Anteprima. I diari di prigione del cardinale Pell
Rimesso in libertà il 7 aprile dall’Alta Corte australiana che all’unanimità ha riconosciuto l’inconsistenza delle accuse, il cardinale George Pell, 79 anni, ha consegnato i suoi diari della prigionia a Ignatius Press, l’editrice americana fondata e diretta dal gesuita Joseph Fessio, discepolo d’antica data di Joseph Ratzinger e membro del suo “Schulerkreis”, perché fossero pubblicati.
Ed eccolo esaudito. Il primo volume del “Prison Journal” di Pell uscirà il 15 dicembre e Settimo Cielo ne anticipa qui alcuni passaggi, con l’autorizzazione dell’editore.
Il libro, di 350 pagine, copre i primi cinque mesi dei 404 giorni trascorsi dal cardinale in cella d’isolamento, nella Assessment Prison di Melbourne.
Ogni sera Pell scriveva il diario della giornata, due o tre paginette che quasi sempre cominciavano con le sue riflessioni sulle due letture mattutine del breviario, una tratta dalla Bibbia e un’altra dai Padri della Chiesa, e terminavano con una preghiera.
La Bibbia e il breviario – con le lodi, i vesperi e l’ufficio delle letture – erano due dei sei libri, non di più, che gli era consentito tenere con sé in prigione, a sua scelta. Un altro era “Guerra e pace” di Lev Tolstoj.
La cella era lunga tra 7 e 8 metri, larga poco più di 2, con il letto, la sedia, il tavolino, il lavabo, il water, la doccia, il televisore. La finestra, con le sbarre e il vetro oscurato, rimaneva sempre chiusa. Nelle celle d'isolamento dello stesso braccio c’erano assassini e terroristi, alcuni dei quali musulmani, e Pell ne udiva sia le preghiere che le grida. Due volte al giorno gli era consentito di uscire per mezz’ora in un piccolo cortile circondato da alte mura, anche lì da solo, ed era questo anche l’unico momento in cui poteva telefonare. Un paio di volte alla settimana riceveva visite e di tanto in tanto una suora gli portava la comunione eucaristica.
Non gli era consentito celebrare messa, la messa domenicale la vedeva in televisione. Riceveva molte lettere, anche da qualche vicino di cella, e i familiari e gli amici gli procuravano giornali, ritagli, stampe di pagine web, comprese quelle di Settimo Cielo. Indossava la stessa divisa degli altri carcerati, senza la cintura per ragioni di sicurezza, ed era sottoposto, come gli altri, a frequenti controlli antidroga e a ispezioni corporali.
Eppure i suoi diari non hanno niente di cupo. Anzi, sono pacati e rasserenanti, qua e là con un filo d’ironia. Le partite di football australiano e di rugby trovano in lui un commentatore partecipe. La scrittura è semplice e insieme profonda. Il lamento è assente. Anche quando affiorano delle critiche a Francesco e a Benedetto XVI, esse sono misurate ed equanimi, come si può notare nei brani riportati più sotto,
Sullo scandalo finanziario in curia, che pure l’aveva tanto tormentato a Roma, nel diario c’è meno ancora di quel pochissimo che Pell ha detto qualche giorno fa nell’intervista a Nicole Winfield per l’Associated Press, che cioè sì, non aveva mai pensato che lo scandalo “sarebbe stato Technicolor come s’è visto”, ma “può darsi che si tratti di sconcertante incompetenza”, purtroppo con “tanta criminalità coinvolta”. E quanto al possibile contributo vaticano alla campagna contro di lui in Australia, la sua speranza è che non vi sia stato, ma “penso che lo scopriremo se vi sia stato o no” perché “di certo la festa non è finita”.
Ma lasciamo al cardinale Pell la parola, in questa piccola antologia del suo “Prison Journal”.
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IL DOLORE DI GIOBBE, IL MIO E QUELLO DEI MIEI AMICI CINESI
(Lunedì 4 marzo e sabato 15 giugno 2019, pp. 26-27 e 283-284)
Nel breviario, i problemi di Giobbe continuarono e peggiorarono, poiché a Satana fu permesso di infettarlo con ulcere maligne. Ma Giobbe non condannò Dio, anche se sua moglie, amareggiata, lo esortava a "maledire Dio e morire". Giobbe non pronunciò alcuna parola peccaminosa. "Se da Dio accettiamo il bene, perché non dovremmo accettare il male?" (Giobbe 2, 9-10).
In molte occasioni, quando mi si è chiesto della sofferenza immeritata, ho risposto che anche “al Figlio di Dio, Gesù, non è andato tutto liscio”. Per i cristiani, questo li induce sempre a fermarsi e riflettere, e a volte ho chiesto loro di ricordare anche i momenti di benedizione. [...]
