ACTA APOSTATICAE SEDIS : come, cambiando un po' qua e un po' la, si può cambiare tutto...

sabato 19 marzo 2011

topi in trappola?

sabato 19 marzo 2011

la trappola della “continuità”...


Joseph Ratzinger ha dichiarato riguardo alle divergenze avute nel post-concilio con Küng e Rhaner: «Non sono cambiato io, sono cambiati loro» (V. Messori - J. Ratzinger, Rapporto sulla Fede,Cinisello Balsamo, San Paolo, 1985, p. 15).
Giovanni Miccoli conferma: «Più volte [Ratzinger] ha insistito sullasostanziale continuità del suo pensiero teologico» (G. Miccoli, In difesa della Fede. La Chiesa di Giovanni Paolo II e Benedetto XVI,Milano, Rizzoli, 2007, p. 296).









L’«arte» di Paolo VI
Paolo VI denunciò «una falsa e abusiva interpretazione del Concilio, che vorrebbe una rottura con la Tradizione, anche dottrinale, giungendo al ripudio della Chiesa pre-conciliare, e alla licenza di concepire una Chiesa “nuova”, quasi “reinventata” dall’interno, nella costituzione, nel dogma, nel costume, nel diritto» (Dichiarazione conciliare del 6 marzo 1964, ripetuta il 16 novembre 1964). Sempre Paolo VI, nel settembre-ottobre del 1964, durante il periodo “nero” – come lo chiamano i novatori – in cui l’offensiva del Coetus Internationalis Patrum e dei cardinali antimodernisti della Curia romana si fece sentire più fortemente, disse che la “collegialità” doveva essere letta “in connessione con il Concilio Vaticano I” (il quale invece è l’apoteosi del Primato monarchico del Papa e dunque l’esatto opposto della collegialità episcopale), del quale il Vaticano II sarebbe la continuazione logica[1]. Inoltre Paolo VI, in quest’ottica della “continuità”, il 18 novembre 1965 informò il Concilio che «sarebbe stata introdotta la causa di beatificazione di Pio XII e Giovanni XXIII»[2] definiti entrambi “eccelsi e piissimi e a noi carissimi”.

Il giorno 10 marzo ricorre l’anniversario della morte di mons. Francesco Spadafora. Raccomandiamo l’anima di questo intrepido difensore della Santa Madre Chiesa alle preghiere dei nostri associati.

Jan Grooaters ci spiega che «una delle maggiori preoccupazioni» di Montini (ancor arcivescovo di Milano, ma prossimo all’elezione pontificia) «fu la preparazione dei fedeli, ma soprattutto dei preti, alla ricezione del Concilio: più di altri, egli aveva già allora compreso che il destino del Vaticano II si sarebbe giocato negli sviluppi post-conciliari»[3]. Divenuto Papa, una delle ipoteche di cui «avvertiva il peso con particolare acutezza era rappresentata dalla necessità di riformare la Curia romana, di convertirla in qualche modo al Concilio, ma nello stesso tempo di rassicurarla… […]. Gli toccò a volte svolgere un compito di sentinella, tenendo, in alcune circostanze, rapporti più stretti con l’opinione pubblica della Chiesa che con il Concilio e la Curia mostrandosi più unito alle “retrovie” che alla “prima linea” dove si svolgeva la battaglia per assicurare il più possibile la continuità richiesta dal post-concilio. […]. Prevedendo le future cause di tensione, Paolo VI volle dare all’attuazione del rinnovamento un ritmo per quanto possibile uniforme, esortando i ritardatari ad affrettare il passo emoderando l’impazienza di chi voleva troppo precorre i tempi. […] il Papa appariva preoccupato di fare qualche concessione alla corrente minoritaria [cioè agli anti-modernisti], per ottenere nella votazione finale un risultato il più possibile vicino all’ unanimità morale. […]. All’inizio del quarto ed ultimo periodo del Concilio (settembre del 1965), si avvertì che l’azione del Papa aveva assunto un carattere più direttivo, parallelamente all’indebolirsi della leadership della corrente maggioritaria [cioè dei modernisti]. Si disse allora che “gli eroi erano stanchi” e che i vescovi desideravano tornarsene a casa. […]. Si deve a Paolo VI il merito […] di aver agito in senso “più progressista” di quanto facesse la maggioranza dei vescovi dell’assemblea conciliare. […] bisogna riconoscere che uno dei meriti principali di Paolo VI nei confronti del Vaticano II consistette nel preparare le condizioni per una sua attuazione che si prolungasse nel tempo e che fosse quindi conciliabile con il contesto e gli usi di tutta la Chiesa. In conclusione, Paolo VI sembra che abbia soprattutto cercato di tradurre l’evento conciliare in istituzioni»[4]. Papa Montini nel Discorso al Sacro Collegio dei Cardinali del 23 giugno 1972denunciò ancora una volta una falsa interpretazione del Concilio, che avrebbe voluto una rottura con la Tradizione.

