La divisione è inevitabile in ogni famiglia quando un padre mostra un doppio standard nei confronti dei suoi figli.

Un articolo di Edward Feser, filosofo americano, professore Associato di Filosofia al Pasadena City College di Pasadena, in California, sul motu proprio Traditionis Custodes. 

Il saggio è apparso su The Catholic World Report, e ve lo presento nella mia traduzione. 

Papa Francesco, udienza generale del 04 aprile 2018 in Piazza San Pietro, (CNS photo/Paul Haring)
Papa Francesco, udienza generale del 04 aprile 2018 in Piazza San Pietro, (CNS photo/Paul Haring)

 

Consideriamo due gruppi di cattolici: Primo, i cattolici divorziati che disobbediscono all’insegnamento della Chiesa formando una “nuova unione” in cui sono sessualmente attivi, commettendo così adulterio.  E secondo, i cattolici tradizionalisti attaccati alla Forma Straordinaria della Messa (cioè la “Messa Latina”), alcuni dei quali (ma non tutti) hanno opinioni teologiche errate sul Concilio Vaticano II e su questioni correlate.  In Amoris Laetitia, Papa Francesco ha radicalmente alterato la pratica liturgica della Chiesa per andare incontro al primo gruppo.  E nella Traditionis Custodes, ha ora alterato radicalmente la pratica liturgica della Chiesa per punire il secondo gruppo. 

Il romanzo di Nathaniel Hawthorne La lettera scarlatta ritrae notoriamente una società senza pietà in cui gli adulteri sono costretti a distinguersi dagli altri portando una A scarlatta sui loro vestiti. Papa Francesco chiaramente disapproverebbe tale crudeltà, e giustamente.  Eppure il trattamento crudele della comunità di coloro che sono attaccati alla vecchia forma della Messa – la maggioranza innocente di loro non meno della minoranza con opinioni teologiche problematiche – equivale a qualcosa di analogo all’apposizione su di loro di una lettera scarlatta: la lettera T per “tradizionalista”, l’unico gruppo al quale i ripetuti appelli del papa alla misericordia e all’accompagnamento sembrano non applicarsi.

 

Accompagnare gli adulteri?

Consideriamo quanto sia radicale ciascuna di queste mosse papali. La Chiesa ha costantemente insegnato che un valido matrimonio sacramentale termina con la morte di uno dei coniugi, e ha condannato come gravemente peccaminosa qualsiasi relazione sessuale con chiunque tranne che con il proprio coniuge. Quindi coloro che in un tale matrimonio divorziano da un coniuge e poi formano una relazione sessuale con qualcun altro sono colpevoli di peccato grave, e non possono essere assolti in confessione senza una ferma risoluzione di non continuare la relazione sessuale. Questo si basa sull’insegnamento di Cristo sul matrimonio e il divorzio in passi come Matteo 19,3-12 e Marco 10,2-12.

La gravità di questo insegnamento non può essere sopravvalutata. Cristo riconosce che “Mosè ha permesso” il divorzio. Ma poi dichiara: “E io vi dico” che il divorzio è proibito. Ora, la legge di Mosè fu data a Mosè da Dio stesso. Quindi chi ha l’autorità di scavalcarla? Chi avrebbe l’audacia di dichiarare: “Mosè ha permesso” questo e questo ma “io dico” diversamente? Solo Dio stesso. L’insegnamento di Cristo contro il divorzio non è quindi altro che un segno della sua stessa divinità. Metterci in opposizione a questo insegnamento sarebbe quindi implicitamente o negare la divinità di Cristo o, in maniera blasfema, mettere la nostra autorità al di sopra anche della sua. Sarebbe dichiarare: “Cristo ha detto così e così, ma io dico diversamente”. Assolutamente nessuno all’infuori di Dio stesso, nemmeno un papa (il cui mandato è proprio sempre e solo quello di salvaguardare l’insegnamento di Cristo), ha il diritto di farlo.

Se l’insegnamento in questione suona “rigido”, date la colpa a Cristo. I suoi stessi discepoli la pensavano così, arrivando ad opinare che se le cose stanno così, sarebbe meglio non sposarsi (Matteo 19,10).

