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mercoledì 3 febbraio 2021

#DisruptTexts

La follia della “cancel culture”. Così l’Occidente si sta suicidando


Cari amici di Duc in altum, vi propongo il mio più recente intervento per la rubrica La trave e la pagliuzza in Radio Roma Libera.

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Se fosse un film comico, potremmo intitolarlo La scuola più pazza del mondo. Purtroppo, però, non è un film. È cronaca.

Una scuola americana, la Lawrence High School, nel Massachusetts, ha abolito lo studio dell’Odissea perché l’opera sarebbe razzista e maschilista.

#DisruptTexts è lo slogan di questi pensatori geniali, secondo i quali i grandi classici sarebbero roba vecchia e dannosa per i giovani d’oggi.

Benvenuti nel magico mondo della cancel culture (tutta cancel e niente culture, a quanto sembra), nel quale c’è chi non solo non disdegna, ma ritiene necessario sacrificare la conoscenza e l’intelligenza stessa sull’altare del politicamente corretto.

Con totale sprezzo del ridicolo, alcuni insegnanti e attivisti liberal non si fanno troppi scrupoli: certe opere sono da buttare, punto e basta.  Secondo loro, le pagine dei classici sono impregnate di razzismo, sessismo, antisemitismo. Dunque, vietato leggerli.

Questi pensatori illuminati (i quali evidentemente ritengono che gli studenti siano completamente idioti e incapaci di inquadrare un’opera nel tempo e nello spazio) ritengono che non ci sia modo di mediare. La parola d’ordine è una sola: cancellare. Non importa che gli autori si chiamino Omero, Virgilio, Platone, Aristotele, Dante, Shakespeare. Il politically correct non guarda in faccia a nessuno.

In base a questo principio, l’Università di Oxford (dico: Oxford!) ha reso facoltativi lo studio dell’Odissea e dell’Eneide perché, in base ai parametri del politicamente corretto, “pongono gli scrittori e i pensatori bianchi eurocentrici al di sopra degli altri”. In compenso, sono stati introdotti corsi sulla cultura africana, mediorientale, asiatica e indiana.

Se il sonno della ragione genera mostri, il politicamente corretto conduce direttamente al suicidio culturale dell’Occidente.

Inutile dire che anche il Robinson Crusoe di Defoe sarebbe razzista, colonialista, imperialista, eurocentrico eccetera.

La cancel culture è “l’equivalente digitale della folla che nel medioevo era in cerca di gente da bruciare”. Parola di Rowan Atkinson, l’attore che interpreta il celeberrimo Mr. Bean. Il quale, in un’intervista a Radio Times, ha difeso la possibilità di venire a conoscenza di un ampio spettro di opinioni, senza limitazioni e censure. Ma Mr. Bean, notoriamente, non va preso sul serio. E così è stato.

A dire il vero non tutti i liberal sono per la cancel culture. Di recente, per esempio, centocinquanta scrittori, accademici e artisti, molti dei quali schierati a sinistra, hanno sottoscritto una lettera, pubblicata dalla rivista Harper’s, nella quale affermano che se le battaglie contro il razzismo sono sacrosante occorre guardarsi dal “conformismo ideologico”. Tra i firmatari troviamo scrittori come Martin Amis, J.K. Rowling (la creatrice di Harry Potter), Margaret Atwood e Salman Rushdie, giornalisti e opinionisti come David Brooks, Anne Applebaum e George Packer, accademici come Noam Chomsky e Francis Fukuyama, nonché la storica attivista femminista Gloria Steinem.

Pur schierandosi contro Trump (una specie di atto dovuto) e il populismo di destra, in un sussulto di buon senso questi personaggi hanno sentito il bisogno di denunciare il “dogmatismo”, la “tendenza alla censura” e il ricorso alla “pubblica gogna” che imperversano tra i paladini del politicamente corretto. Di qui la denuncia di casi ormai numerosi e preoccupanti: redattori licenziati, libri ritirati, giornalisti a cui è stato vietato di toccare certi argomenti, professori che subiscono indagini per aver citato certe opere letterarie a lezione, dirigenti e manager licenziati per aver detto qualcosa di sgradito.