Non mi sono mai piaciuti gli scrittori, anche i grandi scrittori cristiani come san Giovanni della Croce, che enfatizzano il ruolo essenziale e necessario della sofferenza, se vogliamo avvicinarci a Dio. Non ho mai letto gran parte della sua opera, trovandola un po’ spaventosa, mentre sono riuscito a finire “Il castello interiore” [1588] di santa Teresa d'Avila, che pur seguiva una simile robusta teologia spagnola.
Il mio approccio è più simile al nonno di Jude Chen, […] che invocava da Dio dei piccoli guai, perché senza di loro sarebbe diventato orgoglioso e grazie a loro voleva evitare guai più grossi. […]
Il mio tempo in prigione non è un picnic, ma diventa un periodo di vacanza se paragonato ad altre esperienze di prigionia. Il mio buon amico Jude Chen, originario di Shanghai e ora residente in Canada, mi ha scritto della prigionia della sua famiglia sotto i comunisti cinesi.
Nel 1958, il fratello di Jude, Paul, un seminarista, e la sorella Sophie, liceale, furono incarcerati perché cattolici e trascorsero trent'anni in due diverse prigioni, per Sophie nel freddo della Cina settentrionale. Alla famiglia era concessa una visita mensile di quindici minuti, quando erano in una prigione di Shanghai, e una lettera di cento parole al mese nell’arco di tre decenni.
Il nonno di Giuda, Simon, che era ricco e aveva costruito una chiesa parrocchiale dedicata alla Santissima Trinità, ebbe confiscati tutti i suoi beni. Jude gli voleva bene e vissero nella stessa casa per nove anni fino alla morte del vecchio. Jude racconta che quando gli chiedevano di quella sua proprietà confiscata, rispondeva: "Tutto è venuto da Dio e sarà restituito a Dio".
Dopo l'inizio della Rivoluzione Culturale nella primavera del 1966, le Guardie Rosse fecero irruzione nella loro casa e furono deluse nello scoprire che il nonno Simon era morto. Quindi distrussero la sua tomba, saccheggiarono la casa e costrinsero la madre di Jude a bruciare tutti i loro oggetti religiosi. Il padre di Jude fu licenziato come insegnante e ridotto a fare il bidello.
A undici anni e alle elementari, Jude fu costretto a confessare ai suoi quaranta compagni di classe di essere un criminale di una famiglia criminale. Ricorda ancora il suo insegnante che diceva ai suoi compagni studenti di stare alla larga da lui.
A diciassette anni, lo stesso Jude fu mandato per otto anni in un campo di lavoro in un sobborgo di Shanghai. Mentre stava per partire, i suoi genitori gli diedero questa istruzione: "Jude, non conservare odio nel tuo cuore ma solo amore". Questo è il combustibile sacro che dà forza alla Chiesa.
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QUELLE INTERPRETAZIONI DI “AMORIS LAETITIA” COSÌ PERICOLOSE
(3 marzo, mercoledì delle ceneri, e sabato 23 marzo 2019, pp. 25 e 75)
Sto ancora proseguendo nella lettura della Lettera agli Ebrei, un grande testo, che sviluppa l’obiettivo centrale di Paolo di spiegare il ruolo di Gesù nell'Antico Testamento o nelle categorie ebraiche; che completa l'opera e il messaggio della prima Alleanza. La fedeltà a Cristo e al suo insegnamento rimane indispensabile per qualsiasi cattolicesimo fruttuoso, per qualsiasi risveglio religioso. Questo è il motivo per cui le “approvate” interpretazioni argentina e maltese di "Amoris laetitia" sono così pericolose. Vanno contro l'insegnamento del Signore sull'adulterio e l'insegnamento di san Paolo sulle disposizioni necessarie per ricevere adeguatamente la Santa Comunione. […]
La prima lettura del breviario è sempre tratta dall'Esodo, capitolo 20, e riporta la promulgazione da parte di Dio di quanto abbiamo riordinato nei Dieci Comandamenti. Da adulto, e anche da bambino, li ho sempre considerati essenziali. Cinquant'anni fa ricordo di aver letto che Bertrand Russell, un famoso filosofo ateo, affermava che i Dieci Comandamenti erano come un esame finale di dieci domande, delle quali bastava rispondere solo a sei. Intelligente, ma troppo comodo. [...]
