La rabbia e lo sconforto
Chi ci difende dall’assedio quotidiano del nuovo catechismo politicamente corretto, del bombardamento mediatico-pubblicitario e dalla nuova Inquisizione? La Chiesa di Bergoglio, il Quirinale, la Corte Costituzionale, l’altra politica, la magistratura, la cultura libera e pensante, la satira contro il potere, la stampa indipendente? Macché.
La rabbia e lo sconforto, per modificare un titolo famoso di Oriana Fallaci. La rabbia per l’assalto pervasivo della nuova ideologia correttiva alla realtà, al senso comune, alla natura, alle identità e alla tradizione; e lo sconforto perché non vedi argini, risposte alternative, opposizioni attrezzate, per rappresentare quel che sente, pensa e dice la trascurabile maggioranza della popolazione. Nessun soggetto pubblico che affronti con mezzi adeguati l’Assedio quotidiano; nessuno che quantomeno bilanci, dia voce, garantisca il rispetto a chi dissente dal processo in corso. Un processo civile e incivile, politico e giudiziario… Da nessuna parte si profila una risposta compiuta e alternativa; l’unica strategia è perder tempo, assopire, frenare, voltare lo sguardo. O guadagnare un’ora sul coprifuoco…
Molti dei succitati argini o garanti sono schierati dalla parte opposta o hanno abdicato alla loro funzione di arbitri super partes; tacciono o parlano d’altro, o peggio pensano a galleggiare per sopravvivere e perciò assecondano il mainstream. Chi si oppone fa solo la conta dei sondaggi ma non attrezza risposte confacenti su alcun piano; basta un’opinione al volo, una battuta in video e il compito è assolto, la coscienza è a posto. Gioco di rimessa.
La solitudine di massa è quel che avvertiamo ogni giorno di più; a poco servono anche le ultime munizioni rimaste nelle nostre mani, come il voto, quando verrà il suo tempo, se non hai una strategia e un quadro di riferimento.
La cosa più insopportabile del Politicamente corretto è che rinfaccia a ciascuno di essere quel che è; è un’istigazione costante a rifiutare la storia e la memoria, la cultura e la natura come sono nella realtà, nella vita e nella mente. Si prendono casi estremi, episodi di intolleranza, per rovesciare la realtà, i codici di vita e di legge, i sentimenti e le ragioni comuni. Si rassicura che la cosa non tocca tutti gli altri, ma si ridefinisce la realtà demolendo le identità.
Devi vergognarti di essere italiano, europeo, occidentale, cristiano o perlomeno figlio della civiltà cristiana, cattolica in modo particolare. Devi vergognarti di essere padre, madre, figlio, erede di una tradizione e una civiltà. E di essere maschio, etero, identificato secondo natura e consuetudine.
Il Politicamente Corretto ti rimprovera di essere quello che sei e come hai vissuto finora. Hai sbagliato nelle scelte e nelle inclinazioni, nei rapporti umani e nella tua vita, nel tuo lessico e nella tua sfera privata. La realtà così com’è, è un vizio oscuro da cancellare, un’abitudine retrograda da cui liberarsi; l’essere cede il posto al dover essere e ai desideri soggettivi.
Ognuno di noi ha commesso tanti errori nella sua vita e tanti sono pronti a riconoscerli. Ma la cosa peggiore di questo autodafè permanente, personale e collettivo, è che non ti rinfacciano i tuoi errori, i tuoi peccati, ma quasi tutto quel che non rientra in essi. Anzi, in molti casi, il nuovo canone ti chiede di vergognarti delle cose migliori della tua vita e di quello di più caro in cui hai creduto, pensato e vissuto; devi vergognarti delle tue origini e della tua cultura, devi vergognarti della tua identità e della tua educazione, devi vergognarti della tua famiglia, della tua preferenza per i figli e per gli affetti più cari, del tuo modo d’amare e di corteggiare, della tua fedeltà e lealtà verso un modo di essere e un mondo di pratiche e valori civili, religiosi, patriottici e famigliari. Non devi vergognarti delle tue incoerenze e contraddizioni, semmai di non averle portate fino in fondo, cioè fino a rinnegare ciò che sei e ciò che furono i tuoi genitori.