Giovanni Paolo II sulla scia di Paolo VI
Un anno dopo la sua elezione, nel suo viaggio in Messico compiuto a cavallo tra il gennaio e il febbraio del 1979, durante la Conferenza dell’Episcopato Latino-Americano a Puebla Giovanni Paolo II parlò del Concilio nell’omelia tenuta il 26 gennaio nella cattedrale di Città del Messico. Papa Wojtyla sottolineò l’importanza di studiare i Documenti del Concilio Vaticano II, affermando che in essi non si trova «come pretendono alcuni una “nuova Chiesa”, diversa od opposta alla “vecchia Chiesa”. […]. Non sarebbero fedeli, in questo senso, coloro che rimanessero troppo attaccati ad aspetti accidentali della Chiesa, validi nel passato ma oggi superati. Così come non sarebbero neppure fedeli coloro che, in nome di un profetismo poco illuminato, si gettassero nell’avventurosa e utopica costruzione di una “nuova Chiesa” cosiddetta “del futuro”, disincarnata da quella presente»[5].
Nella sua visita pastorale in Belgio il 18 maggio 1985 Giovanni Paolo II denunciò che alcuni il Concilio «lo hanno studiato male, male interpretato, male applicato», causando «qua o là scompiglio, divisioni»[6] e nel Sinodo Straordinario del novembre-dicembre 1985 affermò: «Il Concilio deve esserecompreso in continuità con la grande Tradizione della Chiesa […]. La Chiesa è la medesima in tutti i Concili (Ecclesia ipsa et eadem est in omnibus Conciliis[7].
Nel libro-intervista con Vittorio Messori Varcare le soglie della speranza del 1994 (Milano, Mondadori) a pagina 171 Giovanni Paolo II afferma che occorre «parlare del Concilio, per interpretarlo in modo adeguato e difenderlo dalle interpretazioni tendenziose». Durante il Giubileo del 2000 ritorna sul tema e precisa la necessità di superare «interpretazioni prevenute e parziali che hanno impedito di esprimere al meglio la novità [sic] del magistero conciliare»[8]. Infine spiega che «l’ insegnamento del Vaticano II, deve essere inserito organicamente nell’ intero Deposito della Fede, e quindi integrato con l’insegnamento di tutti i precedenti Concili e Insegnamenti pontifici»[9].
In breve, Giovanni Paolo II manifesta la stessa preoccupazione di “convertire al Concilio” e al tempo stesso di “rassicurare” i cattolici sulle novità del Concilio che era stata già di Paolo VI.

Ratzinger: “Non sono cambiato io
Come si vede, “l’ermeneutica della continuità” è vecchia come il Concilio, al quale il giovane teologo Joseph Ratzinger partecipò in qualità di perito del card. Frings con spirito del tutto innovatore. Basti pensare che collaborò alla stesura del discorso di Frings su ‘le fonti della Rivelazione’, nel quale il cardinale di Colonia sostenne la teoria dell’unica fonte[10] (il Sola Scriptura di Lutero) contro lo schema approntato dalla “Commissione preparatoria”, che, riprendendo le definizioni dogmatiche, irreformabili e infallibili, di Trento (sess. IV, DB 783) e del Vaticano I (DB 1787), riaffermava la dottrina tradizionale sulle due Fonti della Rivelazione.
Anche per ‘la collegialità episcopale’ – scrive Alberigo – «efficacissimo fu l’intervento del card. Frings,per il quale è legittimo supporre il contributo del suo teologo Ratzinger. Si trattò forse del discorso più incisivo dal punto di vista critico, giacché demoliva lo schema della Commissione preparatoria»[11]. Storico è lo scontro (8 novembre 1963) che ebbe Frings con Ottaviani sulla “collegialità”, e che indurrà «Paolo VI a chiedere a Jedin, Ratzinger e ad Onclin alcuni pareri sulla riforma della Curia»[12].
Ora, Ratzinger ha dichiarato, e ci ha avvertito, riguardo alle divergenze avute nel post-concilio con Küng e Rhaner: «Non sono cambiato io, sono cambiati loro»[13] e il professor Miccoli precisa: «più volte [Ratzinger] ha insistito sulla sostanziale continuità del suo pensiero teologico»[14]. Quindi non vi è cambiamento sostanziale di rotta tra Ratzinger giovane perito conciliare e Ratzinger anziano Prelato di Curia e Pontefice: la collegialità, un’unica fonte della Rivelazione, il giudeo-cristianesimo, la “libertà” delle false religioni fanno ancora parte del pensiero teologico di Benedetto XVI[15]. Perciò non deve meravigliare la sua affermazione sull’impiego dei profilattici, quale inizio della “moralità” dell’atto sessuale con “prostituti”, anche se il loro uso (senza parlare dell’ omosessualità, che è un peccato contro natura) non è ammesso dalla Chiesa (Luce del mondo, Città del Vaticano, LEV, 2010).



[1] G. Alberigo, Breve storia del Concilio Vaticano II, Bologna, Il Mulino, 2005, p. 128.
[2] G. Alberigo, op. cit., p. 148.
[3] J. Groaters, I protagonisti del Concilio Vaticano II, Cinisello Balsamo, San Paolo 1994, p. 55.
[4] Ivi pp, 57-65..
[5] Insegnamenti di Giovanni Paolo II, II, 1979, (gennaio-giugno), Città del Vaticano, LEV, p. 151.
[6] “Discorso all’episcopato belga”, 18 maggio 1985, in “Il Regno Documenti”, Bologna, Edizioni Dehoniane, XXX, 1985, p. 328.
[7] Sinodo Straordinario Ecclesia sub verbo Dei mysteria Christi celebrans pro salute mundi, Relatio finalis, in “Enchiridion Vaticanum”, Bologna, Ed. Dehoniane, 9, 1983-1985, nr. 1785, p. 1745.
[8] “Il Regno Documenti”, Bologna, Ed. Dehoniane, XLV, 2000, p. 232.
[9] “Sinodo dell’Arcidiocesi di Cracovia del 1972”, citato in G. Miccoli, In difesa della Fede. La Chiesa di Giovanni Paolo II e Benedetto XVI, Milano, Rizzoli, 2007, p. 25. Sul Sinodo di Cracovia del 1972 cfr. B. Lecomte, Giovanni Paolo II, Roma, La Biblioteca della Repubblica, 2005, pp. 207 ss. e G. Weigel,Testimone della speranza. La vita di Giovanni Paolo II, Milano, Mondatori, 2005, pp. 252 ss.
[10] A. S., vol. I, cap. 3, pp. 34-35 e 139.
[11] G. Alberigo (diretta da), Storia del Concilio Vaticano IILa formazione della coscienza conciliare, ottobre 1962-settembre 1963, Bologna, Il Mulino, 1996, vol. II, p. 361.
[12] H. Jedin, Storia della mia vita, Brescia, 1987, pp. 314-315; J. Ratzinger, Das Konzil auf dem Weg.Rückblick auf die zweite Sitzungperiode, Köln, 1963-66 (tr. it., 1965-67), 4 voll., pp. 9-12.
[13] V. Messori- J. Ratzinger, Rapporto sulla Fede, Cinisello Balsamo, San Paolo, 1985, p. 15.
[14] G. Miccoli, cit., p. 296.
[15] Cfr. Bernard Tissier de Mallerais, L’étrange théologie de Benoit XVI. Herméneutique de continuité ou rupture?, Avrillé, Le Sel de la terre, 2010.

