ACTA APOSTATICAE SEDIS : come, cambiando un po' qua e un po' la, si può cambiare tutto...

mercoledì 21 luglio 2021

L’ermeneutica dell’invidia di Caino contro Abele

L’odio contro la Messa di sempre e la questione dell’obbedienza


Cari amici di Duc in altum, Massimo Viglione ha scritto questo articolo dopo la pubblicazione di Traditionis custodes. Una delle analisi più complete e più lucide che abbiamo letto a commento del provvedimento papale contro la Messa di sempre. Oltre all’analisi complessiva (nella quale il problema liturgico si salda con quello dell’imporsi del Nuovo ordine mondiale), segnalo alla vostra attenzione la riflessione sulla questione dell’obbedienza.

***

“Vi cacceranno dalle sinagoghe” (Gv 16,2)

L’ermeneutica dell’invidia di Caino contro Abele

di Massimo Viglione

Molti sono gli interventi che si susseguono in questi giorni a seguito della ufficializzazione, da parte di Francesco in persona, della guerra delle gerarchie ecclesiastiche contro la Santa Messa di sempre. E in più di un commento è stato rilevato il per nulla celato disprezzo e al contempo l’assoluta chiarezza contenutistica e formale che caratterizza il motu proprio Traditionis custodes, scritto con modalità e formalità politiche, più che teologiche e spirituali.

È a tutti gli effetti un documento di guerra. È notevole la differenza formale e di toni che si riscontra con i vari documenti con i quali Paolo VI, dal 1964 in poi, annunciò, programmò e attuò la sua Riforma liturgica, ufficializzata infine con la Costituzione apostolica Missale Romanum del 3 aprile 1969,  con la quale di fatto il Rito romano antico venne sostituito (è il termine più opportuno sia dal punto di vista delle intenzioni che dei fatti) con il nuovo Rito volgare. Nei documenti montiniani rinveniamo, a più riprese, ipocrita ma palese dolore, rammarico, rimpianto, e paradossalmente vengono celebrate la bellezza e la sacralità del Rito antico.

Insomma, è come se Montini avesse detto: “Caro Rito di sempre, io ti faccio fuori, ma quanto eri bello!”.

Nel documento bergogliano traspaiono invece, come notato da molti, ironia e odio per quel rito. Un odio tale da non poter essere contenuto.

Naturalmente non è Francesco l’iniziatore di questa guerra, iniziata con il movimento liturgico modernista (o, se si vuole, con il Protestantesimo), bensì, almeno a livello ufficiale e operativo, Paolo VI stesso. Bergoglio ha solo – se ci si passa la metafora forte e popolaresca – “sparato all’impazzata”, per tentare di uccidere una volta per tutte un ferito a morte che nel corso dei decenni post-conciliari non solo non è morto, ma è tornato a nuova vita trascinando con sé, con un crescendo esponenziale negli ultimi quattordici anni, un numero incalcolabile di fedeli in tutto il mondo.

E questo è il vero nodo di tutta la questione. Il clero progressista e più convintamente modernista ha dovuto sì subire, obtorto collo, il motu proprio di Benedetto XVI, ma al contempo ha operato costantemente contro la Messa di sempre tramite la resistenza ostile di grandissima parte dell’episcopato mondiale, che ha sempre disobbedito apertamente a quanto stabilito dal Summorum Pontificum fin dagli stessi anni del pontificato ratzingeriano e a maggior ragione dopo la rinuncia, fino a oggi.

L’ostilità dei vescovi ha fatto sì che alla fine il compito di rendere attivo il motu proprio ricadesse molto spesso sul coraggio di alcuni sacerdoti di celebrarlo comunque anche senza il permesso del vescovo (che non era appunto necessario). Ora, quei vescovi costantemente e imperterritamente disobbedienti al Pontefice Massimo della Chiesa cattolica e a un suo motu proprio, in nome dell’obbedienza al Pontefice Massimo della Chiesa cattolica e a un suo motu proprio, potranno non solo continuare, ma intensificare l’opera censoria, la guerra nemmeno più occulta ma ormai palese, come già sta avvenendo di fatto.