Ora, nessun cattolico in stato di peccato mortale è autorizzato a ricevere la Santa Comunione finché non è validamente assolto in confessione. E nessun cattolico può essere validamente assolto se è consapevole dell’insegnamento della Chiesa sul matrimonio e sul divorzio, viola tale insegnamento avendo una relazione sessuale con qualcuno che non sia il suo coniuge, e rifiuta di porre fine a questa relazione sessuale. Quindi nessun cattolico che rifiuta di porre fine a tale relazione è autorizzato a ricevere la Santa Comunione.

Anche questo insegnamento è estremamente grave, fondato com’è anche nella Scrittura, specificamente nelle parole di San Paolo in 1 Corinzi 11, 27-29.  Secondo l’insegnamento di San Paolo, fare la Santa Comunione rifiutando di porre fine a tale relazione sessuale non è altro che profanare il corpo e il sangue stesso di Cristo e quindi portare il giudizio su se stessi.

Queste dottrine sono chiare, coerenti e autorevoli come qualsiasi insegnamento cattolico è o potrebbe essere. Sono antiche quanto la Chiesa stessa, sono presentate da lei come infallibili e assolutamente vincolanti, e sono state inequivocabilmente ribadite ancora e ancora e ancora. Questo è, naturalmente, il motivo per cui Amoris Laetitia è stata così controversa. Perché sembra permettere che, almeno in alcune circostanze, coloro che rifiutano di smettere di impegnarsi in attività sessuali adulterine possano comunque fare la Santa Comunione. Per la verità, Papa Francesco non ha esplicitamente rifiutato nessuno degli insegnamenti riassunti sopra. Ma ha anche notoriamente rifiutato le richieste di molti dei suoi stessi cardinali (nei famosi “dubia”) di riaffermare esplicitamente quell’insegnamento tradizionale, e quindi di mettere definitivamente a tacere ogni preoccupazione sulla coerenza di Amoris con quell’insegnamento.

Che il Santo Padre stesso sia consapevole di quanto sia grave la questione, e che abbia persino avuto la sua coscienza turbata da essa, è evidente da una conversazione raccontata da uno dei suoi difensori, il cardinale Christoph Schönborn. La rivista Crux (non esattamente una rivista tradizionalista) ha riferito:

Schönborn ha rivelato che quando incontrò il Papa poco dopo la presentazione di Amoris, Francesco lo ringraziò e gli chiese se il documento fosse ortodosso.

“Ho detto: ‘Santo Padre, è pienamente ortodosso'”, ha raccontato Schönborn di aver detto al papa, aggiungendo che pochi giorni dopo ricevette da Francesco un bigliettino che diceva: “Grazie per questa parola. Mi ha dato conforto”.

Fine della citazione. Si noti che il papa stesso aveva almeno qualche dubbio sull’ortodossia del documento – abbastanza da trarre “conforto” nell’essere rassicurato su di esso – anche dopo che era già stato finalizzato e pubblicato!

Il mio punto qui non è quello di ripetere tutti i dettagli della controversia su Amoris. Il punto è semplicemente notare l’estrema distanza a cui il papa era disposto ad arrivare per cercare di venire incontro alle debolezze anche di coloro che ostinatamente rifiutano di obbedire all’insegnamento di Cristo e di San Paolo. Anche se si pensa che Amoris in sé non attraversi la linea dell’eterodossia riguardo a tale insegnamento, non si può negare che il documento sia estremamente gentile e accomodante con coloro che la attraversano.

 

Mettere alla berlina i tradizionalisti

Il contrasto con il trattamento dei cattolici tradizionalisti nella Traditionis Custodes non potrebbe essere più netto. Si noti innanzitutto che, nella lettera di accompagnamento che spiega la sua decisione, Papa Francesco sostiene che l’attaccamento alla vecchia forma della Messa “è spesso caratterizzato da un rifiuto… dello stesso Concilio Vaticano II, sostenendo, con affermazioni infondate e insostenibili, che esso ha tradito la Tradizione e la ‘vera Chiesa’”.

La prima cosa da dire su questo è che, anche se fosse vero che alcune persone attaccate alla vecchia forma hanno questo atteggiamento, non è affatto vero che tutti fanno la stessa cosa. Al contrario, come Papa Francesco stesso nota nello stesso documento, il suo predecessore Papa Benedetto XVI ha affermato che molti che sono attaccati alla vecchia forma “hanno chiaramente accettato il carattere vincolante del Concilio Vaticano II e sono stati fedeli al Papa e ai Vescovi”.  Tuttavia, la severa restrizione di Papa Francesco della vecchia forma della Messa punisce questi cattolici innocenti insieme ai colpevoli.