domenica 13 marzo 2011

Romano il Miope

Liturgia in continua evoluzione? Nuovo 'attacco' alla Tradizione da parte dell'Osservatore Romano


Parto da una premessa per nulla estranea all'argomento presentato nel titolo, che sviluppo nell'esposizione successiva.
Premessa
Stiamo assistendo a grandi mutamenti anche nell'architettura sacra, emblema dell'iconoclastia del Sacro della nostra epoca. Il nostro Osservatorio sul Cammino neocatecumenale ci spinge a tornare sulla liturgia e sulla trasformazione delle chiese insieme allo stravolgimento degli spazi sacri per mezzo della "nuova estetica" kikiana. Si può facilmente constatare dalle foto facilmente reperibili di tante chiese fondate dal CN, come lungo l'asse principale della navata siano disposte in linea retta: il fonte (un pozza) battesimale, l'altare, l'ambone e da ultimo la sede presidenziale.
Questa disposizione non è casuale o semplicemente estetica, ma risponde ad un preciso criterio simbolico dell’iniziatore, atto a creare un forte senso conviviale per mezzo delle eucaristie neocatecumenali. Secondo lui, la chiesa-parrocchia (in sostanza, la Comunità NC che dovrà inesorabilmente sostituirvisi) è vista come una donna partoriente: l'altare rappresenta la pancia della donna; sulla mensa eucaristica, infatti, si svolge la «santa cena» e non si ripresenta al Padre, in modo incruento, l’offerta del sacrificio di Gesù, morto per la nostra salvezza ma ci si nutre del Suo Corpo e il Suo Sangue con riferimento alla Pasqua ebraica piuttosto che all’ultima Cena. L'ambone rappresenta la bocca della donna (dall'ambone infatti si proclama la parola del Signore); infine c’è la sede presidenziale che rappresenta la testa della donna. Il fonte battesimale è l’utero. Il presbitero è il semplice presidente dell'assemblea celebrante, una sorta di primus inter pares il cui carisma è quello semplicemente di ministro del culto. Viene a mancare la figura tradizionale dell’Alter Christus. Il sacerdote non presenzia più in vece di Cristo, ma simboleggia il Cristo, mentre il sacerdozio comune dei fedeli sostituisce, diluendolo sempre più, quello ministeriale. Se a qualcuno potesse venire in mente che "la donna" rappresenti Maria Mater Ecclesiae, se lo tolga subito dalla mente, perché essa rappresenta "la comunità", una sorta di ipostatizzazione di nuovo conio nella Chiesa di Cristo.

Tradizione negata e ulteriormente attaccata
Tutti questi elementi, estranei ad un autentico culto cattolico, trovano tuttavia delle assonanze nelle sperimentazioni favorite dal leitmotiv dell'ala progressista della Chiesa: "una costante preoccupazione della grande Tradizione cristiana: trasmettere fedelmente il nucleo della fede, aggiornando le sue forme celebrative per renderle comprensibili e significative nella vita della gente di ogni epoca."

Ho tratto queste parole da un articolo apparso sull'Osservatore Romano di questi giorni su un recente convegno svoltosi a Roma [vedi testo integrale], che risulta un condensato del pensiero dominante dell'ideologia vaticanosecondista in fatto di architettura e liturgia. I contenuti, peraltro fumosi e fortemente inneggianti all'innovazione sempre all'insegna dello spirito-del-concilio, ci sconcertano e ci allarmano non poco, visto il fatto che recentemente anche il Cardinal Canizares ha dichiarato che la "riforma della riforma" - che pare definitivamente abbandonata per lasciare il posto al "nuovo movimento liturgico" che viene "dal basso" [ne abbiamo già parlato qui] - significherebbe il recupero di una piena aderenza e "completamento" del dettato conciliare in tema di liturgia, ripreso proprio dall'Osservatore Romano. Eccone alcuni brani:
L'alto medioevo ci insegna che l'evoluzione del rito avviene stando dentro la storia
Storia del cristianesimo e liturgia; continuità e trasformazione nella liturgia; primi secoli fra tradizione e innovazione sono le tre tematiche che hanno attraversato e riassunto il convegno "Liturgie e culture tra l'età di Gregorio Magno e Leone III. Aspetti rituali, ecclesiologici e istituzionali" che si è svolto il 24 e 25 febbraio all'Università Europea di Roma. Pubblichiamo le conclusioni del vicedirettore del nostro giornale.