Devi vergognarti di essere quello che sei e da cui provieni, devi amare ciò che ti è più lontano, chi ti è più estraneo, cosa è più remoto dal tuo mondo. Amare ciò che ti viene meno naturale. La preferenza per l’alien a scapito dell’idem, del lontano rispetto a chi ti è più vicino. È questo l’aspetto tirannico, disumano, irreale dell’inquisizione. Che soffoca la vita, la libertà, la spontaneità, la varietà, la passione per la verità e l’amore della realtà.
La motivazione per rifiutare la realtà è che non l’ho scelta io: essere italiano, europeo, maschio, bianco, etero, figlio di quei genitori, non è dipeso da me. Tutto ciò che deriva dal destino e dalla natura va rifiutato o privato di valore; vale solo quel che scegli e vuoi essere e fare.
Ma non definire più una persona come maschio o femmina, padre o madre, italiano o indiano, è come negare la propria età, la propria data di nascita, i propri genitori e il proprio luogo di nascita. Se hai, per esempio, cinquant’anni, sei maschio e coniugato, hai famiglia, cognome, luogo e data di nascita, sei libero di vivere come se avessi trent’anni, come se fossi di altro sesso rispetto a quello che la natura ti ha dato; puoi lasciare il tuo paese d’origine, puoi farti chiamare con altro nome, puoi lasciare la tua famiglia. Ma se si stabilisce per legge che la realtà, la natura, l’età e la storia non contano più ma conta solo la tua volontà di essere quello che ti va, come e dove ti va, hai trasformato una società civile in un manicomio invivibile. Non si può confondere la libertà delle tue scelte private, che nessuno vuol negare, con una legge che revochi per decreto la realtà e l’identità per riconoscere solo i desideri soggettivi e mutanti. È solo rovinosa barbarie, e follia. E da oggi riprende l’assedio con la giornata mondiale contro le fobie… Verrà un giorno che usciremo da questa allucinazione indotta e ritroveremo la realtà; verrà un giorno che saranno riconosciute e rispettate le ragioni di chi oggi reclama nel deserto?
MV, La Verità 16 maggio 2021
http://www.marcelloveneziani.com/uncategorized/la-rabbia-e-lo-sconforto/
Soltanto chi crede in Dio non ha paura di morire
“Gli uomini, non avendo potuto guarire la morte, la miseria, l’ignoranza, hanno risolto, per viver felici, di non pensarci…Se ne faccia la prova: si lasci un re completamente solo, senza nessuna soddisfazione dei sensi, senza nessuna occupazione della mente, senza compagnia, libero di pensare a sé a suo agio; e si vedrà che un re privo di distrazioni non è altro che un uomo pieno di miserie”. Così Blaise Pascal definisce quella malattia dell’anima che lui chiama noia, i Padri del deserto akedia, o inedia, e la dottrina cristiana il vizio capitale dell’accidia. Per sfuggirle gli uomini hanno deciso di volgere lo sguardo (de-vertere) altrove: il di-vertimento, la distrazione, la frivolezza, la spensieratezza, l’intrattenimento divengono così l’unico modo per riempire, o meglio, per non guardare nell’abisso del loro cuore.
In effetti il pensiero della propria condizione umana, creaturale, mortale, impotente e bisognosa potrebbe diventare un efficace e potente mezzo per richiamare l’uomo a conversione (in greco metà-noia). Così infatti ce lo ricorda la Chiesa cospargendoci il capo di cenere al principio della Quaresima: “ricordati uomo, che polvere sei e polvere ritornerai” (Genesi 3,19). Tuttavia questo può avvenire a patto che egli non si “distragga” con l’attesa di una speranza redentiva in questa vita. Vale a dire, se la morte può essere “sconfitta”, o evitata, o anche solo ritardata in questa vita, mediante i “prodigi” della tecno-scienza, una tale possibilità (o miraggio) si trasformerebbe in impegno che assume i contorni di una “speranza escatologica immanente”. Un vero e proprio, direbbe Pascal, divertissement collettivo.
