Arcivescovo Gomez e Joe Biden presidente USA 

Secondo The Pillar “La conferenza episcopale statunitense ha trattenuto una dichiarazione sul presidente entrante Joe Biden mercoledì mattina, dopo l’intervento di funzionari della Segreteria di Stato vaticana prima che la dichiarazione potesse essere rilasciata.”

Nel testo della dichiarazione dei vescovi USA, José Horacio Gómez, arcivescovo di Los Angeles e presidente della Conferenza dei Vescovi Cattolici degli Stati Uniti, si è espresso senza compromessi su alcune questioni delicate. Il testo recitava: “Devo quindi sottolineare che il nostro nuovo Presidente si è impegnato a perseguire politiche che farebbero avanzare i mali morali e minaccerebbero la vita e la dignità umana, soprattutto nei settori dell’aborto, della contraccezione, del matrimonio e del genere. Di profonda preoccupazione è la libertà della Chiesa e la libertà dei credenti di vivere secondo la propria coscienza.”

“La dichiarazione – prosegue The Pillar – non è stata rilasciata mercoledì mattina (alle ore 9.00, come riporta la CNA, che l’ha rilasciata dopo quell’ora, ndr), e i vescovi sono stati informati dai funzionari dell’USCCB (la Conferenza Episcopale USA, ndr) che è rimasta sotto embargo, anche dopo che una agenzia dei media ha riferito che era stata rilasciata. 

Fonti della Segreteria di Stato vaticana, altre vicine alla Conferenza episcopale statunitense e fonti tra i vescovi statunitensi hanno confermato a The Pillar che la dichiarazione non è stata diffusa per l’intervento della Segreteria di Stato vaticana, [avvenuto] ore prima della sua pubblicazione.” 

The Pillar continua: “La dichiarazione era stata discussa in maniera accesa fino a martedì sera, ma diverse fonti dicono che è stato l’intervento del Vaticano che ha portato al suo ritardo. 

Fonti vicine all’USCCB affermano che diversi vescovi americani hanno espresso preoccupazione per il rilascio del comunicato, ritenendolo eccessivamente critico nei confronti dell’amministrazione entrante.

Tre fonti vicine alla conferenza episcopale hanno detto che le obiezioni al rilascio della dichiarazione sono state sollevate dal cardinale Joseph Tobin di Newark e dal cardinale Blase Cupich di Chicago, oltre ad altri vescovi non nominati.

Fonti della conferenza hanno detto a The Pillar che mentre la dichiarazione di Gomez avrebbe potuto alla fine essere rilasciata, ci si aspettava che Papa Francesco rilasciasse per primo una dichiarazione sull’amministrazione Biden, mercoledì a mezzogiorno. Alcune fonti hanno affermato che in Vaticano c’era preoccupazione che una dichiarazione di Gomez, considerata critica nei confronti dell’amministrazione Biden, potesse sembrare forzare la mano del papa nei suoi stessi rapporti con Biden, che sarà il secondo presidente cattolico degli Stati Uniti e il primo in 60 anni.”

Come abbiamo più volte spiegato sulle pagine di questo blog, Biden, nel corso della sua campagna per le primarie democratiche del 2020, ha cambiato la sua posizione sull’aborto, promettendo che se fosse stato eletto avrebbe formalizzato in una legge la sentenza della Corte Suprema americana (Roe vs Wade) che ha introdotto la legalizzazione dell’aborto negli USA, precludendo di fatto agli Stati l’introduzione di limiti all’aborto.

Inoltre, Biden si è impegnato a cambiare le leggi introdotte da Trump che salvaguardano l’obiezione di coscienza e la libertà religiosa, soprattutto in materia di aborto, contraccezione e sterilizzazione.

Poco dopo il giuramento di Biden come presidente, la Santa Sede ha diffuso un comunicato di Papa Francesco che porge al nuovo presidente i “cordiali auguri e l’assicurazione delle [sue] preghiere”.

“Prego che le vostre decisioni siano guidate dalla preoccupazione di costruire una società caratterizzata da autentica giustizia e libertà, insieme all’immancabile rispetto per i diritti e la dignità di ogni persona, specialmente dei poveri, dei vulnerabili e di coloro che non hanno voce”, ha detto il Papa.

Il testo integrale e invariato della dichiarazione dell’Arcivescovo Gomez è stato pubblicato sul sito web dell’USCCB poco dopo mezzogiorno.

Del testo dell’arcivescovo Gomez riportiamo ampi stralci, quelli che hanno suscitato il dibattito in seno alla Conferenza dei vescovi USA.

Eccoli:

Lavorare con il presidente Biden sarà tuttavia unico, poiché è il nostro primo presidente in 60 anni a professare la fede cattolica. In un periodo di crescente e aggressivo secolarismo nella cultura americana, in cui i credenti religiosi devono affrontare molte sfide, sarà rinfrescante confrontarsi con un presidente che comprende chiaramente, in modo profondo e personale, l’importanza della fede religiosa e delle istituzioni. La pietà e la storia personale di Biden, la sua commovente testimonianza di come la sua fede gli abbia portato conforto in tempi di oscurità e tragedia, il suo impegno di lunga data per la priorità del Vangelo per i poveri – tutto questo lo trovo promettente e stimolante.

