ACTA APOSTATICAE SEDIS : come, cambiando un po' qua e un po' la, si può cambiare tutto...

giovedì 5 agosto 2021

Il motto all’ingresso di molti lager nazisti

Gli schiavi della “libertà” da vaccino


Il pizzo da pagare allo Stato per continuare ad essere liberi è il Green pass e quindi il vaccino. Il cittadino ideale diviene allora lo schiavo della libertà. La coazione come strumento per promettere la libertà è stato strumento di molte ideologie, dal nazismo al comunismo. In questa pandemia il canovaccio è lo stesso: la moneta per acquistare la libertà è la rinuncia alla libertà.




Arbeit macht frei, il lavoro rende liberi. Era il motto posto all’ingresso di molti lager nazisti. Oggi potremmo sostituire al lavoro il vaccino. Se ti vaccini ti riprendi la libertà che ti abbiamo tolto. Vero è che alcune libertà possono essere compresse o addirittura soppresse giustamente dall’ordinamento giuridico in vista del bene comune. Il coprifuoco in tempo di guerra ha un suo fondamento, così anche i trattamenti sanitari obbligatori oppure pensiamo alla pena della detenzione.


Però nel caso attualecome abbiamo già avuto di dimostrare, non esistono le condizioni per predicare una legittima restrizione delle libertà personali tramite l’obbligo vaccinale. Più banalmente - e spesso, come ci ha ricordato Hannah Arendt, il male è banale - si tratta di un ricatto: volendo vaccinare tutti, il pizzo da pagare allo Stato per continuare ad essere liberi è il Green pass e quindi il vaccino. Il cittadino ideale diviene allora lo schiavo della libertà. Mi sottometto agli ordini per essere libero. Rinuncio alla libertà di non vaccinarmi per conservare altre libertà che giudico più importanti. E, nella prospettiva del singolo, ciò avviene spesso non a torto: ad esempio tra perdere il lavoro e vaccinarsi è comprensibile e giusto che il padre di famiglia opti, seppur obtorto collo, per il vaccino. La nota stonatissima sta nel fatto che questo padre di famiglia ha dovuto scegliere, non ha voluto scegliere la fiala anti-Covid. Una libertà quindi fortemente coartata, condizionata.


Non si possono nemmeno chiamare in causa per giustificare le decisioni di Draghi & Co. le categorie del diritto commerciale: se vuoi quell’auto, allora paga. Perché nel caso attuale si tratta non di diritti patrimoniali, bensì di diritti personali, di libertà costituzionalmente tutelate come la libertà di movimento, il diritto al lavoro e all’istruzione, alla cultura e soprattutto il diritto alla salute, dato che l’obiezione di fondo che si muove ai vaccini è la loro sicurezza. Quindi in questi casi non siamo in presenza di un diritto patrimoniale futuro che se si vuole esercitare occorre dare qualcosa in cambio - se vuoi vedere la partita allo stadio paga il prezzo del biglietto - bensì di diritti connessi alla persona, già “presenti” in lui in quanto persona, che vengono sequestrati dallo Stato e che potranno essere restituiti al legittimo proprietario a fronte dell’esibizione di una carta verde.


Torniamo al motto Arbeit macht frei. I nazisti lo avevano scelto per ricattare i deportati: lavora e forse uscirai vivo da qui. L’uomo, qualsiasi uomo, non fa nulla se non è animato da qualche speranza. Dunque, piegati al lavoro perché tu possa tornare libero. La coazione come strumento per promettere la libertà è stato strumento ideologico di molte utopie. Il comunismo predicava la liberazione dei lavoratori dal gioco dei padroni, ma, laddove fiorì, i lavoratori furono oppressi proprio dai governi comunisti che li vessavano con la promessa di un mondo migliore, dove finalmente sarebbero stati liberi.


Il canovaccio seguito durante la pandemia è stato il medesimo: sacrificati a stare chiuso in casa e ad abbassare la serranda del tuo negozio per qualche mese per tornare ad essere libero di uscire e di lavorare. Rinuncia a frequentare parenti e amici, a fare sport per un certo periodo per poi tornare ad abbracciare i primi e a frequentare palestre e piscine. Ora il refrain è simile: vaccinati, altrimenti dovremo chiudere nuovamente tutto. La moneta per acquistare la libertà è la rinuncia alla libertà. Un vero paradosso.


Questo tipo di allettamento sta durando da più di un anno e mezzo e durerà ancora a lungo. Il Green pass si rinnoverà con successive vaccinazioni, le varianti dalla epsilon all’omega ci terranno in scacco offrendo sempre nuovi motivi per chiedere rinunce e sacrifici. Si spera nella variante “piazza” che possa fermare questa giostra da cui non si riesce a scendere, ma, vedendo il numero di mascherati in giro per strada, il partito di quelli che credono nella veridicità del motto Arbeit macht frei è nettamente superiore a quello degli scettici.


