Cambia il “Padre Nostro” per volere del Sommo Pontefice, mentre c’è chi prega che il Padre Nostro cambi lo stile di governo del Sommo Pontefice
Dinanzi ad una decadenza morale e dottrinale senza precedenti come quella che stiamo vivendo, pare che qualcuno non abbia trovato di meglio da fare che usare una parola del Pater Noster e l’apertura del Gloria come delle armi di dissuasione di massa ….
La Conferenza Episcopale Italiana ha stabilito — ovviamente nella piena, totale, collegiale e sinodale libertà dei figli di Dio —, la modifica della Preghiera del Padre Nostro nella nuova edizione del Messale Romano [cfr. QUI], dove la frase «non indurci in tentazione» diventa «non abbandonarci alla tentazione». Volendo, avrebbero potuto usare l’espressione «e non esporci alla tentazione», però, alla “esposizione” in uso presso le Comunità Evangeliche Valdesi, hanno preferito una espressione di “abbandono”, forse valutando che mai, come in questa nostra epoca, ci siamo abbandonati a noi stessi. La sostanza resta però la stessa: i Cattolici, come i Protestanti, hanno mutata un’espressione che affonda le proprie radici nei testi più antichi, come tra poco vedremo. E i primi, come i secondi, hanno entrambi rivendicato: il ritorno alle autentiche origini dei testi.
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Il Padre della Chiesa Tertulliano [Cartagine 155 – Cartagine 227], spiega che il Padre Nostro, la Preghiera che il Verbo di Dio stesso ci ha insegnato [cfr. Mt 11, 1] «è la sintesi di tutto il Vangelo». Questa affermazione dovrebbe indurre quanto meno all’uso della totale cautela nel toccare anche un solo sospiro di questo testo.
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Per quanto riguarda la frase “incriminata” che recita: «et ne nos inducas in tentationem» [e non ci indurre in tentazione], nel discorso n. 57 dedicato al Passo del Beato Evangelista Matteo [cfr. Mt 6, 9-13], il Santo Dottore della Chiesa Agostino Vescovo d’Ippona è molto chiaro ed esaustivo nello spiegare che Dio non può compiere il male, però permette che esso operi attraverso Satana e con lui gli Angeli caduti che lo realizzano. Certo, Dio non tenta nessuno verso il peccato, però permette che le forze del male inducano i cristiani a cadere in esso. Tutto questo, è racchiuso nel principio stesso della creazione, presupposto fondante della quale sono la libertà e il libero arbitrio dell’uomo. Altrettanto illuminante commento al Pater Noster e alla frase “incriminata” ci è donato dal Santo Dottore della Chiesa Tommaso d’Aquino, che ricalcando in buona parte l’Ipponate afferma:
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«Dio induce forse al male, quando ci fa dire “non ci indurre in tentazione”? Rispondi che si dice che Dio induce al male nel senso che Egli lo permette, giacché a causa dei suoi numerosi peccati precedenti sottrae l’uomo alla grazia, venuta meno la quale cade nel peccato» [cfr. San Tommaso d’Aquino, Commento al Padre nostro, 6].
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Prima dell’Ipponate e dell’Aquinate, un altro Padre della Chiesa, il Santo Vescovo Cipriano di Cartagine [Cartagine 210 – Cartagine 258], spiega che Dio può dare il potere al Demonio in due modi: per il nostro castigo, se abbiamo peccato, oppure per la nostra glorificazione, se invece accettiamo la prova. E questo, spiega il Santo Vescovo e Dottore [cfr. Patrologia latina del Migne – Vol. IV Cyprianus carthaginensis De oratione dominica], fu ad esempio il caso di Giobbe: «Ecco, tutto quanto gli appartiene io te lo consegno; solo non portare la mano su di lui» [Gb 12, 1]. Il Signore stesso, nel momento della sua passione, dice: «Non avresti su di me nessun potere se non ti fosse stato dato dall’alto» [cfr. Gv 19, 11]. Quando dunque preghiamo per non entrare in tentazione, ci ricordiamo della nostra debolezza, affinché nessuno si consideri con compiacenza, nessuno si inorgoglisca con insolenza, nessuno si attribuisca la gloria della sua fedeltà o della sua passione, allorché il Signore stesso ci insegna l’umiltà quando dice:
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«Vegliate e pregate per non entrare in tentazione. Lo spirito è ardente, ma la carne è debole» [Mc 14, 38].