Ai due Sinodi sulla Famiglia, alcune voci hanno proclamato ad alta voce che la Chiesa era un ospedale da campo o un porto di rifugio. Ma questa è solo un'immagine della Chiesa ed è ben lontana dall’essere la più adatta o rilevante, perché la Chiesa deve piuttosto mostrare come non ammalarsi e come scampare ai naufragi, e qui i comandamenti sono essenziali. Gesù stesso ha insegnato: "Se osserverete i miei comandamenti rimarrete nel mio amore" (Gv 15, 10).
(In una nota redazionale a piè di pagina, riguardo alle interpretazioni di “Amoris laetitia”, si spiega che “linee guida pastorali” che “permettevano ai cattolici divorziati e risposati di ricevere la comunione in certe circostanze” furono pubblicate in Argentina e a Malta e “papa Francesco approvò le linee guida di Buenos Aires in una lettera ai vescovi della regione nel settembre 2016”, mentre “la pubblicazione delle linee guida maltesi su ‘L’Osservatore Romano’, il quotidiano della Santa Sede, nel gennaio 2017 fu vista anch’essa da alcuni come un’approvazione ufficiale di quelle linee guida”).
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“PAPA EMERITO”? UN RUOLO TUTTO DA RIDEFINIRE
(Sabato 29 giugno 2019, festa dei Santi Pietro e Paolo, p. 319)
Io sono favorevole alla tradizione millenaria che i papi non si dimettono, che continuano fino alla morte, perché questo aiuta a mantenere l'unità della Chiesa. I progressi nella moderna medicina hanno complicato la situazione, consentendo che i papi di oggi e di domani possano vivere probabilmente più a lungo dei loro predecessori, anche quando la loro salute sia molto indebolita. [...]
Occorre però che i protocolli sul ruolo di un papa che si sia dimesso vadano chiariti, per rafforzare le forze dell'unità. Sebbene il papa in pensione possa mantenere il titolo di "papa emerito", dovrebbe essere reinserito nel collegio cardinalizio in modo da essere conosciuto come "Cardinale X, papa emerito", non dovrebbe indossare la tonaca papale bianca e non dovrebbe insegnare pubblicamente. A causa della riverenza e dell'amore per il papa, molti si sentiranno riluttanti a imporre tali restrizioni a qualcuno che un tempo deteneva la sede di Pietro. Probabilmente tali misure sarebbero introdotte meglio da un papa che non abbia nessun predecessore in vita.
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UN BIGLIETTO AUTOGRAFO DA MCCARRICK, “UNA VOLTA CARDINALE”
(Martedì 4 giugno 2019, p. 254)
Ho ricevuto ieri, inoltrato dal mio segretario a Roma, padre Anthony Robbie, un piccolo biglietto, ricoperto da minuscole scritte illeggibili di Ted McCarrick. Nonostante i ripetuti sforzi, non sono riuscito a leggerne l'80 o il 90 per cento, così che non ho potuto nemmeno capire il suo messaggio principale per me. Ha ottantanove anni e si è firmato “Ted McCarrick, Catholicus, olim cardinalis”, che in latino sta per “Cattolico, una volta cardinale”.
È stato sempre cortese nei miei confronti ed è stato un abile “fundraiser” e tessitore di contatti, ben collegato a tutti i livelli e soprattutto con i Democratici. Disgraziatamente, ha causato molti danni in più di un modo. [...] Mentre prego esplicitamente ogni giorno per le vittime, non ho mai tenuto una categoria nella mia lista di preghiere per sacerdoti abusatori e vescovi delinquenti. Dovrei rimediare a questo, e ho pregato per Ted McCarrick, "olim cardinalis".
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LA MUSULMANA CONVERTITA A GESÙ, “A QUALUNQUE COSTO”
(Lunedì 1 luglio 2019, p. 323)
Un sacerdote australiano mi ha informato che aveva appena accolto sei musulmani nella Chiesa cattolica, battezzandoli e confermandoli, e che due erano stati ostracizzati dalle loro famiglie. Egli ha chiesto a una di essi perché era così decisa a compiere questo passo, e lei ha risposto semplicemente che "voleva amare Gesù, a qualunque costo". Lo stesso sacerdote ha poi commentato: "Suppongo che per tutti noi questo dovrebbe essere il nostro unico motivo e obiettivo". Questi fanno parte di un costante flusso sotterraneo di convertiti musulmani.
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IL CASO DEL CAMPIONE DI RUGBY FOLAU, QUANDO ANCHE DIO SI PERDE NELLA NEBBIA
(Lunedì 6 maggio e mercoledì 26 giugno 2019, pp. 181 e 309-311)
Israel Folau è un brillante giocatore di rugby, originario di Tonga e uomo devoto, di fede cristiana semplice, un protestante vecchio stampo, che non ha tempo per le feste cattoliche di Natale e di Pasqua, tanto meno per la devozione alla Madonna.
