PROSTRATEVI AL SIGNORE, IN SACRI ORNAMENTI….
Tuttavia, è anche vero che questa massima, vale in riferimento a scelte personali, a decisioni che io prendo in rapporto a qualcosa che deve coinvolgere la mia sfera personale e che addirittura posso ulteriormente adattare ai miei gusti ed esigenze.
Questo discorso però, non può valere in rapporto ai riti liturgici, perché questi non si possono e non si devono adattare ai propri gusti.
Quando in passato, un rito liturgico, veniva pensato e codificato, penso che si tenesse conto di tanti aspetti che il rito appunto tocca!
Anzitutto la verità di ciò che deve rappresentare e concretizzare e poi anche quella bellezza che può attirare ed elevare lo spirito di chi vi partecipa con fede o che semplicemente vi assiste, con la possibilità di fare un passo ulteriore in avanti, se il rito appunto lo può elevare.
Se questo avveniva in passato, con le scelte che facevano coloro che erano preposti a pensare e realizzare tali dimensioni della vita della Chiesa, lo stesso dovrebbe avvenire anche al presente, con quell’ermeneutica della continuità che non fa altro se non sottolineare un cammino di fede che non si interrompe mai e che continua ad offrire al credente gli stessi presupposti di verità e bellezza che elevano lo spirito, attraverso la bellezza che attira gli occhi e gli altri sensi.
Se noi prendiamo in mano la SacrosanctumConcilium, sfido chiunque a dire che è stata fedelmente applicata dopo il Concilio Ecumenico Vaticano II.
Siamo capaci di leggere la traduzione in italiano di questa Costituzione?
Qual’era il pensiero dei Padri conciliari?
Quello di portare la liturgia della Chiesa ai livelli che vediamo oggi?
La liturgia della Chiesa, prende “in mano” le cose sante che riceve dal cielo e le offre ai figli di Dio, con tutto il rispetto, la venerazione e la fede possibili!
Il desiderio dei Padri conciliari era sì, quello di avvicinare maggiormente il popolo santo di Dio ai misteri che si celebrano, ma non certo nelle forme e modalità che vediamo oggi, a partire da chi sta più in alto.
Come può un sacro ministro dell’altare, sia Papa, Vescovo, Sacerdote o diacono, non ragionare in questi termini e cioè che quando celebro all’altare, devo cercare di scomparire con la mia identità per far apparire il pastore bello delle pecore, cioè Cristo?
E’ una vergona pensare che tutto ciò che è bello, molto bello o addirittura bellissimo, a partire dalle sacre suppellettili, fino ad arrivare ai paramenti, è un qualcosa che disturba, è uno spreco, è segno di vanità!
Smettiamola con questi discorsi di stare lontani dalla vanità, perché non esiste la vanità nelle celebrazioni liturgiche e chi è chiamato a dare l’esempio, non può permettersi di dire che certe cose non servono o apparire in modo tale da creare disgusto in chi guarda!
I Paramenti più belli, che servono appunto per nascondere la mia povera fragilità umana e far apparire la straordinaria bellezza della gloria e della presenza di Dio, li indosso in un contesto di liturgia sacra, non quando vado per strada o sono impegnato con le mie cose personali.
E’ imbarazzante sentire dire da chi ha udito con le proprie orecchie; “ Questi paramenti sono troppo belli per me!”.
Allora vuol dire che non abbiamo capito niente!
Niente di ciò che indossi nella liturgia o anche nella vita privata per presentarti con la tua identità di Papa, Cardinale, Vescovo o Sacerdote è per farti bello; tutto serve per onorare Dio e dare dignità al rito e alla tua persona, sapendo ciò che sei e rappresenti.
E’ disgustoso vedere come si presentano tali ministri; a volte si ha proprio la sensazione che lo facciano solo per irrigidire la sensibilità delle persone.
Questa non è umiltà, ma vera vanagloria!
L’umiltà consiste nell’adeguarsi a quello che ti viene ricordato di fare, secondo delle regole e consuetudini che si sono confermate nel tempo e che i tuoi predecessori hanno fatto proprie con vero spirito di umiltà, sapendo che in questo modo avrebbero fatto il bene del popolo di Dio oltre che garantire il vero onore a Dio!
