ACTA APOSTATICAE SEDIS : come, cambiando un po' qua e un po' la, si può cambiare tutto...

venerdì 4 dicembre 2020

Come l’Araba fenice

L FARMACO "PROIBITO"

Nuovi studi al Consiglio di Stato: la clorochina torna in campo

Nuovi studi su Science danno ragione ai medici di famiglia e smentiscono la campagna mediatica che cita studi fuori strada: «Contro il covid l'idrossiclorochina è efficace se assunta in fase precoce». Sul ricorso contro Aifa per le cure domiciliari col farmaco antimalarico si pronuncerà il 10 dicembre il Consiglio di Stato, presieduto dall'ex ministro Frattini, che ha già riconosciuto: «Sopraggiunte circostanze nuove». E l'arrivo di Palù all'Aifa potrebbe agevolare lo sdoganamento del farmaco. 


Data per morta e sepolta dai quotidiani italiani, l’idrossiclorochina sta risorgendo come l’Araba fenice dall’oblio nel quale Aifa l’ha relegata per la cura del covid. Un’imminente sentenza del Consiglio di Stato prevista per il 10 dicembre e uno studio scientifico pubblicato ieri sulla rivista Science, dal quale si dimostra che l’idrossiclorochina è significativamente efficace nella cura precoce del virus, possono ribaltarne il destino. E soprattutto convincere le autorità sanitarie che nella cura domiciliare del covid-19, quindi con paziente sintomatico, anche con polmonite seria, ma non grave, si può puntare sul noto antimalarico.

L’obiettivo è giungere a una guarigione veloce per non andare a intasare gli ospedali, il cui sovraccarico produce a cascata lockdown e depressioni socioeconomiche nel Paese oltre che una più difficile guarigione dal virus.

STUDI FUORI STRADA

Il pregiudizio sul farmaco ha navigato sottotraccia in questi mesi, nonostante il numero dei medici di base che la utilizzano con successo sia in aumento costante. Per i medici ospedalieri, invece, il discorso è diverso, proprio perché, rispetto all'acuirsi della malattia, con la tempesta citochinica in atto, l’uso dell’HCQ è sostanzialmente ininfluente. E così anche per il suo utilizzo in fase preventiva, come profilassi in vista di un eventuale contagio.

Eppure, gli studi che ancora oggi si prendono in considerazione e gli unici che Aifa riconosce, sono solo quelli fatti in questi stadi della malattia, quando cioè la sua efficacia non è agli atti.

Nei giorni scorsi infatti, la grancassa mediatica ha titolato sull’inefficacia del farmaco citando uno studio recente del New England Journal of Medicine. Ma attenzione. Se si legge attentamente, si scopre che lo studio parla di un’inefficacia dell’HCQ in fase preventiva. Cosa peraltro detta ampiamente anche dai tanti medici che la usano con successo in fase precoce. È un po’ come assumere un farmaco antipiretico prima dell’insorgere della febbre: inutile. Ciononostante, è bastato questo studio per mettere una pietra tombale sull’idrossiclorochina da parte di giornali e tv.

Invece gli studi sulla sua efficacia ci sono e la rivista Science ieri si è incaricata di pubblicarli.

«EFFICACE SE PRESA SUBITO»

Un articolo intitolato “L'idrossiclorochina è efficace, e in modo consistente quando viene fornita precocemente, per il COVID-19: una revisione sistematica” e pubblicato sul volume 38 del mese di Novembre della rivista, dedicato ai nuovi microbi e alle nuove infezioni, ha analizzato una cinquantina di studi ed è arrivato alla conclusione che il miglioramento più significativo c’è stato per il 100% negli 11 studi che prendevano in considerazione una somministrazione precoce in fase ambulatoriale, corrispettivo di terapia domiciliare. (Leggi qui l’analisi di Paolo Gulisano).  

Ora, questo articolo dovrà essere letto anche dal presidente della terza sezione del Consiglio di Stato, Franco Frattini (già ministro degli Esteri del governo Berlusconi, in foto), che ha accolto il ricorso di un gruppo di medici, i quali si sono opposti alla determina del maggio scorso di Aifa e a quella successiva di luglio che la proibiva off label, vale a dire fuori da quelle che sono le indicazioni terapeutiche illustrate dalla casa produttrice.

CLOROCHINA A PROCESSO

L’udienza a Palazzo Spada è fissata per il 10 dicembre. In quell’occasione Frattini sarà affiancato da un collegio in camera di consiglio e dovrà valutare se sdoganarne o no l’utilizzo, sulla base delle «sopraggiunte circostanze nuove» così come scritto dall’ex titolare della Farnesina il 24 novembre scorso nel decreto cautelare col quale ha dato ragione ai medici del Comitato di scopo per la cura tempestiva domiciliare del Covid-19, che hanno portato avanti il ricorso al Tar del Lazio e ora in Consiglio Stato.

«Il giudice ha chiesto di analizzare la situazione sulla base dei nuovi documenti e ha anche chiesto ad Aifa di fornirne a sua volta – spiega alla Bussola l’avvocato Valentina Piraino, legale che segue il gruppo di professionisti -. Il nostro obiettivo primario è che il Consiglio sblocchi almeno l’utilizzo off label o comunque che si pronunci sul fatto che Aifa non può mettere un freno alla libertà prescrittiva del medico e, specularmente, la libertà di cura del paziente deve essere tutelata dalla Costituzione, motivazioni già ampiamente anticipate dall’ordinanza del 24 novembre con la quale ha accolto il nostro ricorso».

NUOVI STUDI FAVOREVOLI

Il ricorso era partito nel giugno scorso all’indomani della prima determina di Aifa che sconsigliava l’uso di HCQ, utilizzata con successo fino ad allora. Il ricorso al Tar del Lazio con cui si impugnava la delibera è stato rigettato a settembre. A luglio poi, Aifa aveva anche proibito e non più solo sconsigliato la clorochina off label.

«Ma gli studi di cui si è servita sono stati smentiti e ritirati dagli stessi autori – prosegue l’avvocato –. In più la stessa Aifa ha anche ammesso che i medici la possono prescrivere. Così abbiamo impugnato anche la determina del 22 luglio. Dopo il rigetto di settembre del Tar, con un’ordinanza cautelare, abbiamo portato avanti l’appello in Consiglio di Stato, allegando anche la nuova documentazione clinica nel frattempo emersa, tra cui uno studio di Lancet che esclude l’aumento di mortalità per chi usa HCQ e smonta anche gli effetti collaterali sull’apparato cardiovascolare».

