ACTA APOSTATICAE SEDIS : come, cambiando un po' qua e un po' la, si può cambiare tutto...

sabato 3 aprile 2021

Il trionfo della cattiveria umana

Uomini senza misericordia

Popule meus, quid feci tibi? aut in quo contristavi te? responde mihi.

Michea 6,3 – Liturgia del Venerdì Santo



“Popolo mio, che ti ho fatto? O in che cosa ti ho stancato? Rispondimi.”


E’ Dio che parla. Un Dio un po’ stufo di noi. Delle nostre scuse. Dei nostri tradimenti. Del nostro volere seguire la strada che ci immaginiamo migliore, invece di quella che Lui traccia per noi.
Tante volte pensiamo “Non è colpa mia se non credo. Che ha fatto Dio per me? Se vedessi, se si facesse vedere, allora…”
No, non è così.

Gesù ha girato la Palestina per tre anni. Ha compiuto miracoli immensi. Era Cristo, non credo proprio dicesse cose banali, in modo trito o poco convincente. Quanti erano sotto la sua croce, alla fine?
Quanti, da Cafarnao? Quanti, da Nazareth, da Korazim? Quanti da Gerusalemme?

Certo, direte, ma era pericoloso. Il potere voleva cancellarlo, “Eradamus eum de terra viventium“, raschiamolo dalla terra dei viventi; aveva contro “Viri absque misericordia“, uomini senza misericordia. Quando si innalzano la croci meglio evitare di finirci sopra, meglio scappare.

Ma non è il potere. Il potere non può piegarci se noi non vogliamo farci piegare. Siamo noi, siamo noi a decidere. La nostra libertà.

Il Venerdì Santo è il trionfo della cattiveria umana. E’ la fine di ogni speranza. E’ un susseguirsi di tradimenti. Chi tradisce il proprio Maestro, chi il proprio ufficio, chi se stesso. La morte sembra farla da padrona.

Ma è un’illusione. La Pasqua svelerà quell’illusione. C’è un perdono che è più forte della morte. Di tutti i nostri tradimenti. Di tutte le nostre incredulità. Del nostro essere uomini senza misericordia. Perché quella misericordia che non abbiamo ci è stata offerta, liberamente, da una croce.
Tutto sta ad accettarla.


https://berlicche.wordpress.com/2021/04/02/uomini-senza-misericordia/

In occasione della Via Crucis organizzata per ieri, 2 aprile, dall’associazione Ultimi di don Aniello Manganiello, parroco di Scampia, Domenico Airoma, procuratore della Repubblica di Avellino e vicepresidente del Centro studi Rosario Livatino, ha così pregato in corrispondenza della XII Stazione, Gesù muore sulla Croce.

“Dio mio, dove sei?”, “Perché mi hai abbandonato all’odio dei miei sicari?” Il respiro si fa affannoso, il sangue scorre dal costato colpito dal fuoco mafioso, lo sguardo si annebbia. Rosario Livatino è lì, piegato in due, su quella terra che lo ha tradito, mentre il sole caldo di fine estate si nasconde, oscurato dalla sagoma dell’assassino che gli è oramai addosso.

“Picciotti, che vi ho fatto?”. Si, “che male vi ho fatto?”. Quale male vi può essere in una vita spesa per la giustizia, per dare a ciascuno il suo, quello che spetta ad ogni uomo in quanto uomo: la sua dignità, la sua libertà, la sua stessa vita? L’amore per la giustizia è la minaccia più pericolosa agli occhi mafiosi. Va annientato, senza pietà. Come quel giovane giudice che, pure agonizzante, chiede ai suoi assassini se ha fatto loro un qualche torto. Va zittito, senza perder tempo. Con un colpo di pistola in bocca. Si spegne l’eco dell’ultimo sparo e si spegne anche Rosario. Solo, abbandonato, dallo Stato che doveva proteggerlo e dalla sua stessa comunità che aveva servito. L’odio, la prevaricazione, l’ingiustizia sembra aver vinto, ancora una volta.

Sembra.

Quell’amore incarnato in un corpo di un piccolo giudice incomincia, in quella mattina di fine settembre, a cambiare quel paesaggio di odio e di morte. Il velo di silenzio si strappa e un testimone, alla presenza di quel giusto, decide di parlare, di gridare quell’ingiustizia. L’oscurità del peccato mafioso si fa evidente, la sua infamia opprimente, e ciò che non aveva potuto l’umana giustizia, la carità di quel sacrificio miracolosamente realizza: la conversione di alcuni cuori mafiosi. Pochi, per il momento. Ma il sangue innocente di quel martire della giustizia ed indirettamente della fede era solo all’inizio della sua opera. La madre conserva nel suo cuore trafitto il dolore per un figlio che la nuda terra ha accolto come seme gettato prematuramente; e condivide quel dolore con Giovanni, con San Giovanni Paolo, che quel seme farà germogliare, nella valle dei fiori di mandorlo, bruciando con santa ira l’ortica mafiosa.

Signore Gesù, che ti sei lasciato crocifiggere, che non ti sei sottratto ai tuoi carnefici, perché dovevi e volevi portare a compimento la tua missione di salvezza, eri anche tu lì, in quella scarpata fra Agrigento e Canicattì, accanto al tuo servo Rosario, mentre consegnava nelle tue mani la sua anima di uomo, di giudice, di cristiano.

Signore Gesù, che ci hai insegnato che solo attraverso la Croce si giunge alla Luce della Resurrezione, infondi a tutti gli uomini delle istituzioni, a tutti coloro che hanno un dovere da adempiere nei confronti della comunità, il coraggio di non arretrare, di non cedere dinanzi alle lusinghe o al ricatto, anche se si tratta di attraversare il deserto dell’isolamento e la morsa opprimente della paura.

Signore Gesù, che hai mostrato che amare veramente vuol dire dare la vita per l’altro, fa che tutti coloro che si dicono cristiani imparino, guardandoti crocifisso, che la vita da cristiani richiede schiena dritta e cuore grande: un cuore aperto al sacrificio, un sacrificio quotidianamente perseverante, fino alla rinuncia di sé stessi.

Signore Gesù fa che rimaniamo sempre sotto la tua protezione, Sub tutela Dei, come usava firmarsi Rosario, per risorgere insieme con Te.

https://www.centrostudilivatino.it/picciotti-che-cosa-vi-ho-fatto-la-via-crucis-di-rosario-livatino/

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