La furia moralista imperversa soprattutto nel mondo accademico. Abbiamo citato Oxford, ma il celebre ateneo non è un caso isolato. Anche a Stanford qualche genio ha proposto di bilanciare i classici, giudicati razzisti, sessisti e reazionari, con lo studio di autori “appartenenti alle minoranze”, e anni fa alla Columbia l’apposito comitato di vigilanza sul multiculturalismo chiese che la lettura delle Metamorfosi di Ovidio fosse accompagnata, come le sigarette, da un avvertimento: “Contiene materiale offensivo e violento che marginalizza le identità degli studenti nella classe”.

Di recente, Yale ha deciso di mettere fine al corso di Introduzione alla Storia dell’arte, dal Rinascimento a oggi, sempre per il solito motivo: troppo occidentale, troppo europeo, troppo poco rispettoso delle minoranze. Così, il corso che ne prenderà il posto si occuperà dell’arte tenendo conto di “genere, classe e razza”. Qualunque cosa voglia dire.

Anni fa l’ossessione per il politicamente corretto portò la città di Chicago (dove lo scrittore si trasferì da piccolo con la famiglia) al rifiuto di dedicare una via a Saul Bellow. Poco importa che Bellow nel 1976 sia stato insignito del premio Nobel per la letteratura per il contributo dato dalle sue opere alla comprensione della natura umana e per l’analisi della cultura contemporanea. Il rifiuto fu motivato da una drastica sentenza: lo scrittore “era razzista”. Evidentemente i guardiani del pensiero non gli perdonarono una frase detta una volta, in un’intervista al New York Magazine, quando Bellow, a proposito delle culture alternative, chiese apertamente: “Chi è il Tolstoj degli Zulu? E il Proust degli abitanti della Papua? Sarei lieto di poter leggere i loro capolavori”.

Aldo Maria Valli

https://www.aldomariavalli.it/2021/02/03/la-follia-della-cancel-culture-cosi-loccidente-si-sta-suicidando/

FEDE RIBALTATA

Lettera sulla vita consacrata, ideologica come Fratelli tutti

La recente lettera della Congregazione per la Vita Consacrata ribalta il fine che orienta la consacrazione verginale e religiosa, che è la ricerca di Dio. Il documento propone invece l’ideologia di una fratellanza orizzontale, dove Gesù Cristo è un optional o al più un utile mezzo, nel solco dell’enciclica “Fratelli tutti”, più volte citata e proposta come modello.




Quanto era bello, una volta, leggere riviste dedicate alla montagna o guardarne i documentari: la bellezza dei paesaggi, la curiosità della fauna e della vegetazione, l’avventura dei racconti alpinistici. Poi è arrivata l’ideologia ambientalista e, ad ogni pagina, dagli con l’emissione della CO2, la plastica, il riscaldamento globale, etc. La bellezza, la purezza e la gratuità del mondo della montagna sono stati piegati ad altre logiche: i ghiacciai, le vette, le valli, i torrenti, non sono più un inno alla bellezza nella pura gratuità della loro esistenza. Giuste o sbagliate che siano queste logiche, in questo caso, poco importa: di fatto l’interesse alla montagna ha preso una piega utilitaristica e ideologica; l’incanto è spezzato.

La vita religiosa è la montagna della Chiesa: non esiste per un utile, non può essere piegata ad una ideologia, fosse anche la più nobile, non ha una funzione; essa ha la sua ragione d’essere unicamente nella ricerca di quel Dio che chiama a Sé e poi si sottrae, per essere cercato con ancora più dedizione, con tutto sé stesso. La solitudine, l’arduità del terreno, la rigidità del clima che aumentano man mano che questa ricerca conduce lontano dai centri abitati, costituiscono il suo fascino e la custodiscono da sguardi indiscreti e manipolazioni di ogni sorta.

La lettera della Congregazione per la Vita Consacrata compie invece il percorso inverso e rende nota, se mai ce ne fosse stato bisogno, la totale estraneità dei suoi estensori all’intima realtà della consacrazione verginale e religiosa. C’è una sola cosa che importa nella vita monastica e religiosa, quella che dev’essere continuamente verificata, secondo san Benedetto, nel tempo del noviziato: se cioè il novizio cerchi veramente Dio (RB 58, 6). È questa l’unica ragione della vita consacrata, che dev’essere sempre recuperata e riposta al centro, soprattutto quando l’oscurità interiore spinge pericolosamente ad accontentarsi di gustosi surrogati.