Ci dovremo quindi tenere stretto questo nuovo lockdown a dimensione personale, non più indiscriminato, bensì applicabile solo a chi considera la libertà personale come una condizione fortemente connessa con la propria dignità, un concetto di libertà che si slega dall’esercizio di singole libertà concrete e che, per valore intrinseco, si libra luminosa sopra a queste. Una libertà così preziosa che si è disposti a sacrificare tutto per essa. Questo irriducibile non si piegherà al motto dragoniano “Vaccinati e sarai libero”. Però, dal punto di vista morale, anche costui dovrà sempre tenere in conto il principio di proporzione ed efficacia. Vogliamo dire che sarà obbligato moralmente a cedere - e quindi a tollerare questo torto di Stato - se il gioco non varrà più la candela, ad esempio se i rischi della sua scelta di non vaccinarsi ricadranno sul coniuge e i figli, qualora, per ipotesi, dovesse essere licenziato. In caso contrario la libertà diventerebbe essa stessa un’ideologia, perché considerata bene sommo, a cui, volutamente, si legherebbe con mani e piedi.


Tommaso Scandroglio

«Contro il Green Pass sospendo la proiezione dei miei film»

Federica Picchi, fondatrice della Dominus Production: «È una testimonianza per la libertà»

«Come distributore filmico, con l’introduzione del Green Pass ho deciso di sospendere tutte le proiezioni pubbliche perché non desidero neppure indirettamente contribuire ad un meccanismo di discriminazione della popolazione». A parlare è Federica Picchi, fondatrice della Dominus Production, casa di produzione e distribuzione cinematografica che ha portato nelle sale italiane Unplanned, struggente film sul tema dell’aborto.

«È una scelta che mi costa», spiega la Picchi a iFamNews, «Unplanned sta facendo il tutto esaurito, lunedì sera a Verona hanno dovuto organizzare altre due proiezioni oltre a quella già fissata per l’enorme mole di richieste». Ma da domani, venerdì 6 agosto, entrata in vigore dell’obbligo di Green Pass per accedere in alcuni luoghi tra cui i cinema, la Dominus Production sospenderà la distribuzione. La sua scelta è imprenditorialmente incomprensibile. Tuttavia, una battaglia per dei valori non è tale se non comporta rinunce. «Credo che in questa fase ognuno di noi debba dare un segnale, a costo di fare un sacrificio, perché il valore della libertà è troppo importante per essere derogato», osserva.

Molti ritengono che il Green Pass sia una misura necessaria ad abbassare la curva dei contagi…

La salute è un bene primario ed è giusto che lo Stato adotti misure per tutelarla. Però occorre domandarsi se il Green Pass rappresenti una misura utile a questo scopo.

La sua risposta è negativa?

Certamente. Faccio qualche esempio che dimostra i paradossi di questa normativa: per accedere a una sala cinematografica o persino a un cinema all’aperto bisognerà presentare il Green Pass, che invece non sarà necessario per entrare in luoghi al chiuso come i tribunali. E poi, bisognerà avere la certificazione verde per sedersi a un tavolino di un bar, ma non per consumare direttamente al bancone, all’interno della stessa sala. Per non parlare del fatto che i mezzi di trasporto continueranno a essere affollati. Il Green Pass mi pare dettato più da una scelta politica che sanitaria.

E a suo avviso qual è l’obiettivo politico?

I settori che saranno maggiormente colpiti sono quelli che riguardano la vita sociale, aggregativa, culturale: quella più cara ai giovani. L’obiettivo è dunque spingere i giovani a vaccinarsi, pena l’emarginazione sociale.

È una motivazione che contesta?

Alla luce di un’analisi tra costi e benefici, ho grosse perplessità sulla vaccinazione dei più giovani. Ritengo dunque che vada rispettata ogni scelta. Ma non voglio cedere alla contrapposizione tra “no vax” e “sì vax”, non è questo il punto. Quello che non accetto è che vengano utilizzati i cinema, i musei, i bar, i ristoranti e altri settori per perseguire uno scopo che non c’entra nulla con le attività che noi svolgiamo. È una politica che ci penalizza ancora una volta.

Quello cinematografico è un settore che ha sofferto in questi mesi…
Il nostro è stato uno dei settori più massacrati dalle politiche anti-CoVid-19. Siamo stati chiusi per un anno e mezzo, non ci hanno fatto aprire nemmeno dopo che ci avevano imposto dei protocolli sanitari molto rigidi. E ora chiedono agli esercenti persino di fare i controllori del Green Pass, come se fossero dei pubblici ufficiali. Eppure, più dei danni economici mi preoccupano gli effetti sociali.

Si spieghi meglio…

Se si accetta l’idea che lo Stato possa discriminare una parte di popolazione, per altro su basi tutt’altro che scientifiche, gli scenari sono sinistri. Il Green Pass o uno strumento analogo potrebbero sopravvivere alla fase emergenziale. Non trovo desiderabile un futuro di questo tipo, da regime totalitario.

Questa sua scelta la fa sentire sola?

Ho letto in questi giorni la bellissima testimonianza di Fabrizio Masucci, che si è dimesso dalla direzione del Museo Cappella Sansevero di Napoli in aperto dissenso con l’obbligo di Green Pass per accedere ai musei. Credo che non siamo poi così pochi. Non appena io ho annunciato la mia scelta, ho ricevuto una marea di messaggi di solidarietà. E poi la testimonianza dei singoli serve proprio a dare una scossa: magari altri imprenditori decideranno di seguire il mio esempio.

Fonte: ifamnews.com

di Federico Cenci



Nessun commento:

Posta un commento

Nota. Solo i membri di questo blog possono postare un commento.