Ed ecco a voi la matematica antirazzista!
Come? Semplice: grazie alla matematica antirazzista. Negli Stati Uniti è già piuttosto diffusa e sta dilagando ovunque, anche nelle università.
Le tabelline per voi sono sempre state un inestricabile groviglio di numeri senza senso? Non sapete fare le divisioni? Le equazioni sono per voi peggio di geroglifici? Quello di radice quadrata è concetto astruso e assurdo? Le frazioni non vi dicono niente? Non temete. Nessuno potrà più giudicarvi male. Anzi, sarete guardati come paladini di un sapere alternativo.
Negli Usa le linee guida per maestri e professori lo dicono chiaramente: al fine di evitare ogni discriminazione nell’insegnamento, anche la matematica dovrà essere piegata alle esigenze del politicamente corretto e dell’inclusione.
Dal momento che “chi è bravo in matematica viene generalmente percepito come bianco”, evidente è la connotazione razzista di questa disciplina. E allora, poiché “l’insegnamento della matematica contribuisce all’oppressione di bambini neri, immigrati e indigeni”, avanti con la matematica antirazzista, alternativa e libera.
Ah! Fossi nato nell’America degli anni Duemila e non nell’Italia degli anni Cinquanta del secolo scorso! Ricordo che quando la signora maestra ci faceva fare le gare di calcolo rapido io ero sempre e fatalmente l’ultimo. E per questo ero guardato con compatimento, e mi sentivo un reietto. Non sapevo che il problema non ero io, ma la matematica!
Leggo che, per evitare discriminazioni, gli insegnanti devono “introdurre la giustizia sociale nell’insegnamento della matematica”. Come? Prima di tutto “riflettendo su come siamo tutti toccati dal trauma razziale”, poi “andando incontro ai bisogni emotivi degli studenti di matematica”, infine considerando gli aspetti “dinamici, politici, storici e relazionali” della materia. “L’ideologia bianca permea l’insegnamento della matematica”, indi per cui “la bravura in matematica nasconde pregiudizi razziali”.
Oh! Queste sì che sono parole chiare! Basta con le discriminazioni, e che diamine! E pensare che il sottoscritto, a causa dei suoi deficit matematici, per una vita si è sentito un minus habens!
La matematica antirazzista è bella perché è varia, ed è varia perché ognuno la può vivere e interpretare come vuole. Niente più regole rigide, niente più leggi fisse. Libertà!
Pensate che gli errori non saranno più segnalati e puniti, ma valorizzati. Sviluppare una pratica matematica antirazzista all’interno di un adeguato percorso significa, anzi, eliminare il concetto stesso di errore.
Non è magnifico? Se penso alle mie equazioni, che spesso davano per risultato numeri impossibili, quasi quasi mi commuovo. Non ero io che sbagliavo! Erano loro, i maledetti numeri, che venivano usati in modo discriminatorio e, diciamolo, un po’ fascista.
La nuova matematica prevede che i talenti non debbano essere stimolati, ma repressi. E di nuovo mi vengono le lacrime agli occhi, pensando al mio compagno di classe Enzino, che stava in prima fila ed era più veloce della luce nel fare ogni calcolo e risolvere ogni problema. Con il braccio alzato (quasi quasi si staccava dal corpo), si rivolgeva alla signora maestra dicendo: “Io! Io! Lo so! Lo so!”. In quegli stessi momenti il sottoscritto, laggiù all’ultimo banco, cercava di farsi sempre più piccolo e di scomparire. Ma ecco che la signora maestra, dopo essersi rivolta con voce suadente a Enzino (“Caro, lo so che tu lo sai, abbassa pure la mano”), puntava dritta su di me e io, che a quel punto stavo quasi strisciando sotto la sedia, paonazzo in volto, andavo incontro all’ennesima disfatta.
Ebbene, non sapevo che la mia non era pura e semplice incapacità e che i miei calcoli assurdi non erano frutto di ignoranza. Il mio, ora ne sono finalmente cosciente, era “ragionamento alternativo”, ed evitare di rispondere giustamente non era un limite ma una forma di liberazione da valorizzare in vista dell’integrazione.
Che meraviglia! Ripeto: peccato non essere nato sessant’anni dopo. Quante angosce mi sarei risparmiato!
Leggo anche che nell’ultimo decennio la Fondazione Gates, nell’ambito del suo indefesso impegno dalla parte dei disagiati, ha donato più di 140 milioni di dollari per questi nuovi approcci pedagogici che intendono promuovere la libertà e rompere le catene dell’oppressione. Bisogna dire che lo zampino dei Gates non manca mai. E a loro va tutta la nostra gratitudine di ignoranti e discalculici!