Così fino al 24 novembre scorso, quando Frattini ha accolto la legittimità del ricorso e ha rinviato la decisione alla camera di consiglio collegiale del 10 dicembre prossimo. «Oltre all’ampia documentazione scientifica presentata – conclude la Piraino – faremo leva sul fatto nella legge prevale l’interesse della cura del malato verso qualunque tipo di norma limitativa».

Aifa, dal canto suo non si è ancora costituita in giudizio, ma ha tempo fino al 9 dicembre. E dovrà – come richiesto dal giudice – presentare nuovi studi che contraddicano l’efficacia della cura tempestiva del covid 19 con idrossiclorochina, che però al momento non si vedono all’orizzonte.


LA SVOLTA CON PALU’?

Infine, un aiuto ai medici potrebbe anche arrivare dall’imminente cambio di governance dell’Aifa. È di ieri la notizia che l’Agenzia Italiana del FArmaco ha scelto come prossimo presidente il virologo Giorgio Palù (in foto), diventato un volto noto in questi giorni per le sue posizioni anti-catastrofiste sul covid. Una scelta che potrebbe anche dare una svolta politica all’Aifa e renderla meno rigida sull’utilizzo di quelle cure che, all’evidenza dei fatti, si sono mostrate efficaci anche se prive di studi randomizzati, come del resto è scontato che accada in una fase acuta di epidemia come questa. Di Palù non sono note posizioni tranchant sull’uso dell’idrossiclorochina, né in senso favorevole né contrario, del resto non è un medico, ma un virologo, ma alcune sue dichiarazioni possono far pensare almeno ad un approccio non ideologico né precludente.

In un’intervista a commento dell’uso di HCQ da parte del presidente Usa Trump, Palù ha detto che «in alcune situazioni è inutile stracciarsi le vesti perché non ci sono gli studi controllati per l'uso di un farmaco». E ancora: «Non ci si può sempre scandalizzare, la medicina non è una scienza esatta al contrario della chimica o della fisica, e ancora il buon senso e l'opinione dell'esperto contano. Non si può fare uno studio clinico su tutto, non si può invocare l'approccio e il metodo scientifico per ogni cosa, tanto più che questo virus è diverso in ognuno di noi».

E i medici che ogni giorni curano i pazienti covid a casa anche con idrossiclorochina sono lì a dimostrarlo.

Andrea Zambrano

-LO STUDIO VERITA' di Paolo Gulisano
-TAMPONI CONTRAFFATTI, L'ESPOSTO di Luisella Scrosati
-DPCM, COLPO DI GRAZIA SUL NATALE di Ruben Razzante

https://lanuovabq.it/it/nuovi-studi-al-consiglio-di-stato-la-clorochina-torna-in-campo

LE CURE CHE SALVANO LA VITA. LA MAPPA DEI PAESI CHE LE HANNO UTILIZZATE – IppocrateOrg



03/12/20 Il Covid-19 si può e si deve curare a casa con terapie domiciliari tempestive che eviterebbero il sovraffollamento degli ospedali e, di conseguenza, anche le chiusure generalizzate delle attività commerciali. Durante i mesi del picco dell'epidemia, tra marzo e maggio, molti medici in tutto il mondo hanno curato i pazienti somministrando l'idrossiclorochina, un farmaco antimalarico, comunemente utilizzato anche contro l'artrite reumatoide e il lupus eritematoso. Medici, professionisti della sanità e cittadini, con il coordinamento di Mauro Rango, hanno fondato il movimento IppocrateOrg, con l'obiettivo di fornire assistenza ai malati di Covid-19 e “smontare con dati scientifici alcuni studi e progetti sulla base dei quali l'idrossiclorochina è osteggiata nella cura del Covid19. L'AIFA, l'Agenzia italiana del farmaco e le omologhe autorità in tutto il mondo, hanno sospeso l'utilizzo dell'idrossiclorochina nella cura del Covid-19, sulla base di studi condotti dall'Organizzazione Mondiale della Sanità, ma particolarmente discussi nella comunità scientifica. Questi studi sono stati infatti condotti su pazienti già ricoverati in ospedale, dunque in uno stadio avanzato della malattia, mentre i medici che hanno utilizzato l'idrossiclorochina con buoni risultati sono unanimi nel ritenere che questo farmaco vada somministrato alla comparsa dei primi sintomi febbrili. Un recente studio, pubblicato sul New England Journal of Medicine , ha concluso che non ci sarebbe una riduzione del rischio con l'utilizzo del farmaco antimalarico. Lo studio americano e canadese è stato condotto su soggetti che avevano avuto un contatto stretto con un positivo al virus e ai quali dopo quattro giorni hanno somministrato o l’idrossiclorochina per cinque giorni o il placebo. Il professore Alessandro Capucci, già direttore della clinica cardiologica presso l'ospedale di Ancona, ai microfoni di Byoblu24 ha chiarito che nello studio del New England Journal of Medicine “hanno utilizzato l'idrossiclorochina come se fosse un vaccino, il che è assurdo”. “L'idrossiclorochina agisce a livello della catena infiammatoria, quando il paziente è già ammalato, se invece la si dà a un soggetto non ammalato che ha avuto solo un contatto con un altro positivo al tampone, non c'è alcuna speranza che sia efficace. Il farmaco idrossiclorochina va utilizzato solo in pazienti già ammalati, per evitare un aggravamento della malattia”, ha detto il professor Capucci. Secondo Mauro Rango le terapie efficaci contro il Covid esistono, “di Covid si guarisce, non si muore”, ha detto il fondatore di IppocrateOrg. “Le persone, se curate in tempo, vengono salvate domiciliarmente. Il Governo deve decidersi ad istituire un protocollo univoco, certo ed efficace” è la conclusione del dottor Rango. Nell'intervista su Byoblu sono disponibili anche la testimonianza del dottor Andrea Stramezzi, un dentista che ha aderito all'appello di lavorare come medico volontario Covid-19 e quella della dottoressa Cosetta Armani Cavallaro, il cui coniuge, malato di Covid-19, è stato curato grazie all'assistenza di medici aderenti al movimento IppocrateOrg.

https://www.youtube.com/watch?v=TGMSHoqqYHs


Sars-CoV-2. Divulgazione scientifica – Parte 13: Vaccini anti-Covid-19, dove sono i dati? Lo chiede il British Medical Journal

Professor Andrea Crisanti lo ha ribadito più volte: “Senza dati non farei vaccino a gennaio”. “Normalmente ci vogliono dai 5 agli 8 anni per produrre un vaccino. Per questo, senza dati a disposizione, io non farei il primo vaccino che dovesse arrivare a gennaio”, ha detto a Focus Live, il festival della divulgazione scientifica di Focus. “Vorrei essere sicuro che questo vaccino sia stato opportunamente testato e che soddisfi tutti i criteri di sicurezza ed efficacia – ha spiegato – ne ho diritto come cittadino e non sono disposto ad accettare scorciatoie”.