Ma Francesco non si è limitato a “sparare” all’immortale vittima. Ha voluto fare un passo ulteriore, quello di un veloce e furtivo, quanto mostruoso, “seppellimento da vivo”, affermando che il nuovo rito è la Lex orandi della Chiesa cattolica. Dal che si dovrebbe dedurre che la Messa di sempre non sarebbe più la Lex orandi.

Il Nostro, è cosa risaputa, è a digiuno di teologia (che è un po’ come dire che un medico è a digiuno di medicina, o un fabbro non sa usare il fuoco e il ferro). La Lex orandi della Chiesa, infatti, non è una “legge” di diritto positivo votata da un parlamento o prescritta da un sovrano, che può sempre essere ritirata, mutata, sostituita, migliorata o peggiorata. La Lex orandi della Chiesa, inoltre, non è una “cosa” specifica determinata nel tempo e nello spazio, bensì è l’insieme delle norme teologiche e spirituali e degli usi liturgici e pastorali di tutta la storia della Chiesa, dai giorni evangelici – e specificamente dalla Pentecoste – a oggi. Per quanto essa si viva ovviamente nel presente, è comunque radicata in tutto il passato della Chiesa.  Pertanto, qui non si sta parlando di un qualcosa di umano – esclusivamente umano – che un cacicco qualsiasi può cambiare a suo piacimento. La Lex orandi comprende tutti i venti secoli della storia della Chiesa, e non esiste uomo o consesso di uomini al mondo che possano mutare questo venti volte secolare deposito. Non esiste papa, concilio, episcopato, che possa mutare il Vangelo, il Depositum Fidei, il Magistero universale della Chiesa. E nemmeno la Liturgia di sempre. E se è vero che l’antico Rito ha avuto un nucleo essenziale apostolico che si è poi accresciuto armonicamente nei secoli, con mutazioni progressive (ancor fino a Pio XII e Giovanni XXIII), è pur vero che queste mutazioni – a volte più opportune a volte meno, a volte forse per niente – sono sempre state comunque armonicamente strutturate in un continuum di Fede, Sacralità, Tradizione, Bellezza.

La riforma montiniana ha spezzato tutto questo, inventando a tavolino un nuovo rito adatto alle esigenze del mondo moderno e trasformando la liturgia sacra cattolica da teocentrica ad antropocentrica. Dal Santo Sacrificio della Croce ripetuto incruentemente tramite l’azione del sacerdos si è passati all’assemblea dei fedeli diretta dal suo “presidente”. Da strumento salvifico e perfino esorcistico, a raduno populistico orizzontale, suscettibile di continui autocefali e relativisti mutamenti e adattamenti più o meno festaioli, il cui “valore” si baserebbe sulla conquista del consenso di massa, come si trattasse di uno strumento politico finalizzato all’audience, che peraltro si sta progressivamente azzerando del tutto.

Inutile continuare su questa strada: sono i risultati stessi di questa sovversione liturgica che parlano alle menti e ai cuori che non mentono. Ciò che è importante chiarire invece è la ragione di tale passaggio tra l’ipocrisia montiniana e la sincerità bergogliana.

Cosa è mutato? È mutato il clima generale, che si è letteralmente capovolto. Montini credeva che in pochi anni nessuno si sarebbe più ricordato della Messa di sempre. Già Giovanni Paolo II, dinanzi all’evidenza del fatto che il nemico non moriva affatto, fu costretto – anche lui obtorto collo – a concedere un “indulto” (come se la Liturgia sacra cattolica di sempre avesse bisogno di essere perdonata di qualcosa per poter continuare a esistere), che (nessuno lo dice mai) era perfino più restrittivo di questo ultimo documento bergogliano, sebbene privo dell’odio che caratterizza questo. Ma soprattutto è stato l’incontenibile successo di popolo – e in particolare tra i giovani – che la Messa di sempre ha riscontrato dopo il motu proprio di Benedetto XVI il fattore scatenante questo odio.