Allo stesso tempo, come pastori, i vescovi della nazione abbiamo il dovere di proclamare il Vangelo in tutta la sua verità e potenza, in ogni momento opportuno e non opportuno, anche quando questo insegnamento è scomodo o quando le verità del Vangelo vanno contro le direzioni della società e della cultura in generale. Devo quindi sottolineare che il nostro nuovo Presidente si è impegnato a perseguire politiche che farebbero avanzare i mali morali e minaccerebbero la vita e la dignità umana, soprattutto nei settori dell’aborto, della contraccezione, del matrimonio e del genere. Di profonda preoccupazione è la libertà della Chiesa e la libertà dei credenti di vivere secondo la propria coscienza.

I nostri impegni sui temi della sessualità umana e della famiglia, così come i nostri impegni in ogni altro ambito – come l’abolizione della pena di morte o la ricerca di un sistema sanitario e di un’economia che serva veramente la persona umana – sono guidati dal grande comandamento di Cristo di amare e di essere solidali con i nostri fratelli e sorelle, specialmente i più vulnerabili.

Per i vescovi della nazione, la continua ingiustizia dell’aborto rimane la “priorità preminente”. Preminente non significa “solo”. Abbiamo profonde preoccupazioni per molte minacce alla vita e alla dignità umana nella nostra società. Ma, come insegna Papa Francesco, non possiamo rimanere in silenzio quando quasi un milione di vite non ancora nate vengono messe da parte nel nostro Paese, anno dopo anno, a causa dell’aborto.

L’aborto è un attacco diretto alla vita che ferisce la donna e mina la famiglia. Non è solo una questione privata, ma solleva questioni preoccupanti e fondamentali di fraternità, solidarietà e inclusione nella comunità umana. È anche una questione di giustizia sociale. Non possiamo ignorare la realtà che i tassi di aborto sono molto più alti tra i poveri e le minoranze, e che la procedura viene regolarmente utilizzata per eliminare i bambini che nascerebbero con disabilità.

Piuttosto che imporre ulteriori espansioni dell’aborto e della contraccezione, come [Biden] ha promesso, sono fiducioso che il nuovo presidente e la sua amministrazione lavoreranno con la Chiesa e con altri di buona volontà. La mia speranza è che si possa avviare un dialogo per affrontare i complicati fattori culturali ed economici che spingono all’aborto e scoraggiano le famiglie. La mia speranza è anche quella di poter lavorare insieme per mettere finalmente in atto una politica coerente per la famiglia in questo Paese, che riconosca l’importanza cruciale di matrimoni e di una genitorialità forte per il benessere dei bambini e la stabilità delle comunità. Se il presidente, nel pieno rispetto della libertà religiosa della Chiesa, si impegnasse in questa conversazione, si farebbe molta strada per ristabilire l’equilibrio civile e per sanare i bisogni del nostro Paese.

L’appello del presidente Biden per la guarigione e l’unità nazionale è benvenuto a tutti i livelli. È urgentemente necessaria per affrontare il trauma causato nel nostro Paese dalla pandemia di coronavirus e dall’isolamento sociale che non ha fatto altro che aggravare le intense e lunghe divisioni tra i nostri concittadini.

Come credenti, comprendiamo che la guarigione è un dono che possiamo ricevere solo dalla mano di Dio. Sappiamo anche che la vera riconciliazione richiede un paziente ascolto di chi non è d’accordo con noi e la volontà di perdonare e di andare oltre i desideri di rappresaglia. L’amore cristiano ci chiama ad amare i nostri nemici e a benedire coloro che ci si oppongono, e a trattare gli altri con la stessa compassione che vogliamo per noi stessi. 

Siamo tutti sotto l’occhio vigile di Dio, che solo conosce e può giudicare le intenzioni del nostro cuore. Prego che Dio dia al nostro nuovo Presidente, e a tutti noi, la grazia di cercare il bene comune con tutta sincerità.

Affido tutte le nostre speranze e le nostre ansie in questo nuovo momento al tenero cuore della Beata Vergine Maria, madre di Cristo e patrona di questa nazione eccezionale. Che Ella ci guidi nelle vie della pace e ci ottenga la saggezza e la grazia di un vero patriottismo e dell’amore per la patria.

di Sabino Paciolla


L’inaugural address di Biden e l’America che verrà

Il dado è tratto. Come da programma, il rituale laico dell’insediamento presidenziale, il più surreale e blindato della storia americana, si è compiuto: adesso, ufficialmente, Joe Biden è il 46esimo presidente degli Stati Uniti d’America e Kamala Harris sua vicepresidente.

Di pronostici sulle future scelte dell’amministrazione Biden ne sono stati sciorinati molteplici: ritorno dell’approccio multilateralista, dialogo con la Cina, ambiente, l’America latina e l’europeismo. L’unica cosa che sappiamo di certo sono gli impegni presi per i primi 100 giorni nei quali il presidente promette una lotta senza quartiere alla pandemia, il rientro nell’Accordo di Parigi, e numerose svolte in materia di immigrazione, welfare e stimoli economici.

