ACTA APOSTATICAE SEDIS : come, cambiando un po' qua e un po' la, si può cambiare tutto...

lunedì 25 gennaio 2021

Un gesto di grande e palese rottura

VERSO IL DIACONATO FEMMINILE?/2

Accolite, il contrasto con la prassi della Chiesa

Gli ordini minori sono profondamente legati al Diaconato nella loro funzione, quindi devono esserlo anche quanto all’espressione del segno. Anziché sanare una prassi che rompe con la Tradizione liturgica e ne attacca la pregnanza simbolica, il Papa si è avvalso di tale modo di agire per svuotare definitivamente di significato i ministeri istituiti e renderli mere funzioni. 


Questa storia dell’approvazione delle Lettrici e delle Accolite, come ministeri istituiti, non convince affatto; essa si pone in aperto contrasto con la prassi e la logica sacramentale della Chiesa. Per capire le ragioni profonde di questa contrarietà, proviamo a ripartire dall’importante testo di San Tommaso citato nell’articolo precedente (vedi qui): «Nella Chiesa primitiva, a causa della scarsità di ministri, ai diaconi erano affidati tutti i ministeri inferiori [...]. In seguito però, il culto divino venne ampliato; e quanto la Chiesa aveva implicitamente in un solo ordine, fu affidato esplicitamente a diversi altri ordini» (Super Sent., lib. 4 d. 24 q. 2 a. 1 qc. 2 ad 2). Ad esso ne fa eco un altro, appena precedente: «In esso [diaconato] vengono inclusi tutti gli ordini inferiori».

Gli Ordines minores sono dunque concepiti come “corona” del Diaconato, un’estensione del primo grado dell’Ordine, ad esso legati e ad esso inferiori. A tali ordini era premessa la tonsura chiericale (per distinguerla da quella monastica), che era la porta per entrare nel clero. Il termine greco κληρο fa riferimento alla porzione ricevuta in sorte, in eredità; per questa ragione il rito della tonsura comprende il taglio di cinque ciocche di capelli, accompagnati dalle parole del salmo 16(15): «Dominus pars hereditatis meae et calicis mei, tu es qui restitues hereditatem meam mihi». Questo salmo è probabilmente di origine levitica, perché indica una caratteristica esclusiva dei membri della tribù di Levi: mentre infatti le altre tribù d’Israele avevano ricevuto una porzione della Terra Promessa, a quella di Levi era stato destinato lo stesso Signore, come propria parte di eredità, ad indicare la messa a parte di questa tribù per il culto divino. I figli di Levi erano tre: Gherson, Keat e Merari (cf Nm 3, 17); ai loro discendenti venne assegnato un ministero specifico che riguardava il «servizio alla Dimora» (Nm 3, 7), per distinguerlo espressamente dal sacerdozio legato al sacrificio, affidato ai discendenti di Aronne.

Bisogna comprendere che il Diaconato è sempre stato inteso come l’espressione cristiana del ministero levitico (che non è mai una semplice “trasposizione”) - come attestato, per esempio, dall’antico Sacramentario Leonino e dal più recente Pontificale Romanum (1961-1962)-, ben distinto dal Presbiterato, che ha invece il suo antecedente tipologico nel sacerdozio dei discendenti di Aronne (oltre che nel sacerdozio di Melchisedek), strettamente legato all’azione sacrificale. Il Concilio Vaticano II ricorda questa distinzione affermando che ai diaconi le mani vengono imposte «non ad sacerdotium, sed ad ministerium» (LG 29).

Ora, questo «servizio della Dimora» si estende dall’edificio sacro di pietra a quello delle pietre vive dell’edificio spirituale (cf. 1Pt 2,5); esso dunque comprende la custodia della casa di Dio (Ostiariato), l’annuncio della Parola (Lettorato), la liberazione dei catecumeni dal potere del Maligno (Esorcistato), particolari servizi liturgici e di assistenza al Vescovo (Accolitato e Suddiaconato) ed altre opere caritative.

Se dunque gli ordini minori sono profondamente legati al Diaconato nella loro funzione, essi devono esserlo anche quanto all’espressione del segno. L’ordinazione diaconale associa i candidati a Cristo nel suo ministero, ossia nel suo prendersi cura della Dimora del Padre (cf. Gv 2, 16), inverando in tal modo la realtà tipologica del servizio levitico, che prefigurava a suo modo Cristo. Questo accudimento della Dimora ha una valenza chiaramente sponsale: Cristo si prende cura della Chiesa, sua sposa, nelle sue membra vive, delle quali il tempio-chiesa è espressione materiale. Che il Diaconato sia legato alla sponsalità di Cristo, in questo suo tratto specifico, distinto da quello del Presbiterato, lo dimostra l’ininterrotta tradizione della Chiesa di richiedere la continenza ai candidati a questo grado dell’Ordine; la stessa cosa avviene anche per i Suddiaconi (rimando nuovamente al libro edito dalla Nuova Bussola “Vi dichiaro celibi e casti”), almeno a partire dal Concilio di Cartagine del 401, in ragione della loro stretta associazione con il Diaconato.

Ora, se al Suddiacono veniva - e, laddove esso permane, viene ancora – richiesta la continenza in ragione del suo legame con il Diaconato (e si è visto il significato sponsale del suo essere maschio e celibe, o almeno continente), gli altri ordini minori non dovrebbero almeno conservare il segno della mascolinità, come sempre la Chiesa ha fatto?

Quando, il 15 marzo 1994, la Congregazione per il Culto Divino permise, con una lettera circolare, l’accesso delle donne al servizio dell’altare, dovette chiarire che «i predetti servizi liturgici dei laici sono compiuti “ex temporanea deputatione” a giudizio del vescovo, senza alcun diritto a svolgerli da parte dei laici, uomini o donne che siano». La connotazione della temporaneità del servizio liturgico, che richiama espressamente il can. 230 § 2, venne sottolineata precisamente per far capire che la concessione non poteva riguardare i ministeri istituiti, i quali sono per loro natura stabili. All’epoca era ancora chiaro che la mascolinità, per i candidati a tali ministeri stabili, era condizione necessaria, affinché il segno fosse espresso nella sua verità.