Ho letto poi che in una certa scuola, la Glen Urquhart School, nel Maryland, l’insegnante di matematica ha dichiarato: “Come si fa a incorporare un curriculum antirazzista in una classe di matematica?”. Risposta: “Passo dopo passo”.
Ma certo! Passo dopo passo, verso la liberazione da ogni oppressione matematica! “In che modo – si chiede l’insegnante – il privilegio, l’etnia, la classe, la lingua, il genere, la sessualità giocano un ruolo nell’apprendimento della matematica?”.
Già, in che modo? Vorrei tanto chiederlo a Enzino!
A.M.V.
https://www.aldomariavalli.it/2021/03/05/ed-ecco-a-voi-la-matematica-antirazzista/
Il futuro che è già qui / Così la Cina punta a controllare gli stati d’animo delle persone
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Il riconoscimento delle emozioni è l’ultima evoluzione nel mondo dei sistemi di sorveglianza in Cina. Dopo l’obbligo del riconoscimento facciale per chiunque possieda uno smartphone, le autorità cinesi puntano a monitorare e controllare anche lo stato d’animo delle persone. Chiaramente l’utilizzo di queste tecnologie comporta anche una massiccia raccolta di dati personali sensibili, come l’etnia e lo stato di salute mentale.
“La gente comune qui in Cina non è felice di questa tecnologia, ma non ha altra scelta. Se la polizia dice che ci devono essere telecamere in una comunità, la gente dovrà semplicemente conviverci. Questa richiesta c’è sempre stata e noi siamo qui per soddisfarla”, ha detto al Guardian Chen Wei di Taigusys, un’azienda specializzata nella tecnologia di riconoscimento delle emozioni.
La Cina è il primo paese al mondo per utilizzo di sistemi di riconoscimento facciale e l’industria del riconoscimento delle emozioni è in piena espansione. I sistemi della Taigusys sono installati in circa 300 prigioni, centri di detenzione e strutture di custodia in tutta la Cina e collegano tra loro circa 60mila telecamere. Oltre che nel settore della sicurezza, gli strumenti di controllo delle emozioni sono stati installati anche in alcune scuole per monitorare insegnanti, alunni e personale, nelle case di cura per anziani per rilevare i cambiamenti nello stato emotivo dei residenti e in alcuni centri commerciali e parcheggi.
L’opinione pubblica ha sollevato alcune critiche, riporta il Guardian, rispetto all’uso della tecnologia di riconoscimento delle emozioni nelle scuole, ma quasi nessuna discussione rispetto all’uso fatto dalle autorità per controllare la popolazione in generale. Chen, pur consapevole delle critiche, insiste sul contributo che il sistema potrebbe dare nel fermare incidenti che arrechino danni alle persone o alle cose. Le tecnologie di riconoscimento delle emozioni sono presumibilmente in grado di dedurre i sentimenti di una persona sulla base di tratti come i movimenti muscolari del viso, il tono della voce, i movimenti del corpo e altri segnali biometrici, rilevando espressioni facciali collegate alla rabbia, tristezza, felicità o noia. La raccolta di queste informazioni sarebbe quindi utile a prevenire crimini o comportamenti violenti. Dall’altra parte però, questi dati possono tranquillamente essere usati per profilare e monitorare le persone all’interno della già super-sorvegliata società cinese.
Un altro problema è che i sistemi di riconoscimento si basano su degli archivi creati con l’utilizzo di attori e attrici, che posano in quelle che ritengono essere espressioni di felicità, tristezza, rabbia o altri scenari emotivi. Tuttavia, le espressioni facciali possono variare ampiamente tra le culture, portando ad ulteriori imprecisioni e bias etnici. Inoltre, i sistemi della Taigusys, includono identificatori come uiguro, una minoranza etnica di religione musulmana che vive nello Xinjiang. “In Cina” ha detto Chen al Guardian “i nostri sistemi di riconoscimento vengono usati per distinguere gli uiguri dai cinesi han” riferendosi all’etnia dominante del paese: “Se appare un uiguro, verrà etichettato, cosa che non succederà con un han”.
Numerosi attivisti per i diritti umani come il gruppo Articolo 19, che si occupa delle implicazioni sociali e legali delle nuove tecnologie, contestano questi sistemi di riconoscimento come basati su stereotipi pseudo-scientifici e potenzialmente molto pericolosi per quanto riguarda la tutela della privacy e la libertà d’espressione, non solo in Cina ma in tutto il resto del mondo. La mancanza di leggi ad hoc dà completa libertà allo sviluppo di queste tecnologie e alla raccolta di impressionanti quantità di dati.
Fonte: wired.it
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