Il modo migliore per distruggere la persona è considerarla un assoluto. Il personalismo, anche cristiano, è finito in questo tranello. Ne è nata la persona autonoma e sovrana che si autodetermina senza nessun altro obbligo che verso “il proprio io e le sue voglie”, ne è nata una libertà senza criteri, un vitalismo senza ragioni. Oggi si parla di Dio parlando dell’uomo, si sostiene che non bisogna più dire “Dio” ma si deve dire “uomo”. I personalismi hanno chiuso Dio nell’uomo, hanno divinizzato l’uomo… ma l’uomo non è Dio e senza Dio non riesce a essere nemmeno uomo. La morale, la politica e il diritto hanno perso il loro respiro. Bisogna tornare alla persona e liberarci dai personalismi.

L’Osservatorio Van Thuan ha pubblicato il libro PERSONALISMI O DIGNITA DELLA PERSONA? ANTIDOTI ALLE DEVIAZINI IDEOLOGICHE DEL MONDO CATTOLICO, Fede & Cultura, Verona 2021. Rilanciamo l’Introduzione al libro del Curatore don Samuele Cecotti, come è stata pubblicata sul sito dell’Osservatorio 

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di Samuele Cecotti

 Introduzione

Il Compendio della Dottrina sociale della Chiesa pubblicato nel 2004 dal Pontificio Consiglio della Giustizia e della Pace dedica il suo terzo capitolo a La persona umana e i suoi diritti  dichiarando così la natura personale dell’uomo centrale nella comprensione cattolica della vita socio-politica, dell’economia e del diritto.

Già il beato Antonio Rosmini scriveva in Filosofia del diritto: «La persona dell’uomo è il diritto umano sussistente: quindi anco l’essenza del diritto» in un secolo, il XIX, dominato dal giuspositivismo in cui, dunque, ogni tentativo di fondare il diritto nella natura dell’uomo e non sulla volontà sovrana appariva relegato in un passato pre-moderno.

Il pensiero cattolico ha dato prova, in continuità con la Rivelazione biblica, la riflessione patristica tardoantica e con i secoli della Cristianità, di solidità non cedendo mai ad un misconoscimento della natura personale dell’essere umano e della dignità a ciò connessa.

Anzi si può ben dire che ben più che il solo lemma “persona” si debba al genio cristiano dovendo proprio alla riflessione teologica in campo trinitario e cristologico la sempre migliore comprensione di ciò che nominiamo, appunto, “persona”. La necessità di fede di dire con logos la trinità delle Persone nella unità della sostanza divina e l’unità della Persona umano-divina di Cristo ha regalato, quale esito gratuito, una concettualizzazione della “persona” dagli indubbi vantaggi in sede antropologica (persona umana), morale e giuridica.

Al martire Severino Boezio dobbiamo l’insuperata definizione di persona (umana): «naturae rationalis individua substantia» che guida tutta la secolare comprensione cristiana dell’uomo.

Non è dunque esagerato affermare che si deve proprio al Cristianesimo il perfetto riconoscimento e la piena considerazione della natura personale dell’uomo. Basta considerare l’antropologia di san Tommaso d’Aquino, ad esempio, per averne magnifica testimonianza.

Si potrebbe allora essere tentati dal dichiarare la Dottrina sociale della Chiesa e la morale cattolica tutta come comprese nel paradigma personalista.

È allora necessario fare chiarezza circa quello che nel ‘900 si è detto “personalismo” onde evitare di schiacciare e confondere la persona umana così come riconosciuta dalla filosofia cristiana e dalla Dottrina cattolica dentro un paradigma ideologico – quello personalista – che, al di là della suggestione del nome, è in verità negazione e dissoluzione della concezione classico-cristiana della persona (umana).Samuele Ceccotti

Con questo intendimento chiarificatore e demistificatore si è svolto il 23 novembre 2019 a Montefiascone, con il patrocinio del locale Comune, il quarto convegno internazionale “San Tommaso e la Dottrina sociale della Chiesa” dedicato a “Difendere la persona dai personalismi. Compito della Dottrina sociale della Chiesa”.