“Io finora i dati non li ho visti, né io né altri, e se mi chiede sulla base dei dati disponibili cosa farei io dico che non mi vaccino”. Lo dice il Professor Andrea Crisanti, direttore del Laboratorio di Microbiologia dell’Università di Padova, parlando del vaccino Covid in collegamento con la trasmissione Non è l’Arena su La7. “L’ambiente scientifico italiano è un po’ provinciale. Se io avessi detto quello che ha detto l’editore del British Medical Journal [segue l’articolo], più che criticato sarei stato lapidato. Lui ha fatto un editoriale feroce su come è stata gestita la questione vaccini, io mi sento in ottima compagnia perché io ho chiesto solo trasparenza. Ma sulla mia posizione a favore dei vaccini non ci sono dubbi”, precisa Crisanti riferendosi agli attacchi subiti dopo le sue osservazioni sul vaccino. “Io ho detto questo in una trasmissione di carattere scientifico a un pubblico che poteva decifrare e capire il senso della dichiarazione. Abbiamo sentito solo affermazioni di carattere commerciale che poi hanno avuto riscontro anche sulle azioni di borsa di queste compagnie. E non c’è niente di male in questo. Ho aggiunto che gran parte di questa ricerca è stata fatta con soldi pubblici ed è importante che i dati vengano condivisi”, ribadisce Crisanti. “Siamo in un’emergenza e l’aspettativa legittima dei cittadini è quella di uscirne fuori, il vaccino è visto come ipotesi salvifica, a me sta bene e spero che lo sia ma bisogna che ci sia la massima trasparenza”, ripete.

Ripetita iuvant, quindi ripeto quanto ho già scritto più volte: quella di Crisanti è anche la mia posizione e non sono un anti-vax. Mi sono fatto vaccinare per l’influenza ma sul vaccino anti-Covid-19 sono sulla linea di Crisanti, non lo dico da oggi e lo ribadisco. E non sarà certamente un Alculi (come lo chiama il mio amico cinese di Hong Kong, non di Wuhan) a farmi cambiare idea, anzi. E non mi farò neanche ricattare dal #brancodibalordi che ci “governa”. La scelta delle cure mediche è un diritto costituzionale e per ogni intervento medico è obbligatorio il “consenso informato” del paziente. Ed è amorale ricattare un paziente con delle misure ristrettive nel caso del rifiuto di subire un determinato intervento medico o di assumere un farmaco. Quindi, la questione di fondo è la totale mancanza di informazione scientifica sui nuovi vaccini anti-Covid-19.

Una delle caratteristiche principali di numerosi vaccini è la capacità di indurre la cosiddetta immunità di gregge (o di gruppo o di branco), cioè il fatto che, immunizzando la maggior parte della popolazione, anche gli individui non immunizzati o immunodepressi hanno una minore probabilità di entrare in contatto con il patogeno e vengono pertanto protetti mediante l’interruzione della catena di infezione. Naturalmente in base a quanto è infettivo un microrganismo sono necessarie percentuali diverse di persone vaccinate per indurre un’immunità di gregge. È stato comunque stimato che serve almeno l’80% della popolazione vaccinata per permettere che ciò accada. Per malattie ad elevato rischio di contagio (ad esempio il morbillo) tale percentuale sale fino al 95%, la soglia standard obiettivo di diverse campagne vaccinali.

Altra questione è l’efficacia e la sicurezza di un nuovo vaccino. Per questo servono dati sullo sviluppo e trasparenza nelle informazioni. Questo è totalmente mancante nel caso dei nuovi vaccini contro il nuovo coronavirus Sars-CoV-2.

Cosa sappiamo del vaccino BNT162b2 basato su mRNA di Pfizer/BioNTech (dichiarato sicuro ed “efficace al 95%), del vaccino mRNA-1273 di Moderna (dichiarato sicuro ed “efficaci al 95%”) e del vaccino ChAdOx1 nCoV-2019 a base di adenovirus di Università di Oxford/AstraZeneca (dichiarato sicuro ed “efficace al 70%)? Sappiamo quanto si sono degnati di far sapere in comunicati stampa le aziende famaceutiche. That’s it.

Scrive Peter Doshi su The BMJ [British Medical Journal] Opinion [*] del 26 novembre 2020, a cui ha fatto riferimento Prof. Andrea Crisanti [segue la nostra traduzione italiana dell’articolo originale in inglese]: “Potrebbe esserci molta più complessità nell’annuncio ‘efficace al 95%’ di quanto sembri, o forse no. Solo la piena trasparenza e il controllo rigoroso dei dati consentiranno un processo decisionale informato. I dati devono essere resi pubblici”.

Altro punto è che i vaccini sono solo uno dei mezzi per affrontare la pandemia Sars-CoV-2 e combattere la malattia che provoca, il Covid-19. Senza test di salute pubblica efficaci, monitoraggio e tracciamento non funzionerà. Purtroppo il governo continua a segretare e negare la trasparenza.

Peter Doshi solleva preoccupazioni molto allarmanti su questi vaccini anti-Covid-19. Richieste fatte all’ICO (l’organismo indipendente del Regno Unito istituito per sostenere i diritti di informazione) e alla MHRA (l’Agenzia regolatrice dei farmaci del Regno Unito), per ottenere i dati presentati, sono stato liquidate con scuse come “non nel pubblico interesse”. Questi nuovi vaccini a mRNA non hanno un’approvazione storica ed è di grande interesse pubblico avere i dati per esaminare ed esaminare. Finora, tutto ciò che si è potuto ottenere sono comunicati stampa Pfizer e Moderna (Mode RNA) e uno studio di fase II da Oxford. L’intera questione del vaccino è stata avvolta nel mistero. Dato che il governo ha fatto fatica a controllare la pandemia dall’inizio di marzo, il fiasco del parlamento e del monitoraggio e del rintracciamento, perché qualcuno dovrebbe fidarsi di loro su questi nuovi vaccini? Fino a quando non avremo una banca dati sostanziale, una moratoria di 7 anni dovrebbe essere applicata a questi vaccini per verificare gli ADR (le segnalazioni di sospette reazioni avverse), effetti indesiderati come il potenziamento immunitario.

Potenziare il sistema immunitario è una pessima idea e i prodotti “naturali” che promettono di farlo non funzionano, e per fortuna: se funzionassero sarebbe un guaio, scrive nel 2014 in tempi non sospetti Jeremy Samuel Faust, un medico che lavora presso il Mount Sinai Hospital di New York [Segue l’articolo integrale].