Dopo più di un anno di ingegneria sociale esercitata su scala globale mediante chiusure improvvise, quarantene forzate, limitazioni delle libertà fondamentali, terrorismo psicologico, ricatti e minacce di nuove segregazioni a causa dei “disobbedienti” o della recrudescenza del “virus” provocata da coloro che rifiutano di accettare i “cambiamenti necessari”, la destrutturazione della scuola e dell’arte medica, la sospensione dello Stato di diritto, la negazione del soprannaturale mediante la chiusura delle chiese, il divieto della preghiera pubblica della Chiesa (la liturgia), il prosciugamento delle acquasantiere e la contestuale sostituzione del sacramentale con il sanificante, l’abolizione della relazionalità umana sublimata nel solipsismo digitale, il relitto umano che emerge dagli acquitrini paludosi di questa “noia indotta” appare uno shakespeariano “Calibano” addestrato a chiedere il permesso per qualsiasi gesto o attività, la più banale ed essenziale come uscire di casa, invitare un amico, o visitare un ammalato. L’homo selvaticus del Nuovo Mondo post-umano si rivolge a un’entità superiore latrice di vita e dalle cui mani fluiscono benefici, grazie e sostegni, seppur vendicativa e pronta a castigare con giusto sdegno, ma non è Dio.
In questo caso la “noia” di questo tempo pandemonico è divenuta un potente mezzo di conversione alla rovescia. La paura della morte non è servita per pensare all’eterno, per meditare sul destino dell’anima difronte all’abisso del Giudizio Divino ma per appiattirsi ancora di più sul domani, sull’avvenire nel tempo. Quel domani, “giorno maledetto che non esiste – direbbe Kierkegaard – invenzione della chiacchiera e della disobbedienza” a Dio e alla sua legge. Il prodotto umano della pan-daimonìa è quindi un “servo buono e fedele” che essendo fedele nel poco (indossando la mascherina, evitando i contatti umani, isolando gli anziani nella loro vecchiaia, ungendosi le mani con il crisma sanificante per non perdere non l’unzione dello spirito ma l’elezione nel Nuovo Popolo) può legittimamente sperare di avere “parte alla gioia del suo padrone”.
Un vero e proprio “credente”, dunque, plasmato a un nuovo “decalogo salvifico”, via e speranza di liberazione: se vuoi avere la vita e la libertà osserva le regole! La grande città di Ninive al passaggio di un diverso «Giona» ha fatto penitenza, sì, dai più grandi ai più piccoli, vestiti di sacco e ricoperti di cenere, ma non per convertirsi al suo Dio ma per stringersi ancora più saldamente alle catene del padrone di questo mondo. Per questo il suo destino è segnato: “ritornerà al paese d’Egitto, Assur sarà il suo re, perché non hanno voluto convertirsi. La spada farà strage nelle loro città, sterminerà i loro figli, demolirà le loro fortezze. Ma il mio popolo è duro a convertirsi: chiamato a guardare in alto nessuno sa sollevare lo sguardo” (Os 11,5-7).
É proprio così. Nessuno sa sollevare lo sguardo. Neanche Pascal avrebbe saputo immaginare un divertissement così efficace per intrattenere l’uomo e distrarlo dal “pensiero” della morte, ovvero, la “paura” della morte. In tal modo la noia e il divertimento si sono fusi insieme tramutando il divertissement nella noia stessa. Il calibano post-umano infatti non sa pensare deve solo obbedire, è un “servo inutile”, eppure dalla sua partecipazione alla pubblica penitenza deriva la sorte e il destino (ecco l’escatologia immanente) dell’intera città. «Chissà – si dicono tra loro – forse così facendo il flagello di sventura che si è abbattuto su di noi ci lascerà in pace?». «Certo! – rispondono i loro compagni – è l’unico modo per uscirne! Ognuno deve obbedire, “convertirsi”, adattarsi e dimenticare la vecchia via, la vecchia vita». «L’avvenire – pensano – sarà ancor più radioso se dimostreremo coerenza, coesione e, soprattutto, obbedienza. Ma dobbiamo fare penitenza! Altrimenti il male non si allontanerà da noi!».
Ed è così che si realizza la migliore e più efficace delle schiavitù, quella interiore. Una prigione per la mente. Uno spettro alchemico capace di mutare la dolcezza in amarezza e l’annientamento in speranza.