Promosso dall’Osservatorio internazionale Cardinale Van Thuân assieme all’Istituto del Verbo Incarnato (IVE), alla Società internazionale Tommaso d’Aquino (SITA) del Friuli-Venezia Giulia e alla Gustav-Siewerth-Akademie, il convegno si è svolto presso la Rocca dei Papi di Montefiascone  e ha visto sei illustri studiosi intervenire come relatori: il professor Stefano Fontana direttore dell’Osservatorio Van Thuân e già consultore del Pontificio Consiglio della Giustizia e della Pace, il professor Danilo Castellano ordinario di filosofia politica e già Preside della Facoltà di Giurisprudenza dell’Università di Udine, il professor Giovanni Turco docente di filosofia del diritto all’Università di Udine e direttore della SITA-FVG, il dottor Rudi Di Marco giurista e già docente di biogiuridica all’Università di Udine, il professore padre Arturo Ruiz Freites IVE teologo e Pro-rettore della Gustav-Siewerth-Akademie, il professore padre Andrés Bonello IVE docente di filosofia già Rettore del Seminario internazionale  San Vitaliano Papa di Montefiascone e Provinciale dell’IVE per Italia-Albania-Grecia.

Durante i lavori del convegno non si è potuto non prendere atto di come il personalismo, maritainiano, mouneriano, rahneriano o altro, sia riuscito a penetrare, nell’ultimo secolo, la teologia cattolica lasciando tracce anche nello stesso Magistero. Tale infiltrazione personalista nell’insegnamento della Chiesa e nel pensiero cattolico in genere mina alle fondamenta la Dottrina sociale della Chiesa, l’intera morale cattolica, la stessa concezione cristiana della polis e del diritto.

A monte vi è una errata idea di persona umana e una conseguente erronea visione del rapporto tra persona e res publica, tra privato e pubblico, tra bene individuale e bene comune, vi è la concezione moderno-liberale della politica e tutto ciò, principalmente attraverso l’influsso di Maritain e di Rahner, si è fatto ormai opinione comune nel mondo cattolico.

Il direttore Fontana lucidamente pone in continuità il personalismo novecentesco con il naturalismo politico ottocentesco mostrando, in solo apparente paradosso, come persona e natura siano dissolte, nella propria consistenza metafisica, proprio dall’acido filosofico-ideologico del naturalismo e del personalismo.

Se però la risposta della Chiesa all’errore naturalista fu una severa condanna dello stesso e il ritorno a san Tommaso quale maestro di realismo metafisico, non altrettanto chiara fu la risposta all’insidia personalista che poté così introdursi sin dentro il tempio della Dottrina Cattolica.

Il realismo tommasiano e tomista è, sin da Leone XIII, inseparabile dalla Dottrina sociale della Chiesa, la quale sta o cade in ragione della esistenza/conoscibilità di un ordine di giustizia (morale e giuridico) obiettivo coglibile dalla ragione e vincolante ogni uomo e ogni società umana.

La lezione dell’Aquinate sulla persona umana è pertanto illuminante rispetto al giudizio da darsi circa il personalismo contemporaneo, in primis circa quello così detto cattolico.

Il professor Turco, con ampia conoscenza dell’opera di Tommaso, presenta il coglimento metafisico della persona (umana) operato dal Dottore Comune potendo così poi addentrarsi nel delicato campo della “dignità della persona” distinta in dignità ontologica e dignità etica.

Considerando la dignità etica della persona umana, Tommaso d’Aquino lega dignità e responsabilità della persona così che la libertà della persona umana è giudicata capace di generare o distruggere la dignità (etica) della persona in ragione che si determini secondo il bene oppure secondo il male.

La libertà umana è così riconosciuta responsabile, la dignità (etica) della persona non è assolutizzata ma anzi affermata dipendere dalle scelte morali della persona, l’ordine morale-giuridico è detto obiettivo e non dipendente, nel suo dato oggettivo, dalla volontà/coscienza della persona umana.

La dipendenza della persona umana da un ordine obiettivo di giustizia si dice nella creaturalità dell’uomo, nella sua dipendenza radicale nell’essere da Dio Creatore.

