Domenica scorsa, 6 dicembre, giunto all’ingresso della piazza antistante la basilica di San Nicola a Bari, la vedo vuota, l’ingresso sbarrato da transenne, i portoni della basilica chiusi, nella piazza alcune auto della polizia municipale con i vigili che presidiano l’area. Lo “spettacolo”, se così si può dire, è desolante. Ho pensato subito che potesse essere successo qualcosa di grave. Qualche attacco terroristico, una aggressione, o qualcosa del genere. Effettivamente era successa una cosa gravissima, era “scoppiata”…la festa di San Nicola, patrono di Bari (ad onor del vero, compatrono con San Sabino, ci tengo a sottolinearlo). Un santo molto amato dai baresi, un santo conosciuto in tutto il mondo, anche per via della figura di Santa Claus, Babbo Natale, l’anziano con barba bianca che porta i doni ai bambini. San Nicola di Myra, che da secoli riposa nella basilica omonima, è uno dei santi maggiormente venerati anche fra i cristiani ortodossi, soprattutto tra gli appartenenti alla Chiesa ortodossa russa.

Come dicevo, la Basilica era chiusa e la piazza transennata per ordine del primo cittadino di Bari, il sindaco Decaro, al fine di evitare assembramenti. La Piazza San Nicola è stata dichiarata zona rossa, off limit, dalla festa di San Nicola fino a ieri. L’unico a partecipare alla messa e consegnare le chiavi della città al Santo Patrono è stato proprio lui, il sindaco Decaro. 

Una decisione, quella di far diventare l’area della basilica zona rossa, a dir poco strana, alcuni l’hanno definita addirittura schizofrenica, resa operativa proprio nel giorno in cui il governo ha dichiarato la Puglia zona gialla. Un punto strettamente off limit, quello della zona della basilica, in una città in pieno movimento e circolazione, con affluenza anche dai paesi viciniori, consentita dal migliorato standing regionale.

Se da una parte questo episodio mette in evidenza tutta la spavalderia di certi sindaci, “sceriffi” li chiamano alcuni, che in nome del COVID passano sopra i diritti dei cittadini, dall’altra mette in evidenza tutta la debolezza di una Chiesa che non riesce a far sentire la sua voce.

Addirittura monsignor Francesco Cacucci, vescovo uscente della diocesi di Bari-Bitonto, nell’omelia pomeridiana durante la solenne concelebrazione eucaristica per San Nicola nella Basilica barese, a porte chiuse per l’emergenza Covid, ha detto: «Ognuno di noi è chiamato a dare un contributo. Dobbiamo superare anche le divisioni a proposito di quelli che ci sembrano i diritti, che non sono i diritti nostri ma non sono i diritti di tutti. Siamo nell’epoca dei diritti, ma non esistono diritti inalienabili, l’unico è quello dell’amore».

Ma è mai possibile che si chiudano le porte della basilica proprio nel giorno del santo patrono quando un adeguato servizio d’ordine avrebbe consentito un ordinato afflusso di fedeli e pellegrini, proprio come avviene negli altri giorni? Non si capisce che cosa si rischia?

Mentre ero ai margini della piazza antistante la basilica, altri baresi che erano giunti dopo di me, sorpresi anche loro dalla chiusura dell’area, li ho sentiti dire: “Beh, se non possiamo entrare in basilica per pregare, almeno andiamo a prenderci una brioche nel bar”. Così si sono allontanati dalla piazza e si sono diretti in qualche bar nelle strette viuzze del centro storico, trafficate di pedoni, nei pressi della basilica di San Nicola.

Ecco, la Chiesa, sicuramente senza volontà, sta “educando” i fedeli a indirizzarsi verso un bar piuttosto che verso un luogo sacro, sta involontariamente facendo passare il messaggio che è più sicuro mangiare una brioche in uno stretto bar del centro storico di Bari, attiguo alla basilica, piuttosto che inginocchiarsi a pregare San Nicola nel grande e spazioso luogo di culto barese. La Chiesa chiude i portoni dei suoi luoghi sacri e spinge i fedeli a prendere altre e più secolari vie. Anche questa, quella di chiudere la chiesa, a suo modo, appare una scelta schizofrenica. 

La Basilica di San Nicola chiusa proprio nel giorno della festa del santo patrono è la plastica evidenza di una Chiesa in ritirata, di una Chiesa che pare più attenta alla sanità che alla santità, di una Chiesa che è attanagliata dalla paura del virus, trincerata dentro le chiese chiuse, ossessionata dalle norme igieniche, sicuramente importanti, ma non fondamentali alla salvezza delle anime. Come spiegare altrimenti una basilica chiusa ai fedeli mentre l’area attigua risulta affollata proprio a causa della festa del santo patrono?

