IL TEORICO DELL'ERESIA OCCULTA
Che cosa si deve pensare di un uomo che sappia di andare contro ciò che professa ufficialmente il gruppo al quale volontariamente ha aderito, ma lo tenga nascosto per ragioni strategiche, ossia per sfruttare il momento buono in cui potrà imporre le sue idee; e che, ritenendosi molto intelligente, ama sfidare gli altri a scoprire ciò che pensa realmente, fin (quasi) a confessarlo, servendosi di artifici letterari che gli forniscono un’esilissima foglia di fico?
È il caso di un teologo cattolico il quale da tempo ha ripudiato, entro di sé, il cuore stesso della Rivelazione cristiana, ossia che l’Incarnazione, la Morte e la Resurrezione del Verbo sono realtà oggettiva e razionale e non, come lui pensa, una realtà soggettiva e puramente emozionale, una proiezione del “bisogno di Dio” del singolo individuo, che la esprime secondo il suo intimo sentire e le circostanze storiche.
Il gesuita Karl Rahner con l'amante e scrittrice "mangia preti" Luise Rinser
In un testo incredibilmente audace, perfido e sfrontato, una dozzina d’anni anni prima del Concilio Vaticano II, Karl Rahner delinea la tecnica con cui la massoneria ecclesiastica si sta impadronendo del vertice della Chiesa per mutarne il magistero; e lo fa con una dose sconcertante d’ipocrisia, simulando di voler mettere in guardia la Chiesa contro il gravissimo pericolo rappresentato da una sovversione della dottrina operata dal suo interno, cioè da dal clero stesso. Citiamo dal suo libro Pericoli nel cattolicesimo d’oggi; titolo originale: Gefahren im Heutigen Katholizismus, Einsiedeln, Johannes Verlag, 1950; traduzione dal tedesco di E. Balducci, Alba, Edizioni Paoline, 1951, pp. 98-101):
Vi è ora effettivamente nella Chiesa quell’eresia crittogama, intesa in questo più vasto senso, che prima abbiamo postulata a priori perché è necessario che vi siano delle eresie perché è necessario che vi siano anche nella Chiesa, dal momento che questa Chiesa è sempre una Chiesa di uomini peccatori? Noi pensiamo: C’È. In Benedetto XV si trova, in un passo dell’enciclica “Spiritus Paraclitus”, la constatazione che vi sono persone, e per di più anche tra i docenti delle scienze sacre, che combattono nell’intimo proposizioni del magistero ecclesiastico (Dz 2186). Questa “occulta oppugnatio”, che Benedetto XV constata come effettivamente verificatasi nella Chiesa al tempo nostro, è solo la forma più massiccia dell’eresia crittogama di cui parliamo. Essa senza dubbio al giorno d’oggi non è ancora estinta. Si pensi, per esempio, ai libri pubblicato da Mensching e Mulert prima dell’ultima guerra su un “cattolicesimo riformato”, che senza dubbio contengono aperte eresie (aperte, se facciamo astrazione dell’anonimato dei reali autori) – e perciò poterono essere indicati come eretici anche per il fatto di essere messi all’indice dal magistero ecclesiastico – ma che sono anche, senza dubbio, il riflesso di un atteggiamento e di una dottrina che può essere designata come eresia crittogama, tanto più che i suoi autori da una parte riconoscono l’opposizione della loro concezione alla dottrina della Chiesa, dall’altra però non vogliono lasciarsi cacciar fuori dalla Chiesa per opera dell’autorità ecclesiastica, e appunto perciò scelgono la tattica dell’anonimato.