Ha parafrasato e modificato la lista di san Paolo di coloro che non “erediteranno il Regno di Dio”, postando il suo monito su Instagram: “Ubriachi, omosessuali, adulteri, bugiardi, fornicatori, ladri, atei, idolatri. L'inferno vi aspetta. Pentitevi”. Ebbene, i funzionari del sindacato di rugby lo hanno licenziato per incitamento all'odio. […]
Questo caso creerà importanti precedenti nella lotta per la libertà religiosa, e l'Australian Christian Lobby ha mostrato buon senso nel sostenere Folau. Anche se non sono a favore di condannare persone all'inferno, perché questo è affare di Dio, Folau sta semplicemente riaffermando gli insegnamenti del Nuovo Testamento, quando elenca attività non compatibili con l'appartenenza al Regno dei cieli. Ciò che è strano è che non sorgano lamentele da parte di idolatri, adulteri, bugiardi, fornicatori, ecc., per protesta contro la loro esclusione. Mi chiedo quanti di quelli ostili a Folau siano cristiani e come possano credere nel paradiso e nell'inferno. Chi è sicuro delle proprie convinzioni non è troppo preoccupato dall'espressione di punti di vista diversi od opposti, specialmente se li considera privi di senso. Invece le forze sempre più rozze della correttezza politica non accettano che tutte le persone siano trattate con rispetto e amore, ma esigono, in nome della tolleranza, non solo che l'attività omosessuale sia legale così come i matrimoni dello stesso sesso, ma che tutti debbano approvare tali attività, almeno pubblicamente; e che a tutti debba essere impedito di sposare insegnamenti cristiani sul matrimonio e sulla sessualità in qualsiasi spazio pubblico. Questa sarebbe appunto la fine della libertà religiosa. [...]
Stiamo entrando in un nuovo mondo di idee, con il crollo del monoteismo. […] La civiltà occidentale ci ha resi ciò che siamo e una delle ragioni dei suoi successi è la tensione creativa tra Atene e Gerusalemme. Entrambe le città sono sotto attacco. Gerusalemme e Roma, sua alleata, sopportano il peso maggiore di questo assalto, gli assalti frontali, ma la debolezza di entrambe rende difficile difendere Atene. Quando Dio è perso nella nebbia, sia essa la nebbia della lussuria o del possesso o del potere, le difese della ragione e della verità vengono violate.
Settimo Cielo
di Sandro Magister 07 dic
La GdF di Roma avrebbe trovato timbri e documenti del Vaticano e della Santa Sede in casa della pierre-lobbista Chaouqui. Il resoconto di TgCom24… Gutta cavat lapidem non vi sed saepe cadendo
Secondo TgCom24 di Mediaset online, la Guardia di finanza di Roma avrebbe rinvenuto in casa della pierre-lobbista calabrese Francesca Immacolata Chaouqui materiale di proprietà della Santa Sede. La donna è indagata per ricettazione. Seguono le informazioni svelati da TgCom24.
Documenti del Vaticano su Papa Francesco, sull’Amministrazione del Patrimonio della Sede Apostolica-APSA (la Banca Centrale dello Stato della Città del Vaticana), faldoni sul caso 60A (l’acquisto dalla Segreteria di Stato di Sua Santità del palazzo al numero 60A di Sloane Avenue a Londra, al centro dell’inchiesta finanziaria che sta scuotendo i Sacri Palazzi). E poi timbri con gli stemmi della Santa Sede, sigilli pontifici e pergamene pregiate con in filigrana la parola “Secretum”, utilizzate generalmente dalla Segreteria di Stato o dalla Congregazione per la Dottrina della Fede. È quanto avrebbero trovato gli uomini del Nucleo Valutario della Guardia di Finanza di Roma, dopo una perquisizione negli uffici e nell’abitazione di Francesca Immacolata Chaouqui, trentanovenne calabrese indagata per ricettazione nell’inchiesta della Procura di Roma su alcune maxicommesse da 72 milioni di euro per l’acquisto di 801 milioni di mascherine dalla Cina durante la prima ondata dalla pandemia di Sars-CoV-2.
“Sono estranea a tutto”, si è difesa “La Papessa”, che si è detta “sorpresa” per l’inchiesta a suo carico e “pronta a chiarire tutto con i magistrati”. Come riporta il quotidiano La Verità, le Fiamme Gialle hanno compiuto delle perquisizioni oltre che nell’abitazione di Mario Benotti, indagato nell’inchiesta e legato alla Chaouqui, anche in casa e nella sede dell’agenzia di comunicazione, la View Point Strategy srl (azienda fondata nel 2016 insieme al marito Corrado Lanino).
