ACTA APOSTATICAE SEDIS : come, cambiando un po' qua e un po' la, si può cambiare tutto...

martedì 9 marzo 2021

Quella sferza che gli uomini deridono

La nuova moda ecclesiale: intransigenza se non si accettano i piani pastorali e mitezza per le eresie


Oggi nella Chiesa può albergare qualsiasi pensiero, qualsiasi posizione dottrinale, ma non un dissenso nei confronti degli orientamenti pastorali. Per riflettere su questo, vi invitiamo a meditare su queste parole di monsignor Robert Hugh Benson (1871-1914), autore del celebre Il padrone del mondo: 

La Chiesa ha in custodia, oltre ai diritti degli uomini, diritti che possono essere sacrificati dai loro detentori, i diritti e le prerogative di Dio che nessuno, se non Dio stesso, può mettere in disparte. Dio ha dato in custodia alla Chiesa, ad esempio, una Rivelazione di verità e princìpi, che, avendo origine dalla Natura stessa di Dio o dalla Sua Volontà, sono immutabili ed eterni come Lui. Ed è proprio in difesa di questi princìpi che la Chiesa mostra ciò che il mondo chiama intransigenza e Gesù Cristo chiamò violenza. La Chiesa Cattolica, quindi, è e sarà sempre violenta ed intransigente, quando la questione riguardi i diritti di Dio. Essa, per esempio, è terribilmente spietata contro l’eresia, perché l’eresia non attacca questioni personali sulle quali la Carità possa cadere, ma un diritto Divino sul quale non può assolutamente cedere. Ma, nello stesso tempo, avrà la massima benevolenza per l’eretico, poiché mille motivazioni e circostanze umane possono intervenire nel modificare le sue responsabilità. Ad una sua parola di pentimento, lo riammetterà senza indugio nello scrigno delle anime; ma non consentirà mai che la sua eresia venga accolta nello scrigno della propria sapienza. Cancellerà, premurosamente e senza far storie, il suo nome della lista nera dei ribelli; ma non il suo libro dalle pagine dell’Indice. Essa darà prova di mitezza verso l’eretico e di violenza verso il suo errore; perché lui è umano, ma la Verità della Chiesa è Divina. Il mondo giudica ragionevole che una nazione difenda i propri territori con la spada e trova invece intollerante ed irragionevole che la Chiesa condanni, resistendo fino a versare il sangue, princìpi per Essa erronei o falsi. La Chiesa tuttavia resisterà sempre instancabilmente ed indomitamente quando si tratti di difendere una verità ed un diritto Divino, non potendo in questo caso essere ‘caritatevole’ per ciò che non è di sua proprietà. Essa emanerà i suoi ordini anche se ad accoglierli dovessero restare in pochi, ripudierà i ribelli che polemizzino sulla sua autorità e purificherà sempre le corti del suo Tempio, anche con quella sferza che gli uomini deridono. Essa cederà tutto quanto sia puramente umano, se il mondo pretenderà di averlo, e non si opporrà al malvagio, se si tratterà di se stessa. Ma ad una cosa non potrà mai rinunciare, una cosa che rivendicherà fino anche a giungere alla violenza ed alla ‘intransigenza’, una cosa che consiste in quella Regalità con la quale Dio stesso l’ha incoronata.”

Per affrontare un cammino occorrono delle scarpe robuste, capaci di non appesantire il passo ma anche di resistere alla durezza del terreno e alle intemperie. Fuor di metafora, nel Cammino dei Tre Sentieri gli “Scarponi” sono gli insegnamenti della sapienza che viene da uomini di Dio per poter sostenere il passo dell’esistenza.


Dio è Verità, Bontà e Bellezza

Il Cammino dei Tre Sentieri

http://itresentieri.it/la-nuova-moda-ecclesiale-intransigenza-se-non-si-accettano-i-piani-pastorali-e-mitezza-per-gli-eretici/

Bose. La Denuncia di Enzo Bianchi: Condannato Senza Sapere le Accuse.