Una piazza in Germania intitolata a Karl Rahner, ispiratore della svolta antropologica al Concilio Vaticano II
Ma questa varietà, la più massiccia, dell’eresia crittogama, che si manifesta per la prima volta con tangibile evidenza nella storia del modernismo, non è né l’unica e la più importante, né la più pericolosa. Molto più frequente (anche se difficile da afferrare) è l’atteggiamento della diffidenza e del risentimento contro il magistero ecclesiastico, quel sentimento molto diffuso di essere strettamente controllati, nella ricerca e nell’insegnamento, da parte del magistero ecclesiastico, l’opinione che si possa «non dire quello che si pensa» e che ci si ritiene giustificati di pensare con “buona coscienza”). Non si può forse trovare qua e là l’affermazione che si possa (almeno tra buoni amici) dire più di quel che si scrive? Ovvero si ha l’impressione di doversi rallegrare che questa o quella cosa sia detta da teologi protestanti fuori della Chiesa e di dover leggere tali cose presso di loro, poiché non si potrebbe dirle da noi senza pericolo. Si può avere qualche volta l’impressione che l’opinione teoretica di un teologo si nasconda dietro le forme della sua ricerca storica, per farsi così intendere, senza divenire tangibile. Non vi è forse qua e là una dottrina esoterica, che viene trasmessa soltanto a voce? Non vi è forse l’eresia non formulata, che evita le tesi precise, che lavora con semplici omissioni e prospettive unilaterali e salta bruscamente, per così dire, dal falso atteggiamento teorico alla pratica? Non si dà forse qualcosa del genere, per esempio, quando si evita accuratamente la parola inferno, quando non si parla più, o tutt’al più se ne parla in maniera incerta e riservata, se non si può fare altrimenti, dei consigli evangelici, dei voti e della vita religiosa? Quante volte nei nostri paesi il predicatore per persone colte parla ancora al suo uditorio delle pene temporali del peccato, dell’indulgenza, degli angeli, del digiuno, del diavolo (tutt’al più parlerà del “demoniaco” nell’uomo), del purgatorio, della preghiera per le povere anime, e di altre simili cose fuori moda? E quando si raccomanda la “libertà interiore” di «continuare a vivere positivamente nella Chiesa e di trattare il tribunale della confessione come di fato incompetente, fin tanto che esso amministra il sacramento della penitenza al servizio di un molochismo della legge» (E. Michel, “Die Ehe”, Stuttgart, 1949, p. 128), la pratica di una tale eresia crittogama ha già ritrovato la propria teoria formale, cioè la raccomandazione espressa di vivere l’eresia in maniera latente.
Karl Rahner perfido teorico dell’eresia occulta. Perché un eretico dovrebbe scegliere la dissimulazione restando nella Chiesa? In un suo libro del '50 un’auto-analisi psicanalitica per cristiani adulti, già de facto protestanti!
Per un sovrappiù di malizia e sfrontatezza Rahner, in una nota a pie’ di pagina, affronta la questione del perché un tale eretico dovrebbe scegliere la dissimulazione, restando nella Chiesa (p. 99):
Oltrepassa il quadro di questo saggio rispondere alla questione del perché dei cristiani, che sono consapevoli dell’opposizione delle loro concezioni alla dottrina della Chiesa ufficiale, vogliano tuttavia rimanere nella Chiesa. Al motivo già indicato per questo, che cioè essi si metterebbero così in contrasto anche con una proposizione di fede già da loro stessi riconosciuta, quella della vera Chiesa e del suo magistero, si aggiungono certo anche altre ragioni: in contrasto coi tempi di un individualismo e di un liberalismo coscienti di sé, l’uomo d’oggi non ha più tanta fiducia nella propria opinione, non è più così convinto che si possa facilmente fondare una nuova comunità religiosa senza perdersi nello spirito di setta e in sogni senza uscita. Quando si prova questo sentimento, senza tuttavia realizzare la fede incondizionata nella Chiesa, si arriva – dopo l’epoca del modernismo – ai tentativi di edificare la propria piccola cappella all’interno della grande Chiesa, di formare una setta esoterica all’interno della grande comunità.