La “Messa nuova” ha perso dinanzi alla storia e all’evidenza dei fatti. Le chiese sono vuote, sempre più vuote; gli ordini religiosi – anche, e forse soprattutto, i più antichi e gloriosi – stanno scomparendo; monasteri e conventi sono disertati, abitati solo da religiosi ormai molto avanti negli anni, e si attende la loro morte per chiudere i battenti; le vocazioni sono ridotte al nulla; perfino l’otto per mille si è dimezzato, nonostante l’ossessiva stucchevole e patetica pubblicità terzomondista; le vocazioni sacerdotali scarseggiano, ovunque vediamo parroci con tre, quattro a volte cinque parrocchie da gestire; la matematica del Concilio e della “Messa nuova” è quanto di più impietoso possa esistere.

Ma è soprattutto qualitativo il fallimento, dal punto di vista teologico, spirituale, morale. Anche quel clero che esiste e resiste è in gran parte apertamente eretico o comunque tollerante con l’eresia e l’errore esattamente quanto è intollerante con la Tradizione, non riconoscendo più alcun valore oggettivo al Magistero della Chiesa (se non per quello che risulta gradito) ma vivendo di improvvisazione teologica e dommatica, così come liturgica e pastorale, il tutto fondato sul relativismo dottrinale e morale, accompagnato da un’immensa caterva di chiacchiere e slogan vuoti e insulsi; e non parliamo nemmeno della devastante, quando non mostruosa, situazione morale di buona parte di questo clero.

È vero, ci sono i cosiddetti “movimenti” a salvare un poco la situazione. Ma la salvano a costo, ancora una volta, del relativismo dottrinale, liturgico (chitarre, tamburelli, divertimento, “partecipazione”), morale (l’unico peccato è andare contro i dettami di questa società: oggi contro il vaccino; tutto il resto è più o meno permesso). Questi movimenti sono ancora cattolici? E in che misura e qualità? Se andassimo ad analizzare con precisione teologica e dottrinale la loro fedeltà, quanti resisterebbero all’esame?

Lex orandi, lex credendi”, insegna la Chiesa. E infatti, la Lex orandi dei diciannove secoli antecedenti il Concilio Vaticano II e la riforma liturgica montiniana hanno prodotto un tipo di fede, i cinquant’anni seguenti un altro tipo di fede. E di cattolico.

«Li riconoscerete dai frutti» (Mt 7,16), insegnò il Fondatore della Chiesa. Appunto. I frutti del fallimento totale del modernismo (o, se si vuole per i più attenti e intelligenti, per il trionfo dei veri scopi del modernismo), del Concilio Vaticano II, del post-concilio. La stessa ermeneutica della continuità, dove è naufragata? Insieme alla misericordina, nell’Ermeneutica dell’odio.

La Messa di sempre, invece, è esattamente l’antitesi di tutto questo. È dirompente nel suo propagarsi, e nonostante tutta la costante ostilità e censura episcopale; è santificante nella sua perfezione; è coinvolgente proprio perché espressione dell’Eterno immutabile, della Chiesa di sempre, della teologia e della spiritualità di sempre, della liturgia di sempre, della morale di sempre. È amata perché divina, sacrale e ordinatamente gerarchica, non umana, “democratica” o liberal-egualitaria. Divina e umana insieme, come il suo Fondatore nel giorno dell’Ultima Cena.

Ed è amata soprattutto dai giovani, sia laici che la frequentano, sia fra coloro che si avvicinano al sacerdozio: mentre i seminari del nuovo rito (la Lex orandi di Bergoglio) sono covi di eresia, apostasia (ed è meglio tacere di cosa altro…), i seminari del mondo della Tradizione traboccano di vocazioni, sia maschili che femminili, in un continuo inarrestabile.

La spiegazione di questo incontrovertibile fatto si trova nell’unica Lex orandi della Chiesa cattolica. Che è quella voluta da Dio stesso e alla quale nessun ribelle può sottrarsi.

Ecco la radice dell’odio. È il consenso mondiale e plurigenerazionale al nemico che doveva morire. Dinanzi al fallimento di ciò che avrebbe dovuto portare nuova vita e invece sta morendo disseccato.

Perché manca la linfa vitale della Grazia.

È l’odio per le ragazze inginocchiate in velo bianco o per le signore con tanti figli in velo nero; per gli uomini inginocchiati in preghiera e raccoglimento, magari con il rosario tra le dita; per i sacerdoti in talare fedeli alla dottrina e alla spiritualità di sempre; per le famiglie numerose e serene nonostante le difficoltà di questa società; per la fedeltà, per la serietà, per la sete di sacro.