La circolare, però, creava già di fatto un conflitto: da un lato salvaguardava il ministero istituito, ma dall’altra apriva ad una prassi che contraddiceva la tradizione liturgica della Chiesa e indeboliva, fino a sfigurarlo, il segno. Nemmeno le antiche diaconesse potevano in alcun modo servire all’altare: il loro servizio liturgico si limitava all’assistenza dei Battesimi delle donne adulte (dunque per decenza, poiché il Battesimo avveniva per immersione e richiedeva la denudazione), oppure, nel caso di Badesse, nel portare la S. Comunione all’interno del Monastero alle Monache ammalate.

Anziché sanare una prassi (facoltativa, ma dilagante) che rompe con la Tradizione liturgica e ne attacca la pregnanza simbolica, papa Francesco si è avvalso di tale modo di agire per svuotare definitivamente di significato i ministeri istituiti e renderli mere funzioni.

Luisella Scrosati

https://lanuovabq.it/it/accolite-il-contrasto-con-la-prassi-della-chiesa

Il significato dei ministeri minori nella sacra liturgia

1. Il principio del diritto Divino nella liturgia

Circa la natura della sacra liturgia, ossia del culto Divino, Dio stesso ci ha parlato nella Sua Santa Parola e la Chiesa l’ha spiegata nel suo Magistero solenne. Il primo aspetto basilare della liturgia è questo: Dio stesso dice agli uomini come devono onorarLo; in altre parole è Dio che dà norme e leggi concrete per lo svolgimento, anche esteriore, del culto della Sua Divina Maestà.

Di fatto l’uomo è ferito dal peccato originale e per questo è profondamente caratterizzato dalla superbia e dall’ignoranza, e più profondamente ancora è caratterizzato dalla tentazione e dalla tendenza a porsi al posto di Dio al centro del culto, cioè a praticare l’auto-adorazione nelle sue varie forme implicite ed esplicite. La legge e le norme liturgiche sono quindi essenzialmente necessarie per un autentico culto Divino. Queste leggi e norme devono trovarsi necessariamente nella Rivelazione Divina, nella parola di Dio scritta e nella parola di Dio trasmessa dalla tradizione.

La Rivelazione Divina ci trasmette una ricca e minuziosa legislazione liturgica. Un intero libro dell’Antico Testamento è dedicato al diritto liturgico: il Libro del Levitico e parzialmente anche il Libro dell’Esodo. Le singole norme liturgiche del culto Divino dell’Antico Testamento hanno avuto solo un valore transitorio, poiché il loro scopo era di essere una figura, un’indicazione al culto Divino che avrebbe raggiunto la sua pienezza nel Nuovo Testamento. Tuttavia vi sono alcuni elementi di validità perenne: in primo luogo il fatto stesso della necessità di una legislazione liturgica, in secondo luogo che vi sia una legislazione dettagliata e ricca del culto Divino ed infine il fatto che il culto Divino si svolga secondo un ordine gerarchico. Tale ordine gerarchico si presenta così concretamente tripartito: sommo sacerdote – sacerdote – levita; nel Nuovo Testamento, rispettivamente: vescovo – presbitero – diacono/ministro.

Gesù è venuto non per abolire la legge, ma per condurla a pienezza (cfr. Mt 5, 17). Egli diceva: “Finché non siano passati il cielo e la terra, non passerà neppure uno iota o un segno dalla legge, senza che tutto sia compiuto” (Mt 5, 18). Questo risulta valido in modo particolare anche per il culto Divino, giacché l’adorazione di Dio costituisce il primo comandamento del decalogo (cfr. Es 20, 3-5). Il fine di tutta la creazione è questo, gli angeli e gli uomini e persino le creature irragionevoli, per la loro stessa esistenza devono lodare e adorano la Maestà Divina, così come dice la preghiera rivelata del Sanctus: “I cieli e la terra sono pieni della Tua gloria” (cfr. Is 6, 3). 

2. Gesù Cristo, il sommo adoratore del Padre e sommo ministro liturgico

Il primo e più perfetto adoratore del Padre è Gesù Cristo, il Figlio incarnato di Dio. L’opera della salvezza da Lui compiuta aveva come scopo principale il prestare onore e gloria al Padre al posto dell’umanità peccatrice, incapace di prestare un culto degno e a Dio accetto. Il ristabilimento del vero culto Divino e l’espiazione nei confronti della Maestà Divina, oltraggiata a causa delle innumerevoli forme di perversione di culto, costituivano lo scopo primario dell’Incarnazione e dell’opera della Redenzione.

Costituendo i Suoi apostoli veri sacerdoti nella Nuova Alleanza, Gesù ha lasciato alla Sua Chiesa il Suo sacerdozio e con esso il culto pubblico del Nuovo Testamento che ha come suo culmine rituale l’offerta del sacrificio eucaristico. Egli ha insegnato ai Suoi apostoli per mezzo dello Spirito Santo che il culto della Nuova Alleanza doveva essere il compimento del culto dell’Antica Alleanza. Così gli apostoli hanno trasmesso la loro potestà ed il loro servizio liturgico in tre gradi, ossia in tre ordini gerarchici in analogia dei tre gradi dei ministri del culto dell´Antica Alleanza.

Il liturgo supremo è Cristo. Egli contiene in sé ed esercita tutto il culto Divino anche nelle minime funzioni. A questo fatto si possono riferire anche le seguenti parole di Cristo: “Sono tra voi come uno che serve” (Lc 22, 27). Cristo è il ministro, è anche il “diacono” per eccellenza. Cosi lo è anche il vescovo come supremo possessore del servizio liturgico di Cristo. Nell’episcopato sono contenuti tutti i ministeri e servizi del culto pubblico: il ministero del presbiterato, il ministero del diaconato, il ministero degli ordini minori, ossia anche il servizio dei ministranti (dei “chierichetti”). Nella Messa pontificale secondo la forma più antica del rito romano, il vescovo veste tutte le vesti, anche degli ordini inferiori. Nell’assenza di tutti i ministri inferiori, il vescovo compiere lui stesso tutte le funzioni liturgiche del presbitero, del diacono e persino degli ordini minori, ossia dei ministranti e chierichetti. Nell’assenza del diacono, il presbitero compiere lui stesso tutti le funzioni liturgiche del diacono e degli ordini minori, ossia dei ministranti. Nell’assenza del diacono, il suddiacono, i titolari degli ordini minori o i ministranti possono compiere alcune delle funzioni del diacono.