Nella lettera questa insidia diviene realtà, con l’aggravante che non sono, come spesso è avvenuto nella storia, i mezzi o i frutti buoni della vita di consacrazione ad aver soppiantato il centro (contemplazione, ascesi, ufficio divino, apostolato), bensì l’ideologia avariata - e anticristica - di una fratellanza orizzontale, dove Cristo è sostanzialmente un optional o al massimo un utile mezzo.

È l’ideologia serpeggiante nell’enciclica Fratelli tutti, che non a caso viene ripetutamente richiamata: «Nell’Enciclica Fratelli Tutti Papa Francesco ci invita ad agire insieme, a far rinascere in tutti “un’aspirazione mondiale alla fraternità” (n. 8), a sognare insieme (n. 9) affinché “di fronte a diversi modi attuali di eliminare o ignorare gli altri, siamo in grado di reagire con un nuovo sogno di fraternità e di amicizia sociale…”» (n. 6). In questo linguaggio fumoso emerge che è questa fraternità sinistramente massonica che si cerca, a prescindere dall’adesione a «un solo Signore, una sola fede, un solo battesimo» (Ef 4, 5) e staccando il «solo Dio Padre di tutti» (Ef 4, 6), che nessuno ha mai potuto vedere, da Colui che, solo, lo ha rivelato, Gesù Cristo (cfr. Gv 1, 18; 5, 37; 6, 46).

L’appello di João Braz de Aviz e di José Rodríguez Carballo ai consacrati spinge proprio in questa direzione: «a tutti voi chiediamo di mettere questa Enciclica al centro della vostra vita, formazione e missione. D’ora in poi non possiamo prescindere da questa verità: siamo tutti fratelli e sorelle, come del resto preghiamo, forse non con tanta consapevolezza, nel Padre nostro, perché “Senza un’apertura al Padre di tutti, non ci possono essere ragioni solide e stabili per l’appello alla fraternità” (n. 272)». Non il Vangelo, non le proprie Regole, ma l’Enciclica diventa il nuovo centro della vita consacrata. La precisazione seguente rivela poi con chiarezza, a scanso di equivoci, che non di rivelare il volto dell’unico vero Dio si tratta e che il “Padre nostro” evocato non è nostro perché «Padre del Signore nostro Gesù Cristo» (Ef 1, 3): «Fratelli e sorelle di tutti, indipendentemente dalla fede, dalle culture e dalle tradizioni di ciascuno, perché il futuro non è “monocromatico” (FT n. 100) e il mondo è come un poliedro che lascia trasparire la sua bellezza, proprio attraverso le sue diverse facce».

La vita consacrata non è più evidentemente interessata alla ricerca del volto “monocromatico” di Dio in Gesù Cristo, ma a contemplare le diverse facce poliedriche del mondo. Un ribaltone completo, da raggiungere con la solita strategia di «aprire processi per accompagnare, trasformare e generare; di elaborare progetti per promuovere la cultura dell’incontro e del dialogo tra popoli e generazioni diverse».

La comunità religiosa si unisce precisamente per il fatto che anela a convergere verso quell’unico punto focale che la attrae e che è all’origine del senso della sua esistenza; la fraternità ha senso perché ci si sorregge reciprocamente, ci si attende, ci si incoraggia, consapevoli di essere parti dell’unica cordata in viaggio verso la vetta. E questa vetta è lo Sposo che ha chiamato e che ha reso impossibile alla sposa altro desiderio che non incontrare di nuovo l’Amato e congiungersi a Lui: vox Dilecti dilectae. Altro che la bellezza del mondo nelle sue diverse facce!

La vita fraterna viene così sovvertita e corrotta, come anticipo di un “sogno” che nulla ha a che vedere con il sogno di Dio: quello di ricapitolare tutto in Cristo. Al contrario, l’esortazione è a sognare «come un’unica umanità, come viandanti fatti della stessa carne umana, come figli di questa stessa terra che ospita tutti noi, ciascuno con la ricchezza della sua fede o delle sue convinzioni, ciascuno con la propria voce, tutti fratelli!” (FT n. 8). La stessa carne e la stessa terra sono diventati il nuovo fondamento della “religione umanitaria”: ognuno resti pure nella propria fede e nelle proprie convinzioni. Evviva, tutti fratelli, ovviamente carnali e terreni.

Luisella Scrosati

https://lanuovabq.it/it/lettera-sulla-vita-consacrata-ideologica-come-fratelli-tutti

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