Pur essendo una componente tradizionale e lirica della cerimonia d’insediamento, linaugural address, ovvero il discorso con cui il presidente si presenta alla Nazione, solitamente è lo strumento per comunicare la rotta dei futuri quattro anni. Analizziamone i tratti salienti.

Lo stile oratorio liberal

Il discorso del nuovo presidente si colloca perfettamente nello stile tipico dell’oratoria liberal, un sermone laico esortativo più che esplicativo di un programma. È con la parola democrazia che Biden ha aperto il suo saluto alla Nazione rimarcando l’obiettivo della causa democratica, la fragilità del sistema democratico che, tuttavia, sulle scale di Capitol Hill, oggi, sembra tornare a splendere. Un discorso patriottico ma non nazionalista che non scivola nell’attacco al suo predecessore ma che rispolvera il tono paternalistico, fraterno, che non è solo patrimonio dem ma che dal 1776 anima il discorso politico d’oltreoceano: lo testimonia il ringraziamento ai suoi predecessori presenti, molto differenti fra loro ma animati comunque dallo stesso humus storico.

We the people, tuona Biden citando la costituzione americana, rimarcando quell’”unione più perfetta” ricercata dai primi coloni e che sottolinea l’ideale di unione nell’era in cui tutti continuano a parlare di Stati Disuniti d’America. È proprio la parola unità, assieme alle sue articolazioni “unione”, “uniti”, “insieme”, che ricorre più spesso nel testo di Biden, un accorato appello nella fase più buia della storia americana e mondiale recente. L’unica parte utopica di un discorso che dell’utopia ha fatto saggiamente a meno all’insegna di un invito ad un nazionalismo civico che compia finalmente questa democrazia incompiuta.

Urgenza e avversari politici

Urgenza è l’altra parola che segna il giuramento di Biden. Urgenza intesa come grido di giustizia razziale, il primo esempio politico concreto che il neopresidente cita, a cui segue la causa ambientalista con il suo “appello alla sopravvivenza che viene dal Pianeta”. Due urgenze che assieme alla lotta alla pandemia avevano già segnato la campagna elettorale disegnando una sorta di dottrina Biden in nuce. Ma è soprattutto sulle divisioni sociali interne che il futuro inquilino della Casa Bianca stressa i toni: il terrorismo domestico, il suprematismo bianco, razzismo e paura vengono citati come mali americani e come sfide per il futuro.

C’è un richiamo profondo alla storia americana: la figura di Lincoln, che ritorna come padre nobile della Nazione, sottolineando il parallelismo con le grandi sfide interne che il presidente affrontò; il richiamo progressista alla speranza, quel “tornare forza leader nel mondo” in nome di quell’”ideale americano” refrain spesso abusato dalla politica a stelle e strisce, soprattutto all’estero. Ma c’è spazio anche per la guerra civile, citata più volte come fosco ricordo di anni di America contro America, la lotta per i diritti delle donne e Martin Luther King che proprio a pochi passi dai luoghi del giuramento pronunciò il suo “I have a dream”.

Gli appelli all’unità diventano strumento per veicolare messaggi agli avversari politici: “sarò presidente di tutti gli Americani”, “oggi siamo qui per festeggiare una causa non un candidato”, “chiedo agli americani di unirsi a me in questa causa” fanno da sfondo, ripetutamente, ai contrasti d’America che il presidente ripetutamente cita a suon di “We will”, altro tratto tipico della retorica presidenziale dove l’assunzione di un impegno viene sempre condivisa con il popolo attraverso un complesso meccanismo linguistico di collaborazione/deresponsabilizzazione.

Alleanze e fede

Sul finire del suo discorso, Biden per la prima volta cita, al di là delle generiche esortazioni sull’ “America come raggio di sole nel mondo”, la questione delle alleanze. In questo flebile accenno alla politica estera vi è solo spazio per l’impegno “non sulle cause di ieri” ma sugli obiettivi del futuro attraverso (e per farlo usa un gioco di parole kennediano) “non l’esempio del potere ma con il potere dell’esempio” sancendo, forse, l’inizio di un approccio meno guascone nelle relazioni internazionali.

Last but not least, c’è stata una forte impronta cattolica in questo insediamento e in questo testo. Non solo per via della presenza del reverendo Leo J.O’Donovan, sacerdote gesuita ex presidente della Georgetown University e intimo amico della famiglia Biden. Papa Francesco viene citato più volte e questo potrebbe far presagire una sorta di “asse” con il Vaticano in senso politico, umanitario e sulle questioni climatiche. Al netto delle numerose citazioni spirituali (Sant’Agostino o il biblico passo del “la gioia viene al mattino”) questa impronta è tutto tranne che casuale e negli Stati Uniti ha e avrà il suo peso politico.

Il consueto e paradossalmente laico “God bless America” consegna Biden alla storia. Ai posteri l’ardua sentenza.


https://www.nicolaporro.it/perche-aver-paura-di-chi-santifica-biden/