ACTA APOSTATICAE SEDIS : come, cambiando un po' qua e un po' la, si può cambiare tutto...

domenica 17 gennaio 2021

Il tempo quindi sta per scadere.

L’America e il mondo al bivio: o Trump sventa il colpo di Stato o sarà l’ascesa definitiva del Nuovo Ordine Mondiale




L’amministratore delegato della società My Pillow, Mike Lindell, è stato avvistato lo scorso venerdì nei pressi della Casa Bianca.

Lindell portava con sé una serie di fogli di appunti che sostanzialmente indicano a Trump la strada migliore per attivare il cosiddetto Insurrection Act , la legge contro le insurrezioni firmato nel 1807, e la conseguente gestione dei poteri emergenziali che sarebbero assegnati al presidente in uno scenario del genere.


Si tratta di una legge che di fatto stabilirebbe il ricorso ai tribunali militari per processare tutti coloro che hanno preso parte a delle rivolte tali da attentare all’integrità e alla stabilità dello Stato.

A quanto pare, l’imprenditore americano avrebbe avuto un breve colloquio con Trump dove avrebbe presentato a Trump la strada migliore per ricorrere a questi poteri emergenziali, ma non è noto se il presidente abbia preso in considerazione la proposta dell’amministratore di My Pillow.

Dopo l’incontro, Lindell ha riferito di essere stato solo un tramite per trasmettere al presidente un messaggio da parte di un avvocato americano di cui non ha voluto fare il nome.

Sugli appunti compariva anche il nome dell’avvocato Sidney Powell, impegnata in prima linea da mesi nei ricorso contro la frode elettorale.

E’ probabile che Lindell abbia proposto a Trump di assegnare un ruolo alla Powell soprattutto nell’ambito delle inchieste sulle irregolarità avvenute nelle elezioni.

Queste sono certamente ore decisive per il destino dell’America e del mondo intero.

Sono stati in molti a chiedersi perché Trump non abbia agito prima per sventare il colpo di Stato in atto, e sono ancora in molti a chiedersi se a questo punto il presidente sia disposto a prendere la decisione risolutiva per arrestare coloro che hanno cercato di sovvertirlo con la frode elettorale.

Prima di prendere in considerazione quali potrebbero essere gli scenari a disposizione di Trump per poter fermare l’instaurazione alla Casa Bianca di un fantoccio da anni sul libro paga della Cina comunista, occorre ricostruire le fasi del colpo di Stato.

Storia di un colpo di Stato contro l’America

Tutto è infatti iniziato la notte del 3 novembre. E’ stato lì che l’operazione è partita, quando il sistema si è reso conto che Trump stava andando incontro ad una facile riconferma del suo mandato.

L’ordine è stato mandato negli stati chiave e tutti quanti allo stesso tempo hanno smesso di contare.

In quel momento, sono stati scaricati nelle urne migliaia di voti postali illegali giunti ben oltre la scadenza della mezzanotte e tutti stranamente sono stati assegnati a Joe Biden.

I seggi sono stati sbarrati ed è stato impedito l’accesso ai rappresentanti di lista del partito repubblicano.

Solamente questa circostanza sarebbe bastata a rendere invalide le intere elezioni perché sono state violate in maniera flagrante le leggi elettorali dei vari stati, come ha spiegato lo stesso presidente della commissione elettorale federale, Trey Trainor.

Il broglio però non si è limitato solamente all’uso di schede falsificate o di voti postali illegali.

C’è stato un livello esterno dell’operazione che si è svolto al di fuori dei confini americani e che ha visto il ruolo decisivo di un team di hacker informatici che ha avuto il compito preciso di spostare i voti da Trump a Biden.

L’attacco informatico, secondo quando rivelato dall’ex agente della CIA Bradley Johnson, era già in corso a Francoforte presso la stazione CIA locale nella quale sono custoditi i server di Dominion, la società legata a Soros e ai Clinton che è stata decisiva per eseguire il broglio elettronico.

A quel punto, un altro Paese sarebbe entrato in scena e si tratterebbe proprio dell’Italia, come già si è spiegato nei contributi precedenti.

Una volta che il gruppo informatico di Francoforte si sarebbe reso conto che Trump stava vincendo lo stesso nonostante il broglio in corso, si è deciso di coinvolgere il governo italiano nell’operazione.

All’ambasciata USA a Via Veneto, secondo la versione di Maria Zack e dello stesso Johnson, il generale Graziano avrebbe coordinato l’hackeraggio realizzato attraverso la tecnologia militare messa a disposizione da Leonardo, la società leader nel settore della Difesa partecipata a maggioranza dal governo italiano.