In secondo luogo, dobbiamo considerare la natura precisa della presunta eterodossia e/o delle tendenze scismatiche di cui alcuni di questi tradizionalisti sono accusati.  Ci sono, naturalmente, alcuni tradizionalisti estremi che negano che abbiamo avuto un papa valido per decenni (cioè i sedevacantisti), e altri che sono in qualche modo meno radicale in comunione imperfetta con il papa (come la SSPX).  Ma proprio perché non sono in comunione regolare, gli errori di questi gruppi sono irrilevanti per il pubblico a cui è destinata la Traditionis Custodes – cioè i cattolici tradizionalisti che sono in comunione regolare con il papa (come la FSSP, e i partecipanti alle Messe della Forma Straordinaria offerte nelle parrocchie diocesane ordinarie).

Per definizione, questi ultimi gruppi non sono in scisma.  E anche se ci sono senza dubbio alcuni tra questo piccolo gruppo all’interno della Chiesa che si potrebbe comunque dire, in un certo senso, che hanno una “mentalità scismatica”, lo stesso è vero per gli innumerevoli milioni di cattolici liberali che disinvoltamente rifiutano l’autorità del papa di dire loro cosa credere o come agire – compresi i cattolici adulteri che il papa ha accolto in Amoris.  Chiaramente, il papa non sente alcuna urgenza nell’affrontare la mentalità scismatica tra innumerevoli liberali. Allora, perché l’urgenza di occuparsi della mentalità scismatica di un piccolo numero di tradizionalisti?

Poi c’è la questione di cosa significhi esattamente “rifiutare” il Vaticano II. Tipicamente, con quei tradizionalisti che sono in piena comunione con il papa, ciò significa che essi rifiutano qualche particolare insegnamento del Concilio, come il suo insegnamento sulla libertà religiosa. Ora, io non sono d’accordo con coloro che rifiutano questo insegnamento. La mia opinione è che l’insegnamento del Vaticano II sulla libertà religiosa può e deve essere riconciliato con l’insegnamento dei papi pre-Vaticano II sull’argomento. (Il mio modo preferito di farlo è quello sviluppato da Thomas Pink.) Ma per una cosa, l’insegnamento del Vaticano II su questo argomento non è stato proposto infallibilmente (anche se, naturalmente, ciò non implica che non gli dobbiamo un assenso); e per un’altra, come esattamente interpretarlo alla luce dell’insegnamento tradizionale è stata una questione di controversia tra i teologi fedeli al Magistero. Quindi, se il papa è gentile e accomodante con coloro che ostinatamente sfidano l’antico e infallibile insegnamento di Cristo e di San Paolo sul matrimonio e sulla Santa Cena, allora come può ragionevolmente essere meno gentile e accomodante con coloro che hanno problemi con un insegnamento non infallibile che ha solo poco più di cinquant’anni? (neretto mio, ndr)

Quindi, l’offesa di cui sono accusati i tradizionalisti a cui si rivolge la Traditionis Custodes è (a) non una di cui tutti sono colpevoli, e (b) manifestamente meno grave di quella dei cattolici che rifiutano l’insegnamento della Chiesa su matrimonio, divorzio e Santa Comunione.  Eppure a coloro che rifiutano quell’insegnamento viene mostrata misericordia, mentre ai tradizionalisti, sia innocenti che colpevoli, viene mostrata durezza. (neretto mio, ndr)

E la punizione è molto dura.Il papa mira a bandire la Forma Straordinaria della Messa dalle comuni comunità parrocchiali, a limitare le future ordinazioni di sacerdoti interessati a celebrarla, e a mettere effettivamente in quarantena dal resto della Chiesa quelle comunità a cui è ancora permesso di usare la vecchia forma della Messa finché non saranno pronte ad adottare la nuova forma. Come osserva il cardinale Gerhard Müller, “il chiaro intento è quello di condannare la Forma Straordinaria all’estinzione nel lungo periodo”. Il papa sta essenzialmente dicendo ai cattolici tradizionalisti attaccati alla vecchia forma della Messa che come individui sono sospetti, e come gruppo sono destinati alla fine a scomparire.  Come scrive il cardinale Müller:

Senza la minima empatia, si ignorano i sentimenti religiosi dei (spesso giovani) partecipanti alle Messe secondo il [vecchio] Messale… Invece di apprezzare l’odore delle pecore, il pastore qui le colpisce duramente con il suo bastone. Sembra anche semplicemente ingiusto abolire le celebrazioni del “vecchio” rito solo perché attira alcune persone problematiche: abusus non tollit usum.