Al momento gli studi non sono progettati per dimostrare che questi vaccini salvano vite o migliorano i risultati, come evidenziano recenti articoli di BMJ-British Medical Journal. Gli studi escludono soggetti anziani con condizioni di base, quindi non sono rappresentativi della popolazione generale.

Esiste il ragionevole dubbio che le affermazioni unilaterali delle aziende multinazionali farmaceutiche di efficacia al 90, 95,4% o circa 70% saranno raggiunte nella realtà.

Sempre su The BMJ Opinion, il 27 novembre 2020 [segue la nostra traduzione italiana dell’articolo integrale in inglese] quattro studiosi pongono la domanda: ”Vaccini Covid-19: dove sono i dati?”. Nell’incepit del loro contributo, i professori Jose M Martin-Moreno, John Middleton, Mohamud Sheek-Hussein and Manfred S Green scrivono:
«Attraverso comunicati stampa, tre società farmaceutiche hanno recentemente annunciato i risultati provvisori e positivi delle sperimentazioni cliniche dei loro candidati vaccini Covid-19.
In primo luogo, Pfizer/BioNTech ha presentato i risultati iniziali per il loro vaccino BNT162b2 basato su mRNA, che hanno dimostrato che era efficace al 90% nel prevenire Covid-19. Il vaccino è stato testato su 43.538 partecipanti e, finora, ci sono stati 94 casi confermati. Si sottoporranno all’approvazione della Food and Drug Administration (FDA) statunitense quando il profilo di sicurezza avrà raggiunto una pietra miliare predeterminata. Nel frattempo, Pfizer ha continuato a commercializzare il vaccino. [Il Regno Unito ha autorizzato d’urgenza il vaccino di Pfizer/BioNTech e da lunedì lo distribuirà, senza attendere che l’Ema, l’Agenzia europea per i medicinali, concluda i suoi controlli (dovrebbe riuscirci entro il 29 dicembre). V.v.B].
In secondo luogo, il Data Safety Monitoring Board, nominato dal National Institutes of Health (NIH) per lo studio di fase III del candidato vaccino Moderna mRNA-1273 contro Covid-19, ha confermato che il suo studio ha soddisfatto i criteri statistici pre-specificati nel protocollo di studio, con un’efficacia del vaccino del 94,5%.
In terzo luogo, l’Università di Oxford/AstraZeneca, hanno annunciato che il loro vaccino ChAdOx1 nCoV-2019 a base di adenovirus era sicuro e anche, nei risultati preliminari di uno studio di fase II/III a revisione paritaria, in quanto innescava una risposta immunitaria apparentemente incoraggiante in età avanzata, gruppi inclusi nello studio. In un successivo comunicato stampa, hanno riferito che nella sperimentazione di fase III di circa 20.000 partecipanti, il vaccino era efficace intorno al 70%. Questa settimana è anche emerso che ad alcuni dei partecipanti è stata somministrata, per errore, una prima dose che era la metà di quella prevista. Questi partecipanti avevano tutti meno di 55 anni. Sono stati ora sollevati dubbi su come Oxford e Astra Zeneca hanno gestito il rilascio dei loro risultati preliminari, dato l’errore di dosaggio e cosa ciò potrebbe significare per l’efficacia del vaccino.
Tutti questi dati per i diversi vaccini sono potenzialmente molto promettenti, ma nessuno degli studi di fase III è stato pubblicato su riviste peer review o analizzato per gruppo di età, sesso e descrizione del caso (asintomatico, lieve, grave), trasmissibilità del virus dopo l’immunizzazione o durata della protezione.
In qualità di professionisti della sanità pubblica, riteniamo che i risultati delle sperimentazioni cliniche, sia provvisorie che finali, debbano essere soggetti a un processo sistematico appropriato e quindi pubblicati su riviste professionali sottoposte a revisione paritaria. Riportare i risultati della sperimentazione sul vaccino Covid-19 in comunicati stampa prima della pubblicazione su riviste non è né una buona pratica scientifica né aiuta a costruire la fiducia del pubblico nei vaccini. Se i dati di prova per i candidati vaccini Covid-19 vengono annunciati prematuramente, ciò potrebbe minacciare l’integrità e la credibilità degli studi. Ciò potrebbe distorcere quello che dovrebbe essere un rigoroso processo di revisione tra pari».

La nebbia deve essere diradata prima della partenza

Detto e fatto, alcune domande devono ancora essere risolte chiaramente, prima che dirada la nebbia, che si dividono sostanzialmente in due categorie:

Efficacia
1) I vaccini saranno efficaci contro tutti i ceppi esistenti di Sars-CoV-2?
2) Quando compaiono nuovi mutanti, i vaccini saranno efficaci contro i nuovi ceppi?
3) I vaccini saranno efficaci in tutte le fasce d’età?
4) I vaccini saranno efficaci in tutti i gruppi etnici del mondo?
5) Quanto saranno stabili i vaccini?
6) Quanto durerà l’immunità?
7) Anche se i vaccini conferiscono immunità, quanto presto saranno efficaci?
8) Quale percentuale della popolazione deve essere immune prima che il progresso della pandemia di Sars-Cov-2 deceleri?
9) Quanto saranno efficaci i vaccini nelle persone immunosoppresse, immunocompromesse, diabetiche, geriatriche e nelle persone con tumori maligni?
10) Attualmente i bambini piccoli non sono inclusi nelle prove. Se non devono essere vaccinati, che dire della loro protezione contro Sars-CoV-2?
11) Se i bambini sono esclusi dal programma di vaccinazione, possono agire come agenti di diffusione del virus?

Sicurezza
1) Gli effetti avversi ritardati come l’encefalite di Pan sclerosante subacuta (SSPE) compaiono da uno a ventisette anni dopo la vaccinazione, il ciclo di studi attuali è relativamente breve per prevedere il verificarsi di effetti avversi a sviluppo così tardivo.
2) Cosa succede se una donna ha già concepito ed è incinta ma è troppo presto per saperlo e riceve il vaccino?
3) Quanto sono sicuri i vaccini per persone ad alto rischio, come persone molto anziane, diabetici, persone con tumori maligni, persone immunodepresse o immunocompromesse?
4) Qual è il profilo di sicurezza dei vaccini nei bambini e se devono essere esclusi dalla vaccinazione, allora che dire della loro protezione contro Sars-CoV-2?

Queste e molte altre domande richiedono risposte chiare, prima che i vaccini possano essere realmente approvati per il programma di vaccinazione pubblico in generale.
E visto che i governi non intendono attendere e le aziende multinazionali farmaceutiche spingono per poter incassare i profitti, si andrà comunque avanti, nonostante tutte le domande non risposte e i dati scientifici non disponibile. Quindi, a cosa serve il “consenso informato” se non ci sono informazioni? Però, tenete le dita incrociate al momento della firma.