Sarà bello vedere quello che purtroppo ci siamo abituati a vedere e che non avevamo mai visto, perché tutti erano consapevoli dell’alto ruolo che avevano e che erano chiamati ad onorare con la loro persona!
Camici che mostrano i pantaloni, paramenti pacchiani e fermiamoci qui!
Riti inventati, come l’incensazione degli ordinandi e continua tensione che si respira a fior di pelle da parte di chi è chiamato a dirigere le celebrazioni, perché consapevole che potrebbe essere redarguito pesantemente in diretta, se solo viene fatta una strofa di canto in più!
Ma dove siamo arrivati?
Che solennità è rimasta nelle nostre celebrazioni?
Non una parola cantata, tutto piatto e ultimamente, in modo arbitrario, un cambiamento radicale in quelle poche celebrazioni papali che ancora ti davano il senso della cattolicità, usando quella lingua che non privilegiava nessuno, il latino, che tutti ormai conoscono perché hanno la traduzione accanto.
E dopo si vuole dire che si sta applicando la SacrosanctumConcilium?
No, la si sta volutamente ignorando e declassando e soprattutto si stanno ignorando tutti i pronunciamenti fatti fino “all’altro ieri” da chi di dovere.
E pensare che sarebbe bastata un po’ più di umiltà per rendere sereni gli animi, per far capire che non si vuole rovesciare tutto e che nella chiesa non c’è un prima e un dopo, ma una continuità!
Nessuno dica che questi sono pensieri che guardano solo all’apparenza, all’esteriorità e che sono criteri riempiti di vanità!
Chi ha avuto il coraggio di pronunciarsi in un certo modo, facendo credere che tale richiesta venisse dalla maggior parte di coloro ai quali si è ora dato un potere di decisione e questo non era vero, si vedrà smentito da chi o prima o dopo prenderà in mano questa povera barca malconcia e certamente, guidato dallo Spirito Santo, rimetterà equilibrio.
Un’ultima cosa vorrei dire a quei Cardinali e Vescovi, Monsignori e cerimonieri che fino a qualche anno fa avevano dimostrato di aver capito i concetti sopra espressi e si muovevano in una certa direzione che dava una bella immagine e testimonianza.
Cambiato il direttore d’orchestra, subito si sono ritirati e sono diventati “poveri”!
Ipocrisia al massimo livello!
Se non eravate d’accordo, dovevate dirlo o fare un passo indietro, così non sareste diventati complici dell’andazzo odierno!
Pietà di noi, Signore!
Contro di te, abbiamo peccato.
Mostraci, Signore, la tua misericordia!
E donaci la tua salvezza.
di Dom Seraphinus
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I CATTOSAURI: LA STRIP DEL MARTEDÌ
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L’ORRIDA MODERNA ARTE CATTOLICA
parte seconda
vai alla parte prima
Nel presente intervento prenderemo in esame tre opere, raffiguranti Gesù crocifisso, di cui esporremo il nostro parere in accosto alla definizione che, di Gesù, dà il salmo 44, dove, al verso 3, Egli viene celebrato come “speciosus forma prae filiis hominum” - il più bello tra i figli degli uomini. Bellezza che non vien meno nel crogiolo della sua Passione e morte, anzi, esaltata e resa maggiormente dolce ed austera proprio dai tormenti subìti, nella carne e nello spirito, principiando da quel sudore misto d’acqua e sangue – ematoidrosi – versato nel Getsemani e concludendo con quel grido lanciato dalla croce sul mondo (Mt. 27, 50).
V’è, infatti, nella pace immota della morte, la ricomposizione dei tratti del volto su cui, specialmente in coloro che lasciano questo mondo pacificati col Signore, aleggia un diffuso, lieve alone di luce. Ora, se tale mirabile manifestazione di bellezza caratterizza l’uomo, non è forse ancor più mirabile in Colui che è la Bellezza stessa in infinito eccesso?
Ciò premesso, vediamoli, questi tre esempi che, nella contraffazione della forma portata all’estremo da un raffazzonato tratto del disegno, pur distanti per luogo e distinti per autore, evidenziano un raccordo, un legame che dice come la creatività artistica del sacro segua, ormai, l’indirizzo estetico predominante dell’anamorfosi sghemba a vantaggio di una cultura sempre più laicista e dissacrante, con la presunzione di essere arte.