3. La tradizione degli apostoli

La tradizione apostolica ha visto nel triplice ordine gerarchico della Chiesa il compimento della tipologia del triplice ordine gerarchico del culto Divino nell’Antica Alleanza. Questo è quanto ci testimonia Papa San Clemente I, il discepolo degli Apostoli e terzo successore dell’apostolo Pietro.

Nella sua lettera ai Corinzi San Clemente presenta l’ordine liturgico divinamente stabilito nell’Antica Alleanza come esempio per il retto ordine della gerarchia e del culto di ogni comunità cristiana. Parlando del culto Divino egli afferma: “Dobbiamo fare tutto con ordine riguardo a quello che il Signore ha ordinato di compiere secondo i tempi fissati. Egli ha ordinato di compiere le oblazioni e i servizi di culto non a caso o senza ordine. Con la sua decisione sovrana Egli stesso ha determinato dove e per mezzo di chi questi servizi devono essere compiuti, affinché tutte le cose siano fatte santamente in modo conforme al Suo beneplacito e siano gradite alla Sua volontà. Poiché al sommo sacerdote sono stati assegnati servizi liturgici (liturghíai) a lui riservati, ai sacerdoti è stato fissato un posto particolare, ai leviti sono stati imposti servizi (diakoníai) a loro propri e l’uomo laico (ho laikòs ànthropos) è vincolato dai precetti laicali (laikóis prostágmasin)” (1 Clem 40, 1 – 3.5). Papa Clemente comprende che i principi di questo ordine divinamente stabilito nell’Antica Alleanza devono continuare ad operare anche nella vita della Chiesa. Il riflesso più evidente di questo ordine si deve trovare nella vita liturgica, nel culto pubblico della Chiesa. Così il Santo Pontefice trae questa conclusione applicata alla vita e al culto dei cristiani: “Che ognuno di voi, fratelli, nella posizione che gli è propria sia gradito a Dio in buona coscienza e con riverenza, senza trasgredire la regola stabilita dei servizi liturgici (kanón tes leiturghías)” (1 Clem 41, 1). In seguito (cfr. 1 Clem 42, 1ss.) Papa Clemente descrive la gerarchia della Nuova Alleanza, contenuta nello stesso Signore Gesù Cristo e concretata nella missione degli apostoli. Questa realtà corrisponde all’ordine (taxis) voluto da Dio. Qui San Clemente utilizza gli stessi termini con i quali aveva in precedenza descritto l’ordine liturgico e gerarchico dell’Antica Alleanza.

Fin dai primi secoli la Chiesa aveva coscienza del fatto che il culto Divino doveva svolgersi secondo un ordine stabilito da Dio in conformità con l’esempio dell’ordine divino stabilito nell’Antica Alleanza, quindi per poter svolgere un compito nel culto pubblico era necessario appartenere ad un ordine gerarchico. Conseguentemente il culto cristiano, ossia la liturgia eucaristica, veniva svolto in modo gerarchicamente ordinato da persone ufficialmente incaricate per questo scopo. Per tale ragione queste persone di culto costituivano un ordine, un ordine sacro, diviso in tre gradi: episcopato, presbiterato e diaconato, in parallelo coi tre gradi di ministri di culto dell’Antica Alleanza: sommo sacerdote, sacerdoti e leviti. Papa San Clemente nel I secolo designava il servizio dei leviti veterotestamentari con la parola “diaconia” (1 Clem 40, 5). Si può quindi individuare qui il fondamento dell’antica tradizione ecclesiastica, sin al meno dal V secolo, di designare il diacono cristiano con la parola “levita”, ad esempio nelle Constitutiones Apostolicae (2, 26, 3) e negli scritti di Papa Leone Magno (cfr. Ep. 6, 6; Ep. 14, 4; Serm. 59, 7; 85, 2). 

4. Il diaconato

Una testimonianza molto chiara ed importante di questo parallelismo tra i gradi gerarchici dell’Antica e della Nuova Alleanza si trova nei riti d’ordinazione.

I testi dei riti d’ordinazione risalgono a tempi molto antichi, come si vede nel caso della Traditio Apostolica e poi dei sacramentari della Chiesa Romana. Questi testi e riti sono rimasti quasi inalterati nelle formule essenziali, per molti secoli, fino ai nostri giorni. I prefazi o le preghiere consacratorie di tutti e tre gli ordini sacramentali fanno riferimento all’ordine gerarchico e liturgico dell’Antica Alleanza.

Nel rito della consacrazione episcopale, l’antico Pontificale Romano pronuncia questa affermazione essenziale: “Si deve servire la gloria di Dio con ordini sacri” (gloriae Tuae sacris famulantur ordinibus). L’antico pontificale stabilisce espressamente il parallelismo tra Aronne, sommo sacerdote, e l’ordine episcopale; nel nuovo Pontificale c’è soltanto un accenno generico a ciò. Nell’ordinazione presbiterale di ambedue i pontificali si fa esplicito riferimento ai settanta uomini anziani, aiutanti di Mosè nel deserto. Riguardo al diacono, l’antico Pontificale dice espressamente che i diaconi hanno il nome e l’ufficio dei leviti veterotestamentari: “quorum [levitarum] et nomen et officium tenetis”. L’antico pontificale afferma ancora più chiaramente: “siate eletti per l’ufficio levitico” (eligimini in levitico officio). Anche il nuovo Pontificale nell’orazione dell’ordinazione paragona il diaconato con i leviti.