Si deve a padre Ruiz Freites l’impegno nel considerare la condizione creaturale della persona umana mostrandone così le implicazioni in sede morale, giuridica, politica e religiosa.  Implicazioni che delineano il quadro d’una Cristianità, ovvero della concezione cattolica classica della morale, del diritto, della res publica.

Proprio questa comprensione cattolica dell’uomo e della polis è ferita mortalmente dal personalismo contemporaneo che, tanto nella versione maritainiana quanto in quella rahneriana, rende impossibile il diritto naturale classico, la res publica christiana, la stessa Dottrina sociale della Chiesa conducendo a inevitabili esiti nichilistici.

Una volta scoperto il vero volto del personalismo contemporaneo è naturale chiedersi come abbia potuto un simile monstrum essere battezzato e introdotto gioiosamente in casa cattolica. Forse una almeno parziale risposta si può trovare nell’abilità con cui Maritain e Rahner seppero paludare le proprie novazioni eversive del logos cattolico sotto le apparenze del tomismo.

Maritain, in particolare, presentò sempre il proprio personalismo come tommasiano, cioè di Tommaso d’Aquino prima che proprio. La concezione della persona elaborata da Maritain sarebbe, in verità a detta di Maritain, la concezione della persona di san Tommaso.

Padre Bonello non tiene per buona l’autocertificazione che Maritain fornisce per il proprio personalismo ed anzi se ne fa attento critico mettendo a confronto il pensiero di Maritain con quello dell’Angelico e così rilevando la completa estraneità (quando non anche la contrarietà) del personalismo maritainiano dal pensiero antropologico-morale-politico di san Tommaso. A sostegno degli argomenti di padre Bonello, oltre al riferimento diretto ai testi dell’Aquinate, tutta la riflessione di quegli autori noti come “tomisti comunitaristi” che da subito denunziarono il personalismo come non tomista, inconciliabile con la Dottrina Cattolica, dissolutore della polis e della stessa persona umana.

Padre Bonello può così concludere, dopo dense e probanti argomentazioni, che «la posizione personalista non ha niente a che vedere con la dottrina metafisica, politica e morale di San Tommaso d’Aquino».

E che il personalismo non sia affatto innocuo o meno pericoloso di liberalismo e marxismo, anzi tutt’altro, lo prova il professor Danilo Castellano sul versante giuridico mostrando come la coerente recezione della ratio personalista porti a non meno che all’impossibilità stessa del diritto. Castellano considera il personalismo nel suo dato essenziale e dunque lo riconduce alla pretesa gnostica della libertà negativa (la libertà con il solo criterio della libertà ovvero con nessun criterio), al contempo ne mostra gli effetti nell’ordinamento giuridico, che alla ratio personalista s’è conformato.

Gli ordinamenti ridefiniti nel quadro del personalismo contemporaneo, come ad esempio quello italiano repubblicano, sono condannati alla contraddizione permanente e insuperabile tra le esigenze del ius e la coerenza con i principi personalisti intrinsecamente anti-giuridici.

Questa contraddizione insanabile trova il suo parossismo nella questione del riconoscimento giuridico dell’autodeterminazione assoluta della persona, tema di fondo in tutte le questioni bioetiche e biogiuridiche contemporanee.

Si deve al giurista Di Marco aver affrontato la questione dell’autodeterminazione della persona distinguendo tra una autodeterminazione dell’esse e una del velle, una realtà naturale dell’uomo, l’altra pretesa ideologica.

Non è l’autodeterminazione come esercizio responsabile della libertà creaturale che il personalismo magnifica ma invece l’autodeterminazione assoluta della volontà secondo quella libertà negativa che è cifra della modernità.

Se dunque l’autodeterminazione della persona (umana) classicamente intesa è condizione necessaria per l’ordinamento, per la responsabilità civile e l’imputabilità penale dell’uomo, l’autodeterminazione assoluta del velle è, invece, premessa per l’impossibilità del diritto elevando la libertà a supremo criterio e negando simultaneamente e coerentemente ogni ordine obiettivo capace di imporsi come normativo alla coscienza della persona.