La vicenda di Bari si inserisce nella cornice più ampia del coprifuoco imposto dal governo Conte all’Italia, anche nel giorno di Natale, tanto da imporre l’anticipo della tradizionale messa di mezzanotte, per consentire il rientro a casa dei fedeli entro le ore 22.00, ora in cui scocca il coprifuoco. Anche in questo caso, la Chiesa non ha fatto sentire pubblicamente la sua voce, facendo valere le sue ragioni. 

E’ di tutta evidenza che oggi che le messe vengono celebrate regolarmente, e che con i protocolli adottati e rispettati nessun focolaio è mai scoppiato in una chiesa, l’imposizione da parte del governo dell’anticipo della messa di Natale, rifiutando di accogliere la richiesta di uno spostamento di qualche ora, eccezionalmente, del coprifuoco per la notte tra il 24 e il 25 dicembre, è una dimostrazione di insensibilità verso il popolo cristiano, un vero e proprio sopruso, anzi forse un abuso di potere. E stupisce questa acquiescenza della Chiesa, questa supina adesione, proprio mentre l’Italia non ha più alcuna zona rossa.

Eppure mons. Camisasca, vescovo di Reggio Emilia-Guastalla, non più di qualche giorno fa avvertiva

«Però io dico: stiamo attenti, perché nel momento in cui noi vogliamo continuamente toccare tutti i significati simbolici, affettivi e di fede delle persone, non facciamo un guadagno né per le persone né per la socialità. La socialità si nutre di rapporti, di simboli, di tradizioni e questo deve essere guardato con attenzione, soprattutto dalla Chiesa. Io come cittadino sono attentissimo a ciò che lo Stato mi chiede e voglio assolutamente salvaguardare la salute mia e dei miei fratelli. Nello stesso tempo, però, non voglio uno Stato che entri a regolamentare quello che la Chiesa deve decidere. Quindi ci deve essere su questo punto una forte attenzione sui significati simbolici, culturali e di fede di ciò che la Chiesa vive».

Purtroppo, sembra che i nefasti effetti delle messe in streaming non abbiano sortito alcuna lezione, sembra che l’attuale ridotta frequenza alle messe da parte dei fedeli, disabituati alla partecipazione attiva proprio dalle messe in streaming, non abbia significato molto per la CEI. 

A tal proposito, occorre ricordare quanto, mons. Crepaldi, arcivescovo di Trieste, in una stupenda lezione del marzo scorso, in piena prima ondata della pandemia, scriveva: “Il termine ‘Salus’ significa salute, nel senso sanitario del termine, e significa anche salvezza, nel senso etico-spirituale e soprattutto religioso. L’attuale esperienza del coronavirus testimonia ancora una volta che i due significati sono interconnessi. Le minacce alla salute del corpo inducono cambiamenti negli atteggiamenti, nel modo di pensare, nei valori da perseguire.”

Ma i cambiamenti di cui parla Crepaldi stanno avvenendo sia nei fedeli sia nei rappresentanti del clero. Un esempio evidente di questo cambiamento è quello che sento dire a volte a messa prima della distribuzione della Comunione, quando il sacerdote, rivolto ai sempre più sparuti fedeli presenti, ribadisce le norme per accedere all’Eucarestia: non togliersi la mascherina davanti al sacerdote, ricevere in mano la Comunione, allontanarsi dal sacerdote e solo dopo essersi allontanati mettere in bocca la particola. Una volta il sacerdote raccomandava di accostarsi all’Eucarestia solo se si fosse in grazia di Dio. Il peccato, oggi, sembra scomparso dai radar, anzi, sembra essere stato sostituito da un nuovo “peccato”, inteso come mancato rispetto delle norme igieniche. Le norme sanitarie, purtroppo, sembrano essere diventate una delle principali preoccupazioni.

Sono proprio queste minacce ai cambiamenti negli atteggiamenti e modi di pensare che la Chiesa sembra faticare a comprendere. Per questo, occorre tornare a sottolineare, usando ancora le parole di mons. Crepaldi, che “la salute non è la salvezza, come ci hanno insegnato i martiri, ma in un certo senso la salvezza dà anche la salute. Il buon funzionamento della vita sociale, con i suoi benefici effetti anche sulla salute, ha anche bisogno della salvezza promessa dalla religione: “l’uomo non si sviluppa con le sole sue forze” (Caritas in veritate, 11).

 

Il sindaco di Bari Decaro nella Basilica di San Nicola a Bari il 06.12.2020

Il sindaco di Bari Decaro nella Basilica di San Nicola a Bari il 06.12.2020