[...] Ma la liturgia è questione di vita o di morte per la Chiesa che, se non riesce a portarvi i fedeli e in modo che siano essi stessi a compierla, ha fallito il suo compito ed ha perso il suo diritto ad esistere.
[...]
Sarebbe importante una stagione nuova di entusiasmo e di sforzi da parte dei liturgisti convinti della bontà della riforma conciliare per comunicare meglio natura e senso della riforma stessa e allargare una cosciente e attiva partecipazione all'eucaristia e agli altri sacramenti. Spiegare la flessibilità già contenuta nel Messale romano approvato e l'importanza di una completa ricezione dell'ecclesiologia del Vaticano II e della Dei Verbum per sintonizzarsi seriamente con la liturgia della Chiesa. Nell'età della comunicazione multimediale e digitale l'afasia liturgica è un controsenso e una zavorra per la credibilità dell'annuncio cristiano.
[…]
La Chiesa ha bisogno ancora di tanti che si dedichino con passione alla liturgia e che sappiano mettere al centro della storia e del significato della vita la ricerca di Dio, come don Luigi Della Torre (1930-1996), un grande liturgista e pastore della diocesi del Papa. È stato uno di quei preti felici della propria vocazione e perciò liberi di spirito che meglio hanno tradotto in Italia la riforma liturgica conciliare in una nuova vita ecclesiale. Egli può suggerire un metodo e un percorso pastorale concreto. Era convinto che la liturgia proposta nella Sacrosanctum concilium fosse il catechismo per eccellenza di una buona vita cristiana perché la preghiera della Chiesa adegua la mente e il cuore dei fedeli alla Parola di Dio e spinge chi nel nostro tempo vi partecipa con sincerità, all'imitazione di Cristo.
Bene, un accenno al background di Don Luigi Della Torre, cui si riferisce Di Cicco:
“…soprattutto negli anni del dopoconcilio in cui era statu nascenti, il Cammino neocatecumenale attrasse esponenti di rilievo del rinnovamento liturgico e della cultura cattolica progressista. Fra questi simpatizzanti della prima ora vi fu don Luigi Della Torre, valente liturgista, parroco a Roma della chiesa della Natività in via Gallia, vicino al pensatore cattolico comunista Franco Rodano. La chiesa della Natività, col successivo parroco, ebbe rivoluzionata l´architettura del suo interno in conformità ai dettami di Kiko.”
Fonte: http://www.chiesa.espressonline.it/dettaglio.jsp?id=765
Non mi soffermo sui singoli brani riportati, che trovano risposta nelle riflessioni che seguono, ma non posso non estrarre il termine “afasia”, che mi ha colpito come uno schiaffo (nella trascrizione sopra l’ho contrassegnato in grassetto). Se si è costretti a constatare un’“afasia liturgica”, si ha la prova evidente che in quella liturgia manca una Presenza, quella della Parola Viva, che parla e crea contemporaneamente, cioè nostro Signore in Corpo Sangue Anima e Divinità, il vero Protagonista della celebrazione. E aggiungo una chiosa:

L'articolo è pieno di tante belle parole, alcune anche auspicabili; ma se la Liturgia Eucaristica scaturita dal Concilio Vaticano II (è poi così vero leggendo meglio la Sacrosanctum concilium?) è il più evidente frutto della 'nuova Pentecoste':
  • non ci sfiora nessun dubbio, visti i risultati?
  • è necessaria soltanto un'azione apologetica da parte dei liturgisti o non anche un recupero di sana dottrina negli insegnamenti rivolti ai fedeli e nelle loro espressioni cultuali?
  • se le fughe in avanti sono state minoritarie perché ancora si attendono nuove espressioni attraverso il “nuovo movimento liturgico”?
  • se la salus animarum sosteneva e spingeva il Consilium, può esser solo frutto della generale scristianizzazione il fatto che dal 1970 almeno il 50% dei praticanti ha lasciato la Chiesa nella pratica e nelle convinzioni?
  • è proprio così ininfluente il modo di porsi della preghiera ufficiale della Chiesa?
  • è proprio così ininfluente la ecclesiologia proposta, direi in maniera subliminale, dalla Liturgica Riforma?
  • Riforma? Non ci ricorda qualcosa?
Riporto la riflessione - risale al 2007, ma rimane attualissima - di un nostro interlocutore col quale siamo entrati in dialogo autentico e che ora è ‘fuori’ dal cammino nc:
“Perché nel cuore e nella mente della gente c'è questo bisogno di “platealità”, cioè rendere una Liturgia accattivante? La risposta, credo, sta nel fatto che il materialismo ha comunque talmente permeato la nostra vita, che si è perso completamente il senso del Mistero sacro. Non si va ad una Liturgia perché è un avvenimento che interessa i piani spirituali e che quindi ci proietta nell'Assemblea Celeste, ma ciò che conta è la forma; una forma che deve essere piacevole e può esserlo solo se il cerimoniale viene adattato ai nostri gusti.
Tanto per restare in tema-blog, è chiaro che le celebrazioni nell'ambito del CN incorporano molto di questo bisogno che l'uomo ha di adattare la Liturgia ai propri gusti, introducendo segni e modi di comportamento nuovi. Non voglio con questo alimentare nuove polemiche, ma mi sembra che anche il dire “riscopriamo le origini” sia come congelare l'azione del Signore nella storia appunto alle origini.
Infatti o consideriamo che il Signore interviene nella storia soprattutto attraverso la Liturgia e che pertanto è lo Spirito Santo a guidare i cambiamenti attraverso i secoli illuminando la Chiesa (intesa in questo caso necessariamente come Papa, Cardinali e Vescovi ed ai quali si deve obbedienza). Il resto è inventiva personale, forse anche buona ma siamo nel campo della discrezionalità del singolo individuo.”
Siamo stati sempre consapevoli, e lo abbiamo ripetutamente sostenuto, che proprio il clima conciliare ha favorito la proliferazione del cammino nc, mentre l'attuale cultura egemone modernista ne ha favorito un'approvazione a dir poco anomala. Un'anomalia che sta contribuendo non poco all'inquinamento della nostra Chiesa.

Prima del Concilio c'era una visione teocentrica della vita, della religione, del mondo. Dal Vaticano II, la visione è diventata antropocentrica. “Cosa serve all'uomo?”, al posto di che culto dare a Dio?” in cui c'è tutto ciò di cui ha bisogno l'uomo in Dio.