I finanziari non avrebbero trovato documenti riguardanti società cinesi, ma, in compenso, numerose carte vaticane, sigilli e timbri della Santa Sede, distinte, bilanci, lettere, un quaderno di appunti con versi di poesie ripetuti centinaia di volte e che contenevano, attraverso la sequenza di Fibonacci, un codice per aprire uno scrigno, antiche copie della Divina Commedia e altri documenti finanziari risalenti anche all’epoca in cui la Chaouqui era membro della COSEA, la pontificia commissione referente di studio e indirizzo sull’organizzazione della struttura economica-amministrativa che venne istituita il 18 luglio 2013 da Papa Francesco con lo scopo di raccogliere informazioni in vista della riforma finanziaria.
“La Papessa” finì al centro dello scandalo Vatileaks 2 e fu condannata dal Tribunale dello Stato della Città del Vaticano il 7 luglio 2016 a 10 mesi di carcere (pena sospesa per 5 anni) per concorso con Monsignor Lucio Angel Vallejo Balda nella diffusione di documenti riservati del Vaticano.
Una notizia, quella delle carte vaticane, dei timbri e delle pergamene ritrovate, parrebbe, in possesso della Chaouqui, che ha colto di sorpresa numerose personalità in Vaticano, anche perché nel 2018 la donna aveva annunciato di aver dato mandato al notaio Pasquale Landi di restituire al Vaticano tutti i dossier che in più occasioni aveva detto di custodire in casa o in un caveau.
A quanto pare – scrive TgCom24, però, altre copie di quei documenti, insieme a materiale ad uso esclusivo della Santa Sede, sarebbe rimasto in possesso della donna dai tempi del suo incarico in Vaticano, nonostante il Regolamento Generale della Curia Romana, in vigore dal 1999, vieti esplicitamente al personale in servizio di “asportare documenti originali, fotocopie, copie elettroniche o altro materiale d’archivio e di lavoro riguardante l’Ufficio e tenere fuori dall’ufficio note o appunti privati circa le questioni che si trattano nei Dicasteri”.
Rimane comunque il dubbio – osserva TgCom24 -, in particolare per i timbri, sulla loro eventuale autenticità: Chaouqui nel 2016 era stata condannata per falso, tentata truffa e truffa aggravata, pena patteggiata ad otto mesi, per aver utilizzato fino al 2014 il pass di una zia disabile morta nel 2008 con l’obiettivo di attraversare con l’auto la Ztl nel centro storico di Roma. Le indagini evidenziarono che vennero utilizzati anche dei timbri falsificati per rendere credibili i rinnovi dei documenti della zia defunta.
Fonte: TgCom24 di Mediaset online.
di Vik van Brantegem
Il caso Becciu diventato caso L’Espresso. Un riassunto anche in english style, sulla Voce di New York. E pure La Frankfurter Allgemeine Zeitung… Gutta cavat lapidem non vi sed saepe cadendo
1. Sul nuovo numero di oggi in edicola dell’Espresso finalmente non compare il cognome Becciu. Qualcosa vorrà pur dire…
2. Il falsario da carta straccia Coccia scaricato da tutti tenta di riciclarsi tornando a parlare di lavoratori. Qualcosa vorrà pur dire… [“I ragazzi della ThyssenKrupp di Torino, che la notte del 6 dicembre 2007, durante un turno in fabbrica furono travolti da un incendio terribile si chiamavano Giuseppe Demasi, 26 anni, Angelo Laurino, 43 anni, Rocco Marzo, 54 anni, Rosario Rodinò, 26 anni, Bruno Santino, 26 anni, Antonio Schiavone, 36 anni e Roberto Scola, 32 anni. Con loro c’era Antonio Boccuzzi, unico sopravvissuto di quella strage. Ad Antonio mi legano tante cose, un sentimento di profonda fratellanza, uno dei rapporti più preziosi che ho ricevuto in dono. Dobbiamo a lui, ai parenti delle vittime, a chi oggi giorno lavora senza tutele, garanzie, contratti, protezioni, sicurezza, il dovere della memoria di quel giorno che ha segnato un punto di non ritorno della storia del nostro Paese. #thyssenkrupp” (Massimiliano Coccia – Facebook, 6 dicembre 2020).
3. Nicola Corradi su La Voce di New York, abile e arruolato anche in englishstyle. Qualcosa vorrà pur dire…
4. La Frankfurter Allgemeine Zeitung, quotidiano conservatore tedesco di forte prestigio, che a firma di Matthias Rüb ha cominciato a sollevare ampi dubbi sul caso Becciu. Qualcosa vorrà pur dire…
5. Ne possiamo essere certi: «Gutta cavat lapidem consumitur anulus usu» (La goccia scava la pietra, l’anello si consuma con l’uso) (Ovidio, Epistulae ex Ponto).
