Un complotto per salvare la democrazia. Da Trump
A giudicare dallo schieramento compatto di media, grandi imprenditori e movimenti sociali contro Trump, si direbbe che c'è stato un complotto per fargli perdere le elezioni. Beh, a quanto pare c'è stato veramente. I suoi protagonisti se ne vantano sul Time, credendo di aver agito per la difesa della democrazia.
Manifestazione contro Trump di Black Lives Matter
A giudicare dallo schieramento compatto di media, social network, degli imprenditori, delle piazze della contestazione e di tutte le istituzioni di controllo del voto contro Trump, si direbbe quasi che alle spalle della vittoria di Joe Biden ci sia stata una vasta cospirazione. Un po’ c’è stata. E sta iniziando ad emergere in tutti i suoi dettagli, raccontati dai protagonisti alla stampa amica, perché non celano l’entusiasmo per quel che hanno ottenuto. Con il lungo articolo “La storia segreta della campagna ombra che salvò le elezioni del 2020”, la giornalista Molly Ball (biografa della presidente della Camera Nancy Pelosi) descrive sul Time quel che è avvenuto, raccogliendo le testimonianze di tutte le figure chiave del piano.
La tesi che viene proposta dall’autrice e dai suoi intervistati è che Trump ha cercato di truccare il voto, ma lo sforzo congiunto di tutti gli uomini di buona volontà ha fermato il suo tentativo autoritario. Ma quel che si legge (neanche troppo fra le righe) è l’esatto contrario. Dall’articolo apprendiamo che vi è stato uno sforzo coordinato, durato più di un anno, per fermare Trump, sin dall’autunno del 2019. E siccome era impossibile stabilire a priori se il presidente avrebbe poi tentato di truccare le elezioni, quel che emerge è semplicemente una collusione di sindacati, imprenditori, media, big tech e movimenti di protesta per i diritti civili con uno dei due partiti in corsa, il Partito Democratico. Interessi politici ed economici potenti e diversissimi che hanno agito all’unisono contro un candidato.
Come scrive enfaticamente la Ball, “Il loro lavoro ha toccato ogni aspetto delle elezioni. Hanno convinto Stati a cambiare il loro sistema e leggi elettorali, hanno aiutato a raccogliere centinaia di milioni di fondi privati e pubblici. Hanno vinto cause che miravano alla soppressione dei voti, reclutati eserciti di operatori dei seggi e hanno indotto decine di milioni di persone a votare per posta per la prima volta”. A chi si riferisce questo “loro”? Il centro della trama, secondo la Ball, è uno stratega di Afl-Cio (la più grande federazione sindacale americana) Mike Podhorzer, consigliere del presidente del sindacato. Dal settembre 2019 avrebbe iniziato a creare un network di attori politici influenti per sventare “due potenziali esiti delle elezioni”, cioè la possibilità che Trump perdesse le elezioni e non lo ammettesse, oppure la possibilità che le vincesse “con i voti del Collegio Elettorale (nonostante la sconfitta al voto popolare) corrompendo il processo di voto negli Stati chiave”. Lo scenario di una genuina vittoria di Trump non è neppure preso in considerazione. Letto così, parrebbe un piano di emergenza per evitare un golpe trumpiano. Ma una parte politica che prepara piani di emergenza, con un anno di anticipo è, spesso, quando non sempre, la parte che sta preparando il golpe. Ogni golpe della storia, infatti, è condotto con le migliori intenzioni: sventare il colpo di Stato del nemico.
La rete messa in piedi da Podhorzer includeva soggetti potenti della sinistra: “Il movimento dei lavoratori, la sinistra istituzionale come Planned Parenthood e Greenpeace, gruppi di resistenza come Indivisible e MoveOn, esperti informatici e strateghi progressisti, organizzatori di base a livello statale, attivisti per la giustizia razziale e altri”.