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Un altro grande Padre della Chiesa, Origene [Alessandria 185 – Tiro 254], per commentare il «et ne nos inducas in tentationem» parte dal Beato Apostolo Paolo che scrivendo agli abitanti di Corinto afferma:
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«Nessuna tentazione vi ha finora sorpresi se non umana; infatti Dio è fedele e non permetterà che siate tentati oltre le vostre forze, ma con la tentazione vi darà anche la via d’uscita e la forza per sopportarla» [I Cor 10, 13].
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Chiarisce così Origene:
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«Che significa dunque il comando del Salvatore di pregare a non indurci in tentazione, dal momento che Dio stesso quasi ci tenta? Dice infatti Giuditta, rivolgendosi non soltanto agli anziani del suo popolo, ma a tutti quelli che avrebbero letto queste parole: “Ricordatevi di quanto operò con Abramo e quanto tentò Isacco e tutto quello che accadde a Giacobbe che pasceva in Mesopotamia di Siria il gregge di Laban, fratello di sua madre; poiché non come purificò costoro per provare il loro cuore, Colui — il Signore — che flagella per emendarli quelli che gli si avvicinano, castigherà anche noi”. Anche Davide, quando dice: “Molte sono le afflizioni dei giusti”, conferma che questo è vero per tutti i giusti. L’Apostolo, a sua volta, negli Atti dice “perché attraverso molte tribolazioni dobbiamo entrare nel regno di Dio” [cfr. At 14, 22]» [Origene, Commento al Padre Nostro].
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Non è comunque da escludere che in un vicino futuro, una squadra di esegeti provveda quanto prima a cambiare anche la pagina del Vangelo del Beato Evangelista Matteo che narra del Demonio che tenta l’uomo Gesù nel deserto [cfr. Mt 4, 1-11], dove il Divino Figlio non si è rivolto al Divino Padre domandando: «E non abbandonarmi alla tentazione», posto che il Creatore permise che Satana lo inducesse in tentazione.
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Dovranno poi intervenire i biblisti per riscrivere e attualizzare anche vari passi biblici secondo le direttiva della nuova gestione e secondo la «rivoluzione epocale» in corso, visto che Dio ci mette alla prova e ci rafforza permettendo che noi fossimo tentati. Non possiamo infatti dimenticare che l’uomo è immerso nelle tentazioni sin dalla sua caduta con la conseguente entrata nella scena del mondo e dell’umanità del peccato originale. Leggiamo infatti nei testi vetero testamentari: «Figlio, se ti presenti per servire il Signore, preparati alla tentazione» [Sir 2,1]. Ma soprattutto è bene ricordare che la Chiesa, in documenti non certo sospetti, giacché si tratta di una delle costituzioni del Concilio Vaticano II, da molti ritenuto il concilio dei concili, ricorda che la tentazione è legata al valore di quella libertà che nell’uomo è il «segno altissimo dell’immagine divina» [Gaudium et spes, 8].
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Un altro testo da correggere è sicuramente quello della Lettera agli Ebrei laddove l’Autore, riprendendo la letteratura dei Salmi, spiega in che modo gli stessi uomini osarono di tentare Dio:
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non indurite i vostri cuori
come nel giorno della ribellione,
il giorno della tentazione nel deserto,
dove mi tentarono i vostri padri mettendomi alla prova,
pur avendo visto per quarant’anni le mie opere [Eb 3, 8-9].
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Proviamo allora ad andare alla fonti più antiche, perché da mezzo secolo a questa parte siamo spettatori e vittime delle gesta e delle varie «rivoluzioni» di coloro che vogliono “tornare alle origini”. Più volte ho spiegato nei miei scritti che certi teologi, col pretesto di origini che in verità non sono mai esistite nella storia antica, vogliono invece imporre il proprio pensiero moderno. Ma se di origini vogliamo parlare, allora basterà dire che la Preghiera del Padre Nostro, nell’antico ed originario testo aramaico, recita:
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La frase “incriminata” proclama alla lettera testuali parole: «e non portarci in tentazione».