Karl Rahner e Joseph Ratzinger al Concilio Vaticano II
In questa ulteriore riflessione, posta a margine della principale, Rahner compie quasi un’auto-analisi psicanalitica, scavando alla ricerca di ragioni, e forse di giustificazioni, per razionalizzare e allo stesso tempo per scusare l’inescusabile: la fredda, lucida, ostinata volontà di simulazione e dissimulazione, per cui l’eretico il quale sa benissimo di essere tale, rimane nondimeno all’interno di quella Chiesa che egli intimamente disprezza, e che considera in errore, nascondendo a tutti le sue vere opinioni e lasciandole solo trasparire in qualche discorso pronunciato in un ambito ristretto e selezionato, con pochi amici, e guardandosi bene dal metterle per iscritto. Oppure, il che è ancor più grave, esprimendole, ma sempre a voce, più con il non detto che affermandole esplicitamente, allorché predica davanti a un pubblico di fedeli “adulti” e di buona cultura, dai quali pensa di poter essere più facilmente capito e coi quali si arrischia a lasciar intuire quel che pensa realmente, già col semplice tacere su tutti i punti della dottrina cattolica che a lui paiono anacronistici e superati, come gli angeli, il diavolo, l’inferno e così via. Ci par di vederlo, questo pubblico di cristiani “adulti”, nei quartieri bene della Germania di ieri e di oggi: sepolcri imbiancati, cattolici sì ma fino a un certo punto, divorati dal complesso d’inferiorità nei confronti dei fratelli separati luterani, e che pur non contraddicendo in pubblico la dottrina cattolica, e specialmente la morale sessuale cattolica, di fatto vivono tutti, clero compreso, in una dimensione che è già de facto protestante, a cominciare dalla libera interpretazione delle Scritture: per cui non solo vivono a modo loro, in aperto contrasto con l’insegnamento della Chiesa, ma sono intimamente convinti di averne ogni diritto. Perché sono loro ad aver compreso il vero significato del Vangelo, e non certo il popolino incolto, non la gente semplice delle campagne come Maria Simma, la mistica austriaca del Vorarlberg, o come Barbara Ruess, che ha avuto le apparizioni mariane a Marienfried, o come Ida Peerdeman, la donna olandese protagonista delle apparizioni mariane di Amsterdam. Per carità, quelle sono tutte imposture o superstizioni, dalle quali loro, i cattolici adulti e vaccinati, si tengono ben lontani: ciò che preme loro è di non sfigurare accanto ai dotti e progressisti teologi luterani, ai pastori luterani e ai fedeli luterani. E se tra essi sono abituali certi stili di vita che, a norma del Catechismo della Chiesa cattolica, non sono solamente illeciti, ma sono proprio decisamente peccaminosi, ebbene, tanto peggio per il Catechismo: quale catechismo, poi, a ben guardare? Quello di Pio X, il pontefice che ha scomunicato il modernismo? Che Dio ce ne scampi e liberi. E così, fin dalla seconda metà degli anni ’40 del secolo scorso, con la Germania ancora parzialmente in macerie, seppure già avviata verso la sua poderosa ripartenza, e il processo di Norimberga ancora freschissimo nella memoria di tutti, la realtà è che dei sacerdoti cattolici nascondevano il fatto di aver adottato intimamente dottrine eretiche e spargevano con discrezione il veleno dell’eresia, ben decisi a rimanere dentro la Chiesa e semmai aspettando l’occasione buona per imporre i loro punti di vista, e, con ciò, per cacciare dalla Chiesa gli altri, i custodi dell’ortodossia. Cioè quelli che al presente li costringevano a dissimulare: ad esempio quei professori delle facoltà teologiche, quei rettori di seminario o quei vescovi che avevano la spiacevole abitudine di esercitare un minimo di controllo su ciò che i seminaristi, i religiosi e i sacerdoti dei loro ordini o delle loro diocesi dicevano e facevano, conculcando con ciò, orribile violazione della privacy e dei diritti umani, il loro sacrosanto diritto alla libertà di pensiero. Come si fosse ancora nel Medioevo…
In Germania, ma non solo, subito dopo la Seconda guerra mondiale esistevano le condizioni necessarie e sufficienti perché teologi eretici e intellettualmente disonesti, cioè abili a dissimulare la loro eresia e restarsene tranquilli dentro la Chiesa, portassero avanti la loro occulta oppugnatio, carezzando l’ora di poter venire allo scoperto e impadronirsi dei gangli vitali della Chiesa!