Questo emerge con chiarezza dalle parole di Castellano e Di Marco consegnandoci un giudizio durissimo sul personalismo giuridico come dissolutore nichilistico.

Ritornare a Tommaso, ovvero al realismo metafisico, per restaurare l’ordine morale-giuridico-politico dissolto dalla modernità filosofico-politica, modernità politica incapace a darsi senza contraddirsi per l’impossibilità di fondare la socialità umana e la polis sul nulla d’una libertà assoluta.

La Dottrina sociale della Chiesa non è e non può essere parte di questa follia nichilistica dunque non può avere parte alcuna con il personalismo maritainiano, mouneriano o altro. Deve invece, alla scuola di Leone XIII, presupporre, nel quadro del realismo tomistico, la persona umana metafisicamente colta, la natura umana come normativa, la lex naturalis come criterio d’ogni legge positiva, la Realtà come espressiva di un ordine obiettivo di giustizia universalmente vincolante. È questo l’invito che anche nel 2019 è venuto dal convegno annuale “San Tommaso e la Dottrina sociale della Chiesa”.

Samuele Cecotti

Personalismi o dignità della persona?: Antidoti alle deviazioni ideologiche del mondo cattolico, Fede & Cultura, Verona 2021

https://www.sabinopaciolla.com/difendere-la-persona-dal-personalismo-introduzione-al-libro-di-don-samuele-cecotti/

Eucarestia, Acclamazione alla Messa? Discutibile, si Apra un Dibattito Teologico.

2 Giugno 2021 Pubblicato da  8 Commenti

 

Marco Tosatti

Carissimi Stilumcuriali, Vitantonio Marasciulo, direttore de Il Borgo Mensile di Monopoli ci offre questo editoriale, che prende spunto da una sua esperienza personale durante la celebrazione della messa. Buona lettura, riflessione e discussione.

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Il Borgo Mensile di Monopoli

Eucaristia, acclamazione discutibile

Si apra un dibattito teologico

L’altro giorno, alla fine della consacrazione eucaristica mi sono imbattuto in una strana acclamazione che l’assemblea dei fedeli profferiva: Ogni volta che mangiamo di questo pane e beviamo a questo calice annunziamo la tua morte Signore, nell’attesa della tua venuta”. Ho notato con mia somma sorpresa che nell’acclamazione manca “proclamiamo la tua risurrezione”. Sono andato al parroco e ho fatto presente del perché il popolo pronuncia questa “strana” acclamazione, che suona come una eresia. Il parroco dopo un iniziale silenzio, ha lasciato intendermi che avrebbe dato una risposta in un secondo momento.

La domenica successiva mi sono recato a messa alla stessa chiesa. Ancora una volta sono uscito dalla funzione Eucaristica senza viverla in un tutt’uno con Cristo. Mi sono chiesto: “vado a messa e non c’è risurrezione”. Che messa è questa?

 

Mons. Giuseppe Favale, vescovo di Conversano-Monopoli da noi contattato – ha affermato:  “Dopo la consacrazione del pane e del vino c’è l’introduzione dell’acclamazione dell’assemblea, per la quale il messale propone tre formule a scelta:

1) “Annunziamo la tua morteSignore, proclamiamo la tua risurrezione, nell’attesa della tua venuta”, ed è quella più seguita.

2) “Ogni volta che mangiamo di questo pane e beviamo a questo calice, annunziamo la tua morte, Signore, nell’attesa della tua venuta”. Che fa riferimento a San Paolo (1Cor 11,26) ma è comunque una versione ad litteram, non contestualizzata all’Eucaristia.

3)  “Tu ci hai redenti con la tua croce e la tua risurrezione: salvaci, o Salvatore del mondo”.

“Le acclamazioni che l’assemblea profferisce – ha concluso – sono scelte dal celebrante in base a momenti, a feste particolari o a situazioni contingenti”.

Affermazioni che mi hanno lasciato comunque perplesso: se il celebrante può avere il diritto di scegliere la formula, “discussa”, da far dire al popolo, perché ciascun battezzato dell’assemblea e chi scrive non può avere il diritto d’essere rispettato nella propria spiritualità?