I grandi social network Twitter e Facebook sono stati coinvolti nel piano sin dalle sue origini, nel novembre del 2019, quando Mark Zuckerberg (Facebook) e Jack Dorsey (Twitter) hanno incontrato attivisti progressisti per elaborare una strategia contro le “notizie false”. Laura Quinn, indicata nell’articolo come una “attivista progressista co-fondatrice di Catalist, ha iniziato a studiare il problema anni fa. Ha condotto uno progetto segreto che non era mai stato precedentemente discusso in pubblico, che tracciava la disinformazione online”. Laura Quinn è la mente dietro la strategia della censura. Dice infatti: “Quando vieni attaccato, l’istinto è quello di rispondere, dire, per esempio, ‘questo non è vero!’. Ma più ne parli, più il social network lo amplifica. L’algoritmo legge che ‘oh, questo è popolare, la gente ne vuole di più!’”. Allora la soluzione è “premere perché i social applichino le loro regole, sia rimuovendo i contenuti, sia gli account che diffondono la disinformazione e, in primo luogo, controllando in modo più aggressivo”. Fra gli avvocati che, forti di questi argomenti, hanno trattato con Zuckerberg e Dorsey c’era anche Vanita Gupta, presidente di Leadership Conference on Civil and Human Rights e attualmente cooptata dall’amministrazione Biden. Abbiamo visto come funziona questo meccanismo, all’atto pratico: l’account di Trump sospeso, notizie cancellate, ogni dubbio su brogli elettorali censurato dai social network. Oppure le persistenti notifiche di zelanti “fact checkers indipendenti” che contestano ogni cosa che gli utenti dicano a favore di Trump.
In questo piano, l’epidemia di Covid ha fornito il pretesto di cambiare il sistema di voto, pur senza introdurre vere e proprie leggi. Nel network di Podhorzer, Amber McReynolds, a capo del National Vote at Home Institute, è stata determinante per far accettare il voto postale esteso a tutti i cittadini, a prescindere dalla motivazione. Il sistema è stato accolto da 37 Stati e dal Distretto di Columbia (la capitale). La battaglia è stata anche legale, perché i Repubblicani hanno provato da subito ad impugnare. Ma gli avvocati democratici, complici i governi locali di sinistra, hanno prevalso. Il voto postale, che l’articolo del Time presenta come una “rivoluzione” ha interessato la metà dell’elettorato. E se c’è un tipo di voto che non si può controllare è quello postale (anche in Italia lo abbiamo potuto constatare con il voto degli italiani all’estero).
Ma è stato determinante soprattutto il movimento di Black Lives Matter, sotto molti aspetti. In primo luogo perché ha permesso di mobilitare molti attivisti, che sono diventati operatori ai seggi, scrutatori e non ben precisati servizi d’ordine “una forza di difensori delle elezioni che, contrariamente ai normali scrutatori, sono stati addestrati a tecniche di de-escalation”. Forse ne sanno qualcosa i rappresentanti di lista repubblicani che sono stati violentemente allontanati dai seggi. Ma è soprattutto dopo i violenti disordini di Black Lives Matter che Podhorzer ritiene di aver cooptato “uno strano alleato”, cioè gli imprenditori rappresentati dalla Camera di Commercio. Secondo lo stratega del sindacato, avrebbero formato "un’alleanza di lavoro e capitale" per salvaguardare la regolarità del voto e garantire la pace sociale. Ma quel che si legge è più che altro il successo di un’azione intimidatoria: “Con la tensione in crescita, c’era molta preoccupazione per un’eventuale rivolta al momento delle elezioni, o un collasso del modo consueto con cui gestiamo le elezioni contestate”, ha rivelato Neil Bradley, vicepresidente esecutivo della Camera.