È curioso: il libro di Rahner esce con l’imprimatur episcopale (l‘Indice dei libri proibiti verrà abolito da Paolo VI nel 1966, altra tappa decisiva nell’autodemolizione della dottrina cattolica), e quindi il sottile veleno e la malizia ben dissimulata che ne animano ogni pagina vengono messo nelle mani del pubblico cattolico, per mezzo delle librerie cattoliche, in anni in cui esiste ancora una sia pur blanda vigilanza della gerarchia ecclesiastica nelle questioni di fede e di morale (ciliegina sulla torta: la traduzione italiana di chi poteva essere, se non di un sacerdote ultraprogressista come Ernesto Balducci?). Vogliamo dire: se oggi uno entra in una libreria paolina, o in una libreria diocesana, o nella biblioteca di un seminario o di una facoltà teologica, sa benissimo cosa può aspettarsi: di vedere le opere dei teologi eretici e modernisti sfoggiate in bella mostra, accanto a quelle dei teologi luterani e calvinisti; mentre per trovare le opere degli autori realmente cattolici, diciamo di un Romano Amerio, un Antonio Livi, un Cornelio Fabro o un Tomas Tyn, dovrà faticare un bel po’; dovrà farle arrivare appositamente, e non è neanche detto che ci riesca, perché di alcuni autori realmente cattolici, i vescovi hanno dato ordine che le loro opere non vengano più tenute nelle librerie e nelle biblioteche cattoliche. Singolare paradosso e dimostrazione concreta della vittoria del modernismo nella Chiesa cattolica: Bultmann sì, Tillich sì, Bonhoeffer sì; Enzo Bianchi sì, Vito Mancuso sì, James Martin sì: ma Domenico Giuliotti no, Divo Barsotti no, Brunero Gherardni no, e Andrea Gemma nemmeno (specialmente i libri di quest’ultimo che parlano di diavoli ed esorcismi). E Garrigou-Lagrange, Étienne Gilson, Michael Schmaus, Giuseppe Siri? Eh, via; ma quella è archeologia: come la Messa tridentina, è roba che sta bene in un museo, da visitare una volta l’anno, il giorno dei morti, e poi scordarsela, perché ostacola il meraviglioso cammino dell’ecumenismo, del dialogo interreligioso, della pastorale dell’inclusione e del discernimento e della benedizione alle coppie “diverse”, e tanti auguri per l’adozione di bambini (però silenzio di tomba sull’aborto volontario, non sarebbe carino, né politically correct).
27 febbraio 1977, monastero di Weltenburg (Baviera): il prof. Ratzinger con il gesuita Karl Rahner, l’abate e i dottorandi di Ratisbona
Arriviamo perciò alla conclusione che subito dopo la Seconda guerra mondiale, se non già da prima ancora, esistevano le condizioni necessarie e sufficienti perché teologi eretici e intellettualmente disonesti, cioè abili a dissimulare la loro eresia e restarsene tranquilli dentro la Chiesa, portassero avanti la loro occulta oppugnatio già denunciata da Benedetto XV, carezzando l’ora di poter venire allo scoperto, impadronirsi dei gangli vitali della Chiesa, come la Congregazione per la Dottrina della Fede, e realizzare il loro capolavoro: insediare l’eresia al posto dell’ortodossia e cacciar fuori, o ridurre al silenzio, i veri custodi di quest’ultima. Operazione brillantemente condotta nell’arco di quasi sei decenni e che, come s’è visto, era stata perfino preannunciata. Un po’ come oggi i Padroni Universali si divertono a disseminare gl’indizi della loro strategia massonica, esoterica e satanista…
Karl Rahner perfido teorico dell’eresia occulta
di Francesco Lamendola
di Pierluigi Pavone
Lui è diventato famoso per la critica alla infallibilità del Papa. E molto altro, che può essere sintetizzato in tre nuclei teologici ormai noti: l’ambito morale (famiglia e eutanasia); l’ambito ecclesiologico (forme alternative di sacerdozio e democratizzazione storicistica di qualsiasi dogma); l’ambito teologico (la revisione della divinità di Gesù e il più assoluto sincretismo evolutivo).
Ma – io ritengo e propongo a discussione – faremmo un cattivo uso della sua eredità, se ci limitassimo a denunciarne i punti di esplicita rottura con il Credo cattolico. Dobbiamo invece cogliere l’occasione per risalire, ancora una volta, alla matrice teologica che ha reso possibile Hans Küng e tutto ciò che lui ha creduto e come e dove questo viene valorizzato e/o attuato, oggi.