La benemerita emittente tv2000 – CEI – scandisce puntualmente, nella scaletta dei programmi, alcuni momenti di incontro spirituale a cui, da tempo, noi assidui telefedeli, assistiamo e, precisamente: ore 7,00 Santa Messa – ore 15,00 Coroncina alla Misericordia di Gesù – ore 18,00 Rosario in diretta da Lourdes.
1 - Per quanto concerne la Santa Messa v’è di dire che la ripresa televisiva, in diretta, si svolge ogni mattina, trasmessa a rotazione da diverse chiese per la durata, ciascuna, di uno-due mesi. Ora, dovendo soffermarci sopra uno dei tre orridi lavori, di cui al presente intervento, diciamo che esso è stato visibile per tutto il periodo maggio-giugno e prima parte di luglio 2021.
Siamo nel Santuario di Collevalenza, località dove fiorì la santità di Madre Speranza. Una monumentale testimonianza di fede, meta di numerosi, continui pellegrinaggi, ove ci si può bagnare in un’acqua dalle virtù salutari che ricordano quella di Lourdes. L’ambiente interno, spazioso, oscillante tra un verecondo stile aperto e una sensazione di antico silenzio monastico, invita al raccoglimento.
Ma c’è un qualcosa che stride con il contesto decoroso e confligge con l’intrinseca, sublime funzione che dovrebbe assolvere. Parliamo, cioè, di una vetrata, inserita in una struttura organizzata con anelli di cemento (?) inscritti in singoli riquadri. Questa vetrata rappresenta una croce su cui l’osservatore dovrebbe contemplare Gesù Crocifisso. Nell’impasto dei colori, un pantone fosco con pochi spazi da cui filtra una cilestrina luce strozzata e pallida, emerge faticosamente alla vista una figura che, data la geometria della Croce, vuol rappresentare il Redentore. Ma, mentre l‘occhio dell’osservatore riesce a distinguere il perimetro e il campo cromatico della Croce, non così per il santissimo Corpo del Crocifisso, annegato com’è in una mescidanza di colori scuri – viola, rosso, marrone, ocra, nero – un guazzabuglio dove il Santo Volto si indovina per via di una macchia tonda che si scompone, svanendo in tanti spezzoni sì da rendere l’idea di un qualcosa di indistinto e in via di corruzione. Un’iconografia che indulge su un disegno dai tratti schematici, sovrapposti, affastellati e privi di garbo, espressione di una cultura estetica di netta marca gnostica che, consapevolmente o no, offre, di Gesù Crocifisso, la raffigurazione di una totale decadenza fisica e spirituale cancellando, in tal modo, la Bellezza divina a vantaggio di un informalismo il cui esito immediato – lo affermiamo chiaramente e senza remore – è l’oscuramento, nella coscienza del fedele, della divina bellezza del Redentore esponendo la visione di un uomo degradato. E se non è questo, mi si dica per quale ragione l’arte sacra cattolica insiste su un’estetica che fa della bruttezza la caratteristica prima di nostro Signore. Dove sono le Commissioni Diocesane delegate all’ Arte Sacra?
2 – Ore 15,00: recita della “Coroncina alla Misericordia di Gesù” che si tiene, in questo periodo, nel Santuario di Nostra Signora delle Grazie e di Santa Maria Goretti, in Nettuno. L’ambiente interno esprime una cultura architettonica che fa del cemento armato il materiale di più adatto a costruzioni di impronta moderna. L’ambiente interno, pur appesantito da travi orizzontali ribassati, che delimitano due navate laterali, si presenta, specie nella parte absidale, decoroso e consentaneo al raccoglimento Ma non è questo l’argomento di cui parleremo poiché, nel corso della recita, la nostra compresa partecipazione è, più volte, distolta dall’inquadratura della telecamera in cui appare una Croce da cui pende un Cristo – non sappiamo se di bronzo o di gesso – rivestito a foglia d’oro. E non è, poi, tale particolare che turba e disturba il senso di reverente commozione, anche se, siffatta patinatura aurea non si distingue per congruo ed opportuno decoro.