Stiamo parlando della Chiesa 'visibile', peraltro non di tutta. Diciamo che parliamo della Chiesa che ha preso in mano un potere che governa impropriamente con la 'pastorale', cioè con la prassi (distorta) anziché con una dottrina definitoria e in continuità con la Tradizione. Quella parte di Chiesa, che dobbiamo riconoscere nostro malgrado mutata, NON PUO' essere LA CHIESA, ma una sua contraffazione.

A questo punto non ho risposte, se non affidar tutto al Signore e custodire la Fede, cercando di diffonderla finché posso. Infatti non dò per scontato che la 'mutazione' di cui è stata oggetto la Chiesa, per il fatto che al momento appare vincente e maggioritaria, è la parte da cui stare. La Verità non sta nel consenso dei più e, solo scegliendo secondo coscienza, scegliamo secondo Verità. Se scegliessimo secondo la moda del tempo, lo faremmo a nostro rischio e pericolo... E’ per questo che, per quanto mi riguarda, ho rinunciato da un pezzo, e realisticamente, a riporre speranze in questa 'pastorale' apostata che ha potuto ritenere ammissibile quella che non è altro che una pseudo-rivelazione non apostolica. Non posso che prenderne atto; ma non potrò mai aderirvi né in coscienza né in spirito e verità...

E tuttavia a questo punto mi preme puntualizzare la sempre maggiore evidenza delle due (e forse più, purtroppo) anime riconoscibili nella Chiesa visibile del nostro tempo, nella quale è ormai difficile orientarsi e districarsi dal garbuglio di innovazioni e mistificazioni spacciate per spirito conciliare, che la cultura egemone sta continuando a tessere e portare avanti, tentando di delegittimare qualunque voce cerchi di 'mostrare' le Verità cattoliche senza travestimenti né modernisti né da cosiddetta 'nuova pentecoste'.

E mi preme anche sottolineare come queste diverse anime si siano di fatto alleate coniando la vulgata di un tanto fantomatico quanto improbabile “protestantesimo Tradizionalista” ponendosi come “conservatori”... del Concilio! Infatti i conservatori di oggi sono coloro che intendono conservare il cosiddetto spirito del concilio facendo di esso - che ha messo in un angolo i Dogmi assoggettandoli ad una assurda evoluzione - un intoccabile nuovo "superdogma"...

Osservo che il termine “conservatore" non si addice alla Tradizione, che 'conserva' nel senso che 'custodisce', il "Depositum Fidei" Apostolico; ma nello stesso tempo non conserva alcun tipo di fissismo, che non le si addice in quanto essa è VIVA nel senso, insegnato da mons. Gherardini, della “continuità evolutiva”, che esclude tutti quei criteri immanentistici che si sono imposti, dall’Illuminismo ad oggi, sia alla filosofia che alla teologia. Gli Apostoli ci hanno lasciato quanto da Cristo avevano ricevuto ratione ecclesiae, non i carismi personali ma le verità riguardanti la Fede e la Chiesa. So di averlo già detto, ma repetita iuvant.

I Padri la chiamano Traditio Dominica o Traditio Apostolica “lo Spirito Santo vi ricorderà tutte le cose che vi ho insegnato io” (Gv 14, 26). L’insufflatio dello Spirito [Presente nella Chiesa: dove c'è il Figlio, c'è anche il Padre e lo Spirito Santo] non ha per oggetto una o più, ma “quaecumque dixero vobis”: tutte le cose, acquisizioni sempre più approfondite, nova et vetera (Gv 16,13).

venerdì 4 marzo 2011

deicidio o suicidio dottrinale?

San Tommaso d’Aquino, il Dottore Comune della Chiesa, insegna che “i giudei peccarono, non solo uccidendo Cristo come uomo, ma anche come crocifissori di Dio” (S. Th., III, q. 47, a. 5)... La Chiesa, modernista, insegna esattamente il contrario...

 Anime devote [...] mettiamoci spesso dinanzi agli occhi, particolarmente nei giorni di venerdì, Gesù moribondo sulla croce; e fermiamoci ivi con tenerezza a contemplare per qualche tempo i suoi dolori e l'affetto che aveva per noi, mentre stava agonizzando su quel letto di dolore. [...] Oh che dolce riposo trovano le anime amanti di Dio nei tumulti di questo mondo e nelle tentazioni dell'inferno ed anche nei timori dei divini giudizi, nel contemplare da solo a solo in silenzio il nostro amoroso Redentore, mentre egli agonizzava sulla croce e il suo divin sangue gocciolava da tutte le sue membra ferite già ed aperte dai flagelli, dalle spine e dai chiodi! Oh come nel pensare a Gesù crocifisso si allontanano dalle nostre menti tutti i desideri di onori mondani, di ricchezze di terra e di piaceri di senso! Allora spira da quella croce un'aura celeste, che dolcemente ci distacca dagli oggetti terreni ed accende in noi una santa brama di patire e morire per amor di colui, che volle tanto patire e morire per amor nostro. E come è possibile che non accenderà l'affetto di tutti i cuori, un Dio che muore in un mare di disprezzi e di dolori per amor delle sue creature? Come poi queste creature possono amare altra cosa all'infuori di Dio? come pensare ad altro che ad esser grate a questo loro così amante benefattore? [...] Ah che così han fatto già tanti santi e tanti martiri che han lasciato tutto per Gesù Cristo. O vergogna nostra! Ma come è possibile che a molti Cristiani fa tanto poca impressione la Passione di Gesù Cristo? Ciò avviene, perché poco si fermano a considerare quanto patì Gesù Cristo per nostro amore.