Certo proprio sull’aspetto sociologico e storico, così caro al suo modernismo indeterminato, potremmo già far notare una pia curiosità: fino a quando si trattava di criticare gli aspetti o le encicliche o le resistenze “conservatrici” dei vari pontefici, tutto era permesso. Anche la pastorale della disobbedienza pratica. Ora, però, quelle stesse posizioni sono divenute minoritarie, per quanto poi – come si addice alla Provvidenza – la drammatica situazione attuale pare aver destano non poche coscienze a riscoprire provvidenzialmente la piena ortodossia. E si è giunti a rendere addirittura omaggio pubblico alla speculazione teologica di Küng. E questa sorta di “Cristianesimo alternativo o sui generis” (il termine progressismo non rende bene l’idea) – persino nelle sue forme più radicali, se non apostate della dottrina cattolica di sempre – è stato assunto a dogma assoluto e infallibile esso stesso.
Ora c’è solo il silenzio per chi osa soltanto esprimere dubbi o perplessità.
Ora viene chiesta l’uniformità indistinta persino sui social.
Cosa sarebbe accaduto se la stessa misura fosse stata assunta per le posizioni morali di Giovanni Paolo II o quelle liturgiche di Benedetto XVI?
O “peggio ancora” quando si sollevavano dubbi (e si continua a fare) sulla possibilità di applicare l’ermeneutica della continuità, in alcuni passaggi controversi dei documenti conciliari?!
Perché qualsiasi dogma cattolico può essere revisionato e de-mitologizzato (come piace dire in certi accademici corridoi) tranne ciò che è accaduto nel secondo Novecento e poi ancora negli ultimi anni?!
Tuttavia non possiamo limitarci ad una analisi sociologica, né ridurre tutto a “questioni di partito”: in campo c’è la fedeltà al Vangelo e a ciò che Cristo ha depositato perché venisse nei millenni custodito. Cristo è la misura. Non certo l’uomo. Con buona pace dei sofisti greci e dei teologi tedeschi (e non solo tedeschi). C’è poco da aggiungere a riguardo se alcuni teologi contraddicono chiaramente la stessa teologia di Dio, perché pare ne sappiamo più di Cristo quanto a peccato, inferno, Sacrificio di espiazione, Giudizio, matrimonio, sacerdozio, ecc.
Ma dobbiamo fare uno sforzo maggiore.
Hans Küng è un teologo che ha operato secondo tre principi, tre assiomi coerenti e complementari: l’idea cabalistica di Dio come Indeterminazione assoluta (già analizzata qui); il misconoscimento della Trinità, l’identificazione di Dio con l’immanenza progressiva ed evolutiva del processo storico dell’umanità, dentro cui assorbire la stessa storia della Chiesa.
In virtù del primo assioma può legittimare ogni forma di sincretismo; in virtù del secondo assioma, può relegare a mito qualsiasi aspetto teologico che si riferisce a Cristo, in quanto Incarnazione del Logos; in quanto Sacrificio espiatorio per il peccato di Adamo, in quanto unica Verità e unica via per il Padre; in virtù del terzo assioma può legittimare ogni forma di revisione/evoluzione di qualsiasi dogma o istituzione o dottrina, fosse anche esplicitamente contenuta nel Vangelo, perché il Vangelo stesso è da intendersi come momento speculativo di Dio, nel Suo processo storico di auto-rivelazione razionale e dialettica.
Hans Küng è un “teologo cattolico” (si fa per dire) che è stato in grado di scrivere che: «credere in Dio Padre, secondo il Nuovo Testamento, significa credere nell’unico Dio: questa fede nell’unico Dio è comune al giudaismo, al cristianesimo e all’islamismo. […]. Credere nel Figlio significa credere alla rivelazione dell’unico Dio nell’uomo Gesù di Nazareth. […]. Credere nello Spirito Santo significa credere nella potenza e nella forza di Dio operanti nell’uomo e nel mondo»[1]. L’Incarnazione altro non sarebbe che la predicazione e l’opera di Gesù in tutta la sua esistenza, come manifestazione della volontà di Dio. Dio stesso, in un connubio tra oriente e occidente, è «vuoto», nel senso di indicibile, ed è, nel senso di «nascosto mistero dell’essere: non un super essere, ma il misterioso unificatore presente in ogni ente, l’essere stesso come fondamento, centro e fine di ogni ente e di tutto l’essere: immanente e insieme trascendente rispetto a ogni cosa»[2].