A questo proposito, è interessante notare che i media ordinari si sono interessati a questo blog, tra i quali La Stampa, La Repubblica e Il Giornale, e si sono subito affrettati a dire che tutto questo non sarebbe vero, ma gli stessi media in questione non hanno minimamente fatto notare che nessuno dei protagonisti chiamati in causa, tranne il generale Graziano e Renzi ma in maniera insolitamente timida, ha smentito la versione di Zack e Johnson.

Ha taciuto l’ambasciata americana a Roma e l’uscente governo Conte,  così come non ha proferito parola Leonardo, che invece ha visto arrestati dieci dei suoi dirigenti nei giorni scorsi per riciclaggio e corruzione, a pochi giorni di distanza dallo scandalo dell’Italiagate che appunto coinvolgerebbe la società leader nelle tecnologie aerospaziali.

Una strana “coincidenza” davvero.

L’Italia quindi e il suo apparato istituzionale nelle mani del globalismo potrebbero avere davvero avuto un ruolo fondamentale nel broglio informatico, nell’ambito comunque di una operazione che ha visto coinvolti diversi esecutivi di tutto il mondo impegnati in un attacco senza precedenti agli Stati Uniti.

I Paesi che hanno partecipato in maniera principale direttamente e indirettamente sono stati in primo luogo la Svizzera, in quanto detentrice del software collegato a Dominion, ovvero Scytl, già noto al governo elvetico per sua elevata inaffidabilità nel conteggio dei voti; la Cina in quanto finanziatrice attiva di una società sussidiaria della Dominion stessa; il Canada, in quanto sede di Dominion stessa; la Germania come Paese che ha eseguito parte dell’hackeraggio, e infine l’Italia stessa per il ruolo che si è già spiegato sopra.

E’ stato, in altre parole, un colpo di Stato internazionale ai danni della sovranità degli Stati Uniti e di Donald Trump eseguito da dei governi che sono tutti saldamente nelle mani del grande potere mondialista finanziario internazionale.

Quello che ci si è chiesto in diverse occasioni è perché Trump abbia permesso ai governi che gli sono nemici tutto questo senza cercare di prendere le dovute contromisure.

Il presidente era di sicuro perfettamente informato che avrebbero cercato di spodestarlo illegalmente, e aveva a questo proposito preparato nel 2018 un ordine esecutivo molto preciso contro le ingerenze straniere nelle elezioni americane.

L’ordine non è mai stato attivato perché con ogni probabilità la comunità dell’intelligence che ha redatto il rapporto su queste ingerenze ha consegnato al presidente un rapporto contraddittorio e non univoco sulle palesi interferenze straniere nelle elezioni americane.

Il sistema ha sabotato il presidente togliendogli quindi fino ad ora la possibilità di ricorrere a questa arma.

L’ordine esecutivo potrebbe essere ancora attivato all’ultimo istante se Trump fosse già in possesso di un elemento decisivo e incontrovertibile proprio riguardo all’eventuale ingerenza dell’Italia nella frode elettronica.

Nel frattempo, i tribunali che sono stati aditi per i ricorsi si sono praticamente tutti rifiutati di prendere in considerazione tutte le altre prove mostrate dai legali di Trump.

Le prove c’erano e ci sono, ma non si è trovata una corte che fosse stata disponibile a prenderle effettivamente in considerazione.

L’assalto al Congresso: l’atto eversivo finale contro Trump

Il colpo di Stato dunque è continuato fino ad arrivare il 6 gennaio, il giorno nel quale il Congresso ha difatti certificato delle elezioni illegali macchiandosi dunque a sua volta di complicità nei brogli elettorali.

Prima di questa atto eversivo e incostituzionale ci sono stati i famigerati moti del Campidoglio che hanno visto orde di sostenitori definiti “pro – Trump” dalla stampa italiana (compresi i cosiddetti trumpiani di facciata) e internazionale, invadere il Congresso.

Nell’ultima settimana è emerso chiaramente come quegli attivisti non erano in alcun modo riconducibili al campo di Trump.

Al contrario, sono stati già arrestati diversi partecipanti dell’assalto al Campidoglio che si sono rivelati essere null’altro che operativi del gruppo terroristico Antifà, finanziato largamente dallo speculatore americano di origini ebraiche, George Soros.

Si è trattato dunque di un cosiddetto “false flag”, espressione che nel gergo dei servizi significa “falsa bandiera”, e con la quale si identifica la preparazione di un evento preparato da gruppi di intelligence la cui colpa o responsabilità viene poi addossata ai nemici di questi gruppi nel tentativo di screditare questi agli occhi dell’opinione pubblica.