Leggiamo inoltre che ben “150 gruppi liberal, dalla Women’s March al Sierra Club, da Color of Change a Democrats.com e Democratic Socialists of America, si sono aggregati alla coalizione Proteggi i Risultati. Il sito Web del gruppo, ora defunto, conteneva una mappa di 400 manifestazioni post-elettorali, da attivare via messaggio già il 4 novembre. Per fermare il golpe che temevano, le organizzazioni di sinistra erano pronte a invadere le strade”. Strano il giudizio che gli intervistati danno della copertura mediatica (visibilmente di parte) delle elezioni: “Fox News ha sorpreso tutti assegnando la vittoria dell’Arizona a Biden (quando ancora era contato solo il 40% dei voti, ndr). La campagna di sensibilizzazione del pubblico aveva funzionato: i conduttori televisivi si facevano in quattro per consigliare cautela e inquadrare accuratamente il conteggio dei voti”. Un giudizio simile non ha senso, a meno che non lo si legga alla luce dei piani di protesta di massa: anche i media temevano la destabilizzazione, evidentemente. Se avessero annunciato una vittoria di Trump avrebbero scatenato l'inferno. Ma è questo il modo di "salvare la democrazia"?
Stefano Magni
https://lanuovabq.it/it/un-complotto-per-salvare-la-democrazia-da-trump
USA: LE TEORIE DEL COMPLOTTO TENDONO AD ESSERE CONFERMATE
di Malek Dudakov
La seconda banca più grande degli Stati Uniti, Bank of America, è stata al centro di uno scandalo per la fuga di dati dei clienti all’FBI. I dirigenti della banca hanno trasmesso al governo informazioni su tutti coloro che hanno effettuato acquisti o prenotato camere d’albergo il 5-6 gennaio, alla vigilia dell’assalto al Campidoglio.
Questo è stato fatto su iniziativa della banca stessa e in violazione delle norme sulla sicurezza dei dati privati. Ma di che tipo di privacy possiamo parlare nelle condizioni della completa fusione del regime politico liberale, dell’oligarchia finanziaria con Wall Street e la Silicon Valley?
Già 176 partecipanti all’assalto al palazzo del Congresso sono stati incriminati da accuse federali. È vero, l’indagine ha incontrato difficoltà fin dall’inizio: si è scoperto che esiste un tale “anacronismo” in America, che si chiama la Costituzione degli Stati Uniti quando questa interpreta il termine “ribellione” in modo molto restrittivo.
Di conseguenza, la stragrande maggioranza (se non tutti) degli arrestati, per essersi infiltrati nel Campidoglio, che la stampa definisce freneticamente “ribelli”, può essere ritenuta colpevole solo con l’accusa di aver aggredito la polizia, danneggiato proprietà e istituzione senza permesso.
Nel frattempo, gli editori della rivista Time hanno pubblicato un materiale che è davvero un capolavoro. Questo ha apertamente rivelato l’esistenza di una vera cospirazione delle grandi imprese (in particolare della Camera di commercio degli Stati Uniti), dei grandi sindacati e della classe politica per rimuovere Trump dal potere.
I giornalisti lo hanno cortesemente definito una “alleanza informale” di attivisti di sinistra, grandi corporazioni e nomenklatura liberale, il cui obiettivo era quello di cambiare le leggi elettorali, introdurre massicci voti per corrispondenza e impedire a Trump di contestarne l’esito.
Che sfortuna – la teoria del complotto sullo “stato profondo”, come veniva chiamata dall’opinione pubblica progressista un mese fa, viene ora chiaramente confermata. C’è da meravigliarsi che il numero di teorici della cospirazione negli Stati Uniti continui a crescere rapidamente?
Fonte: New Front
Traduzione: Luciano Lago
https://www.controinformazione.info/usa-le-teorie-del-complotto-tendono-ad-essere-confermate/
Cosa può andare storto?