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Quando dall’originale testo il Pater Noster fu tradotto dall’aramaico al greco, per evitare di caricare la frase con una lunga perifrasi è usato soltanto un verbo che significa “indurre” o “far entrare”:
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E se il greco non è un’opinione, la frase “incriminata” tradotta alla lettera recita proprio: «Non ci indurre in tentazione». Da questi due testi nasce la terza traduzione, quella latina, del tutto aderente e fedele al testo originale greco:
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Pater Noster qui es in cælis:
sanctificetur nomen tuum;
adveniat regnum tuum;
fiat voluntas tua,
sicut in cælo, et in terra.
Panem nostrum cotidianum da nobis hodie;
et dimítte nobis debita nostra,
sicut et nos dimittimus debitoribus nostris;
et ne nos inducas in tentationem,
sed libera nos a malo.
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Agli amanti dei “ritorni alle origini” va ricordato che la frase “incriminata” «Non ci indurre in tentazione», deriva dal greco εἰσενέγκῃς, da cui la fedele traduzione latina inducas, che nella lingua italiana è altrettanto fedelmente tradotta con indurre. Detto questo è d’obbligo e di rigore chiedersi: si rendono conto gli amanti del ritorno alle autentiche origini, che, stando così le cose, questo “errore” oggi finalmente corretto, risale ai tempi delle prima epoca apostolica?
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Se i testi patristici conosciuti da secoli sono quelli tutt’oggi noti, se le lingue antiche e le loro traduzioni fedeli sono quelle che sono, ecco allora che ciascuno, senza essere indotto ad alcuna tentazione, può trarre da se stesso le proprie conclusioni, dato che in nome di un non meglio precisato ritorno alle origini si è alterato quell’originale che è tale sin dalle aramaiche e greche origini più remote, ed è tale prima del latino e molto prima delle attuali lingue moderne.
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Il problema che forse si cela dietro a questa ennesima querelle, temo che abbia poco di teologico e molto di socio-politico, il tutto con delle strategie più o meno limpide. O per meglio spiegare il problema: la Chiesa Cattolica sta vivendo il periodo forse più tragico della propria intera storia. Siamo in un clima di grande decadenza dottrinale dal quale ha preso vita una profonda crisi morale, perché la crisi morale, nella Chiesa nasce sempre da una crisi dottrinale. Non occorre ricordare che ormai non passa giorno, senza che qualche vescovo o prete non salti agli onori delle cronache per scandali quasi sempre molto gravi. La decadenza e la crisi morale, dal Collegio Sacerdotale ha finito per infettare il Collegio Episcopale, ed appresso il Collegio Cardinalizio. La nostra crisi di credibilità spazia ormai tra il tragico e il comico-grottesco. È quindi singolare che in un momento senza precedenti storici come quello che stiamo vivendo, non si trovi di meglio da fare che ritoccare le parole del Pater Noster e del Gloria.
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Questa vicenda ricorda la storia del dittatore Saddam Hussein accusato di nascondere arsenali d’armi di distruzione di massa. Quelle armi non furono mai trovate, però, con tutte le implicazioni politico-economiche che ne seguirono, si sono avute due guerre nel Golfo che hanno destabilizzato gli assetti politici ed economici. Così, poco dopo, si cominciò a parlare di … armi di dissuasione di massa.
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Dinanzi a una decadenza morale e dottrinale senza precedenti come quella che stiamo vivendo, pare che taluni non abbiano trovato di meglio da fare che usare una parola del Pater Noster e l’apertura del Gloria come delle armi di dissuasione di massa, convinti e sicuri che nessuno avrebbe mai capito e scoperto il loro gioco …
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καὶ μὴ εἰσενέγκῃς ἡμᾶς εἰς πειρασμόν
et ne nos inducas in tentationem, sed libera nos a malo.
E non ci indurre in tentazione, ma liberaci dal male.
Amen !
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dall’Isola di Patmos, 16 novembre 2018
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Articolo pubblicato il 16 novembre 2018 e proposto nuovamente il 24 novembre 2020 in occasione della pubblicazione della nuova edizione tipica del Messale Romano
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