È l’odio per tutto un mondo, sempre più numeroso, che non è caduto – o non cade più – nella trappola umanistica e mondialistica della “Nuova Pentecoste”.

In fondo, quello sparare all’impazzata altro non è che un nuovo omicidio di Caino invidioso di Abele. E infatti, nel Rito nuovo si offrono a Dio “i frutti della terra e del lavoro dell’uomo” (Caino), mentre in quello di sempre “hanc immaculatam Ostiam” (l’Agnello primogenito di Abele: Gn, 4, 2-4).

Caino vince sempre momentaneamente tramite la violenza, ma poi subisce infallibilmente la punizione del suo odio e della sua invidia. Abele muore momentaneamente, ma poi vive in eterno nella sequela Christi.

Cosa succederà ora?

Questa è una questione più interessante e inevitabile di quanto si possa credere, e a più livelli. Non potendo conoscere il futuro, poniamoci intanto alcune fondamentali domande.

I vescovi obbediranno tutti?

Non sembra. Al di là della grande maggioranza di essi, che lo faranno ben volentieri o perché partecipi dell’odio del loro capo (quasi tutti) o perché timorosi per il loro futuro personale, pensiamo che saranno non proprio pochi quelli che potrebbero anche opporsi alla “mitragliata” bergogliana, come già pare avvenire in vari casi negli Usa e in Francia (poca speranza nutriamo per gli italiani, i più pavidi e appiattiti come sempre), sia perché non ostili di principio, sia per amicizia con alcuni ordini legati alla Messa di sempre, sia forse – è una vana speranza? – per un sussulto di giusto orgoglio per l’umiliazione, perfino grottesca, ricevuta da questo documento, dove dapprima si dice che la decisione riguardo la concessione del permesso spetta a loro, e poi non solo si limita ogni libertà d’azione condizionando ogni pur minima possibilità di scelta, ma si cade nella più palese contraddizione affermando che devono in ogni caso relazionarsi con la Santa Sede!

Davvero obbediranno tutti ciecamente, o qualche crepa inizierà a far vacillare il sistema dell’odio?

E cosa avverrà nel mondo cosiddetto “tradizionalista”?

“Ne vedremo delle belle”, si potrebbe popolarmente dire… Senza esclusione di colpi di scena storici. C’è chi cadrà, chi sopravviverà, chi forse ne trarrà vantaggio (ma attenzione alle polpette avvelenate dei servi del Menzognero!). Confidiamo invece nella Grazia divina perché i fedeli non solo rimangano tutti per l’appunto fedeli, ma si accrescano anche.

Tutto ciò sarà confermato soprattutto da un aspetto che finora nessuno ha messo in rilievo: il vero scopo di questa guerra pluridecennale alla liturgia sacra cattolica, che poi è il vero scopo della creazione ex nihilo (meglio dire: a tavolino, in qualche antro) del Nuovo rito, è la dissoluzione della liturgia cattolica in sé, di ogni forma di Santo Sacrificio, della dottrina stessa e della Chiesa stessa nella grande corrente mondialista della religione universale del Nuovo Ordine Mondiale. Concetti come la Santissima Trinità, la Croce, il peccato originale, il Bene e il male intesi in senso cristiano e tradizionale, l’Incarnazione, la Resurrezione, e quindi la Redenzione, i privilegi mariani e la figura stessa di Madre di Dio Immacolata Concezione, l’Eucarestia e i sacramenti, la morale cristiana con i suoi Dieci Comandamenti e la Dottrina del Magistero universale (difesa della vita, della famiglia, della retta sessualità in ogni sua forma, con tutte le condanne conseguenti alle follie odierne), tutto questo deve sparire nel culto universale e monista del futuro.