Ora, che cosa significa misterioso unificatore presente in ogni ente? L’essere formale di ogni ente? Se così fosse Küng condividerebbe in ultima battuta una visione panteista. Però si potrebbe obiettare che definisce Dio nella doppia valenza di immanente e trascendente. A parte che è sufficiente studiare la differenza ontologica spiegata da Tommaso d’Aquino per capire la differenza tra Dio che è l’essere per essenza e gli enti che hanno l’essere per partecipazione, senza che questo implichi la considerazione panteista o la considerazione dell’essere di Dio come un genere sommo. Lo stesso Aristotele negava che l’essere sia un genere. Detto ciò, il riferimento più vicino a Küng sembra essere Giordano Bruno – che almeno ebbe il pudore di morire anti-cattolico, piuttosto che pretendere di insegnare teologia cattolica – quando distingue Dio come Mens super omnia e come Mens insista omnibus. E Giordano Bruno è un convinto ilozoista, fermo assertore del vitalismo della materia divina.
Hans Küng, allora, non è “semplicemente” un teologo d’opposizione o il teologo ribelle, o il teorico del Vaticano III, e ancora e ancora. Con buona pace di Mons. Forte (vedi qui), non ha offerto nessuno “stimolo costruttivo” alla Chiesa cattolica, semmai demolitorio, compresa la sua versione e interpretazione e manipolazione dello stesso Vaticano II. Anzi, interpretando la storia della Chiesa e l’azione dello Spirito Santo secondo una lente hegeliana, non si muove neppure più sul campo della eresia, quanto su quella della apostasia più esplicita del Cristianesimo in quanto tale. Persino il luterano Kierkegaard intuiva questa contraddizione, contro Hegel e contro la Chiesa danese del suo tempo che aveva assunto le posizioni della cosiddetta “Destra hegeliana”, cioè aveva assunto la teologia hegeliana a baluardo della teologia cristiana (qui per approfondire specificatamente).
È infatti Hegel – come avevamo modo di chiarire in un articolo (qui) a lui dedicato per il bicentenario dalla nascita – il vero creatore del concetto teologico di Dio come Indeterminazione illimitata di volontà che diviene e si rivela razionalmente nel mondo, in cui bene e male coincidono, quanto essere e nulla. È il vero creatore del concetto attuale di “momento ateo di Dio”, con cui intende il simbolo della Croce come il momento della auto-alienazione di Sé, da parte di Dio che ancora non si conosce come Spirito e Ragione del mondo. È il vero creatore della identificazione dello “Spirito di Dio” con lo “spirito del mondo”, rispetto a cui qualsiasi contraddizione, qualsiasi religione, qualsiasi cultura, qualsiasi credo, qualsiasi istituzione, sono raccolti ad Unità e Sintesi dialettica, nella immanenza assoluta della storia.
Contro questa pseudo-teologia, abbiamo il dovere di distinguere lo spirito del mondo come spirito dell’Anticristo, contro cui agisce – proprio in nome del Figlio – lo Spirito Santo. Ovvero, la Terza Persona della Trinità, che “consola” i cristiani fedeli e giudica il principe di questo mondo in quanto tale, e giudica il mondo proprio, nel rifiuto della divinità del Figlio (cfr. Gv 14).
[1] H. Küng (e altri), Cristianesimo e religioni universali, trad.it. G. Moretto, Arnoldo Mondadori, Milano 1986, p. 150.
[2] Ibidem, p. 468.
La morte del teologo svizzero Hans Küng ha svelato le inclinazioni di molti cuori. Non sorprendono le parole piene di ammirazione del presidente della Conferenza Episcopale tedesca, mons. Bätzing, il quale ha chiamato Hans Küng una «personalità» affermando che egli «lascia dietro a sé una ricca eredità teologica».