Termine fine corsa del treno. É dunque finito il tempo delle mezze misure. É finito il tempo dei compromessi. É finito il tempo degli accomodamenti teologici e dei gesuitismi etici. Si vanno sempre più e sempre meglio definendo gli schieramenti in campo: con Dio o contro Dio, e quindi, per l’uomo o contro l’uomo.
Un terzo delle stelle è già precipitato ma il dragone rosso infuriato adesso si dirigerà contro il resto della discendenza di Cristo, “contro quelli che osservano i comandamenti di Dio e sono in possesso della testimonianza di Gesù” (Ap 12,17). E per chi non ha ancora ceduto al “nuovo paradigma” di vita una parola di fortezza risuona come il grido di re Thèoden sui campi del Pelennor: “Non avete ricevuto uno spirito da schiavi per ricadere nella paura!” (Rm 8,15). E il nostro Re, forte, saldo e glorioso “ci ha liberati perché restassimo liberi; state dunque saldi e non lasciatevi imporre di nuovo il giogo della schiavitù!” (Gal 5,1).
Questa infatti è la vera schiavitù, questa è la vera noia, questa è la peggiore forma di akedia che richiede il sacrificio totale dell’uomo con la sua libertà, i suoi affetti, il suo lavoro e financo la sua fede. Tutto ti è tolto con la noi poiché l’attesa escatologica è irresistibile. E il bello è che molti non se ne sono neanche accorti, perché il divertissement – lo spettacolo – era talmente ben eseguito, i giochi di prestigio così ben confezionati e gli spettatori così poco avveduti che nessuno, o quasi, ha osato sbirciare dietro il sipario. Certamente per molti si è manifestato quel disagio di chi vorrebbe alzarsi di mezzo al teatro per uscire dalla sala ma per non affrontare il disappunto che provocherebbe il suo disturbo interferendo con la rappresentazione preferisce rimanere dov’è, seduto al suo posto, e non distinguersi dagli altri. Alla fine è anche una questione di rispetto.
Per cui adesso comincia a spuntare la qualità e la vera natura della semenza seminata in noi nel vento della “primavera del Concilio”. E come ogni primavera sparge il seme nell’aria, negli occhi e nella terra (cioè nel cuore) ora si farà verità, poiché “la verità germoglierà dalla terra – veritas de terra orta est” (Sal 85,12).
Ma consideriamo davvero la nostra semenza! Grano o loglio? Chi è colui che temiamo? É colui che può toglierci la vita, o “colui che ha il potere di far perire e l’anima e il corpo nella Geenna” (Mt 10,28)? Vale la pena chiederselo, in Spirito e Verità. É, con ogni probabilità, il miglior affare della nostra vita. Questo è il momento di chiederci in “chi” o in “cosa” crediamo. O in “chi” o “cosa” abbiamo sperato sinora. Poiché “se abbiamo avuto speranza in Cristo soltanto in questa vita, siamo da compiangere più di tutti gli uomini” (1Cor 15,19). Il Figlio di Dio infatti è venuto “per distruggere, con la sua morte, colui che aveva il potere sulla morte, cioè il diavolo, e liberare tutti quelli che dal timore della morte erano tenuti schiavi per tutta la loro vita” (Eb 2,14-15).
Quid ergo? Noi cristiani dobbiamo forse tremare dinanzi alla morte come tutti gli altri uomini che non hanno conosciuto Dio? L’unica vera paura del cristiano, cioè di chi possiede Gesù Cristo e non ha niente di più caro di Cristo, è quella di perdere Cristo e la sua grazia, e di perderlo eternamente. Non quindi della morte del corpo – “da la quale nullu homo vivente pò scappare” – ma della “morte seconda”.
É questo il momento per saggiare nel fuoco la qualità della fede: oro o piombo? Non ci vorrà molto perché il pensiero di tutti i cuori sia svelato, ma per il momento non siamo ancora arrivati al capitolo finale di questa saga.