E, in tale ottica, la Messa di sempre è il primo elemento che deve sparire, essendo il baluardo assoluto di tutto quello che si vuole appunto far sparire: essendo il primo ostacolo a ogni forma di ecumenismo. Ciò comporterà, inevitabilmente, con il tempo, il progressivo avvicinarsi alla Liturgia sacra di sempre della massa dei fedeli che si attardano ancora a frequentare il Rito nuovo, magari cercando di andare da quei sacerdoti che lo celebrano dignitosamente. Perché, alla fine, prima o poi, anche questi ultimi saranno posti dinanzi al bivio dell’obbedienza al male o della disobbedienza per restare fedeli al Bene. Il pettine della Rivoluzione, nella società come nella Chiesa, non lascia nodi: prima o poi si cade, di qua o di là. E questo appunto comporterà la ricerca, da parte dei buoni ancora confusi, della Verità e della Grazia.

Ovvero, della Messa di sempre.

Chi ancora oggi si attarda a non occuparsi di queste “questioni” e a seguire questi vescovi e parroci, sappia che, se vuole restare veramente cattolico e usufruire veramente del Corpo e del Sangue del Redentore… ha i giorni contati. Presto, dovrà scegliere.

Abbiamo ora toccato il problema centrale di tutta questa situazione: come comportarsi dinanzi a una gerarchia che odia il Vero, il Bene, il Bello, la Tradizione, che combatte l’unica vera Lex orandi per imporne un’altra gradita non a Dio ma al principe di questo mondo e ai suoi servi “controllori” (in qualche modo, ai suoi “vescovi”)?

È il problema chiave dell’obbedienza, sul quale anche nel mondo della Tradizione si gioca, sovente, un gioco sporco aizzato spesso non da sincera ricerca del meglio e del vero bensì da guerre personali, oggi divenute più acute dinanzi alla spaccatura causata dal totalitarismo sanitario e dal vaccinismo.

L’obbedienza – e questo è un errore che trova le sue radici profonde anche nella Chiesa del preconcilio, occorre dirlo – non è un fine. È un mezzo di santificazione. Pertanto, non è un valore assoluto, bensì strumentale. È valore positivo, positivissimo, se finalizzata a Dio. Ma se si obbedisce a Satana, ai suoi servi, all’errore, all’apostasia, non è più un bene, bensì è una voluta partecipazione al male.

Come la pace, esattamente. La pace – divinità della sovversione odierna – non è un fine, ma uno strumento del Bene e del Giusto, se finalizzata a creare una società buona e giusta. Se finalizzata a creare o a favorire una società satanica, maligna, errata, sovversiva, allora la “pace” diventa strumento dell’inferno.

Dobbiamo «piacere non agli uomini, ma a Dio, che prova i nostri cuori» (1Tes 2,4). Appunto! Pertanto, chi obbedisce agli uomini pur nella consapevolezza di facilitare il male e ostacolare il Bene, chiunque essi siano, comprese le gerarchie ecclesiastiche, compreso il papa, in realtà si rende complice del male, della menzogna, dell’errore.

Chi obbedisce in queste condizioni disobbedisce a Dio. «Perché nessun servo è più del suo padrone» (Mt 10,24) Anche Giuda faceva parte del collegio apostolico.

Oppure cade nell’ipocrisia. Come se – solo per fare un esempio d’accademia – un cattolico tradizionalista, auto-erettosi a dispensatore e giudice della serietà altrui, criticasse apertamente l’attuale pontefice per l’Amoris laetitiae o per questo ultimo documento, ma poi, per quanto riguarda invece la sottomissione, perfino obbligatoria!, al vaccinismo in sé e l’accettazione dell’uso di linee cellulari umane ricavate da feti vittime di aborto volontario, dichiarasse, per difendersi dinanzi alla giusta e ovvia indignazione generale, di essere obbediente a quanto dice il “Sovrano Pontefice” in materia.

La conditio sine qua non di ogni serietà non risiede tanto nei “toni” utilizzati (anche, questo è un aspetto importante ma assolutamente non primario e soprattutto rimane soggettivo), ma anzitutto nella coerenza dottrinale, ideale, intellettiva al Bene e alla Verità nella loro integrità, in ogni aspetto e circostanza. Dobbiamo ovvero capire se chi guida la Chiesa oggi voglia essere servo fedele di Dio o servo fedele del principe di questo mondo. Nella prima ipotesi, gli si deve obbedienza e l’obbedienza è strumento di santificazione. Nella seconda, occorre trarne le conseguenze. Chiaramente, nel rispetto delle norme codificate dalla Chiesa, da figli della Chiesa e anche con la dovuta educazione e serenità di toni. Ma sempre trarne le conseguenze si deve: la prima preoccupazione deve essere seguire e difendere la Verità sempre, non lo stucchevole baciapantofolismo ossequioso e scrupoloso, frutto avariato di un malinteso tridentinismo. Né papa e gerarchie possono essere utilizzati come referente di verità a singhiozzo a seconda degli scopi personali.