Mia figlia sta studiando la maniera in cui presero il via nei vari paesi i grandi totalitarismi del secolo scorso. Comunismo, fascismo, nazismo. La traccia è più o meno comune: un gruppo di illuminati offre la soluzione ai mali che affliggono il paese, elimina l’opposizione con una scusa, prende possesso dei media e zac, il gioco è fatto. Ciò non può avvenire senza un cortocircuito tra grande finanza e frange estreme: i primi sovvenzionano le seconde. L’eliminazione delle residue voci di opposizione, quelle che non sono state già comprate o troppo timorose per reagire, è fatta sempre in nome di un bene più grande. Sono loro in fondo che attentano alla democrazia, tentano di assassinare Mussolini, bruciano il Reichstag. Chi detiene il potere non può non reagire, no? E poi orgogliosamente rivendicarlo.
Pensavo queste cose mentre leggevo quest’articolo: “La storia segreta della campagna ombra che ha salvato le elezioni 2020“. Si parla di elezioni americane, ovviamente; e la testata non è l’Eco del Nebraska, è la prestigiosa Time.
Sostanzialmente, è una vanteria. E’ un irridere l’avversario. E’ dire chiaramente quello che tanti avevano capito o sospettato da un pezzo, cioè che c’è stato un “complotto” (parole loro) per assicurarsi che Trump non potesse vincere le elezioni. A fin di bene, ovviamente. Quel cattivone, lasciato a se stesso, avrebbe distrutto la democrazia.
Loro, invece, pretendono di averla salvata. Dice l’articolo:
“C’era una cospirazione che si sviluppava dietro le quinte, una che spegneva le proteste e coordinava la resistenza dei CEO. (…) [Era] il risultato di una informale alleanza tra attivisti di sinistra e titani del business”
Ma questa è solo una piccola parte dello sforzo segreto di questi encomiabili benefattori.
“Il loro lavoro ha toccato ogni aspetto delle elezioni. Hanno fatto sì che gli stati modificassero il sistema di voto e le leggi e hanno aiutato l’acquisizione di centinaia di milioni di dollari da fondi pubblici e privati. Hanno combattuto cause tendenti ad escludere votanti, reclutato armate di scrutatori e fatto sì che milioni di persone votassero per posta per la prima volta. Hanno con successo fatto pressione sulle compagnie di social media perché adottassero una linea più dura contro la disinformazione e usato strategie guidate dai dati per combattere diffamazioni virali (…) Dopo le elezioni, hanno monitorato ogni punto di pressione per essere sicuri che Trump non potesse ribaltare il risultato.”
Quanto nobile. Certo, le modifiche alle leggi erano incostituzionali, hanno fatto sì che votassero pure i morti, i residenti altrove e quelli fuori tempo massimo, hanno censurato ogni opposizione e sistematicamente nascosto notizie vere, come ad esempio lo scandalo del figlio di Biden; ma l’hanno fatto per la democrazia. Come quelli che ti ammazzano per il tuo stesso bene. Per un pelo non è stato un disastro, asseriscono. Loro l’hanno evitato.
“Ma è immensamente importante per il paese capire che non è avvenuto incidentalmente. Il sistema non ha lavorato magicamente. La democrazia non si fa da sola”.
E ancora:
“Anche se suona come un sogno febbrile di un paranoico – una cabala piena di soldi fatta di persone potenti, che spazia attraverso industria e ideologie che lavorano insieme dietro le quinte per influenzare le percezioni, cambiare le leggi, guidare la copertura mediatica e controllare il flusso delle informazioni -non stavano rubando le elezioni; stavano fortificandole. E credono che il pubblico abbia bisogno di capire la fragilità del sistema per assicurarsi che la democrazia in America continui.”
Lo dicono loro, eh. Negli Stati Uniti possono stare sicuri. Adesso loro comandano l’informazione, il potere politico, i tribunali e si assicurano che l’opposizione sia annullata perché il sistema è fragile, potrebbe eleggere qualcun altro, se non ci pensassero loro. Democrazia, no? Cosa può andare storto?
Pubblicato da Berlicche
https://berlicche.wordpress.com/2021/02/05/cosa-puo-andare-storto/
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