I vaccini “efficaci al 95%” di Pfizer e Moderna: dobbiamo essere cauti e prima vediamo i dati completi
Solo la piena trasparenza e il controllo rigoroso dei dati consentiranno un processo decisionale informato
by Peter Doshi
The BMJ Opinion, 26 novembre 2020

Negli Stati Uniti tutti gli occhi sono puntati su Pfizer e Moderna. I risultati di efficacia topline dei loro studi sperimentali sul vaccino Covid-19 sono sbalorditivi a prima vista. Pfizer afferma di aver registrato 170 casi di Covid-19 (su 44.000 volontari), con una notevole divisione: 162 nel gruppo placebo contro 8 nel gruppo vaccino. Nel frattempo Moderna afferma che 95 dei 30.000 volontari nel suo studio in corso hanno contratto il Covid-19: 90 con placebo contro 5 che hanno ricevuto il vaccino, portando entrambe le società a rivendicare un’efficacia di circa il 95%.

Mettiamolo in prospettiva.

In primo luogo, viene segnalata una riduzione del rischio relativo, non una riduzione del rischio assoluto, che sembra essere inferiore all’1%.

In secondo luogo, questi risultati si riferiscono all’endpoint primario degli studi di Covid-19 di qualsiasi gravità e, soprattutto, non alla capacità del vaccino di salvare vite umane , né alla capacità di prevenire l’infezione , né all’efficacia in sottogruppi importanti (ad es. Anziani fragili). Quelle rimangono ancora sconosciute.
In terzo luogo, questi risultati riflettono un punto temporale relativamente breve dopo la vaccinazione e non sappiamo nulla delle prestazioni del vaccino a 3, 6 o 12 mesi, quindi non possiamo confrontare questi numeri di efficacia con altri vaccini come i vaccini antinfluenzali (che vengono valutati su una stagione).
In quarto luogo, i bambini, gli adolescenti e gli individui immunocompromessi erano in gran parte escluso dagli studi, quindi ci mancano ancora dati su queste importanti popolazioni.

In precedenza ho sostenuto che gli studi stanno studiando l’endpoint sbagliato, e un’urgente necessità di correggere il corso e studiare endpoint più importanti come la prevenzione di malattie gravi e la trasmissione nelle persone ad alto rischio. Tuttavia, nonostante l’esistenza di meccanismi regolatori per garantire l’accesso ai vaccini mantenendo alta la barra di autorizzazione (che consentirebbe agli studi controllati con placebo di continuare abbastanza a lungo per rispondere all’importante domanda), è difficile evitare l’impressione che gli sponsor stiano rivendicando la vittoria e il confezionamento. aumentando le loro sperimentazioni (Pfizer ha già inviato ai partecipanti alla sperimentazione una lettera in cui si discute del “passaggio” dal placebo al vaccino), e la FDA sarà ora sotto un’enorme pressione per autorizzare rapidamente i vaccini.

Ma mentre la conversazione si sposta sulla distribuzione del vaccino, non perdiamo di vista le prove. Il controllo indipendente dei dati di prova sottostanti aumenterà la fiducia e la credibilità dei risultati. Potrebbero esserci anche importanti limitazioni ai risultati dello studio di cui dobbiamo essere a conoscenza.

Ancora più cruciale, abbiamo bisogno di assicurazioni basate sui dati che gli studi non siano stati inavvertitamente aperti, con questo intendo che i ricercatori o i volontari potrebbero fare ipotesi ragionevoli in quale gruppo si trovassero. L’accecamento è più importante quando si misurano endpoint soggettivi come Covid-19 sintomatico, e le differenze negli effetti collaterali post-iniezione tra vaccino e placebo potrebbero aver permesso di indovinare con chiarezza. Passati controlli con placebo di studi clinici di  vaccino di influenza non erano in grado di mantenere pienamente cieco lo stato di vaccino, e il recente incidente “la metà della dose” nel vaccino Covid-19 di prova di Oxford è stato apparentemente solo notato a causa di effetti collaterali più lievi del previsto. (E questa è solo una delle tante preoccupazioni del processo di Oxford.)

A differenza di un normale placebo salino, gli studi di fase iniziale hanno suggerito che gli eventi avversi sistemici e locali sono comuni in coloro che ricevono il vaccino. In uno studio Pfizer , ad esempio, più della metà dei partecipanti vaccinati ha sperimentato mal di testa, dolori muscolari e brividi, ma gli studi di fase iniziale erano limitati, con ampi margini di errore intorno ai dati. Finora sono stati rilasciati pochi dettagli dai grandi studi di fase 3. Il comunicato stampa di Moderna afferma che il 9% ha sperimentato mialgia di grado 3 e il 10% affaticamento di grado 3; La dichiarazione di Pfizer ha riferito che il 3,8% ha avuto affaticamento di grado 3 e il 2% di cefalea di grado 3. Gli eventi avversi di grado 3 sono considerati gravi, definiti come la prevenzione dell’attività quotidiana. Le reazioni di gravità lieve e moderata sono destinate ad essere molto più comuni.

Un modo in cui i dati grezzi dello studio potrebbero facilitare un giudizio informato sul fatto che qualsiasi potenziale accecamento possa aver influenzato i risultati è l’analisi della frequenza con cui le persone con sintomi di Covid-19 sono state inviate per test di conferma di Sars-CoV-2. Senza un rinvio per il test, un caso sospetto di Covid-19 non potrebbe diventare un caso di Covid-19 confermato, e quindi è un passaggio cruciale per essere conteggiato come evento primario: Covid-19 sintomatico confermato in laboratorio. Poiché alcune delle reazioni avverse al vaccino sono anch’esse sintomi di Covid-19 (ad es. febbre, dolore muscolare), ci si potrebbe aspettare che una percentuale molto maggiore di persone che ricevono il vaccino sia stata tamponata e testata per Sars-CoV-2 rispetto a quelle che hanno ricevuto il placebo.

Ciò presuppone che tutte le persone con sintomi vengano testate, come ci si potrebbe aspettare che sarebbe il caso. Tuttavia, i protocolli di prova per gli studi di Modena e Pfizer contengono un linguaggio esplicito che istruisce gli investigatori a usare il loro giudizio clinico per decidere se indirizzare le persone per i test. Moderna la mette in questo modo:
“ È importante notare che alcuni dei sintomi del COVID-19 si sovrappongono con le RA sistemiche richieste che sono previste dopo la vaccinazione con mRNA-1273 (ad esempio, mialgia, mal di testa, febbre e brividi). Durante i primi 7 giorni dopo la vaccinazione, quando questi AR richiesti sono comuni, gli sperimentatori dovrebbero usare il loro giudizio clinico per decidere se raccogliere un tampone NP“.