Ci troviamo nei giorni più decisivi della storia umana e anche della storia della Chiesa. Tutti gli autori che hanno commentato in questi giorni invitano alla preghiera e alla speranza. Lo faremo ovviamente anche noi, in piena convinzione che proprio tutto quello che sta accadendo in questi giorni, e, più in generale, dal febbraio 2020, sia il segno inequivocabile che si avvicinano i tempi in cui Dio interverrà per salvare il Suo Corpo Mistico e l’umanità, oltre che l’ordine che Egli stesso ha dato al creato e alla umana convivenza, nella misura, con le modalità e coi tempi che Egli vorrà adottare.

Preghiamo, speriamo, vigiliamo, e schieriamoci dalla parte giusta. Il nemico ci aiuta nella scelta: infatti, è sempre lo stesso da tutte le parti.

https://www.aldomariavalli.it/2021/07/21/lodio-contro-la-messa-di-sempre-e-la-questione-dellobbedienza/

2 commenti:

  1. Carissimo prof. Massimo Viglione,

    mentre la rinfrazio per questa trattazione, magistrale e così generosa per ampiezza, mi permetto due piccole sottolineature.

    Lei scrive: "Ciò che è importante chiarire invece è la ragione di tale passaggio tra l'ipocrisia montiniana e la SINCERITÀ bergogliana".

    Le chiedo: davvero voleva usare il termine 'sincerità' riferito a papa Bergoglio?

    Se sì, su che base dopo tutto quanto è accaduto in questi sciagurati anni (per i quali milioni di credenti portano e porteranno le ferite)?

    Personalmente credo si debba parlare - per restare nel vero - di protervia sfacciata e scoperta, che nel caso specifico non è ipocrita ma che non è neppure parente per nullav della sincerità, nemmeno alla lontana.

    Inoltre lei scrive:
    "La pace, DIVINITÀ DELLA SOVVERSIONE ODIERNA, non è un fine ma uno strumento del Bene...".

    A mio avviso la "divinità della sovversione odierna" - per usare la sua espressione - non è la Pace (P maiuscola e P minuscola), che è figlia del Bene, ma il QUIETO VIVERE (o analoga espressione), che di norma è una banale e infingarda foglia di fico che copre altro e che non è figlia del Bene.

    Ancora grazie, un cordiale saluto e buona estate.

    RispondiElimina
  2. Versione corretta


    Carissimo prof. Massimo Viglione,

    mentre la ringrazio per questa trattazione, magistrale e così generosa per ampiezza, mi permetto due piccole sottolineature.

    Lei scrive: "Ciò che è importante chiarire invece è la ragione di tale passaggio tra l'ipocrisia montiniana e la SINCERITÀ bergogliana".

    Le chiedo: davvero voleva usare il termine 'sincerità' riferito a papa Bergoglio?

    Se sì, su che base dopo tutto quanto è accaduto in questi sciagurati anni (per i quali milioni di credenti portano e porteranno le ferite)?

    Personalmente credo si debba parlare - per restare nel vero - di protervia sfacciata e scoperta, che nel caso specifico non è ipocrita ma che non è neppure parente per nulla della sincerità, nemmeno alla lontana.

    Inoltre lei scrive:
    "La pace, DIVINITÀ DELLA SOVVERSIONE ODIERNA, non è un fine ma uno strumento del Bene...".

    A mio avviso la "divinità della sovversione odierna" - per usare la sua espressione - non è la Pace (P maiuscola e P minuscola), che è figlia del Bene, ma il QUIETO VIVERE (o analoga espressione), che di norma è una banale e infingarda foglia di fico che copre altro e che non è figlia del Bene.

    Ancora grazie, un cordiale saluto e buona estate.

    RispondiElimina

Nota. Solo i membri di questo blog possono postare un commento.