Nel culto veterotestamentario i leviti eseguivano tutta una varietà di servizi liturgici secondari di aiuto e d’assistenza ai sacerdoti. Lo stesso compito hanno avuto i diaconi, come testimoniano la fede orante e la prassi liturgica della Chiesa a partire dei primi secoli. Colui che non aveva ricevuto una designazione solenne per il culto Divino non poteva eseguire una funzione liturgica, anche se questa funzione fosse stata secondaria o soltanto d’assistenza. Queste funzioni secondarie e d’assistenza venivano compiute dai diaconi, i leviti neotestamentari, che appunto non erano considerati sacerdoti. Così ha sempre creduto e pregato la Chiesa: il diacono è ordinato “non ad sacerdotium, sed ad ministerium” (Traditio Apostolica, 9). Nel documento “Traditio Apostolica” (II-inizio III sec.) si dice ancora: “Il diacono non riceve lo spirito al quale partecipa il sacerdote, ma lo spirito per essere sotto l’autorità del vescovo” (n. 8).

Papa Benedetto XVI ha apportato una chiarificazione dottrinale e canonica riguardo al diaconato. Con il Motu proprio Omnium in Mentem dal 26 ottobre 2009, il Sommo Pontefice ha sottoposto a correzione il testo dei canoni 1008 e 1009 del Codice del Diritto Canonico. Il testo precedente del canone 1008 diceva che tutti i sacri ministri che ricevono il sacramento dell’ordine adempiono la funzione di insegnare, santificare e governare in persona Christi Capitis. Nella nuova formulazione del medesimo canone l’espressione in persona Christi Capitis e la menzione della triplice funzione (tria munera) sono state tolte. Al canone 1009 è stato aggiunto un terzo paragrafo: “Coloro che sono costituiti nell’ordine dell’episcopato o del presbiterato ricevono la missione e la facoltà di agire nella persona di Cristo Capo, i diaconi invece vengono abilitati a servire il popolo di Dio nella diaconia della liturgia, della parola e della carità (vim populo Dei serviendi)”. Il magistero della Chiesa ha apportato questa necessaria chiarificazione affinché il diaconato sia compreso sia dottrinalmente sia liturgicamente in modo più conforme alla tradizione apostolica e alla grande tradizione della Chiesa. Di fatto san Tommaso d’Aquino diceva che il diacono non ha la potestà di insegnare, cioè non ha il munus docendi in senso stretto. C’è una differenza tra la natura della predica del vescovo o del sacerdote da un lato e quella del diacono dall’altro. Il diacono può predicare soltanto “per modum catechizantis”, invece il modus docendi, l’esposizione dottrinale del Vangelo e della fede, compete al vescovo e al presbitero, diceva san Tommaso (cfr. S. th. III, 67, 1, ad 1).

Riguardo all’ordine gerarchico della Chiesa il Concilio di Trento ha posto una chiara distinzione tra i sacerdoti e coloro che si chiamano ministri. Il Concilio così afferma: “Oltre al sacerdozio vi sono nella Chiesa cattolica altri ordini maggiori e minori” (sess. XXIII, can. 2). “Nella chiesa cattolica vi è una gerarchia istituita per disposizione Divina, e formata di vescovi, sacerdoti e ministri” (ibid., can. 6). Nella parola “ministri” sono inclusi in primo luogo certamente i diaconi, e si può dedurre dal citato can. 2 che siano inclusi nella gerarchia anche gli ordini minori, sebbene non appartengano al sacerdozio ministeriale come l’episcopato e il presbiterato. I diaconi non sono “sacrificatores”, non sono sacerdoti, e per questo la grande tradizione della Chiesa non ha considerato i diaconi ministri ordinari dei sacramenti del battesimo e della distribuzione della Sacra Comunione.

Tutta la tradizione della Chiesa sia orientale sia occidentale ha sempre ribadito il seguente principio: il diacono prepara, assiste, presta il suo aiuto all’azione liturgica del vescovo o del presbitero (cfr. p.e. Didascalia Apostolorum, 11). Già il primo Concilio Ecumenico di Nicea affermava inequivocabilmente questa verità e questa prassi ricevuta dalla tradizione, dicendo: “Questo grande e santo concilio è venuto a conoscenza che in alcuni luoghi e città i diaconi amministrano ai presbiteri la grazia della sacra Comunione (gratiam sacrae communionis). Né la norma canonica (regula, kanòn) né la consuetudine permettono che chi non ha il potere di offrire il sacrificio (potestatem offerendi) dia il corpo di Cristo a chi ha la potestà di offrire il sacrificio” (can. 18). Il diacono serve, nel vescovo e nei presbiteri, all’unico e indivisibile sacerdozio analogamente a come i leviti servivano al sommo sacerdote ed ai sacerdoti mosaici. 

5. Il diaconato e gli ordini minori

Senza essere propriamente sacerdote, il diacono appartiene nondimeno all’ordine sacramentale e gerarchico. Questo fatto esprime la verità che le funzioni liturgiche subordinate o inferiori appartengono anch’esse all’unico vero sacerdote Gesù Cristo, poiché Egli, nell’esercizio del Suo sacerdozio, per il sacrificio della Croce, si è fatto servo, ministro, “diacono”. Di fatto durante l’Ultima Cena Cristo diceva ai suoi apostoli, ai sacerdoti della Nuova Alleanza, queste parole: “Io sto in mezzo a voi come colui che serve (ho diakonòn)” (Lc 22, 27), cioè come un “diacono”.

Per compiere durante la liturgia servizi d’assistenza, cioè funzioni che non esigono la potestà propriamente sacerdotale, per ordinanza divina è stata istituita nella Chiesa un’ordinazione sacramentale che è il diaconato. I servizi liturgici del diaconato, ad eccezione della proclamazione del Vangelo, sono stati nel tempo distribuiti ad altri ministri dell’altare per i quali la Chiesa ha creato ordinazioni non sacramentali, in particolare il suddiaconato, il lettorato e l’accolitato. Pertanto, non è valido il principio secondo cui si dice che tutte le funzioni liturgiche che non esigono la potestà propriamente sacerdotale appartengono, per legge e per natura, al sacerdozio comune dei fedeli.