Questo è già abbastanza grave se si considera il danno fatto ai soli tradizionalisti. Ma è tutta la Chiesa che soffre di questa decisione, non solo i tradizionalisti. Per prima cosa, Papa Benedetto XVI ha chiarito che la conservazione della Forma Straordinaria non era affatto una questione di mera soddisfazione dei bisogni di un certo gruppo all’interno della Chiesa.  Piuttosto, aveva a che fare con il ristabilire la connessione della Chiesa nel suo insieme con il proprio passato nel contesto liturgico. Ecco perché, sebbene anche Benedetto sperasse che in futuro ci sarebbe stata una sola forma della Messa, voleva che la vecchia forma esercitasse un’influenza sulla nuova non meno di quanto la nuova avrebbe esercitato un’influenza nel modificare la vecchia. Questo faceva parte dell’insistenza generale di Benedetto su una “ermeneutica della continuità”. Traditionis Custodes non mostra alcuna sensibilità per questa dimensione della questione. (neretto mio, ndr)

Per un’altra cosa, mentre il papa dice di aver preso questa decisione per favorire una maggiore unità nella Chiesa, è chiaramente probabile che favorisca invece solo una maggiore divisione. Questo è inevitabile in ogni famiglia quando un padre mostra un doppio standard verso i suoi figli. Infatti, è proprio questo doppio standard, e non la vecchia forma della Messa, che ha generato la disunione degli ultimi anni. Cosa ha pesato di più nel portare alcuni tradizionalisti a mettere in dubbio l’ortodossia di Papa Francesco? Il fatto che sentono la Messa in latino ogni settimana? O Amoris Laetitia e il rifiuto del papa di rispondere ai dubia? Porre la domanda è rispondere. Traditionis Custodes non spegnerà il fuoco appiccato da Amoris. Semmai, ci verserà sopra della benzina. (neretto mio, ndr)

 

È ancora il Santo Padre

Alcuni diranno che il papa si sta semplicemente comportando come il padre nella parabola del figliol prodigo (Luca 15,11-32). Il figlio maggiore risentito nella parabola, secondo questa interpretazione, rappresenta i tradizionalisti, mentre il figliol prodigo rappresenta i cattolici che non obbediscono all’insegnamento della Chiesa su matrimonio e divorzio.

Ma l’analogia è ridicola. Da una parte, il figliol prodigo nella parabola si pente e rifiuta esplicitamente un riconciliazione speciale. Non dice: “Intendo continuare a vivere una vita immorale, ma chiedo comunque un po’ di quel vitello ingrassato”. D’altra parte, il padre non tratta affatto duramente il figlio maggiore, ma piuttosto lo rassicura dolcemente che lo ama non meno di quanto ami il figliol prodigo.

In ogni caso, il papa è, in fin dei conti, un padre – anzi, è ancora il Santo Padre di tutti i cattolici, tradizionalisti compresi. E mentre la Chiesa permette di criticare i papi in determinate circostanze, questo non può essere fatto se non con umiltà, rispetto e moderazione. Il papa non è un qualche politico o dirigente d’azienda che potremmo ritenere opportuno deridere o licenziare o votare per farlo decadere dall’ufficio. Egli è il vicario di Cristo e non ha un superiore sulla terra. Possiamo rispettosamente esortarlo a riconsiderare alcune azioni, ma se si rifiuta, allora dobbiamo lasciare che sia Cristo a risolvere il problema nel modo e nel momento da lui scelti. (neretto mio, ndr)

Inoltre, poiché è il papa, dobbiamo in questo caso ancor più che in qualsiasi altra situazione seguire il comando di Cristo di porgere l’altra guancia e pregare per coloro che ci fanno del male. Dobbiamo essere disposti ad abbracciare la sofferenza che questo comporta e ad offrirla per gli altri – compreso lo stesso Papa Francesco.