Carissimi Stilumcuriali, credo che nessuno possa accusarci di essere fan di Enzo Bianchi, o di Bose. Ma ieri siamo capitati su quanto pubblicava Radio Spada in merito alla querelle che vede impegnati il fondatore della Comunità, i successori, la Segreteria di Stato e il Pontefice regnante in persona. Offriamo alla vostra attenzione questo comunicato, che, se i fatti citati corrispondono a verità, ci conferma in un’impressione, avvalorata da anni di esperienza. Che la durezza e la crudeltà che si manifestano all’interno del mondo ecclesiastico non temono confronti, all’esterno. Il caso Manelli ne è un esempio eclatante. Ma leggiamo che cosa dice Enzo Bianchi.

Riprendiamo da SettimanaNews e Gloria.tv la (pesante) dichiarazione pubblica di Enzo Bianchi sulle recenti vicende di Bose. C’è poco da commentare: la rivoluzione mangia i suoi figli. Curiosa a questo proposito la menzione che l’ex priore fa della Carta dei diritti umani e dalla Convenzione europea.

Questo comunicato è stato redatto per essere pubblicato il 9 febbraio 2021 in risposta al comunicato dello stesso giorno del delegato pontificio e a quello apparso sul sito di Bose. Tuttavia, per obbedienza, e ripeto solo per obbedienza, ho continuato a mantenere il silenzio fino ad oggi.

Silenzio sì, assenso alla menzogna no!

Nel Decreto del Segretario di Stato consegnatoci il 21 maggio 2020, veniva chiesto a me, a due fratelli e a una sorella l’allontanamento da Bose a causa di comportamenti a noi mai indicati e spiegati che avrebbero intralciato l’esercizio del ministero del priore di Bose, fr. Luciano Manicardi. Pur non avvallando le calunnie espresse nel Decreto, coscienti che non ci era consentito l’esercizio del diritto fondamentale alla difesa (come sancito dalla Carta dei diritti umani e dalla Convenzione europea)  abbiamo obbedito al Decreto.

Ho immediatamente iniziato la ricerca di un’abitazione adatta a me e alla persona che mi assiste, dove poter anche trasferire la vasta biblioteca necessaria al mio lavoro e l’ampio archivio personale. Dopo mesi di ricerca condotta anche da agenzie specializzate, ricerca complicata altresì dall’emergenza sanitaria del Covid-19, non ho trovato nulla di confacente alle mie esigenze. I costi per l’acquisto di un casa in campagna (sempre superiore a 500.000 euro) o di un affitto di un alloggio in città restavano eccessivamente elevati rispetto alle mie possibilità economiche e alla scelta di una vita sobria che ho sempre condotto.

A queste difficoltà si aggiungono la mia età avanzata e le precarie condizioni di salute: gravissime difficoltà di deambulazione causata da una seria sciatalgia, una grave insufficienza renale che non permette alcun intervento chirurgico risolutivo, ai quali si aggiunge una patologia cardiaca. È a seguito di questa situazione e non per altre ragioni, che non ho potuto lasciare l’eremo nel quale vivo da più di quindici anni e si trova dietro alla collina della Comunità di Bose. Alla consegna del Decreto ho da subito interrotto ogni rapporto con i membri della Comunità, incontrando soltanto un fratello incaricato dal priore per la mia assistenza quotidiana. Pertanto, l’allontanamento concreto l’ho realizzato ma non abbastanza lontano come indicato dal Decreto.

Nell’ottobre 2020, direttamente dal cardinale Segretario di Stato Pietro Parolin mi è giunta la proposta di trasferirmi presso la fraternità di Bose a Cellole, sita in S. Gimignano (Si), insieme ad alcuni fratelli e sorelle che si sarebbero resi disponibili, così da attuare pienamente il Decreto e trovare una soluzione per la mia residenza fuori comunità.

A questa proposta, il priore di Bose, l’economo della comunità e il delegato pontificio hanno da subito posto alcune condizioni, tra le quali la perdita di tutti i diritti monastici per i fratelli e le sorelle che si sarebbero trasferiti a Cellole nella condizione di extra domum. Fu mia premura informare il Segretario di Stato che la condizione alla quale venivano ridotti questi fratelli e sorelle era in aperta contraddizione con il can. 665 com. 1 del Diritto canonico vigente, avvalorato dall’interpretazione data dal documento “Separazione dall’Istituto. Extra domum, esclaustrazione e secolarizzazione” redatto  dal Gruppo Segretari/e di Roma del 12 novembre 2013.