(Brano tratto dagli scritti di Sant'Alfonso Maria de Liguori)

1. - 1224 – Papa Innocenzo IV all’Illustre Re di Francia (Luigi IX)

 Altre BOLLE PONTIFICIE SUL GIUDAISMO...
IMPIA JUDAEORUM PERFIDIAL’empia perfidia dei Giudei – dal cui cuore il nostro Redentore non tolse il velame a causa dell’immensità dei loro delitti ed anzi permise che sino ad oggi rimanessero nella cecità che ancora compenetra Israel -, commette enormi misfatti, causa di sconcerto e di orrore in chi li ascolta e in chi li riferisce, e non considera che solo per compassione la pietà cristiana li accoglie e sopporta la loro coabitazione. I Giudei, infatti, ingrati verso Nostro Signor Gesù Cristo che attende la loro conversione con la sua paziente indulgenza, trascurando e disprezzando la Legge Mosaica e i Profeti, seguono certe tradizioni dei loro antenati e non mostrano nessuna vergogna della loro colpa né rispetto verso la Fede Cristiana. Per questo il Signore nel Vangelo li rimprovera dicendo: In tal modo voi trasgredite il comando del Signore e lo avete reso vano a causa delle vostre tradizionali che insegnano le dottrine ed i comandi degli uomini.
§ 1. I Giudei, infatti, istruiscono e nutrono i loro figli con queste tradizioni( che in lingua ebraica sono dette Talmud, che per i Giudei è il sommo libro), Questo Talmud si allontana straordinariamente dal testo della Bibbia e vi si trovano espresse bestemmie verso Dio, verso Cristo e verso la Beata Vergine: storie incomprensibili, erronei abusi e inaudite sciocchezze. In questo modo essi rendono i loro figli del tutto estranei alle leggi e alle dottrine dei Profeti, per il timore che si convertano alla Fede e ritornino umilmente al loro Redentore, dopo aver conosciuto la verità insita in quelle leggi e nei Profeti, che chiaramente dà testimonianza che il Figlio Unigenito di Dio si incarnerà.
§ 2. Non ancora soddisfatti, a disprezzo della Fede cristiana, prendono nutricicristiane per i loro figli e con queste donne commettono molti azioni turpi. Perciò i fedeli devono temere di incorrere nello sdegno divino, fino a quando sopportano che costoro compiano indegnamente atti che generano turbamento alla nostra Fede.
§ 3. A buon diritto il nostro diletto figlio Cancelliere di Parigi ed i Dottori Reggenti in Parigi(in sacra pagina) su mandato di Papa Gregorio di felice memoria, Nostro predecessore, hanno bruciato pubblicamente al cospetto del clero e del popolo,sia il suddetto libro degli abusi,sia altri libri con tutte le loro glosse, dopo averli integralmente letti ed esaminati nell’esercizio della loro podestà. Dalle loro lettere abbiamo visto che Tu,come Re cattolico e Principe cristianissimo,hai fornito l’aiuto conveniente e accordato la Tua approvazione: per questo, con degne lodi al Signore raccomandiamo la regale eccellenza e La accompagniamo con azioni di grazia.
§ 4. Poiché tuttavia il sacrilegio abuso di questi Giudei non si è ancora placato né,finora, il tormento ha dato loro capacità di comprensione, Noi Ti preghiamo,o Altezza reale, e Ti supplichiamo nel nome di Nostro Signore Gesù Cristo, che proseguendo lodevolmente quanto con pietà hai già iniziato tu faccia in modo che siano annientati con la dovuta severità coloro che hanno commesso trasgressioni cosi detestabili ed enormi a offesa del Creatore ed a ingiuria del nome Cristiano. E ancora, Ti preghiamo e supplichiamo che Tu comandi che col fuoco vengano ridotti in cenere in tutto il tuo regno,ovunque si siano potuti trovare, sia i libri predetti degli abusi con le loro glosse sia in generale tutti quelli che i medesimi dottori hanno letto e condannato.
§ 5. Proibiamo inoltre fermamente ai Giudei di avere nutrici e servi Cristiani, affinché i figli di donna libera non siano a servizio dei figli di una serva ma che, come servi respinti dal Signore, alla cui morte cospirarono in modo indegno, e si riconoscano,almeno per questo fatto, servi di coloro che la morte di Cristo ha reso liberi mentre hai reso loro schiavi: potremo cosi con lodi al Signore raccomandare lo zelo della Tua sincerità.


Dato in Laterano il 9 Maggio. Anno primo del Nostro Pontificato, 1243.


Veniamo ora ai tempi dei Pontefici di oggi...



Dal Concilio Vaticano II in poi, grazie alla dichiarazione " Nostra Aetate " c'è stato un cambio di rotta dottrinale che ha portato un nuovo rapporto, di dialogo, con il mondo ebraico, ora questo documento è in linea con la dottrina Cattolica professata per 1958 anni? Assolutamente no, difatti il suddetto documento conciliare sopracitato ha un origine che definire luciferina e dire un eufemismo:
È storicamente accertato che la “Nostra aetate” fu preparata da Jules Isaac, ebreo ateo filo-comunista, con l’aiuto del Bené Berìth (la massoneria giudaica) di cui era membro (come ha dichiarato, il 16 novembre 1991, in occasione della premiazione del card. Decourtray, Marc Aron, presidente del “B.B.” francese) e dal card. Agostino Bea coadiuvato da p. Paul Démann, ebreo “convertito” e da p. Jean de Menasce (idem). L’accordo tra Jules Isaac e papa Roncalli fu organizzato dal “B.B.” e da alcuni politici social-comunisti (J. Madiran, “Itineraires” III, settembre 1990, p. 3, nota 2). Un altro artefice di “Nostra aetate” fu Nahum Goldman, presidente del “Congresso Mondiale Ebraico”, che preparò anche la bozza di “Dignitatis humanae” sulla libertà religiosa. I documenti furono presentati dal Goldman assieme a Label Katz (anche lui del “B.B.”) a nome della “Conferenza Mondiale delle Organizzazioni Ebraiche”. Quindi “Nostra aetate” e “Dignitatis humanae” sono state preparate, materialmente, dalla massoneria ebraica. Dulcis in fundo, il rabbino Abraham Heschel, collaborò intensamente con Bea e compagni alla elaborazione di “Nostra aetate”. Tutto ciò è stato svelato dall’israelita Lazare Landau (“Tribune Juive”, n° 903, gennaio 1986 e n° 1001, dicembre 1987), che scrive: “nell’inverno del 1962, i dirigenti ebrei ricevevano in segreto, nel sottosuolo della sinagoga di Strasburgo, p. Yves Congar, incaricato da Bea e Roncalli di chiederci, ciò che ci aspettavamo dalla Chiesa, alla vigilia del concilio (…). La nostra completa riabilitazione, fu la risposta”(j. madiran, “Itineraires”, autunno 1990, III, pp.1-2).
(Don Curzio Nitoglia)
Vedere anche: 