Tale affermazione, inoltre, contraddice il principio stabilito per Divina Rivelazione nell’Antica Alleanza, nella quale Dio (attraverso Mosè) ha istituito l’ordine dei leviti per le funzioni inferiori e non-sacerdotali, e nella Nuova Alleanza, nella quale ha istituito (attraverso gli apostoli) per questo scopo l’ordine dei diaconi, cioè per le funzioni non-sacerdotali nella liturgia. Il servizio liturgico del diacono contiene in sé anche le inferiori o le più umili funzioni liturgiche, poiché esprimono la vera natura del suo ordine e del suo nome: servitore, “diákonos”. Queste funzioni liturgiche inferiori o più umili possono essere, ad esempio, il portare all’altare la luce, l’acqua e il vino (sottodiacono, accolito), leggere le letture (sottodiacono, lettore), assistere agli esorcismi e pronunciare preghiere esorcistiche (esorcista), vegliare alle porte della chiesa e suonare le campane (ostiario). Nei tempi degli apostoli erano i diaconi a compiere tutti questi servizi inferiori durante il culto Divino, ma già nel II secolo la Chiesa, per una sapiente disposizione, usando un potere che Dio le ha conferito, ha cominciato a riservare ai diaconi le funzioni liturgiche non-sacerdotali più alte, ed ha aperto, per così dire, il tesoro del diaconato, distribuendo le sue ricchezze, operando dei smembramenti del diaconato stesso e creando in tal modo gli ordini minori (cfr. Dom Adrien Gréa, L’Église et sa divine constitution. Préface de Louis Bouyer de l’Oratoire, ed. Casterman, Montréal 1965, p. 326).

Per lungo tempo si poté così conservare un piccolo numero di diaconi moltiplicando gli altri ministri inferiori. Nei primi secoli la Chiesa di Roma, per riverenza alla tradizione degli Apostoli, non voleva superare il numero sette per i diaconi. Così a Roma nel III secolo Papa Cornelio scriveva che la Chiesa romana aveva sette diaconi (cfr. Eusebio di Cesarea, Storia ecclesiastica, I, 6, 43). Ancora nel IV secolo un sinodo provinciale, quello di Neocesarea (tra il 314 e 325 a.C.), stabiliva la stessa norma (cfr. Mansi II, 544). Dom Adrien Gréa ha dato questa spiegazione, spiritualmente e teologicamente profonda, per il nesso organico tra il diaconato e gli altri ordini inferiori o minori: “Nella misura in cui l’albero della Chiesa cresceva, questo ramo principale del diaconato, obbedendo alle leggi di una divina espansione, si è aperto e si è diviso in parecchi rami, che erano l’ordine del suddiaconato e gli altri ordini minori” (op. cit., p.326).

Quale può essere la ragione dell’ammirevole fecondità del diaconato, per la quale sono nati gli ordini inferiori? La risposta secondo Dom Gréa risiede nel fatto che esiste una differenza essenziale tra il sacerdozio e il ministero. Possiamo vedere questa differenza essenziale nel fatto che solo il sacerdozio agisce in persona Christi Capitis; il ministero del diaconato invece non può fare questo, come ha ribadito Papa Benedetto XVI nel Motu proprio Omnium in Mentem. Il sacerdozio è semplice e per sua natura indivisibile. Il sacerdozio non può essere comunicato parzialmente, benché possa essere posseduto a diversi gradi. A titolo di capo il sacerdozio è posseduto dal vescovo, a titolo di partecipante dal presbitero. Nella sua essenza il sacerdozio non può essere smembrato (cfr. Dom Gréa, op. cit., p. 327). Il ministero invece è posseduto in pienezza dal diaconato, ed è indefinitamente aperto alla condivisione poiché le molteplici funzioni dei ministri sono tutte dirette al sacerdozio, al quale devono servire. La sapienza Divina ha impresso il carattere di divisibilità al servizio liturgico non strettamente sacerdotale e lo ha fondato nel diaconato sacramentale, lasciando però alla Chiesa la libertà di distribuire, secondo le necessità e le circostanze, in modo non-sacramentale, le differenti parti del diaconato le quali si trovano negli ordini inferiori o minori, specialmente i ministeri del lettorato e accolitato.

Definendo dogmaticamente la struttura divinamente stabilita della gerarchia, il Concilio di Trento ha scelto accanto ai termini di “vescovo” e “sacerdoti” il termine “ministri”, evitando il termine “diaconi”. Probabilmente il Concilio voleva includere nel termine “ministri” sia il diaconato, sia gli ordini minori, per dire implicitamente che gli ordini minori sono parti del diaconato. Questa è la formulazione del canone 6 della sessione XXIII: “Se qualcuno dirà che nella Chiesa cattolica non vi è una gerarchia istituita per una divina disposizione, che si compone di vescovi, di sacerdoti e di ministri, sia anatema”. Si può dire, quindi, che gli ordini inferiori o minori come il lettorato e accolitato, hanno per l’istituzione divina la loro radice nel diaconato, ma sono stati per l’istituzione ecclesiastica formati e distribuiti in parecchi gradi (cfr. Dom Gréa, loc. cit.). 

6. Lo sviluppo storico degli ordini minori

Già nel II secolo si trova nelle celebrazioni liturgiche il distinto ufficio del lettore come una categoria stabile dei ministri liturgici, come testimonia Tertulliano (cfr. Praescr. 41). Prima di Tertulliano, San Giustino fa menzione di coloro che posseggono l’ufficio di leggere la Sacra Scrittura nella liturgia eucaristica (cfr. 1 Apol. 67, 3). Già nel III secolo nella Chiesa Romana esistevano tutti gli ordini minori e maggiori della posteriore tradizione della Chiesa, come testimonia una lettera di Papa Cornelio dell’anno 251: “Nella Chiesa romana vi sono quarantasei presbiteri, sette diaconi, sette suddiaconi, quarantadue accoliti, cinquantadue esorcisti, lettori e ostiari” (Eusebio di Cesarea, Storia ecclesiastica, VI, 43, 11).