Il 13 novembre del 2020, il Cardinale Parolin, in una lettera a me indirizzata, accoglieva le mie osservazioni, chiedendomi di trasferirmi a Cellole con alcuni fratelli e sorelle disponibili, da me scelti in intesa con il priore di Bose, i quali avrebbero vissuto come monaci extra domum ma conservando tutti i loro diritti monastici. Cellole non sarebbe stata più una fraternità di Bose ma comunque una fraternità monastica in cui era possibile la presenza di un fratello presbitero per la celebrazione eucaristica.

Tuttavia, l’8 gennaio 2021 mi giungeva il decreto del delegato pontificio con le disposizione per il trasferimento a Cellole, e in allegato un contratto di comodato d’uso gratuito precario che avrei dovuto firmare immediatamente. Il contratto, ideato e redatto dell’economo di Bose fr. Guido Dotti e approvato del priore di Bose fr. Luciano Manicardi e del delegato pontificio, poneva le seguenti condizioni:

  1. Il decreto del delegato pontificio ingiunge a fr. Enzo Bianchi di trasferirsi a Cellole senza sapere né identità né numero dei fratelli e delle sorelle che sarebbero andati a vivere con lui.
  2. Nel contratto di comodato si prevede che l’Associazione Monastero di Bose, nel suo rappresentante legale fr. Guido Dotti, può cacciare da Cellole in ogni momento, su semplice richiesta e senza motivarne le ragioni, fr. Enzo Bianchi e quanti vi risiedono con lui.
  3. Il contratto di comodato d’uso concede gli edifici del priorato di Cellole stralciando però intenzionalmente i terreni annessi all’edificio e necessari per la coltivazione, per l’orto e per la provvigione dell’acqua durante l’estate.
  4. Si dichiara che ai monaci e alle monache di Bose che vivranno a Cellole è vietato non solo fare riferimento a Bose, ma anche affermare di condurre vita monastica o cenobitica: potranno semplicemente definirsi come coloro che danno assistenza a fr. Enzo Bianchi, pertanto ridotti a meri “badanti”.

Anche alla mia richiesta che a Cellole ci fosse un fratello idoneo designato a guidare la comunità, il delegato pontificio ha risposto che “non c’è alcun priore, né responsabile, né presidente del gruppo a Cellole, né vita monastica né vita cenobitica”. Ai monaci e alle monache di Bose presenti con me a Cellole ai quali erano riconosciuti dal Segretario di Stato tutti i diritti monastici era tuttavia espressamente vietata la vita monastica. Con tutta evidenza, questa imposizione risulta lesiva della dignità personale e dei diritti monastici fondamentali di questi fratelli e sorelle che vivono a Bose anche da quarant’anni. Se a Cellole è loro vietato di condurre vita monastica, essi cosa vivono? Vengono loro riconosciuti i diritti monastici ma è loro espressamente vietata la sostanza della vita monastica.

A queste condizioni, che non sono mai state rese note alla comunità, io non ho mai dato il mio assenso, perché mi sembrano disumane e offensive della dignità dei miei fratelli e delle mie sorelle. Il decreto del delegato pontificio pone con tutta evidenza me e quanti con me vivono a Cellole in una condizione di radicale precarietà, obbligandoci a vivere perennemente nell’angoscia di essere cacciati in ogni momento e per qualsiasi ragione. Se alle indicazioni del Segretario di Stato avrei sempre potuto ubbidire, alle modalità di realizzazione dettate in particolare da fr. Guido Dotti non ho mai potuto dare il mio assenso.