L’insurrezione dunque c’è stata, ma non è opera in alcun modo di Trump, piuttosto dei suoi nemici che l’hanno falsamente accusato di aver preparato l’assedio.

Questa operazione è stata fondamentale per giustificare la seconda messa in stato di accusa da parte della Camera dei Rappresentanti presieduta da Nancy Pelosi contro il presidente.

E’ la prima volta nella storia che un presidente viene sottoposto a “impeachment” due volte nel corso del suo mandato.

Nella prima occasione, le false accuse erano fondate sulla bufala del Russiagate, il tentativo di accostare Trump al Cremlino.

Tra l’altro, i documenti recentemente declassificati da Trump su questo confermano come l’intera indagine nei suoi confronti non sia stata null’altro che una strumentalizzazione politica dell’FBI diretta da Comey che sotto l’egida dell’ex presidente Obama ha dato vita a questa operazione di spionaggio illegale.

In entrambi i casi, la regista dell’operazione è stata Nancy Pelosi che ormai è ampiamente al di fuori del perimetro costituzionale e già colpevole di eversione.

Trump a questo punto avrebbe tutti gli elementi per accusare il Congresso di aver certificato una elezione illegale e la Pelosi di alto tradimento vista la sua reiterazione nel voler ricorrere alla messa in stato di accusa come mezzo politico per rimuovere il presidente.

Un altro aspetto che lascia molto perplessi in questa storia è la fretta forsennata del sistema di voler procedere alla messa in stato di accusa di un presidente sulla carta uscente.

L’argomento che viene proposto di impedire a Trump di ricandidarsi nel 2024 non ha senso, perché Trump non avrebbe comunque più alcuna possibilità reale di vittoria.

Il deep state, il potere dello stato profondo delle lobby militari e finanziarie, non gli consentirà più comunque di vincere legalmente le elezioni in alcun modo, come ha già dimostrato nel 2020.

Le ragioni sembrano essere diverse apparentemente. Il sistema sembra in qualche modo rivelare un timore che il presidente possa fare qualcosa, altrimenti non si spiegherebbe tutta questa fretta.

Non appena è partita l’atto eversivo della Pelosi contro Trump, i social, tutti allo stesso tempo, hanno tagliato le comunicazioni del presidente in carica.

Per la prima volta da quando esistono queste piattaforme, un capo dello Stato è stato espulso da ognuna di esse.

La sensazione è che il sistema abbia voluto tagliare tutte le comunicazioni del presidente allo stesso tempo.

La ragione potrebbe essere in uno degli ultimi tweet di Trump nel quale scrive a lettere maiuscole che gli americani avranno una “VOCE GIGANTE ” nel futuro.

President Trump Asserts The 75 Million People Who Voted ...

Questo termine è utilizzato nel gergo militare per identificare le trasmissioni di emergenza che vengono fatte dalle forze armate qualora dovessero verificarsi degli eventi di straordinaria gravità tali da richiedere di attivare questo sistema di comunicazioni per avvisare la popolazione civile.

Il presidente dunque ha voluto mandare un messaggio in codice ai suoi sostenitori riguardo ad una possibile attivazione della legge marziale o dell’atto contro le insurrezioni?

Un altro aspetto che non torna in tutto questo è il massiccio dispiegamento di forze a Washington DC che ad oggi è la città più presidiata militarmente al mondo.

Ci sono ben 25mila effettivi della guardia nazionale in città ed è stata eretta una rete non scalabile alta più di due metri intorno al Congresso, che questa volta le forze di sicurezza vogliono proteggere efficacemente a differenza di quanto accaduto il 6 gennaio.

Per le strade ci sono anche diversi posti di blocco militari. Tutto questo per una inaugurazione che non ci sarà, ma sarà tenuta solo in forma virtuale.

Nella giornata di oggi era anche prevista una prova tecnica dell’inaugurazione di Biden che è stata misteriosamente rimandata per preoccupazioni relative alla sicurezza.

Quali possono essere queste preoccupazioni in una città dove praticamente ogni angolo è presidiato dai militari, non è stato reso noto.

In tutto questo, Kamala Harris non ha ancora lasciato il suo seggio al Senato e mancano solo tre giorni al suo insediamento da vice-presidente.

E’ la prima volta nella storia degli USA che un deputato o senatore attende l’ultimo istante per dimettersi, e questo fa pensare che la stessa Harris voglia aspettare fino all’ultimo prima di lasciare il suo seggio, nel timore forse che qualcosa di imprevisto possa accadere.

Ora però si deve tornare al punto di partenza di questa analisi ed è quello relativo al perché il presidente non abbia fermato il meccanismo che si è messo in moto prima.