Il particolare che ci ha indotto ad intervenire con il presente servizio è il volto di Cristo, le cui forme, appena abbozzate, non solo non ne permettono la lettura della naturale anatomia ma ne stravolgono anche gli indizi talché, a chi lo guardi, dànno l’impressione di una testa avvolta da una spessa guaina in cellofan a mo’ di imballaggio, dai tratti, che dovrebbero indicare la bocca e gli occhi, ridotti a sottili tagli che trasmettono una sensazione di fredda, ferina inquietudine. Un volto, insomma, da cui l’occhio del fedele rifugge quasi subito, connotato com’è da una facies appuntita quasi in atteggiamento sdegnato e collerico.
Oh, quanto diverso da quel Gesù apparso a santa Faustina Kowalska, la cui infinita e luminosa bellezza del volto risplende nella penetrante mitezza dello sguardo, nella serena e lieve apertura delle labbra, il tutto nell’armoniosa composizione della mano destra benedicente e dell’altra nell’atto di mostrare la ferita del petto da cui sgorga, abbondante, un flusso di luce!
3 – Ore 18,00: in diretta da Lourdes, il Santo Rosario. Puntuale appuntamento quotidiano a cui, da anni, partecipiamo, in famiglia. Bene; inizia la trasmissione con una panoramica dell’ambiente in cui si muovono gli officianti di turno, dopo di che comincia il rito. Inquadrata la parte alta della grotta, dove nel vano roccioso sta la statua della Vergine, la telecamera riprende l’officiante che guida la recita, la folla dei fedeli che rispondono per, poi, compiere alcune altre riprese. In una di queste, la regìa manda in onda, per più volte, l’immagine di un crocifisso. Come si può vedere, tràttasi di un’opera la cui cifra parla di essenzialità compositiva e di sbrigativa esecuzione così come dimostra la stessa Croce costituita da semplici assi metallici. Ora, pur con siffatte coordinate, il Corpo del Redentore, in quanto a resa ultima, non dà motivo di biasimo o di censura ché, sebbene appaia evidente un lavoro di larghe passate di sgorbia, piedi, tronco e braccia rientrano nella canonicità estetica o, quanto meno, sono riconducibili all’anatomia.
Ciò che, invece, lo rende decisamente banale è quel modulo stilizzato e grossolano che nell’intenzione dello scultore dovrebbe rappresentare la corona di spine ma che, così come eseguito, a mo’ di greca o di bandana e col raccordo della calotta cranica, suscita nell’osservatore l’immagine di una testa bardata da un casco da motociclista in contrasto col resto del Corpo che, come si è detto poc’anzi, rientra nell’accettabile ordine formale. Altro esempio di una cultura, purtroppo egemone, che, quale malefica metastasi si è diffusa nel cattolicesimo senza che l’autorità preposta sia mai intervenuta a troncarne la continua ramificazione.
Insomma, non comprendiamo perché mai si debbano, per l’arredo sacro di una chiesa o di altro luogo deputato a funzioni sacre, accettare ed accogliere opere, che di sacro poco o niente contengono ed esprimono, involute, come sono, in cerebralismi estetici la cui matrice genetica è la presunzione di “cogliere” l’idea-essenza del raffigurato. E come la si coglie? Nel modulo dell’astrattismo, dell’informale, operazione che proprio in quanto astratta, non “coglie” per niente la realtà attuale rimandando all’osservatore un che da decodificare. Sicché il fedele che se ne sta preso, e compreso, nel tentativo di risolvere il rebus, perde il contatto con la realtà divina.
Abbiam detto che “non comprendiamo”, ma, in verità, sappiamo bene la ragione che sta a capo di siffatta corrente estetica: un piano che mira ad abbruttire tutto ciò che è, nella Santa Chiesa Cattolica, sacro segno e che, studiato già da secoli, è riuscito a diventare norma da quando il nefasto CVII ha spalancato le sue sacre porte al “mondo” con l’ultimo esempio, quale testimone di questa volontà eversiva, il documento “Traditionis custodes” con il quale Papa Bergoglio ha messo una pietra tombale sul VETUS ORDO MISSAE.
Si cavi un occhio a chi rivanga il passato.
RispondiEliminaSe ne cavino due a chi lo dimentica.
(proverbio russo)