Una cosa è certa: soltanto chi crede in Dio non ha paura di morire, di perdere il lavoro, di perdere la salute o di perdere la libertà poiché la nostra speranza non è nelle cose di quaggiù ma nelle cose di lassù. Ubi fides ibi libertas. Questo era il motto episcopale scelto dal compianto card. Biffi tratto dagli insegnamenti del suo amato sant’Ambrogio, e la sua eredità resta per noi un faro di luce nella notte oscura delle coscienze: “solo la Fede ci dà la vera Libertà”.
Checché ne dicano i prudenti e gli “equilibrati”, più simili a dei buddisti che a dei cristiani, noi cavalchiamo “verso la rovina, e per la rossa aurora”. Il nostro desiderio infatti ci porta oltre queste miserie, oltre le menzogne e ci solleva nel seno del Padre. Tra noi, infatti, la morte non è una maledizione ma il salto del bimbo in braccio al Papà. “Se sei apostolo – scrive san Josemarìa Escrivà – la morte sarà per te una buona amica che ti facilita il cammino. Gli altri, la morte li blocca e li atterrisce. A noi, la morte – la Vita – dà coraggio e impulso. Per loro è la fine; per noi il principio”. E conclude: “Tu, se sei apostolo, non dovrai morire. Cambierai di casa, e nient’altro”.
Avanti dunque. Non possiamo distrarci con queste “cosette”. Lasciamo la noia e il divertimento a chi non sa sollevare lo sguardo. Infatti nulla è cambiato, ieri come oggi, i morti seppelliscono i loro morti; ma, tu e io, andiamo a morire con Lui.
Isacco Tacconi Maggio 18, 2021 https://www.ricognizioni.it/soltanto-chi-crede-in-dio-non-ha-paura-di-morire/
DDL Zan. Parte la Campagna di Pro Vita e Famiglia. Follia alla Regione Lazio
Marco Tosatti
Cari amici, mentre forze parlamentari sconfessate da undici elezioni successive, e tenute in vita solo dal golpe bianco compiuto dal Presidente della Repubblica, (che sotto pretesto della “pandemia” e a differenza che in molte altre nazioni ha impedito che la crisi di governo sfociasse in una consultazione popolare) cercano di forzare la mano con il DDL liberticida Zan, appoggiato dal monopolio mediatico dei Poteri forti legati al PD, ci sembra giusto dare conto di iniziative che vanno contro questa deriva di follia. Certo, sarebbe bello avere la Chiesa impegnata in questa battaglia, ma tant’è…Buona lettura.
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Parte la campagna di Pro Vita e Famiglia contro il Ddl Zan: banchetti e camion vela con drag queen e casi choc nello sport femminile. Al sindaco di fiumicino Montino: “Stia sereno”
“A Montino, sindaco di Fiumicino, che contrattacca la nostra campagna con strisce pedonali arcobaleno peraltro non indicate dal codice stradale (gli attraversamenti pedonali sono evidenziati sulla carreggiata mediante zebrature con strisce bianche parallele alla direzione di marcia (art.145) e nessun altro segno è consentito sulle carreggiate stradali soggette a pubblico transito secondo l’art.155) diciamo di stare sereno, insieme a sua moglie Monica Cirinnà, tanto i giorni della menzogna sono contati, gli italiani sono stufi e il buonsenso tornerà a regnare a Fiumicino come in tutta Italia!” ha dichiarato Toni Brandi, presidente di Pro Vita e Famiglia.
L’onlus con decine e decine di camion vela in numerosi Comuni italiani ha iniziato la nuova campagna che mostrerà gli ultimi manifesti choc per dire No al Ddl Zan, una legge sessista e misogina. Sarà possibile incontrarli a Roma, Viterbo, Guidonia, Fiumicino, Latina, Frosinone, Velletri, Milano, e in diverse città lombarde, dell’Alto Adige, della Toscana, della Sicilia e continuerà per le prossime settimane sul territorio.
“Ugualmente – ha aggiunto il presidente di PV&F – stiamo organizzando decine di banchetti informativi per mettere al corrente la popolazione dei gravi pericoli di questa legge iniqua, visto che per lo più Tv e mass media non informano, mentono o manipolano l’informazione. Gli elettori devono essere informati che senatori come Monica Cirinnà e Alessandra Maiorino sostengono la proposta di legge contro l’omotransfobia. Di fatto sono le principali promotrici di iniziative ed eventi che entreranno nelle scuole di ogni ordine e grado per ‘educare’ i nostri bambini sin dagli asili nido che loro stessi possono ‘percepirsi’ fino a 52 generi”.