Potremmo dare anche meno rilievo al falsario da carta straccia, della serie L’Espresso prima aveva tutto e pure in anticipo e ora? Falsario “Game over”. Ma la colpa non è tanto del falsario, ma anche di chi da carta bianca al falsario, per far diventare la carta bianca carta scritta piena di falsità, che diviene carta straccia. E poiché le falsità sono pubblicate su una rivista che ha buona considerazione presso l’opinione pubblica, invita i lettori a credere che tali falsità siano vere, quando non lo sono. Quindi, Damilano che ha allontanato evidentemente Coccia dovrebbe fare un mega mea culpa pubblico che non fa. Damilano ha allontanato Coccia ed è evidente, ma Damilano fino a pochi giorni fa difendeva Coccia pubblicamente. Quindi, il comportamento di Damilano è una chiara ammissione di colpa. Damilano dovrebbe vergognarsi e chiedere scusa e tutto ciò farlo pubblicamente. A parer nostro la colpa non è dei falsari, poiché il falsario fa il falsario come il ladro fa il ladro è la loro natura. La responsabilità oggettiva la attribuiamo ad un direttore che non vaglia, non valuta, non verifica le osservazioni del falsario in questione. E questo è un fatto molto grave per un direttore. A parer nostro Damilano dovrebbe presentare le dimissioni e farlo prima di subito.
Lo Staff del Blog dell’Editore
Francesco e il “caso” Becciu: il cardinale messo alla gogna potrebbe essere la vittima
Costretto alle dimissioni dal Papa per una “inchiesta” pubblicata dall’Espresso poi querelato. Emergono particolari sospetti e non è da escludere la montatura
di Nicola Corradi [*]
La Voce di New York, 4 dicembre 2020
È una questione complicata. Sì, perché in un intricato giro di informazioni e contraddizioni ci sono di mezzo il Papa, un cardinale e parecchi milioni di euro.
Quella del Cardinale Giovanni Angelo Becciu è una faccenda già nota da qualche mese. In breve, si può riassumere così: Becciu è stato costretto alle dimissioni da Papa Francesco dopo essere stato accusato di peculato. Il reato di peculato viene definito come “appropriazione indebita, a profitto proprio o altrui, di denaro o altro bene mobile appartenente ad altri, commessa da un pubblico ufficiale che ne abbia il possesso in ragione del suo ufficio”.
Ma accusato da chi? Bene, è proprio da questa semplice domanda che tutto prende forma. Sì, perché Becciu non risulta essere indagato né dalla magistratura vaticana, né da quella italiana. Ad accusarlo, infatti, non è un giudice, ma un settimanale: L’Espresso, diretto da Marco Damilano.
Gli eventi si riferiscono al 24 settembre scorso, giorno dell’udienza tra Becciu e il Santo Padre in cui Francesco, invece dei soliti discorsi di routine, gli rovescia sul capo, ancora coperto dallo zucchetto rosso, un secchio di acqua gelata. Lo invita ad abbandonare la propria carica e a lasciare la stanza. Da quel momento, da quei passi fatti per i corridoi della Santa Sede dopo aver appena ricevuto un ordine inaspettato e fulminante, per Becciu inizia la gogna.
Andiamo con ordine. Quel 24 settembre è un giovedì piovoso e alle 18 in punto il Cardinale Becciu ha un’udienza fissata con il Papa. Non è una chiamata eccezionale, i due si incontrano spesso e sono legati, oltre che da un fitto rapporto di lavoro, anche da una profonda e duratura amicizia. Becciu entra quindi rilassato nelle sacre stanze del Pontefice, ma nota qualcosa di insolito. Sulla scrivania di Francesco è appoggiato un articolo che titola “La spada di Francesco sui corrotti”. Il giornale che lo ha scritto è L’Espresso e il protagonista di quelle fitte righe d’inchiostro è lui. Per quasi mezz’ora, dalle 18 alle 18.25, Becciu ascolta dalla bocca del Papa le parole che lo costringono alla dipartita. Esce dalle mura vaticane ed entra nel tunnel senza fine del processo mediatico.
È proprio da qui, da questo articolo brandito dal Santo Padre in un’udienza dall’esito imprevisto, che sorgono le prime informazioni sospette.
