“Quella forma di ‘cristianità’ è ormai lontana. Oggi, in tutto il mondo occidentale, l’aria culturale che respiriamo non trasmette la fede né è neutrale riguardo alla fede; l’aria culturale è ostile alla fede. E quando questa ostilità conquista le altezze di comando della politica, cerca aggressivamente di emarginare la fede. (…) Chi immagina che “non può succedere qui” dovrebbe leggere l’ordine esecutivo sull'”identità di genere” firmato dal presidente Biden poche ore dopo il suo insediamento.”
Un articolo di George Weigel, biografo di San Giovanni Paolo II, pubblicato su First Thing, che propongo alla riflessione dei lettori di questo blog nella mia traduzione.
Trent’anni fa, il 22 gennaio 1991, veniva pubblicata l’ottava enciclica di Papa Giovanni Paolo II, Redemptoris Missio (La Missione del Redentore). In un pontificato così ricco di idee che il suo insegnamento ha solo cominciato ad essere digerito, la Redemptoris Missio si distingue come un progetto per il futuro cattolico. Le parti vibranti della Chiesa mondiale stanno vivendo la visione del discepolato missionario a cui l’enciclica ci chiama. Le parti morenti della Chiesa mondiale non hanno ancora recepito il messaggio o, fraintendendolo, lo hanno rifiutato – ed è per questo che stanno morendo.
La Redemptoris Missio ha posto una sfida schietta e formidabile ai cattolici che si trovano a proprio agio: Guardatevi intorno e riconoscete che i nostri sono tempi apostolici, non tempi della cristianità. La cristianità, come disse Fulton Sheen nel 1974, è finita.
“Cristianità” connota una situazione in cui i codici culturali della società e il modo di vivere che essi sostengono aiutano a trasmettere “la fede consegnata una volta ai santi” (Giuda 1:3). Luoghi del genere sono esistiti a memoria d’uomo; io sono cresciuto negli ultimi, fugaci momenti di uno di essi, nella cultura cattolica urbana di Baltimora del 1950. Quella forma di “cristianità” è ormai lontana. Oggi, in tutto il mondo occidentale, l’aria culturale che respiriamo non trasmette la fede né è neutrale riguardo alla fede; l’aria culturale è ostile alla fede. E quando questa ostilità conquista le altezze di comando della politica, cerca aggressivamente di emarginare la fede. (Questo, per esempio, è ciò che accade quando i governi cercano di imporre alla società l’ideologia LGBTQ e di genere penalizzando coloro che, per ragioni di convinzione, non si inchineranno alla dannosa nozione di infinita plasticità dell’umanità – l’idea biblica e cristiana della persona umana è criminalizzata. Chi immagina che “non può succedere qui” dovrebbe leggere l’ordine esecutivo sull'”identità di genere” firmato dal presidente Biden poche ore dopo il suo insediamento).
I “tempi apostolici” ci chiamano a rivivere l’esperienza della Chiesa primitiva, vividamente descritta negli Atti degli Apostoli. Lì troviamo gli amici del Signore Gesù risorto infiammati dalla passione per la missione. La “buona notizia” che Gesù aveva proclamato prima della sua morte era stata confermata oltre ogni dubbio dalla sua risurrezione dai morti e dalle sue apparizioni ai suoi amici nella sua umanità trasformata e glorificata. Questa non era una buona notizia per pochi eletti; questa era una buona notizia che esigeva di essere condivisa con tutti.
Così un gruppo raffazonato di nullità dai margini di quello che si immaginava essere il mondo civilizzato si mise a convertire quel mondo alla fede in Gesù Cristo come Signore. Affrontarono il ridicolo; alcuni li ritenevano ubriachi, “pieni di vino nuovo” (Atti 2:13). Altri li liquidarono come ciarlatani, come scoprì San Paolo all’Areopago di Atene (in Atti 17:18). Altri ancora li ritenevano pazzi, come quando il governatore romano Festo esclamò a Paolo: “La tua grande cultura ti sta facendo impazzire” (Atti 26:24). Ma essi perseverarono. Manifestarono uno stile di vita più nobile e compassionevole. Alcuni morirono come martiri. E nel 300 d.C. avevano convertito a Cristo una parte considerevole dell’impero romano.
Ai tempi della cristianità, un “missionario” è qualcuno che lascia una zona di comfort culturale e va a proclamare il Vangelo dove non è stato ascoltato prima. Nei tempi apostolici, insegna la Redemptoris Missio, ogni cattolico è un missionario a cui è stato dato il mandato di “andare e fare discepoli tutti i popoli” (Matteo 28:19). Nei tempi apostolici, il “territorio di missione” non è una meta di viaggio esotica; è ovunque. Il territorio di missione è il tavolo della cucina, il quartiere e il posto di lavoro; la missione si estende nella nostra vita di consumatori e cittadini. I laici cattolici, scriveva Giovanni Paolo II, hanno l’obbligo particolare di essere missionari nella cultura, negli affari e nella politica, perché la testimonianza dei laici in quei luoghi ha una credibilità speciale.
Nell’essere una Chiesa di discepoli missionari, dobbiamo usare il metodo della libertà. Come scrisse Giovanni Paolo II nella Redemptoris Missio, mettendo in corsivo le sue parole per enfasi, “La Chiesa propone, non impone nulla”. Ma noi dobbiamo proporre, dobbiamo invitare, dobbiamo testimoniare il grande dono che ci è stato fatto: l’amicizia con il Signore Gesù Cristo e l’incorporazione al suo corpo, la Chiesa. Come disse il Signore stesso in Matteo 10:8, poiché abbiamo ricevuto gratuitamente, gratuitamente dobbiamo dare.
La Chiesa cattolica del XXI secolo è chiamata dalla conservazione alla missione, il che significa la trasformazione delle nostre istituzioni in trampolini di lancio per l’evangelizzazione. La qualità del nostro discepolato sarà misurata da quanto bene rispondiamo a questa chiamata a condividere il dono con cui siamo stati benedetti.
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