Si deve tener conto che questa struttura gerarchica con suoi diversi gradi non poteva essere un’innovazione, ma rispecchiava una tradizione, giacché tre anni più tardi Papa Stefano I scriveva a San Cipriano di Cartagine che nella Chiesa romana non ci sono innovazioni, formulando la famosa espressione: “nihil innovetur nisi quod traditum est” (in Cipriano, Ep. 74). Eusebio di Cesarea descriveva l’atteggiamento di Papa Stefano, che certamente caratterizzava anche suoi predecessori, i Pontefici romani, con queste parole: “Stephanus nihil adversus traditionem, quae iam inde ab ultimis temporibus obtinuerat, innovandum ratus est (Stefano ha deciso di non approvare alcuna innovazione contro la tradizione, che ha ricevuto dai tempi precedenti)” (Storia ecclesiastica, VII, 3, 1).

In un aspetto di grande peso come lo è la struttura gerarchica, l’esistenza dei cinque gradi di ministri inferiori al diaconato non poteva essere alla metà del III secolo un’innovazione contro la tradizione. L’esistenza tranquilla di questi gradi inferiori al diaconato presupponeva quindi una tradizione più o meno lunga e doveva per forza risalire nella Chiesa romana almeno al II secolo, cioè al tempo immediatamente post-apostolico. Secondo la testimonianza di tutti i documenti liturgici e dei Padri della Chiesa a partire dal II secolo il lettore e poi anche gli altri ministeri liturgici inferiori (ostiario, esorcista, accolito, suddiacono) appartenevano al clero e l’ufficio era loro conferito mediante un’ordinazione, benché senza imposizione delle mani. La Chiesa orientale usava e usa ancora due diverse espressioni: per le ordinazioni sacramentali dell’episcopato, presbiterato e diaconato si usa la parola “cheirotenia”, mentre per le ordinazioni dei chierici minori (suddiaconi, accoliti, lettori) si usa la parola “cheirotesia”. Per designare che le funzioni dei ministri inferiori al diacono sono, in un certo modo, contenute nel ministero stesso del diacono e s’originano da questo, la Chiesa ha attribuito anche ai ministri liturgici inferiori il termine “ordo”, lo stesso termine con il quale sono designati i ministri gerarchici dell’ordine sacramentale, benché con la precisazione “ordini minori” per distinguerli dai tre “ordini maggiori” (diaconato, presbiterato, episcopato) che hanno il carattere sacramentale. 

7. La situazione attuale degli ordini minori

A partire dai primi secoli, per quasi millesettecento anni, la Chiesa ha ininterrottamente designato sia nei libri liturgici sia in quelli canonici i ministri liturgici inferiori al diaconato con il termine “ordines”. Questa tradizione è durata fino al Motu proprio di Papa Paolo VI Ministeria Quaedam dell’anno 1972 con il quale furono aboliti gli ordini minori ed il suddiaconato ed, al loro posto, vennero creati i “ministeri” del lettore e dell’accolito per promuovere la partecipazione attiva dei fedeli laici nella liturgia, nonostante che tale opinione non trovi alcun sostegno concreto nei testi del Concilio Vaticano II. Questi servizi di lettore e di accolito hanno ricevuto poi la qualifica di “ministeri laicali” come un mezzo della cosiddetta partecipazione attiva dei fedeli laici nella liturgia. Inoltre si è diffuso l’argomento che il servizio liturgico di lettore e di accolito sarebbe un’espressione propria del sacerdozio comune dei laici. In base a questa argomentazione non si può addurre un motivo convincente per escludere le donne dal servizio ufficiale di lettore e d’accolito.

Questa argomentazione, però, non corrisponde al sensus perennis Ecclesiae, poiché fino a Papa Paolo VI la Chiesa mai ha insegnato che il servizio liturgico di lettore e di accolito sarebbe un’espressione propria del sacerdozio comune dei laici. La ininterrotta tradizione della Chiesa universale non solo ha vietato alle donne di svolgere il servizio liturgico di lettore e di accolito, ma il Diritto Canonico della Chiesa di fatto vietava alle donne di ricevere gli ordini minori o il ministero del lettorato e dell’accolitato.

Con un gesto di grande e palese rottura con l’ininterrotta ed universale tradizione della Chiesa sia in Oriente che in Occidente Papa Francisco con il Motu proprio Spiritus Domini dal 10 di gennaio di 2021 ha modificato il can. 230 § 1 del Codice di Diritto Canonico, permettendo l’accesso delle persone di sesso femminile al ministero istituito del lettorato e dell’accolitato. Tuttavia, questo gesto di grande rottura con l’ininterrotta ed universale tradizione della Chiesa effettuata da Papa Francesco a livello del diritto, è stata eseguita o tollerata dai suoi predecessori i Papi Paolo VI, Giovanni Paolo II e Benedetto XVI già prima a livello della prassi.

Un’ulteriore conseguenza logica sarebbe la proposta di chiedere per le donne il diaconato sacramentale. Il fatto che Papa Benedetto XVI abbia ribadito la dottrina tradizionale secondo la quale il diacono non ha la potestà di agire in persona Christi capitis, non essendo ordinato al sacerdozio ma al ministero, ha fornito ad alcuni teologi l’occasione di chiedere per le donne, in base a questo argomento, l’accesso al diaconato sacramentale. Essi sostengono che non avendo il diacono in sé il sacerdozio ministeriale, il divieto dell’ordinazione sacerdotale, confermato definitivamente da Papa Giovanni Paolo II nel documento Ordinatio Sacerdotalis dell’anno 1994, conseguentemente non si applicherebbe, secondo loro, al diaconato.