I camion vela, oltre a toccare numerosi Comuni sul territorio, toccheranno tutte le città nelle circoscrizioni di elezione dei senatori che in Commissione Giustizia stanno appoggiando il Ddl Zan.
“Chi non vuole Drag queen a scuola a leggere fiabe ai bambini non deve essere tacciato di omofobia o transfobia, è questa la vera discriminazione che sta per essere attuata nei confronti di tanti genitori che non vogliono che i loro bambini debbano celebrare l’omosesualità, il transgenderismo, la bisessualità, il lesbismo e la transessualità come prescritto nell’art. 7 del DDL Zan. Oltretutto, i senatori Cirinnà, Unterberger, Mirabelli, Maiorino e Grasso spieghino ai loro elettori non solo perché si vuole indottrinare i nostri figli alla teoria ‘gender’, ma come sia possibile che uomini biologici che si ‘sentono’ donne possano partecipare e competere in competizioni sportive contro le donne” ha aggiunto e concluso Jacopo Coghe, vice presidente di Pro Vita e Famiglia onlus.
Roma, 18 maggio 2021
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E intanto la Regione Lazio guidata dall’ex segretario PD Zingaretti, compie una fuga in avanti, come ci spiega questo comunicato del Family Day:
Gandolfini (Family Day): Regione Lazio ritiri subito linee guida “gender fluid” per le scuole
Chiediamo di ritirare subito le linee guida inviate dalla Regione Lazio all’Ufficio scolastico regionale: si tratta di un documento intriso di ideologia, che dà per scontate controverse teorie sulla fluidità dell’identità, che parlano di “spettro di genere […] con infinita varietà di forme”, contestate da buona parte della comunità medico scientifica. Basta dire che il testo si apre citando la copertina di una rivista e che è stato redatto con l’ausilio di realtà come Genderlens e Agedo che hanno posizioni apertamente sostenitrici della fluidità sessuale. Parlare di “genere assegnato dalla nascita”, di “costrutti binari”, di “carriera alias”, di “modulistica non binaria” e di bagni e spogliatoi alternativi alla divisione per genere rivela un approccio ideologico che disconosce la realtà biologica.
Denunciamo il mancato coinvolgimento delle principali associazioni dei genitori e di esperti del mondo medico scientifico che nelle loro ricerche hanno evidenziato i rischi della relativizzazione del dato biologico in un’età in cui avviene la strutturazione della personalità di bambini e adolescenti. Su questi temi si arriva in ritardo ricalcando le esperienze fallimentari del Nord Europa; la Gran Bretagna ed altri Paesi, dopo un aumento esponenziale negli ultimi anni di richieste di cambio di sesso da parte di giovani e bambini, hanno fatto una decisa marcia indietro rispetto alle proposte di legge sulla cosiddetta “self id”.
Quasi tutti gli adolescenti vivono forti fragilità che nel 99% dei casi vengono superate con l’ingresso nell’età adulta, bisogna quindi dare loro tutti i sostegni necessari per la strutturazione di una personalità che sappia dialogare con serenità e armonia con il proprio corpo (a prescindere dal futuro orientamento sessuale della persona) e non indicare percorsi privi di basi scientifiche che spesso conducono a terapie ormonali e amputazioni genitali, scelte irreversibili e con gravi ripercussioni psico-fisiche, come dimostrano numerosi studi.
Chiamo quindi al presidente Nicola Zingharetti, all’assessore alla Sanità Alessi D’Amato e alle autorità scolastiche regionali di ritirare immediatamente queste linee guida e di aprire un dibattito con tutte le realtà convolte nell’educazione dei ragazzi, in primis le famiglie come riconosciuto dalla Costituzione e dalla dichiarazione dei diritti dell’uomo, e con esponenti del mondo scientifico e della bioetica personalistica che ribadisce da sempre i cardini della costituzione stessa dell’umano.
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