L’idea è che Trump abbia cercato fino all’ultimo una risoluzione pacifica del broglio ma semplicemente ha dovuto riscontrare che ogni singola parte del sistema è infetta.

Sono infette le corti, sono infetti i ministeri, sono infetti i partiti ed è persino infetta la sua stessa vice-presidenza che non ha esercitato le prerogative che la Costituzione gli assegna in materia di controllo della regolarità del voto.

Ora ogni via pacifica sembra essere fallita e sarà in queste ore che si scoprirà se Trump vuole andare fino in fondo oppure no.

Qualcuno sostiene che tutto questo era stato previsto e che il presidente sapeva che si sarebbe giunti comunque a questo punto nel quale Trump avrebbe già preso la decisione di usare i militari per fare pulizia in un sistema profondamente marcio e corrotto.

Se si guarda alla decisione presa da Trump lo scorso novembre quando il presidente ha deciso di rinnovare i vertici della Difesa e allontanare dal consiglio di difesa falchi militaristi del gruppo globalista Bilderberg come Henry Kissinger e Madeleine Albright, tutto questo sembra avere un senso.

Queste mosse non assomigliano a quelle di un presidente in uscita. Il rinnovo del Pentagono dà l’aria di una scelta fatta per avere il controllo di un ganglo vitale della macchina militare senza il quale non c’è alcuna possibilità di eseguire eventualmente un provvedimento contro la repressione del golpe in atto che prevedrebbe appunto l’inevitabile coinvolgimento delle forze armate.

Questa elezione ha comunque dimostrato una evidenza incontrovertibile. E’ impossibile cambiare lo status quo con sistemi democratici, perché la democrazia non è stata fatta per consegnare il potere al popolo, ma piuttosto per assicurare il dominio assoluto della élite finanziaria del globalismo.

In democrazia domina chi ha il capitale che è il mezzo per avere il controllo dei media e dei partiti.

Trump è riuscito a rompere il falso duopolio democratico/repubblicano con il quale le lobby di Washington controllano il Paese da decenni, solamente perché lui stesso aveva il potere di finanziarsi e partecipare alla contesa.

E’ stato un bug del sistema che il sistema stesso ha provato ad eliminare disperatamente e forsennatamente sin dall’inizio della sua campagna.

Fare di nuovo grande l’America è del tutto incompatibile con l’agenda del mondialismo che invece vuole fare grande la dittatura globale auspicata ormai da lungo tempo.

Non si può vincere con vie pacifiche burocratiche un gioco truccato. Vince sempre inevitabilmente il banco.

Se si vuole battere il banco, occorre spostare la partita su un altro piano e arrestare coloro che hanno violato le regole e si sono macchiati di gravissimi reati.

Nella democrazia liberale voluta dal mondialismo, non c’è alcun’altra possibilità di farcela.

Trump ha un’occasione storica per poterlo fare e se non lo farà ora, consegnerà l’America nelle mani di quel potere che la renderà una provincia della Cina comunista, e spianerà così definitivamente la strada al Nuovo Ordine Mondiale.

Il Grande Reset non avrà più alcun ostacolo e andrà incontro ad un’accelerazione fortissima come ha detto John Kerry, ex segretario di Stato USA e membro della società segreta occulta Teschi e Ossa.

Il tempo quindi sta per scadere. Sulle spalle di Trump grava una responsabilità enorme. Non solo ciò che farà lui cambierà il destino dell’America, ma segnerà anche quello del mondo intero.

Se gli USA torneranno sotto l’ala del mondialismo, il Nuovo Ordine Mondiale non avrà virtualmente più ostacoli.

A quel punto, resterà solo la Russia di Putin circondata dalla Cina comunista e dal ricomposto blocco euro-atlantico.

Trump non solo se non farà nulla aprirà la strada alla dittatura mondiale che renderà schiava l’America e il mondo, ma distruggerà anche se stesso.

Non esiste un futuro da imprenditore per Trump e la sua famiglia. La mafia finanziaria globalista gli sta facendo terra bruciata intorno, e il procuratore di Washington DC minaccia di arrestare lui e suo figlio.

Se non si ferma il meccanismo ora, il Grande Reset si attiverà e travolgerà tutto e tutti.

Sono ore tremende e decisive. Forse Trump può trovare la risposta a cosa fare nelle lettere che monsignor Viganò gli ha inviato in più di un’occasione.

Lì dentro il presidente può cogliere di nuovo l’importanza di cosa c’è in ballo.

Lì dentro il presidente può trovare l’ispirazione per schiacciare la testa del serpente una volta per tutte.

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di Cesare Sacchetti

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