Ciò equivale a chiedere agli investigatori di indovinare in quale gruppo di intervento si trovassero i pazienti. Ma quando la malattia e gli effetti collaterali del vaccino si sovrappongono, come può un medico giudicare la causa senza un test? E comunque perché è stato chiesto?

È importante sottolineare che le istruzioni si riferiscono solo ai primi sette giorni successivi alla vaccinazione, lasciando poco chiaro quale ruolo possa svolgere il giudizio del medico nei giorni chiave successivi, quando i casi di Covid-19 potrebbero iniziare a contare verso l’endpoint primario. (Per Pfizer, 7 giorni dopo la seconda dose. Per Moderna, 14 giorni.)

In uno studio appropriato, tutti i casi di Covid-19 avrebbero dovuto essere registrati, indipendentemente dal braccio dello studio in cui si è verificato il caso (in termini epidemiologici, non dovrebbero esserci bias di accertamento o errori di misurazione differenziale). È persino diventato buon senso nell’era Covid-19: “Prova, prova, prova”. Ma se i referral per i test non fossero stati forniti a tutti gli individui con sintomi di Covid-19, ad esempio perché si presumeva che i sintomi fossero dovuti agli effetti collaterali del vaccino, i casi potrebbero non essere contati.

Anche i dati sui farmaci che riducono il dolore e la febbre meritano di essere esaminati. I sintomi derivanti da un’infezione da Sars-CoV-2 (ad esempio febbre o dolori muscolari) possono essere soppressi con farmaci che riducono il dolore e la febbre. Se le persone nel braccio del vaccino hanno assunto tali medicinali a scopo profilattico, più spesso o per un periodo di tempo più lungo rispetto a quelli nel braccio del placebo ciò potrebbe aver portato a una maggiore soppressione dei sintomi di Covid-19 a seguito dell’infezione da Sars-CoV-2 nel braccio del vaccino, che si traduce in una ridotta probabilità di essere sospettati di Covid-19, ridotta probabilità di test e quindi ridotta probabilità di raggiungere l’endpoint primario. Ma in uno scenario del genere, l’effetto è stato determinato dai farmaci, non dal vaccino.

Né Moderna né Pfizer hanno rilasciato alcun campione di materiale scritto fornito ai pazienti, quindi non è chiaro quali eventuali istruzioni siano state fornite ai pazienti riguardo all’uso di medicinali per trattare gli effetti collaterali dopo la vaccinazione, ma il modulo di consenso informato per il vaccino di Johnson e prova Johnson fornisce una tale raccomandazione:
“Dopo la somministrazione di Ad26.COV2.S, febbre, dolori muscolari e mal di testa sembrano essere più comuni negli adulti più giovani e possono essere gravi. Per questo motivo, ti consigliamo di prendere un riduttore di febbre o un analgesico se i sintomi compaiono dopo aver ricevuto la vaccinazione, o su consiglio del medico dello studio”.

Potrebbe esserci molta più complessità nell’annuncio “efficace al 95%” di quanto non sembri, o forse no. Solo la piena trasparenza e il controllo rigoroso dei dati consentiranno un processo decisionale informato. I dati devono essere resi pubblici.

[*] Peter Doshi è Associate Editor di BMJ. Si è impegnato per il rilascio pubblico dei protocolli di sperimentazione dei vaccini e ha co-firmato lettere aperte che chiedono indipendenza e trasparenza nel processo decisionale relativo al vaccino covid-19.
BMJ è un fornitore di riviste, supporto alle decisioni cliniche, eventi e formazione medica. La società, legalmente la BMJ Publishing Group Ltd, è una consociata interamente di proprietà della British Medical Association.
Fondata nel 1840 con la pubblicazione del Provincial Medical and Surgical Journal (in seguito la prima edizione del British Medical Journal), è ora un’organizzazione completamente commerciale con circa 550 dipendenti e uffici in diverse località in tutto il mondo.
I prodotti e servizi dell’azienda offrono anche diritti e licenze, pubblicità mirata e opportunità di sponsorizzazione per aziende farmaceutiche e sanitarie, reclutatori e comunità medica in generale.


Vaccini Covid-19: dove sono i dati?
di Jose M Martin-Moreno, John Middleton, Mohamud Sheek-Hussein e Manfred S Green [**]
The BMJ Opinion, 27 november 2020

Tramite comunicati stampa, tre società farmaceutiche hanno recentemente annunciato i risultati provvisori e positivi delle sperimentazioni cliniche dei loro candidati vaccini Covid-19.

In primo luogo, Pfizer/BioNTech ha presentato i risultati iniziali per il loro vaccino BNT162b2 basato su mRNA, che hanno dimostrato che era efficace al 90% nel prevenire Covid-19. Il vaccino è stato testato su 43.538 partecipanti e, finora, ci sono stati 94 casi confermati. Si sottoporranno all’approvazione della Food and Drug Administration (FDA) statunitense quando il profilo di sicurezza avrà raggiunto una pietra miliare predeterminata. Nel frattempo, Pfizer ha continuato a commercializzare il vaccino.

In secondo luogo, il Data Safety Monitoring Board, nominato dal National Institutes of Health (NIH) per lo studio di fase III del candidato vaccino Moderna mRNA-1273 contro Covid-19, ha confermato che il suo studio ha soddisfatto i criteri statistici pre-specificati nel protocollo di studio, con un’efficacia del vaccino del 94,5%.

In terzo luogo, l’Università di Oxford e AstraZeneca hanno annunciato che il loro vaccino basato sull’adenovirus ChAdOx1 nCoV-2019 era sicuro e anche, nei risultati preliminari di uno studio di fase II/III peer-reviewed, in quanto innesca una risposta immunitaria apparentemente incoraggiante in età avanzata, gruppi inclusi nello studio. In un successivo comunicato stampa, hanno riferito che nella sperimentazione di fase III di circa 20.000 partecipanti, il vaccino era efficace intorno al 70%. Questa settimana è anche emerso che ad alcuni dei partecipanti è stata somministrata, per errore, una prima dose che era la metà di quella prevista. Questi partecipanti avevano tutti meno di 55 anni. Sono stati ora sollevati dubbi su come Oxford e Astra Zeneca hanno gestito il rilascio dei loro risultati preliminari, dato l’errore di dosaggio e cosa ciò potrebbe significare per l’efficacia del vaccino.

Tutti questi dati per i diversi vaccini sono potenzialmente molto promettenti, ma nessuno degli studi di fase III è stato pubblicato su riviste peer review o analizzato per gruppo di età, sesso e descrizione del caso (asintomatico, lieve, grave), trasmissibilità del virus dopo l’immunizzazione o durata della protezione.