Sant'Agostino e San Giovanni Crisostomo, contro gli Ebrei, dottrina che il Concilio Vaticano II ha abbandonato attraverso il documento "Nostra Aetate"...

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“L’ECUMENISMO”: CONCILIAZIONE TRA “CRISTO E BELIAR”?

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VATICANO II UNA SOVVERSIONE RIUSCITA del sac. dott. Luigi Villa ...

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Recentemente un articolo di Damian Thompson, propone alcuni stralci dell'ultimo libro dell'attuale pontefice, Benedetto XVI, che noi abbiamo tradotto:

 I Giudei non sono responsabili della morte di Gesù Cristo, dice il Papa.                   
 (di Damian Thompson)



Papa Benedetto XVI ha dichiarato esplicitamente che il popolo ebraico non era – e quindi “non è” – responsabile della morte di Gesù. Il significativo estratto del suo libro “Gesù di Nazareth”: La Settimana Santa, è stato diffuso oggi.

Ovviamente, sarebbe stato estremamente sorprendente se il Papa avesse accennato ai giudei colpevoli della morte del Salvatore, che per molti secoli è stato l’elemento fondante dell’anti-Semitismo. Ma qui, per la cronaca, c’è il fulcro dell’argomento di Benedetto. Quando il Vangelo di Giovanni parla de “i Giudei” – egli afferma – non si riferiva ai Giudei in quanto tali, ma all’ “Aristocrazia del Tempio”.


Ora dobbiamo chiederci: chi erano, esattamente, gli accusatori di Gesù? Chi ha insistito affinché Egli fosse condannato a morte?  Dobbiamo prendere atto delle diverse risposte che i Vangeli danno alla questione. Secondo Giovanni erano semplicemente “i giudei”. Ma l’uso in Giovanni di questa espressione non è in alcun modo indicativa – come il lettore moderno potrebbe supporre – del popolo di Israele in generale, né tantomeno ha un carattere “razzista”.  Dopotutto lo stesso Giovanni era un Ebreo, come lo erano Gesù e tutti i suoi seguaci. L’intera comunità paleocristiana era formata da ebrei. Nel Vangelo di Giovanni questa parola ha un significato preciso, chiaro e definito: egli si riferisce all’Aristocrazia del Tempio. Perciò il cerchio degli accusatori, che fomentarono la morte di Gesù, è precisamente indicato nel Quarto Vangelo e chiaramente ristretto: è l’Aristocrazia del Tempio – e non senza alcune eccezioni, come mostra il riferimento a Nicodemo (Gv 7,50-52).


Ed ecco la spiegazione del Papa, circa il dibattuto passaggio del Vangelo di Matteo, in cui i Giudei dicono: “Il Suo Sangue ricada su di noi e sui nostri figli”, Benedetto scrive:


“Quando in Matteo il “popolo intero” dice “Il Suo Sangue ricada su di noi e sui nostri figli” (Gv 27, 25), il Cristiano ricorderà che il Sangue di Gesù parla un linguaggio diverso dal sangue di Abele (Ebr 12, 24): Esso non invoca vendetta o punizione, ma porta riconciliazione. Esso non viene versato contro nessuno: Esso è versato per molti, per tutti. “Tutti hanno peccato, e sono privi della Gloria di Dio … Dio lo pose [Gesù] come strumento di espiazione, mediante il Suo Sangue” (Rm 3, 23-25).

Proprio come le parole di Caifa, circa la necessità della morte di Gesù, devono essere lette in una luce completamente nuova, da una prospettiva di Fede, lo stesso vale per il riferimento di Matteo al Sangue: letto alla luce della Fede, significa che noi tutti siano bisognosi della potenza d’Amore purificatrice che è il Suo Sangue. Queste parole non sono una condanna, ma piuttosto redenzione, salvezza. Solo se inteso in termini di Teologia dell’Ultima Cena e (Teologia) della Croce, provenienti della totalità del Nuovo Testamento, questo versetto del Vangelo di Matteo assume un significato corretto.”
 ( Interpretazione del tutto personale e lontanissima dalla verita' evangelica di cui, in questo passaggio, si fa' dire al Vangelo di San Matteo cio' che non voleva dire, e questo pur di seguire la nefasta linea conciliare della Nostra Aetate )


I pareri su questi argomenti erano stati dati in precedenza; il significato di questi estratti è che questi sono stati scritti dal Capo della Chiesa Cattolica, parlando non per Autorità Papale, ma, pur tuttavia, mentre occupa la Sede Petrina. Una volta ancora, ci viene rammentato che l’accusa di anti- Semitismo, a volte sollevata contro Joseph Ratzinger, è una grossa calunnia.