Si deve dire che un’ordinazione diaconale sacramentale della donna contraddirebbe a tutta la tradizione della Chiesa universale, sia orientale sia occidentale e sarebbe contro l’ordinamento della Chiesa divinamente stabilito, poiché il Concilio di Trento ha dogmaticamente definito la seguente verità: la gerarchia divinamente stabilita si compone di vescovi, presbiteri e ministri, cioè almeno anche di diaconi (cfr. sess. XXIII, can. 6). Inoltre il famoso liturgista Aimé Georges Martimort ha confutato con convincenti prove storiche e teologiche la teoria e la pretesa dell’esistenza di un diaconato sacramentale femminile (cfr. Les diaconesses. Essai historique, Roma 1982; cfr. anche Gerhard Ludwig Müller. Können Frauen die saktramentale Diakonenweihe gültig empfangen? In: Leo Cardinal Scheffczyk, hrsg., Diakonat und Diakonissen, St. Ottilien 2002, pp. 67-106).

L’argomentazione teologica secondo la quale il servizio di lettore ed accolito sarebbe proprio del sacerdozio comune dei laici contraddice il principio divinamente stabilito già nell’Antico Testamento, che diceva: per svolgere un qualsiasi, anche più umile servizio nel culto pubblico era necessario che i ministri ricevessero una designazione stabile o sacra. Gli Apostoli hanno conservato questo principio stabilendo per Divina rivelazione l’ordine dei diaconi in analogia dei leviti veterotestamentari. Questo fatto si evince anche dalle allusioni di Papa Clemente I, discepolo degli apostoli (cfr. op. cit.). La Chiesa dei primi secoli e poi tutta l’ininterrotta tradizione hanno conservato questo principio teologico del culto Divino, che afferma come per compiere qualsiasi servizio all’altare o nel culto pubblico sia necessario appartenere all’ordine dei ministri, designati per tali funzioni con uno speciale rito, chiamato “ordinazione”.

Per questa ragione la Chiesa, già a partire del II secolo, ha cominciato a distribuire i vari compiti liturgici del diacono, cioè del levita neotestamentario, a vari ministri o ordini inferiori. L’ammissione al servizio liturgico senza aver ricevuto un ordine minore era considerata sempre come un’eccezione. In qualità di supplenti degli ordini minori potevano servire all’altare persone di sesso maschile adulti o fanciulli, chierichetti. Il sesso maschile sostituiva in questi casi in un certo modo l’ordinazione minore non sacramentale, giacché il servizio diaconale e tutti gli altri servizi inferiori, che erano inclusi nel diaconato, non erano servizi sacerdotali. Il sesso maschile era però necessario poiché, mancando l’ordinazione minore, era al livello del simbolo l’ultimo legame che legava i ministri liturgici inferiori e di supplenza con il diaconato. Con altre parole i ministri liturgici inferiori erano connessi con il principio del servizio liturgico levitico, il quale a sua volta era strettamente ordinato al sacerdozio e allo stesso tempo a questo subordinato e riservato per Divina disposizione al sesso maschile nell’Antica Alleanza.

Di fatto Gesù Cristo era propriamente il “diacono” e “ministro” di tutti i servizi del culto pubblico della Nuova Alleanza ed era di sesso maschile. Per questa ragione l’universale ed ininterrotta tradizione bimillenaria della Chiesa sia in Oriente che in Occidente ha riservato il ministero del servizio liturgico pubblico al sesso maschile nell’ordine sacramentale dell’episcopato, presbiterato e diaconato e altresì negli ordini minori ossi nei ministeri inferiori come p.e. del lettorato e accolitato. Il sesso femminile trova il suo modello di ministero e servizio nella Beata Vergine Maria, Madre della Chiesa, che designava se stessa con la parola ancella, ancilla (lat.), doúle (grec.), è l’equivalente del maschile diákonos. È significativo che Maria non ha detto “sono la diákona del Signore”, ma “sono l’ancella del Signore”.

Nella argomentazione teologica di tutta la tradizione sia veterotestamentaria, sia neotestamentaria, sia della bimillenaria tradizione orientale ed occidentale della Chiesa, il servizio liturgico delle donne nella liturgia eucaristica sia come lettore sia come accolito e servente nell’ambito dell’altare era assolutamente escluso (cfr. anche lo studio citato di Martimort). C’erano alcune eccezioni nei casi di monasteri femminili di clausura, dove le monache potevano leggere la lettura, però loro non hanno proferito la lettura nel presbiterio, ma dietro la grata di clausura, ad esempio in alcuni conventi delle monache certosine (cfr. Martimort, op. cit., pp. 231ss.).

La proclamazione della lettura della Sacra Scrittura durante la celebrazione eucaristica non era mai affidata dalla Chiesa a persone che non fossero costituite almeno negli ordini minori. Il Secondo Concilio ecumenico di Nicea proibiva un costume contrario, dicendo: “L’ordine (taxis) deve essere conservato nelle cose sante ed è gradito a Dio che si osservino con diligenza i vari incarichi del sacerdozio. Dato che alcuni avendo ricevuto fin da bambini la tonsura clericale, senza altra imposizione delle mani da parte del vescovo (me cheirotesian labòntas), leggono dall’ambone durante la liturgia eucaristica (super ambonem irregulariter in collecta legentes; in greco: “en te synaxei”) contrariamente ai sacri canoni (in greco: “a-kanonìstos”), ordiniamo che da questo momento ciò non sia più consentito” (can. XIV).

