ACTA APOSTATICAE SEDIS : come, cambiando un po' qua e un po' la, si può cambiare tutto...

sabato 20 febbraio 2021

Un’ultima possibilità di non dannarsi

Giuda e Caino in malefica combutta 

                                                                    https://lospiffero.com/images/galleries/bacio-giuda-giotto.jpg (inmagine aggiunta)

Anche i nemici di Dio concorrono, loro malgrado e a propria insaputa, alla realizzazione dei Suoi piani; ciò non diminuisce tuttavia le loro colpe, in quanto agiscono volontariamente. L’arte mirabile con cui la Provvidenza piega ai propri fini anche gli atti cattivi delle creature, che pur conservano una piena libertà, risplende in modo insuperabile nella Passione. Tutti e quattro gli Evangelisti mostrano chiaramente come Cristo abbia mantenuto il totale controllo della situazione, sapendo bene a che cosa sarebbe andato incontro e votandosi al patire non per costrizione, ma per pura obbedienza al Padre. 


Pur essendo perfettamente a conoscenza delle manovre di Giuda e del sinedrio, infatti, non fece nulla per sottrarvisi. L’unica sua preoccupazione fu quella di offrire al traditore un’ultima possibilità di non dannarsi, svelandogli di essere al corrente di ciò che stava per fare e ammonendolo indirettamente circa la sua sorte: «Il Figlio dell’uomo se ne va, come sta scritto di lui, ma guai a quell’uomo dal quale è tradito: sarebbe meglio per quell’uomo se non fosse mai nato» (Mt 26, 21-25).

Se Giuda si fosse pentito in tempo, il sinedrio avrebbe trovato un altro modo di catturare e uccidere lo scomodo profeta e il piano della Redenzione si sarebbe comunque compiuto. L’apostolo, invece, rispose a quell’estremo atto di misericordia con gelido cinismo: pur vedendosi scoperto, continuò a recitare la parte dinanzi a Colui che sa tutto. «Sono forse io?» (Mt 26, 25): è una domanda retorica che presuppone una risposta negativa; secondo l’etichetta orientale, è un modo cortese per non negare qualcosa in modo troppo reciso. Come si spiega una determinazione omicida così irremovibile? Una presunta delusione delle sue aspettative politico-messianiche non è sufficiente: in questo caso, l’esito più naturale sarebbe stato l’abbandono del gruppo. La decisione di Giuda mi sembra analoga a quella di Caino, dettata dall’invidia verso il fratello e dall’odio verso Dio per il mancato riconoscimento delle sue prestazioni rituali (cf. Gen 4, 3-8): l’uomo che, anche nell’ambito religioso, cerca solo la propria autoaffermazione non può sopportare che un altro gli sia preferito.

La mitezza del pastore Abele prefigurava quella di Gesù, mentre l’abbattimento di Caino, rivelando la mancanza di sottomissione a Dio, anticipava la ribellione di Giuda. L’uno, non potendo colpire il Creatore, uccise il fratello; l’altro volle eliminare entrambi nella persona del Dio-uomo, caricandosi così di una colpa molto più grave. Non erano le persone, ma le cattive disposizioni interiori ad esser respinte dal Signore; sarebbe quindi bastato modificarle. Per un uomo centrato sul proprio io, però, ciò risulta estremamente difficile, poiché il suo ego smisurato è impermeabile alla grazia; gli ultimi appelli della misericordia, anziché farlo rinsavire, lo esasperano come un intollerabile pungolo che lo rimette di fronte alla propria miseria, che il poveretto si illude di superare mediante successi esteriori (cf. At 26, 14). Qui, accessoriamente, entra la componente politica: l’auspicato trionfo del Maestro doveva comportare l’innalzamento del discepolo, ma Quegli non voleva proprio sentir parlare di regni terreni; pareva anzi favorevole ai Romani e contestava la classe dirigente d’Israele.

Giuda, Caino e il sinedrio, trovando intollerabile esser giudicati da Lui, rifiutarono il vero Dio a vantaggio di un’immagine costruita su sé stessi, una “divinità” creata a loro somiglianza, fino al punto di identificarsi con essa. Certe storie rabbiniche considerano Israele la salvezza dell’umanità e, di conseguenza, lo identificano implicitamente con Dio stesso. Il fatto è che quel nome non designa più, nella loro ideologia gnostica, un popolo storico o una comunità religiosa, bensì una ristretta cerchia di illuminati che disprezzano profondamente tutti gli altri uomini e i loro stessi correligionari. Questo spiega come mai il governo israeliano, con la vaccinazione a tappeto, abbia provocato un picco di contagi a danno della propria popolazione, che è del resto troppo densa, dopo decenni di massiccia immigrazione, per un’esigua striscia di terra da condividere pure con gli arabi, malgrado l’intensa colonizzazione dei territori occupati. Fu d’altronde la destra sionista ad ordire la shoah servendosi del regime nazista, con il quale collaborò strettamente il padre di Netanyahu.