Per queste ragioni, per la quarta volta, il 2 febbraio scorso ho comunicato al delegato pontificio e al priore, tramite lettera consegnata nelle sue mani, la mia decisione di non trasferirmi a Cellole alle condizioni poste da loro. Inoltre, per amore della Chiesa e in particolare della diocesi di Volterra, del suo vescovo Alberto Silvagni padre veramente premuroso, di tutte le persone che da otto anni frequentano l’eucaristia domenicale e la liturgia delle ore quotidiana e che hanno tessuto vincoli ecclesiale e spirituali con la fraternità di Cellole, non posso in coscienza accettare che una fraternità di così grande valore monastico fosse chiusa al semplice scopo di diventare una casa privata destinata a me e a chi mi assiste. Ribadisco tutto il mio dolore per una chiusura decisa improvvisamente e in questa modalità e non certo per volontà mia. Il delegato pontificio e il priore di Bose, ignorando questa mia decisione a loro tempestivamente comunicata per iscritto di non trasferirmi a Cellole, hanno ugualmente pubblicato il 9 febbraio 2021 i rispettivi comunicati ufficiali, omettendo gravemente di rendere nota la mia decisione, anzi dicendo che io avevo accettato di trasferirmi a Cellole, alterando in tal modo la verità dei fatti.

Per questo, dall’inizio di febbraio, ho ricominciato la ricerca di una dimora in cui poter vivere la vita monastica e praticare l’ospitalità come sempre ho fatto tutta la mia vita a Bose: alla mia vocazione non intendo rinunciare.

Non ho nulla in più da comunicare almeno PER ORA. GIUDICATE VOI!

Di quanto qui scritto sono disposto a mostrare i documenti che lo provano.

Fr. Enzo Bianchi
fondatore di Bose

Marco Tosatti

https://www.marcotosatti.com/2021/03/09/bose-la-denuncia-di-enzo-bianchi-condannato-senza-sapere-le-accuse/

Il diritto nella chiesa. (In margine al caso di Enzo Bianchi)


Il diritto è una dimensione fondamentale della civiltà umana. Non c’è società senza diritto, e l’ars boni et aequi è l’unico modo accessibile agli uomini per vivere una vita associata degna di loro. Come tutte le opere umane, d’altro canto, anche il diritto giace in una ambivalenza che rende sempre possibile il suo rovesciamento in ingiustizia (summum ius summa iniuria), ma l’uscita dal diritto, anche se in singoli casi può talvolta sembrare auspicabile, non è mai una buona soluzione poiché produce nell’insieme risultati di peggiore ingiustizia e, se diventa sistematica, porta alla distruzione dell’orgamismo sociale che la pratica o la consente.

La posizione della chiesa rispetto al diritto è, per certi versi, paradossale: la fede cristiana, infatti, in radice non è affatto un diritto bensì una grazia e rivela all’uomo che nel suo rapporto con Dio egli non ha assolutamente alcun diritto ma riceve soltanto doni gratuiti. Ora, se «tutto è grazia» nel cristianesimo, che ci sta a fare il diritto? Se i rapporti umani all’interno della chiesa, in forza dell’amore gratuito di Dio, sono tutti e solo rapporti di fraternità e di servizio reciproco, che bisogno c’è che siano regolati da norme giuridiche? Se abbiamo il vangelo, a che ci serve un codice di diritto canonico? L’amore misericordioso non travalica forse (anzi addirittura travolge) gli angusti limiti della “giustizia giuridica”? Così si potrebbe pensare e così in effetti ha spesso pensato una certa corrente di “radicalismo cristiano” che ha preso nel corso dei secoli molteplici forme ed è tuttora assai vivace.

Non è questa la concezione cattolica. Se è vero che nel cristianesimo tutto è grazia, è altrettanto vero che Dio, con il suo intervento salvifico nella storia, che culmina nell’incarnazione del Figlio, ha assunto tutta intera la condizione umana, eccetto il peccato. Questo significa che l’impegno umano di rispondere con le opere al dono della grazia resta valido e imprescindibile e che non vi è nulla di umano che sia escluso dall’orizzonte redentivo del cristianesimo: non le strutture sociali, non la politica, non l’economia, non l’arte e la scienza … non il diritto. Nei confronti di ogni aspetto della vita umana i cristiani sono chiamati a operare un giudizio, cioè una krisis che separi ciò che vi è di vero buono e bello da ciò che non lo è, per poi farne un “uso giusto” (chrêsis). Questo in effetti è accaduto sin dai primi tempi della storia cristiana, anche nei riguardi di quel sistema giuridico a cui i cristiani erano soggetti nell’impero romano (e in nome del quale erano talvolta perseguitati), come ho cercato di mostrare, in modo molto elementare, in un capitolo del libro Vivere da cristiani in un mondo non cristiano. L’esempio dei primi secoli (pp. 121-157) a cui mi permetto di rinviare per un primo approccio alla questione.