L’Espresso, come detto, aveva trovato lo scoop. Una storia raccontata in esclusiva che accusava il cardinale di truffa ai danni dello Stato Pontificio. Ma c’è di più. Alle 10.12 di quel 24 settembre, il sito web dell’Espresso si fa scappare la mano e crea un articolo dal titolo “Ecco perché il cardinale Becciu si è dimesso. Soldi dei poveri al fratello e offshore: le carte dello scandalo. E il Papa chiede pulizia”, firmato da Massimiliano Coccia. Passano poche ore e, alle 15.44, viene creato e pubblicato dallo stesso sito un secondo articolo dal titolo “Ecco perché il cardinale Becciu si è dimesso: L’Espresso di domenica 27 settembre”, firmato della giornalista Angiola Codacci Pisanelli.
Ed è così che le domande iniziano ad accavallarsi. Come faceva L’Espresso a sapere alle 10 del mattino che Becciu si sarebbe dimesso, quando l’udienza del Papa con il Cardinale, nella quale è avvenuta la comunicazione, è stata alle 18? O vogliamo credere alla preveggenza della redazione romana, oppure è chiaro che qualcuno abbia parlato. Chi? Impossibile avere un volto e nome, ma di sicuro non un umile addetto alla segreteria del Vaticano.
Becciu decide di andare per vie legali. I suoi avvocati citano in giudizio L’Espresso, scrivendo che “i predetti articoli, come del resto quelli pregressi, presentano una incisiva carica lesiva dell’immagine e del decoro del Cardinale” e che “la presentazione al Santo Padre dell’articolo poi apparso sul settimanale ‘L’Espresso’ in data 27.09.2020, e dei fatti in esso contenuti, ha costituito la causa della richiesta di dimissioni”.
Per qualche settimana la notizia sembra avviarsi verso un assurdo cono d’ombra, fino a quando, sulle pagine di Libero, Vittorio Feltri torna a scrivere del caso. Lo fa con articoli puntuali, precisi e dettagliati, sollevando questioni alle quali è necessario venga data una risposta. Con una controinchiesta prova a riabilitare la figura di Becciu. In particolare, Feltri pone all‘Espresso 12 domande. Agli articoli di Libero, però, non segue il clamore mediatico che aveva accompagnato le accuse mosse a fine settembre da parte del settimanale di Damilano. Anzi, tutto tace. Alla stampa pare che la vicenda non importi più. O, forse, sono le nuove pieghe assunte dai fatti ad aver allontanato l’interesse dei media.
A fare il primo passo dopo la riapertura delle danze è un protagonista inaspettato: il Papa. Francesco, dopo aver detto nel corso dell’omelia di avere comprensione per “gli apostoli che sbandano”, ha telefonato direttamente a Becciu. Un segnale di distensione in cui il Pontefice, a detta di Becciu, avrebbe pronunciato parole “ben diverse da quelle dei giornalisti”.
Eppure era stato proprio lui, Bergoglio, a procedere in fretta e furia quel pomeriggio del 24 settembre per togliere i diritti del cardinalato a Becciu. Perché, allora, fu così veloce e drastico? Qualcuno inizia a parlare di complotto, una congiura ideata dagli alti membri del conclave, in accordo con i giornalisti delL’Espresso, per mettere fuori gioco un collega con alti incarichi all’interno delle mura di San Pietro.
Quale sarebbe il motivo? Ancora non si può sapere, né se si ha la certezza che la risposta arriverà mai. Una sola cosa è certa. La storia non finirà qui. Anzi, questo sembra essere soltanto uno dei primi capitoli di una serie che potrebbe scuotere dalle fondamenta le rigide istituzioni del Vaticano.
[*] Nicola Corradi, classe 1999 e parmigiano d’origine, attualmente vive a Roma, dove studia Scienze Politiche all’Università LUISS Guido Carli. Appassionato di scrittura fin da quando ne ha memoria, i suoi interessi ricadono per la maggiore su politica e attualità. A Parma scrive sulla Gazzetta, a Roma è responsabile della sezione di politica interna del giornale universitario e ha l’incarico di addetto stampa presso il CUSI-Centro Universitario Sportivo Italiano.
Crescono i dubbi sul caso Becciu
Lo scoop di Libero ripreso in tutto il mondo
di Renato Farina
Libero, 7 dicembre 2020
Che cosa accade dentro le Mura Leonine a proposito del caso Becciu? Si palpa un silenzio carico di presagi. L’Espresso, portavoce unico delle carte avvelenate, è stato tenuto a digiuno. La stampa mondiale rilancia lo scoop di Libero I dubbi sulle accuse a Becciu ora fanno breccia Si dimostrano sempre meno solide le insinuazioni lanciate dall’Espresso. E si inizia a parlare di complotto in Vaticano. Dopo settanta giorni di mitraglia, è rimasto senza cartucce. E comprensibile, dopo che le bombe cartacee che aveva depositato nel suo archivio gli sono esplose sotto i piedi grazie alla contro-inchiesta di Vittorio Feltri su Libero (18, 19 e 20 novembre).