Anche oggi il sinedrio ha trovato il Giuda che gli serviva. Ben sapendo di non essere quel che si crede egli sia, non ha occupato l’appartamento che gli spettava, ma vive in una camera d’albergo. Da lì, per conto dei suoi patrocinatori, intende dirigere la Chiesa e pure il nostro Paese. Il pensiero della sorte di Giuda gli torna spesso alla mente, come si arguisce dai vani tentativi di riabilitarlo. Nel nome di Dio, qualcuno lo informi che sta per finire all’Inferno, ma che fa ancora in tempo a ravvedersi. Quel Caino che ha fatto ascendere al governo ha tutta l’intenzione di praticarci un’iniezione letale a vantaggio degli speculatori suoi mandatari, avendo mantenuto i peggiori elementi dell’esecutivo precedente e inserito un ministro per l’innovazione tecnologica che, con la scusa della transizione energetica, ci porterà a completa rovina. Figuratevi che quando, meno di due anni fa, accennai en passant a quel folle progetto, una sua solerte impiegata ebbe la compiacenza di scrivermi per ben tre volte raccomandandomi di studiare il Piano Colao per integrare l’articolo… Dato che il mio testo esprimeva un’inequivocabile contrarietà, non posso interpretare quell’invito come espressione di ingenuità, ma come una velata ingiunzione.

Mi vien da sorridere al pensiero che un uomo così potente (un ministro in pectore) si sia occupato di un povero prete. Questa, però, è un’eloquente conferma del fatto che un sistema totalitario non tollera il minimo dissenso – benché sia impossibile tacitarlo del tutto: se ne facciano una ragione – giacché si concepisce come una religione, con i suoi “dogmi” e i suoi “sacerdoti”. La scimmia di Dio, per sentirsi oggetto di culto, ha fatto sì che i suoi miserabili valletti inscenassero una ridicola cerimonia di investitura proprio nel giorno in cui ha inizio la Quaresima. Il loro principale complice ecclesiastico, dopo aver proclamato l’obbligo morale di far da cavie per un farmaco sperimentale fabbricato con feti umani abortiti, ha persino tentato di imporlo ai suoi dipendenti sotto pena di licenziamento, per poi far precipitosamente marcia indietro. Il decreto si trovava sul sito del Governatorato già da una decina di giorni, ma non era ancora stato notificato; non appena scoperto da una testata cattolica americana, ha provocato una vera deflagrazione mediatica con una valanga di reazioni negative, così che han dovuto modificarlo in fretta e furia.

La Santa Sede non è vincolata dai trattati internazionali, ma avrebbe pur potuto tener conto del parere espresso il 27 gennaio scorso dal Consiglio d’Europa, che proibisce agli Stati di obbligare i cittadini a vaccinarsi; la Corte Penale Internazionale, per giunta, ha condannato il governo olandese per averlo fatto. Rimanendo in casa propria, sarebbe bastato applicare l’indicazione della Congregazione per la Dottrina della Fede, che il 21 dicembre, pur ammettendo erroneamente la liceità morale del vaccino, ha dichiarato che il ricorso ad esso non può essere che volontario. Un altro caso di lampante conflitto tra insegnamento e prassi, come quando alcuni dipendenti del Vaticano, sotto Giovanni Paolo II, si appellarono alle sue encicliche sociali per difendere i propri diritti calpestati e si sentirono rispondere che quelle valevano per gli altri… Quale nemesi storica, un cardinale e diversi prelati di Curia, appena ricevuta la vaccinazione, si sono gravemente ammalati, ma notizie come questa non devono trapelare: la “misericordia” non lo consente.

Se il vostro datore di lavoro vi fa pressioni perché vi vacciniate, minacciate il ricorso alle istanze di diritto nazionale e internazionale, citando in particolare le due sentenze sopra evocate. Come il Piave nel 1917, c’è una linea che non dobbiamo consentire al nemico di attraversare. Arriva il momento in cui bisogna opporre un muro alle assurde pretese di un potere iniquo, senza cedere di un millimetro ai patetici tentativi di colpevolizzare chi non si sottomette. Il rifiuto di vaccinarsi non significa mettere deliberatamente in pericolo la vita di nessuno; è sufficiente che, ai primi sintomi, uno se ne stia a casa e si curi. Basta la retta ragione per capire una cosa così semplice, ma essa non è di casa, a quanto pare, nei palazzi del potere politico ed ecclesiastico. Che il Signore giudichi quanti li occupano per le azioni di inaudita gravità con cui mettono a repentaglio la vita di miliardi di persone e cancelli dalla faccia della terra anche gli assassini seriali appena riconfermati ai loro posti nel governo italiano. Chi sta con Gesù Cristo rigetti, maledica e anatematizzi tutti e singoli i fautori e gli agenti, a qualsiasi titolo e livello, di questa infernale tirannide sanitaria. Se non si convertono, periscano gli empi e ricevano il castigo eterno con Giuda e Caino.

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