Rispetto a tutto ciò, a me pare che la situazione attuale della chiesa presenti due aspetti sconcertanti, tra loro collegati. Da un lato sembra esserci tra di noi un grave deficit di krisis nei riguardi della giustizia umana nelle sue strutture e nei suoi modi di funzionamento. San Paolo rimproverava duramente i cristiani di Corinto che affidavano la risoluzione delle loro controversie alla giustizia civile: «Non sapete che i santi giudicheranno il mondo? E se siete voi a giudicare il mondo, siete forse indegni di giudizi di minore importanza? Non sapete che giudicheremo gli angeli? Quanto più le cose di questa vita!» (1 Cor 6, 2-3), ma noi oggi assistiamo al fatto che, negli innumerevoli scandali sessuali o finanziari che affliggono la chiesa, essa sembra “andare a rimorchio” della giustizia mondana, dal cui operato sceglie di dipendere supinamente, rinunciando in linea di principio a qualsiasi “distanza critica” nei confronti dei magistrati dello stato, anche quando i loro atti sono quanto mai discutibili. Esemplare, in questo senso, mi pare che sia la condotta tenuta dalla Santa Sede nei riguardi del procedimento a carico del cardinale Pell. Non si capisce davvero il motivo per cui, all’indomani di sentenze di condanna tanto inverosimili come quelle subite dal cardinale, i comunicati della sala stampa vaticana dovessero genuflettersi in immotivate dichiarazioni di piena fiducia nell’operato di una magistratura così faziosa.

Allo stesso tempo, e correlativamente, dall’altro lato colpisce e sconcerta la renitenza ecclesiastica ad impiegare gli strumenti del proprio diritto per fare chiarezza, e possibilmente giustizia, al proprio interno, in tante vicende che provocano grande sofferenza e scandalo in molti fedeli. Il modo giuridico per approssimarsi alla verità, nelle questioni controverse, è tipicamente il processo, cioè una forma dibattimentale in cui le ragioni delle parti contrapposte siano da esse pubblicamente esposte e vagliate da un giudice terzo, la cui sentenza, a maggiore garanzia delle parti stesse, sia a sua volta appellabile. Mi pare invece che nella chiesa oggi si proceda in tutto un altro modo. Sotto questo profilo possiamo prendere ad esempio la vicenda della comunità di Bose e del suo fondatore, Enzo Bianchi. Non dico nulla sul merito della controversia, perché non sono in grado di farlo ma anche perché non è questo il punto. Non so quali siano i torti e le ragioni di Bianchi e quelli dei suoi avversari, ma invito a leggere questo articolo di Sandro Magister, che illustra molto chiaramente l’aspetto giuridico della questione: http://magister.blogautore.espresso.repubblica.it/2021/03/04/enzo-bianchi-il-papa-e-%e2%80%9cquella-%e2%80%98volpe%e2%80%99-di-erode%e2%80%9d/.

Quali che siano i demeriti e le colpe di Bianchi (o di Becciu o di chiunque altro, McCarrick compreso!), chi è accusato di qualcosa ha il diritto di difendersi in una “forma processuale”, e se lo scandalo è pubblico occorre che tale forma sia pubblica. Questo principio dovrebbe valere sia fuori che dentro la chiesa. Se è vero, come parrebbe, che invece nella vicenda Bianchi non è stato chiarito neppure all’“imputato” quali siano le accuse che gli vengono mosse e non gli è stata data la possibilità di rispondervi in modo adeguato davanti ad un “giudice”, questo è oggettivamente un problema. Se poi si pensa che il suo è solo il più recente di una lunga serie di casi affrontati e “risolti” nello stesso modo, c’è davvero di che preoccuparsi.

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https://leonardolugaresi.wordpress.com/2021/03/06/il-diritto-nella-chiesa-in-margine-al-caso-di-enzo-bianchi/

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