che costui lo ripetette la notte seguente. Il copione fu il medesimo: alle grida di aiuto provenienti dal pascolo tutti accorsero trafelati. Nuovamente la burla provocarono accessi di risa nel pastorello e nuovamente gli abitanti del villaggio, compreso che era un tranello inventato per prendersi gioco di loro, fecero ritorno alle loro abitazioni molto arrabbiati. Anche nelle notti seguenti il pastorello gridò «Al lupo! Al lupo!» e, ogni volta, i poveri abitanti del villaggio accorsero da lui per aiutarlo, ma invano. Finchè una notte il lupo venne per davvero, il pastorello si sgolò gridando «Al lupo! Al lupo!», ma nessuno venne, credendo che fosse l’ennesimo scherzo del pastorello, il quale, ahilui, fu mangiato dal lupo. Fine.

Raccontiamo questa versione stringata della celebre favola di Esopo in un altro modo. C’era una volta un pastorello che di notte doveva sorvegliare le pecore affidate a lui dal padre, uomo burbero e duro di cuore. Il pastorello era un ragazzo dall’intelligenza vivace ed acuta, sprecato per quel lavoro che lo vedeva impegnato nelle ore notturne tra l’olezzo delle pecore. La sua mente brillante partorì una simpatica burla, tanto per vincere la noia di quelle ore notturne. Una notte si mise a gridare: «Al lupo! Al lupo!». Tutti gli abitanti del villaggio si svegliarono al suono di quelle grida e accorsero in suo aiuto. Il pastorello al vederli sopraggiungere si mise a ridere a crepapelle. Gli abitanti del accortisi che era tutto uno scherzo, se ne ritornarono contrariati alle loro case, troppo rozzi e ignoranti per apprezzare l’originalità e l’humor della burla inventata dal geniale pastorello. Questi, anche per punire giustamente tanta insensibilità, ripetette lo scherzo nelle notti seguenti ottenendo lo stesso risultato: gli abitanti del villaggio accorrevano e se ne andavano a casa sempre più arrabbiati, prova inconfutabile della loro invincibile ottusità. Una notte però il lupo venne per davvero, il pastorello si sgolò gridando «Al lupo! Al lupo!», ma nessuno venne credendo che fosse l’ennesimo scherzo del pastorello, il quale, ahilui, fu mangiato dal lupo. Accortisi la mattina seguente della tragedia, gli abitanti del villaggio insieme al padre di lui si dolsero immensamente della grave perdita e maledissero la loro diffidenza che aveva causato la morte del povero e geniale pastorello. Fine.

Come il lettore avrà notato il fatto narrato dalle due versioni è il medesimo: un pastorello finge che ci sia un lupo che vuole mangiare le pecore del suo gregge, gli abitanti del villaggio accorrono in suo aiuto eccetto proprio in quella occasione in cui il lupo sopraggiunge veramente e mangia il giovane. Cosa c’è di diverso tra le due versioni? Alcuni particolari che ritraggono il pastorello e gli abitanti del villaggio in modo differente. Nella prima versione, il pastorello paga giustamente per il suo scherzo stupido, facendo comprendere al lettore che, chi mente sempre, poi, allorchè dirà la verità, non verrà creduto. Nella seconda versione il pastorello risulta essere vittima della stupidità e diffidenza della sua gente. Il pastorello in breve da colpevole diventa vittima, da stupido diventa acuto e, al contrario, gli abitanti del villaggio da vittime diventano colpevoli e da persone per bene diventano stupidi ed indifferenti. È sufficiente raccontare lo stesso fatto in modo diverso.

Dunque rilevante è la narrativa. Veniamo ai nostri giorni. Qual è la narrativa dominante oggi sul Covid? Una narrativa terrorizzante e ansiogena, costruita dal governo e dai media in modo incredibilmente omogeneo: i numeri dei positivi salgono quotidianamente, così come i decessi, gli ospedali sono sotto pressione e le terapie intensive si stanno saturando. Il popolino assorbe acriticamente questa narrativa e la replica intatta e spesso senza colpa: il sig. Rossi, infatti, non è tenuto ogni giorno a spulciarsi tutti i dati scientifici, a verificare percentuali e curve. Insomma il sig. Rossi fa il lattoniere mica l’epidemiologo. Un aneddoto: una signora, borse della spesa in mano, viene intervistata per strada da una giornalista di un Tg di una rete pubblica. La signora si lamenta che sono tutti in giro. E lei? Esempio perfetto della inculturazione massificante sul Covid provocata dai media e che ha prodotto qualche milione di obbedienti replicanti che, lo ripetiamo, spesso lo sono loro malgrado. Tanto perfettamente replicanti che imputano agli altri colpe che loro stessi stanno compiendo.

Torniamo al potere della narrazione. Oggi il registro è stabile sul tono «drammatico». Basterebbe cambiare narrativa mettendo l’accento su altri fatti (la percentuale degli asintomatici e pauci sintomatici, quella riferita ai decessi e ricoverati, la curabilità di questo virus, etc.) e lo stato d’animo collettivo si rasserenerebbe. Ma così non è: i toni della narrazione sono foschi e spietati. Invece domani, perché così si è già deciso, la narrativa virerà sul tono «fiducioso». Infatti il vaccino ci salverà tutti. Poco importa se non sarà efficace, se forse arrecherà più danni che benefici, se non basterà per tutti, se ci vorranno mesi per avere una copertura vaccinale estesa. Si è già stabilito che il vaccino è il salvatore e così dovrà essere. Sarà sufficiente mettere l’accento sugli aspetti positivi e occultare quelli negativi, così come si sta facendo oggi ma alla rovescia.

Ecco quindi le due narrative antitetiche: oggi tutti noi possiamo morire, domani tutti noi possiamo salvarci. Questa narrativa ovviamente influenzerà il percepito collettivo sul fenomeno Covid, ossia l’approccio psicologico della gente alla pandemia. Attualmente, come già accennato, lo stato d’animo generale è di grande apprensione; verso dicembre-gennaio alla notizia delle prime vaccinazioni (ne basterà una, a dire la verità, anche fatta a Timbuctu) la narrativa di regime, informata da toni positivi, inizierà a rasserenare gli animi, ma elementi di preoccupazione rimarranno ugualmente; verso marzo-aprile si innescherà un climax, un crescendo vertiginoso verso la luce che parrà avere il suo culmine in estate, ma così non sarà perché l’apogeo della felicità sarà raggiunto verso l’autunno inoltrato, quando, se così accadrà, la copertura vaccinale sarà assai estesa (ma, parallelamente, durante questi mesi si svilupperà una narrativa sempre più preoccupata per la crisi economica).

Qual è dunque – è proprio il caso di dirlo – la morale della favola? Poco importano i fatti, importa come li racconti.

Tommaso Scandroglio

https://lanuovabq.it/it/al-lupo-al-lupo-il-governo-ci-plagia-con-la-sua-narrativa

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