Pur con il profondo rispetto e pietà per la sua morte, come per la morte di ogni uomo, trovo francamente fuori luogo le parole del tweet della Pontifica Accademia della vita, diretta da mons. Vincenzo Paglia, la quale scrive: «E’ scomparsa una grande figura della teologia nell’ultimo secolo, le cui idee e analisi devono farci riflettere sulla Chiesa cattolica, le Chiese, la società, la cultura». Insomma, un tweet che è un vero e proprio panegirico. Attendiamo con ansia l’inizio del processo di beatificazione. Ormai ci possiamo attendere davvero di tutto.
Intanto, per la serie “Oggi le comiche”, dopo un’intervista concessa a Vatican Insider dall’Arcivescovo Bruno Forte, abbiamo la conferma che oggi esistono due Chiese, una delle quali non più cattolica, e che purtroppo è al potere nella Chiesa cattolica.
Nell’intervista di monsignor Forte la “perla” di maggiore valore è la seguente: «Quale posizione aveva [Küng] nel dibattito sulla relativizzazione della verità?» La sua risposta è stata: «La verità non è qualcosa che si possiede e quindi di cui si può disporre a piacimento. È qualcuno che ci viene incontro, che ci trasforma. In questo senso ha un aspetto dinamico, che era quello su cui Küng insisteva». Nulla di grave, tipico del post-Concilio, tipico dell’attuale “cambio di paradigma” (cioè modifica della nostra fede) propugnato dal cardinale Cupich. Nulla di grave, solo che non è più cattolico. Mi spiego meglio poiché è facile essere ingannati dalla parole equivoche dei pastori che stanno distruggendo la Chiesa e dalle loro false rassicurazioni che in realtà nascondono tranelli.
Riporto nuovamente la domanda de La Stampa («Quale posizione aveva [Küng] nel dibattito sulla relativizzazione della verità?») e la risposta di monsignor Forte («La verità non è qualcosa che si possiede e quindi di cui si può disporre a piacimento. È qualcuno che ci viene incontro, che ci trasforma. In questo senso ha un aspetto dinamico, che era quello su cui Küng insisteva»). La prima parte della risposta è corretta, non si può disporre a piacimento della verità. Poi viene il tranello, nascosto da parole rassicuranti: la Verità, dice il presule, «è qualcosa che viene incontro, che ci trasforma». Quel “ci trasforma” fa pensare, ma potrebbe essere inteso anche in senso positivo, e cioè che Gesù viene incontro ai Suoi figli, e la Verità trasforma il loro cuore.
Purtroppo non è così, e lo capiamo dalla frase successiva. Qui viene rivelato il tranello: «In questo senso [la Verità] ha un aspetto dinamico…». Se la Verità ha un aspetto dinamico, significa che cambia con il passare del tempo. E’ il postulato del modernismo più spinto, cioè la Verità rimane ma viene adattata ai tempi in cui viviamo. a seconda delle circostanze di vita, delle culture. La Verità che può cambiare, non è più Verità. Non perché sia “rigida” come amano ripetere certi personaggi della Chiesa, ma perché filosoficamente essa “è”, così come Dio è “Colui che è”, ab aeterno. Non è rigida perché la Verità è Amore, è Dio che si incarna per noi e muore sulla Croce per la nostra salvezza. Non per nulla da qualche anno a questa parte si ripete ossessivamente che la Chiesa deve agire in senso “pastorale”.
Ma cosa significa questo? E’ un inganno. Agire in modo pastorale significa che la dottrina non cambia, ma l’agire verso le persone sì. Da qui l’ormai chiaro sdoganamento del rapporto omosessuale, della contraccezione, la distruzione dell’indissolubilità del matrimonio contratto validamente permettendo a chi ha rotto questo legame di accostarsi ai sacramenti senza che sia più necessario vivere nella castità. La dottrina, vale a dire la teoria, rimane quindi immutata (teoricamente, scusate il gioco di parole), la prassi cambia.
In questo modo, come dice padre Serafino Lanzetta, cambiare la prassi significa preparare il terreno al cambiamento della dottrina, al creare una nuova religione. E’ tempo di svegliarsi, di riconoscere l’inganno, di reagire. E’ soprattutto tempo di pregare, pregare, pregare per il Papa e la Chiesa, crescere nell’Amore (con la A maiuscola) e prepararci per i tempi ancora più bui che ci attendono.
Di Guido Villa
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