Questa norma è stata sempre conservata dalla Chiesa universale e specialmente dalla Chiesa romana fino al momento seguito alla riforma liturgica dopo il Concilio Vatican II, quando si consentì ai laici, cioè a coloro che non erano costituiti negli ordini maggiori o minori, di leggere pubblicamente la lettura anche nelle Messe solenni e lo si permise gradualmente persino alle donne. Volendo conservare il principio della grande tradizione, la quale esigeva che i servizi liturgici fossero compiuti da parte dei ministri degli ordini minori, il Concilio di Trento raccomandava vivamente ai vescovi di provvedere “che le funzioni dei santi ordini, dal diaconato all’ostiariato, accolte nella Chiesa fin dai tempi apostolici, siano esercitate soltanto da quelli che sono costituiti in tali ordini” (sess. XXIII, Decreto di riforma, can. 17). Il Concilio permetteva che fossero ordinati come chierici minori persino uomini sposati: “Nel caso non vi fossero chierici celibatari per esercitare il ministero dei quattro ordini minori, potranno essere sostituiti anche con chierici sposati” (loc. cit.). Nella liturgia romana secondo la forma più antica o straordinaria la proclamazione della lettura nella liturgia eucaristica può essere fatta soltanto da coloro che sono costituiti o negli ordini minori o negli ordini maggiori; di fatto, fino ad oggi, gli ordini minori sono ancora conferiti pontificamente nelle comunità che aderiscono all’usus antiquior. Questa forma della liturgia romana conserva fino ad oggi questo principio trasmesso dai tempi apostolici e ribadito dal Secondo Concilio di Nicea nell’ottavo secolo e dal Concilio di Trento nel sedicesimo secolo.

8. Il servizio degli ordini minori e il sacerdozio di Cristo

Gesù Cristo, l’unico vero sommo sacerdote di Dio, è allo stesso tempo il supremo diacono e si potrebbe dire, in un certo modo, che Cristo è anche il supremo suddiacono, Cristo è il supremo accolito ed esorcista, Cristo è il supremo lettore ed ostiario, persino il supremo ministrante, Cristo è il supremo chierichetto nella liturgia, poiché tutta l’esistenza e l’operazione salvifica di Cristo erano un umilissimo servire. Il suo sacerdozio nel sacerdozio ministeriale della Chiesa deva quindi comprendere anche le funzioni liturgiche inferiori ossia i più umili servizi liturgici, come quello del lettore o accolito. Per questo motivo il diaconato con le sue funzioni fa parte del sacramento dell’ordine ed implicitamente ne fanno parte anche i gradi liturgici inferiori con le loro funzioni, che furono da sempre, giustamente, chiamati “ordines”, benché formalmente non sacramentali. Ecco un’ulteriore ragione teologica per il fatto che la Chiesa universale mai ammettesse le donne al pubblico servizio liturgico, nemmeno nei gradi inferiori di lettore o d’accolito. Nella vita di Cristo si può vedere come Egli compiva la funzione di lettore (quando leggeva la Sacra Scrittura nel culto sinagogale, cfr. Lc 4, 16). Si può dire anche che Cristo esercitava la funzione d’ostiario quando scacciava i mercanti dal tempio di Dio (cfr. Gv 2, 15). Cristo compiva spesso le funzioni d’esorcista, cacciando gli spiriti immondi. La funzione di suddiacono o diacono fu esercitata da Cristo, ad esempio, durante l’Ultima Cena, cingendosi con un grembiale da servo e lavando i piedi agli apostoli che durante la stessa Cena furono da Lui costituiti veri sacerdoti del Nuovo Testamento (cfr. Concilio di Trento, sess. XXII, cap. 1).

Alla grandezza e alla natura del sacerdozio ministeriale e del sacramento dell’ordine appartengono anche servizi liturgici umili ed inferiori. Sarebbe un errore, ed un pensiero umano e mondano, affermare che solamente le funzioni liturgiche superiori (proclamare il Vangelo, proferire la parole della consacrazione) siano proprie del sacerdozio ministeriale, invece le funzioni liturgiche inferiori e umili (proferire la lettura e servire all’altare) siano propri del sacerdozio comune dei fedeli laici. Nel regno di Cristo non c’è una discriminazione, non c’è una competizione ad avere più poteri nell’esercizio del culto Divino, anzi tutto è concentrato nella realtà e nell’esigenza dell’umiltà e del servire conforme al modello di Cristo Sommo ed Eterno Sacerdote.

Dom Gréa ci ha lasciato le seguenti mirabili riflessioni: “Quando il vescovo o il sacerdote compiono qualche funzione di semplice ministero, la esercitano con tutta la grandezza che il loro sacerdozio dona alla loro azione. Il capo divino dei vescovi, Gesù Cristo stesso, non ha disprezzato di esercitare le azioni dei ministri inferiori elevando tutti per la sublimità del Suo sommo sacerdozio. Egli, sacerdote nella pienezza del sacerdozio che aveva ricevuto dal Padre (Sal 109, 4; Eb 5, 1-10), voleva santificare nella Sua persona le funzioni dei ministri inferiori. Esercitando queste funzioni inferiori, Gesù le ha elevate per la dignità del Suo sommo sacerdozio. Abbassandosi a queste funzioni ministeriali inferiori, Egli non le ha né diminuite, né degradate” (op. cit., p. 109).

Tutti i servizi liturgici nell’ambito del presbiterio rappresentano Cristo, il supremo “diacono”, e perciò sia i servizi liturgici superiori che inferiori sono eseguiti secondo il perennis sensus della Chiesa e la sua ininterrotta tradizione da parte delle persone del sesso maschile che sono costituti nell’ordine sacramentale dell’episcopato, presbiterato e diaconato o nei ministeri inferiori dell’altare, specialmente del lettorato e dell’accolitato.

Il sacerdozio comune, invece, è rappresentato da quelle persone che si trovano durante la liturgia nell’ambito della nave della chiesa, rappresentando Maria, la “ancella del Signore”, che riceve la Parola e la rende feconda nel mondo. La Beata Vergine Maria mai avrebbe voluto svolgere e mai ha di fatto svolto la funzione di lettore o di accolito nella liturgia della Chiesa primitiva. Ed Ella sarebbe stata la più degna per un tale servizio, essendo tutta santa ed immacolata. Una partecipazione alla liturgica sul modello di Maria è una partecipazione liturgica più attiva e fruttuosa possibile da parte del sacerdozio comune e specialmente da parte delle donne, poiché “la Chiesa vede in Maria la massima espressione del genio femminile” (Papa Giovanni Paolo II, Lettera alle donne, 10). 

+ Athanasius Schneider, Vescovo ausiliare dell’arcidiocesi di Maria Santissima in Astana

https://www.corrispondenzaromana.it/il-significato-dei-ministeri-minori-nella-sacra-liturgia/

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