Di Sabino Paciolla

IL PAPA EMERITO TORNA A PARLARE

Benedetto XVI indica la via alla Chiesa (non solo tedesca)

In un’intervista scritta con il periodico Herder Korrespondenz, Benedetto XVI evidenzia la sempre maggiore distanza tra l’autentica missione ecclesiale e la “chiesa d’ufficio”, fatta di burocrazia e documenti senza «il cuore e lo spirito». Una situazione che non riguarda solo la Chiesa in Germania, ma che è più generale e alimenta «l’esodo dal mondo della fede». Richiamando il suo prezioso anno da cappellano a Bogenhausen, Ratzinger ci ricorda che solo Dio è la risposta contro i totalitarismi passati e presenti.


Le frecciate di Benedetto XVI alla Chiesa in Germania nella sua recente intervista scritta per Herder Korrespondenz (8/2021) sono già rimbalzate ovunque. I passaggi più gettonati sono tratti dalla coda dell’intervista dedicata dal Papa emerito alla ricostruzione dell’anno trascorso come cappellano nella parrocchia del Preziosissimo Sangue del quartiere Bogenhausen di Monaco di Baviera (1 agosto 1951 - 1 ottobre 1952).

Nelle ultime battute, Ratzinger ha tratto le conclusioni di quanto ha potuto maturare da quell’esperienza di settant’anni fa fino ad oggi. Giovane sacerdote, alla sua prima avventura pastorale, si era già accorto come la vita della fede si stava gradualmente svuotando, lasciando in piedi delle strutture che divenivano via via sempre più incapaci di alimentare e sostenere la fede. Un processo, nemmeno troppo lento ma inesorabile, che ha portato alla cosiddetta Amtskirche, una “chiesa d’ufficio”, d’apparato, di burocrazia, che resta in piedi come una facciata senz’anima e che non è solo sterile, ma talmente ingombrante da soffocare i germi di autentica vita cristiana che cercano di vivere ed espandersi. «La parola ‘Amtskirche’ è stata coniata per esprimere il contrasto tra ciò che viene ufficialmente richiesto e ciò in cui si crede personalmente. La parola ‘Amtskirche’ insinua una contraddizione interna tra ciò che la fede effettivamente richiede e significa e la sua spersonalizzazione».

Questo fenomeno non viene riferito da Ratzinger solamente alla Chiesa “tedesca”, ma ad una situazione più generale, che trova sicuramente un’espressione particolarmente significativa in «una gran parte dei testi istituzionali della Chiesa in Germania». Ratzinger/Benedetto XVI ha sempre insistito sul fatto che la vera riforma della Chiesa e la sua autentica rinascita dipendono dalla santità dei suoi membri, dalla forza della loro testimonianza. Ma in questa intervista si nota una particolare enfasi su una tensione ormai radicalizzata tra l’ufficio e lo spirito. Tensione nei documenti prodotti: «Finché nei testi istituzionali della Chiesa parlerà solo l’ufficio, ma non il cuore e lo spirito, così continuerà l’esodo dal mondo della fede». Tensione nei posti decisivi: «Nelle istituzioni ecclesiali - ospedali, scuole, Caritas - molte persone sono coinvolte in posizioni decisive che non supportano la missione interna della Chiesa e quindi spesso oscurano la testimonianza di questa istituzione».

Non che in sé vi sia una contraddizione tra ufficio e spirito; ma è come se Benedetto XVI voglia tornare e ritornare su questo punto, perché ormai la Amtskirche ha partorito un numero oltre il tollerabile di documenti e opere senza «il cuore e lo spirito». Non è da sottovalutare una chiave di lettura autobiografica di queste sue ultime esternazioni: lui, il Papa che ha fatto un passo a lato; che ha scelto di salire sul monte, come un nuovo Mosè, mentre la nostra epoca si aggrava sempre di più (perché ingravescente aetate significa anche questo); che ha lasciato non la Chiesa, ma la Amtskirche, fatta di uffici, di cariche, di procedure, senza però abbandonare quell’abito bianco e ostinandosi a mantenere il titolo di Papa emerito.