In qualità di professionisti della sanità pubblica, riteniamo che i risultati delle sperimentazioni cliniche, sia provvisorie che finali, debbano essere soggetti a un processo sistematico appropriato e quindi pubblicati su riviste professionali sottoposte a revisione paritaria. Riportare i risultati della sperimentazione sul vaccino Covid-19 in comunicati stampa prima della pubblicazione su riviste non è né una buona pratica scientifica né aiuta a costruire la fiducia del pubblico nei vaccini. Se i dati di sperimentazione per i vaccini candidati Covid-19 vengono annunciati prematuramente, ciò potrebbe minacciare l’integrità e la credibilità delle prove. Ciò potrebbe distorcere quello che dovrebbe essere un rigoroso processo di revisione tra pari. Riteniamo che i dati e le conclusioni non debbano essere resi credibili prima che la comunità scientifica possa giudicare la validità di tali affermazioni, valutare un resoconto completo di ciò che è stato fatto.

Il processo di rendicontazione delle sperimentazioni cliniche e la commercializzazione simultanea dei vaccini Covid-19 solleva anche preoccupazioni sulla base su cui possono essere valutati i numerosi vaccini candidati in fasi avanzate di sviluppo. Poiché le aziende chiedono ai governi di effettuare ordini in una fase iniziale, ciò solleva una domanda sulla quantità minima di dati che le aziende dovrebbero rilasciare pubblicamente durante il processo di marketing.

È fondamentale che l’Organizzazione mondiale della sanità, in quanto organismo neutrale e credibile, nomini un gruppo di esperti per compilare un elenco aggiornato dello stato attuale delle sperimentazioni cliniche e per specificare come comunicare i risultati. Riteniamo che ciò dovrebbe rientrare nel quadro dell’OMS dell’iniziativa Acceleratore The Access to COVID-19 Tools (ACT). Questa panoramica dovrebbe identificare tutti gli aspetti della produzione di vaccini e la metodologia di prova. Ad esempio, i metodi di produzione dovrebbero specificare tutti gli ingredienti inclusi antigeni, adiuvanti, stabilizzanti, antibiotici e conservanti.

Le aziende dovrebbero essere incoraggiate a pubblicare un documento con la progettazione, i metodi e i risultati della sperimentazione in una rivista peer-reviewed. E dato che dovremmo sforzarci di pubblicare questi articoli il più rapidamente possibile, le riviste dovrebbero dare loro la priorità e garantire rigore e tempestività nel loro processo di revisione tra pari.

La pubblicazione scientifica dovrebbe includere almeno quanto segue:

  • disegno dettagliato dello studio
  • metodo di reclutamento dei partecipanti 
  • dimensione del campione in totale e per braccio di studio 
  • caratteristiche principali della popolazione in studio tra cui età, sesso, etnia, stato di salute e altre variabili chiave 
  • caratteristiche dettagliate del vaccino
  • requisiti di archiviazione
  • dose
  • via di somministrazione e programma
  • durata della prova
  • tempo di maturazione totale 
  • perdita al follow-up, come specificato nei protocolli standard per le sperimentazioni cliniche che indagano sui vaccini

La valutazione della sicurezza e dell’efficacia dovrebbe identificare gli endpoint primari e secondari. I risultati devono essere presentati in modo sistematico, con analisi statistiche precise e specificazione dell’efficacia complessiva e dell’efficacia del sottogruppo (con intervalli di confidenza) e analisi degli effetti avversi per gruppo di età e sesso. Gli autori devono anche discutere i punti di forza e i limiti dello studio. Ci sono altre questioni rilevanti che l’azienda dovrebbe discutere, come il possibile impatto dello svolgimento della sperimentazione in un tempo limitato. Inoltre, gli autori devono presentare l’attuale comprensione di quanto segue:

  • stima di quanto tempo dopo l’immunizzazione è necessario per essere protetti
  • la durata stimata della protezione
  • se la vaccinazione impedirà la trasmissione 
  • in che misura le violazioni della catena del freddo influiscono sull’efficacia del vaccino 
  • potrebbero esserci malattie atipiche nei soggetti vaccinati

I governi, i professionisti della sanità pubblica e la società nel suo insieme devono sostenere un accesso giusto ed equo per ogni paese. Per aiutare con gli aspetti logistici e pratici di questo obiettivo, tutte le informazioni provenienti dagli studi clinici devono avere una credibilità incontrovertibile. In sintesi, con i vaccini Covid-19 ci sono ragioni per sperare, ma dobbiamo affrontare le preoccupazioni. Sosteniamo fortemente la necessità di definire un protocollo standard su quali dati devono essere rilasciati prima che un’azienda inizi a commercializzare il suo vaccino. Ciò dovrebbe essere integrato con linee guida su come confrontare i benefici di ogni nuovo vaccino non appena diventa disponibile. Riteniamo che l’OMS sia più adatto a coordinare un tale processo.

[**] Jose M Martin-Moreno è professore di medicina preventiva e salute pubblica presso la Facoltà di Medicina e INCLIVA-Clinical Hospital, Università di Valencia, Spagna, e presidente del comitato d’onore, Associazione delle scuole di sanità pubblica nella regione europea.
John Middleton è professore onorario di sanità pubblica, Wolverhampton University e presidente dell’Associazione delle scuole di sanità pubblica nella regione europea.
Mohamud Sheek-Hussein è professore associato, Institute of Public Health, College of Medicine & Health Sciences, UAE University, Al-Ain, UAE.
Manfred S Green è professore di epidemiologia e salute pubblica e capo del programma internazionale MPH, Scuola di sanità pubblica, Università di Haifa, Israele.

Potenziare il sistema immunitario è una pessima idea
I prodotti “naturali” che promettono di farlo non funzionano (e per fortuna: se funzionassero sarebbe un guaio)
di Jeremy Samuel Faust (medico che lavora presso il Mount Sinai Hospital di New York)
Ilpost.it, 22 dicembre 2014

Date un’occhiata agli scaffali dei medicinali contro l’influenza e il raffreddore, in farmacia, e incapperete in un sacco di prodotti che sostengono di aumentare le vostre capacità immunitarie in “modo naturale”. Le ricerche su questi tipi di prodotti dimostrano che si tratta solo di placebo piuttosto costosi. Tuttavia molte persone continuano a essere convinte che quelle pozioni possano mantenerle sane. Milioni di persone si fanno prendere dal marketing di questi prodotti, solo all’apparenza amichevole ma in realtà cinico, e spendono felici i loro soldi per cose non troppo distanti dal leggendario “olio di serpente”. Per tutti voi che ci credete, e per voi scettici alla ricerca di nuovi argomenti, prendete in considerazione questa cosa: aumentare le proprie difese immunitarie è in realtà una pessima idea. Anche se questi prodotti mantenessero sul serio le loro promesse, non dovreste comunque usarli.