 

Secondo ambienti autorevoli della Chiesa, si palesa “un vizio teologico nell’acclamazione”. La messa è preghiera rivolta alla Gloria del Padre. Gesù Cristo con la preghiera del “Padre Nostro” ci insegna che l’orazione è da rivolgere al Padre. E’ il Padre che rivela il Figlio, che fa conoscere Cristo, suo Verbo, sua Parola vivente nello Spirito. Perché dunque ci si rivolge con le acclamazioni al Figlio? Perché c’è incongruenza letteraria? Quantunque si avanzasse la tesi che non vi sarebbe alterazione fra consacrazione Eucaristica e l’acclamazione al Figlio, la stessa – concludono – è una interpretazione speciosa”. (apparente, non validante ndr).

 

Se l’osservazione teologica ha una ragione d’esistere, sarebbe auspicabile che si aprisse a livello centrale che periferico un dibattito teologico.

Intanto si potrebbero avanzare alcune considerazioni. Primo. Che la Trinità non può essere divisa, come le formule di acclamazione attestano.  La messa inizia con la Parola di Dio, essere perfettissimo, che si rivela nell’Antico Testamento e nel Nuovo, nel Figlio. Il Padre ci viene spiegato attraverso l’incarnazione di Cristo. E’ il Padre che l’assemblea dovrebbe acclamare e ringraziare, che ha permesso la rivelazione del Figlio nello Spirito Santo.  Ci si chiede con quale autorità il celebrante, prima prega il Padre: “Benedetto sei tu Signore, Dio dell’Universo, dalla tua bontà abbiamo ricevuto questo pane frutto della terra e del lavoro dell’uomo, lo presentiamo a te, perché diventi per noi cibo di vita eterna. E poi con il vino (…) perché diventi per noi bevanda di salvezza”. Con quale autorità prima prega: “Pregate, fratelli, perché il mio e vostro sacrificio sia gradito a Dio, Padre onnipotente. Invoca il Padre che invii lo Spirito Santo in cui rendere possibile la transustanziazione, l’azione di grazia, attraverso cui il pane e il vino si tramutano in carne e sangue e dunque in presenza reale. E poi che fa? Sterza e sposta l’attenzione dal Padre al Figlio, quando invece si dovrebbe glorificare Dio per la risurrezione del Figlio. La formula di acclamazione più consona per chi vive la presenza di Dio nell’Eucaristia, come chi scrive, che fa giustizia delle tre formule, potrebbe essere: “Grazie Padre per la tua grandezza rivelata nel Figlio, che con il tuo dono dello Spirito di Vita, attraverso Cristo, ci permetti la redenzione e il ritorno a te come figli tuoi”.

 

Nel momento dell’epiclesi il silenzio in adorazione è dovuto al Padre e richiede che la spiritualità di ciascun fedele sia un tutt’uno con la viva e reale presenza Eucaristica. Non a caso San Pio da Pietrelcina nel momento della consacrazione era così preso in adorazione da andare in estasi.

Se ha una ragione d’esistere il nodo teologico va altresì affermato che la stessa messa è oggi vilipesa, non celebrata con la dignità che le spetta. Gesù Cristo per la lobby della nuova religione universale in salsa modernista, è identificato come un profeta, e questo dà credito al credo dei Testimoni di Geova o al credo della liturgia luterana. Forse si vorrebbe che la Chiesa cattolica apostolica romana cancellasse il sacrificio della croce?  Per di più quando il celebrante fa dire al popolo l’acclamazione: “Annunciamo la tua morte Signore, nell’attesa della tua venuta”, il fedele è ancor più in confusione. Chi non è educato all’Eucaristia, coglierebbe la venuta di un fantasma e per ciò stesso potrebbe essere esposto al rischio dell’esoterismo: messe nere, sedute spiritiche e altro.  Vi sono sacerdoti oggi che sanno educare alla liturgia Eucaristica o di formare i battezzati al sacramento per eccellenza?

Vitantonio Marasciulo.

(borgomensile@libero.it)

https://www.marcotosatti.com/2021/06/02/eucarestia-acclamazione-alla-messa-discutibile-si-apra-un-dibattito-teologico/