Stiamo parlando – per coloro cui fossero sfuggite le puntate precedenti – del cardinale Angelo Becciu, 72 anni, già Sostituto della Segreteria di Stato (numero 3 della Santa Sede) e Prefetto per le Cause dei Santi, privato dei suoi diritti e costretto alle dimissioni dalle sue cariche il 24 settembre scorso alle ore 18 e 25, dopo una drammatica udienza con il Papa. Al quale erano state accreditate come verità evangeliche e prove giuridicamente inconfutabili i documenti dell’Espresso contro il prelato sardo, impiccato da quelle carte come predatore dei soldi destinati ai poveri onde deviarli verso i propri parenti voraci. Niente di tutto ciò è accaduto, come ora riconosce l’autorità economica del Vaticano, l’arcivescovo Nunzio Galantino. Resta da capire chi e come abbia potuto tendere una simile trappola. Dopo che Libero ha potuto provare che accuse farlocche sono state messe a disposizione di un falsario certificato per tale dal Tribunale di Roma.
Di certo, da dentro i Palazzi apostolici non si sono mosse nuove carte spedite all’Espresso da manine unte dal sacro crisma. Si è interrotto il canale by Vatican City. E così il settimanale diretto da Marco Damilano, dopo la cilecca rimediata nel numero precedente, ha girato i suoi cannoni da un’altra parte.
La contro-inchiesta di Libero ha trovato eco in Qn diretto da Michele Brambilla, quindi su Radio 1 Rai grazie a Giovanni Minoli con un’intervista a Lucetta Scaraffia, e sul sito Korazym.org. Ma è stata ampiamente censurata dall’universo internazionale dei mass-media politicamente corretti che aveva bevuto come oro colato la fake news, un vero e proprio assassinio morale (character assassination) del cardinale, che ha avuto però la consolazione di una telefonata di Francesco il 29 novembre, prima domenica di Avvento.
In attesa che bersaglieri laici cerchino di riaprire una nuova breccia di Porta Pia nel muro dell’omertà difeso dagli zuavi vaticani, segnaliamo:
1. la Frankfurter Allgemeine Zeitung, quotidiano conservatore tedesco di forte prestigio, che a firma di Matthias Rüb ha cominciato a sollevare ampi dubbi sul caso Becciu, citando Vittorio Feltri e il legale Natale Calli Pan.
2. Fresca di stampa e rintracciabile sul web è la corrispondenza da Roma della Voce di New York. Nicola Corradi fornisce ai lettori italo-americani un quadro chiaro della vicenda la cui unica certezza è oggi la fotografia delle tenebre e delle opacità da cui è stretto Francesco. Titolo: «Francesco e il “caso” Becciu: il cardinale messo alla gogna potrebbe essere la vittima». Sommario: «Costretto alle dimissioni dal Papa per una “inchiesta” pubblicata dall’Espresso poi querelato. Emergono particolari sospetti e non è da escludere la montatura».
Scrive Corradi: «Per qualche settimana la notizia sembra avviarsi verso un assurdo cono d’ombra, fino a quando, sulle pagine di Libero, Vittorio Feltri toma a scrivere del caso. Lo fa con articoli puntuali, precisi e dettagliati, sollevando questioni alle quali è necessario venga data una risposta Con una contro-inchiesta prova a riabilitare la figura di Becciu. In particolare, Feltri pone all’Espresso 12 domande. Agli articoli di Libero, però, non segue il clamore mediatico che aveva accompagnato le accuse mosse a fine settembre da parte del settimanale di Damilano. Anzi, tutto tace. Alla stampa pare che la vicenda non importi più. O, forse, sono le nuove pieghe assunte dai fatti ad aver allontanato l’interesse dei media».
Eccole, le «nuove pieghe». La telefonata del Papa a Becciu con parole «ben diverse da quelle dei giornalisti». E il brusio dentro le Mura: «Qualcuno inizia a parlare di complotto, una congiura ideata dagli alti membri del conclave, in accordo con i giornalisti dell’Espresso, per mettere fuori gioco un collega con alti incarichi all’interno delle mura di San Pietro». La conclusione: «La storia non finirà qui. Anzi, questo sembra essere soltanto uno dei primi capitoli di una serie che potrebbe scuotere dalle fondamenta le rigide istituzioni del Vaticano».
di Vik van Brantegem
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