Siamo dotati di due tipi di immunità complementari: una innata e una acquisita. Quella innata è la capacità del nostro organismo di reagire a un tipo sconosciuto di infezione. È un sistema veloce, ampio e incredibilmente poco specializzato. Quando si attiva porta a effetti che conoscete bene: febbre, tosse, naso chiuso, dolori alle ossa. In breve: a un’infiammazione. E già qui capirete bene perché non abbia senso “potenziare” questa parte del sistema immunitario.

Che vi piaccia o no, appena un virus entra nel vostro organismo, la parte innata del sistema immunitario si attiva. E quando lo fa i sintomi sono di solito abbastanza simili, a prescindere dal fatto che esistano diverse centinaia di virus che causano il raffreddore. Prima che il vostro organismo abbia capito con precisione quale invasione sia in corso, la parte innata fa aumentare la temperatura corporea (quindi si ha la febbre) per provare a “cuocere” i microbi e causa tosse e muco per provare a espellerli. Questo tipo di risposta a casaccio è lievemente utile – seppure fastidiosa – ma non è ciò che davvero sconfigge un’infezione.

Il vero lavoro sporco per neutralizzare un’infezione spetta alla parte acquisita del sistema immunitario, la parte con armi mirate del vostro sistema immunitario che continua a costruirsi e ad arricchirsi durante tutta la vostra vita. Questo sistema contiene cellule B e T che producono e interagiscono con le proteine chiamate anticorpi in grado di attaccare un numero incredibile di specifiche infezioni. Anche se una piccola percentuale di anticorpi viene trasmessa dalla madre al bambino, la maggior parte sono prodotti quando una persona ha a che fare per la prima volta con un certo tipo di infezione. Gli anticorpi che ne derivano sono simili a munizioni che il nostro organismo tiene da parte per decenni nel caso in cui si verifichi nuovamente un’invasione di quel tipo: è una specie di Guerra Fredda.

Se il corpo in precedenza è stato esposto a un patogeno infettivo (o ha ricevuto una vaccinazione) la parte acquisita del sistema immunitario se lo “ricorda” ed è in grado di riconoscerlo rapidamente nel caso di una nuova infezione dello stesso tipo. Una volta che si è riattivato, il sistema produce solo ed esclusivamente gli anticorpi necessari, con una precisione e un’efficienza sorprendenti. Buona parte dei virus più comuni e meno aggressivi viene fatta fuori in questo modo, di solito in pochi giorni. I virus nuovi sono affrontati con un approccio simile. L’unica differenza è che il sistema immunitario non ne ha memoria perché non li ha mai visti primi, quindi ci mette più tempo per produrre gli anticorpi necessari.

Nel frattempo, la parte innata del sistema immunitario prosegue con la sua reazione ad ampio raggio per molto più tempo del necessario. Mentre la parte acquisita ha finito e vinto la battaglia vera e propria, la parte innata non se ne rende conto e continua a combattere come se niente fosse. Ed è per questo motivo che a volte il naso che cola, il mal di gola e la tosse possono durare per settimane, anche dopo un’infezione virale piuttosto modesta.

Per questo motivo potenziare il proprio sistema immunitario sarebbe una pessima idea. I prodotti da banco o di medicina alternativa non possono potenziare la parte acquisita del vostro sistema immunitario. Anche quelli che credono nella magia dovrebbero riconoscere che l’unico modo per farlo è attraverso la vaccinazione – una cosa da cui molti sostenitori della medicina alternativa stanno alla larga – o un trapianto di midollo osseo, un trattamento pericoloso ma spesso necessario per trattare alcuni tipi di tumore del sangue che fanno aumentare il numero di cellule del sistema immunitario. L’unico possibile obiettivo di questi rimedi da banco resta quindi la parte innata del sistema immunitario. Ma chi mai vorrebbe aumentarne la potenza? Nessuno vuole febbre e naso che cola.

Nel trattamento di virus che causano sintomi come il raffreddore la cosa più importante è reprimere, non potenziare, la risposta goffa e rozza della parte innata del nostro sistema immunitario. È per questo motivo che assumiamo farmaci per ridurre la febbre e antistaminici. Anche se un potenziamento naturale fosse possibile, il concetto alla sua base è sbagliato. In casi estremi, una reazione eccessiva a un’infezione può persino portare a cambiamenti nel nostro sistema vascolare, portando alla sepsi o a uno shock: i nostri vasi sanguigni diventano troppo sottili in risposta a un’infiammazione avviata – bravi, avete indovinato – dalla parte innata del nostro sistema immunitario.

In generale, gli estremi sono sempre una pessima soluzione. Troppa capacità immunitaria (per esempio, le risposte autoimmuni) può portare ad allergie, danni ai tessuti e anche all’anafilassi. Troppo poca immunità, per esempio a causa della chemioterapia o dell’HIV, e si è esposti al rischio di infezioni letali che di solito le persone sane superano senza problemi. Il nostro organismo si è evoluto grazie a un equilibrio, ma a volte la parte innata del sistema immunitario è eccessivamente zelante e ha bisogno di darsi una calmata.

Quindi: la prossima volta che sentirete un raffreddore in arrivo, probabilmente ciò di cui avrete bisogno sarà una piccolissima risposta della parte innata, non qualcosa per potenziare il sistema immunitario. Medicinali da banco come l’ibuprofene e gli antistaminici dovrebbero aiutarvi a stare meglio. Nel frattempo, rilassatevi mentre le vostre cellule B e T acquisite fanno il resto. E se non siete ancora malati, tenetevi al passo con le vaccinazioni, compresa quella stagionale contro l’influenza. E ancora: lavatevi spesso le mani, la pelle è dopo tutto parte delle nostre difese naturali e può essere migliorata attraverso una buona igiene. Prendete cura di voi stessi adottando una dieta equilibrata, dormite un numero congruo di ore ogni notte e cercare di ridurre lo stress. Queste sono cose che si sono dimostrate utili per mantenere al meglio il proprio sistema immunitario. Queste da sole possono “potenziare” le probabilità di stare alla larga da un’infezione nella stagione fredda.

4 Dicembre 2020   di Vik van Brantegem

http://www.korazym.org/52053/sars-cov-2-divulgazione-scientifica-parte-13-vaccini-anti-covid-19-dove-sono-i-dati-lo-chiede-il-british-medical-journal/#more-52053


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