Egli non pretende in questo modo «di separare i buoni dai cattivi», come intendeva fare il donatismo nell’epoca agostiniana; questo però non significa che non vi sia un’ormai impellente necessità di «separare i credenti dai miscredenti». Problema che oggi, secondo lui, «è diventato ancora più evidente».  Di certo non è casuale che Benedetto sia uscito dal suo silenzio per parlare di quell’anno e poco più di esperienza pastorale all’inizio della sua vita sacerdotale. Tra un ricordo e l’altro, raccontati con quel sottile senso dell’umorismo e di autoironia che lo ha sempre contraddistinto, Ratzinger getta nel cuore e nella mente del lettore indizi importanti. Racconta la maiuscola figura del parroco di Bogenhausen, don Max Blumschein, che gli insegnava l’importanza di stare nel confessionale (ogni giorno dalle 6 alle 7 del mattino, e il sabato pomeriggio, dalle 16 alle 20), perché «era meglio trascorrere lì un’ora senza confessione, piuttosto che allontanare qualcuno dalla confessione a causa di un confessionale vuoto». Narra di aver fatto esperienza «molto da vicino di quanto gli uomini aspettino il sacerdote, di quanto attendano la benedizione che viene dalla forza del sacramento [...] Vedevano in noi uomini toccati dall’incarico di Cristo e capaci di portare la sua vicinanza agli uomini».

La semplice ma faticosa vita del cappellano e del parroco rendevano la presenza di Cristo e la vita della Chiesa molto più tangibili della pletora di documenti dalla lingua di legno, quando non di ferro, come una spada (si veda il recente motu proprio Traditionis Custodes), che stanno paralizzando la vita della Chiesa da anni. Linguaggio, contenuti e mentalità che non vengono da Cristo, ma dal mondo. Per questo Benedetto XVI richiama il discorso che fece a Friburgo, in occasione del suo viaggio apostolico in Germania nel 2011, nel quale aveva parlato della necessità di una «demondanizzazione». Non è vero, come qualcuno ha scritto, che Ratzinger sarebbe ritornato sui suoi passi. Egli ha al contrario affermato che il necessario processo di purgarsi dal mondo e dalle sue logiche è sì l’aspetto negativo, ma pur sempre necessario di una vera riforma della Chiesa: «La parola demondanizzazione indica la parte negativa del movimento che intendo, cioè l’uscire dal discorso e dalle limitazioni di un’epoca verso la libertà della fede». Non si può pretendere di volare senza tagliare i lacci che ci tengono vincolati al suolo.

Il riferimento all’esperienza di Bogenhausen lo ha segnato anche per un altro motivo, appena accennato nell’intervista, ma più ampiamente messo in luce nella biografia di Peter Seewald. Il suo predecessore nella parrocchia del Preziosissimo Sangue era stato don Alfred Delp, impiccato dalla Gestapo nel 1945 nel carcere di Plötzensee. Delp aveva lasciato un diario e alcune frasi, come questa che aveva inciso sulla parete della sua cella, mentre aveva le mani legate: «L’ora della nascita della libertà umana è l’ora dell’incontro con Dio. Il ginocchio piegato e le mani vuote tese sono i gesti originari dell’uomo libero. Dobbiamo avere fiducia nella vita, perché non la viviamo da soli, ma Dio la vive con noi».

Espressioni che si sono incise indelebilmente nell’animo del giovane Ratzinger e che svelano la pregnanza antropologica della sua insistenza da Vescovo, Cardinale e Pontefice sul primato di Dio nella vita del mondo e della Chiesa. Perché solo Dio - scriveva don Delp - è l’ultimo baluardo di difesa contro quella «pressione dispotica della massa [...] che prostituisce anche l’ultimo spazio più intimo, divora la coscienza, violenta il giudizio e infine acceca e soffoca lo spirito». Guai allora a quell’epoca «nella quale le voci di coloro che gridano nel deserto ammutoliscono, sovrastate dal rumore diurno per le strade, o proibite, o andate a fondo nell’ebrezza del progresso, oppure frenate o rese più deboli dalla paura e dalla codardia».

Benedetto XVI non ha semplicemente tirato una “bordata” alla Chiesa in Germania; egli sta cercando, per l’ennesima volta, di indicare l’unica via d’uscita da quello che si sta sempre più rapidamente delineando come il più micidiale totalitarismo della storia. Solo Dio, solo il Crocifisso è l’unico vero argine contro il male montante.

Luisella Scrosati

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