Ora noi non vogliamo commentare le tesi del giornalista ma vogliamo mettere in evidenza che la dottrina corretta sul popolo Ebraico è stata profondamente cambiata da i modernisti che oggi comandano cio' che resta della Chiesa Cattolica, noi allora vogliamo ricordarci quali sono i punti fermi per un corretto rapporto con il popolo Ebraico:

a)    Il deicidio: per i cattolici Gesù è vero Dio e vero uomo, la sua uccisione, perciò, è un vero ‘Dei-cidio’. L’ebraismo non crede alla sua divinità, ma non può imporre ai cristiani di rinnegarla o di non professarla pubblicamente (cfr. mons. Brunero Gherardini, La vexata quaestio del deicidio, Città del Vaticano, in “Divinitas”, n.° 2/2008, pp. 215-223. Id, Sugli Ebrei: così, serenamente, Frigento, in “Fides Cattolica”, n.° 1/2009, pp. 245-278). Per i Vangeli e tutti i Padri della Chiesa, da sant’Ignazio d’Antiochia (+ 107) a sant’Agostino (+ 430), e quindi infallibilmente, il giudaismo religione rabbinica o post-biblica è responsabile della morte di Gesù. San Tommaso d’Aquino, il Dottore Comune della Chiesa, insegna che “i giudei peccarono, non solo uccidendo Cristo come uomo, ma anche come crocifissori di Dio” (S. Th., III, q. 47, a. 5). Infatti per il dogma dell’Unione Ipostatica, la natura umana di Cristo sussiste nella Persona divina, onde ciò che è fatto contro Cristo uomo è fatto anche contro Cristo Dio, perciò vi è vero “deicidio”, anche se non è morta la divinità ma solo l’umanità di Gesù, sussistente nella Persona del Figlio consustanziale al Padre e allo Spirito Santo.
b)    La frase sui “fratelli maggiori nella Fede” pronunciata da Giovanni Paolo II, il 13 aprile 1986 alla sinagoga di Roma, per la Fede cattolica è falsa non solo ambigua, poiché l’ebraismo dopo Cristo è fedele al Talmùd e non a Mosè; infine è divinamente rivelato (san Paolo 1 Tess., II, 15-16) che “Gli ebrei hanno ucciso il Signore. Non piacciono a Dio, sono nemici di tutti gli uomini, poiché ci impediscono di predicare ai pagani affinché si salvino”. Quindi con gli ebrei post-biblici non abbiamo nulla in comune quanto alla religione, non possono essere nostri fratelli maggiori (nel senso ontologico di “prediletti”, come ha precisato poi G.P. II e non cronologico in quanto sono nati prima di noi), essi sono un ostacolo alla salvezza degli uomini, poiché nemici tuttora del Vangelo di Cristo che è l’unico mezzo di salvezza. La religione ebraica dopo Cristo non è una realtà viva, ma ‘morta e mortifera’. Gli ebrei che vissero prima di Cristo e furono fedeli ad Abramo e all’Antico Testamento sono nostri fratelli maggiori (solo cronologicamente, infatti ontologicamente o quanto al valore, sono in uno stato oggettivamente inferiore, poiché l’Antica Alleanza è imperfetta rispetto alla Nuova ed Eterna, onde il cristianesimo è superiore, quanto al valore oggettivo, all’ebraismo dell’Antico Testamento). Lo stesso Gesù, quando gli ebrei increduli professano di avere per padre Abramo, risponde che lo è carnalmente, ma non spiritualmente o quanto alla Fede, poiché Abramo credeva in Cristo venturo mentre loro lo rinnegano e quindi hanno “per padre il diavolo” (Gv., VIII, 42). Se fossero “nostri fratelli maggiori quanto alla fede” (G. P. II, 13 aprile 1986), anche noi avremmo “per padre il diavolo”. Spero proprio di no!

c)     L’Antica Alleanza è stata rimpiazzata dalla Nuova ed Eterna, nel Sangue di Cristo, onde la Chiesa fondata da Gesù è il nuovo e vero Israele. San Paolo, divinamente ispirato, insegna: “dicendo Alleanza Nuova, Cristo ha dichiarato antiquata la prima; ora ciò che diventa antico e invecchia, è prossimo a sparire” (Ebr., VIII, 13). È di Fede rivelata.
d)    Se Cristo è Dio, il giudaismo post-biblico che nega la sua divinità è una falsa religione. Per il principio di non-contraddizione: “una stessa cosa [Cristo] non può essere [Dio] e non essere [Dio] nello stesso tempo e sotto lo stesso rapporto” (Aristotele). Gesù o è Dio o non è Dio, “tertium non datur”. Se è Dio il cristianesimo è vero e il giudaismo falso; se non è Dio viceversa. È assolutamente certo.
e)     La ‘shoah’ non è una questione puramente storico-politica (come è stato rimproverato a mons. Williamson), ma essa pretende essere la nuova ‘religione immanente’ dell’ebraismo “messia collettivo”, padrone e signore di questo mondo (cfr. “Il caso Williamson” e “Giona: un uomo per il nostro tempo” su questo stesso “sito”). Tutto questo, per la Fede cattolica, è inaccettabile. Inoltre la storia la si fa con prove certe di documenti, di archivi, di reperti bellici e non a forza di minacce di incarcerazione e di scomuniche laiche ed ecclesiastiche. Inoltre è una questione di “verità”, ossia di conformità del nostro intelletto e giudizio alla realtà. Non si può chiedere di aderire all’errore (difformità tra giudizio e realtà), per il vero rispetto della dignità della natura umana, fatta per aderire al vero e al bene. Occorrono le prove storiche, chimiche e fisiche per aderire alla volgata olocaustica. Gesù ci ha insegnato “la verità vi farà liberi”; l’errore, invece, rende schiavi del padre della menzogna. 

È impressionante constatare quanto profondamente “la Sinagoga di satana” (Ap., II, 9) sia infiltrata in Vaticano. Ciò che turba non è quello che chiede il rabbinato (fa il suo mestiere), ma il fatto che il Papa ceda ad esso (non fa il suo dovere, ma purtroppo da cinquanta anni ci siamo abituati). Ciò che però lascia maggiormente attoniti è che una parte del “tradizionalismo” cattolico non abbia nulla da obiettare, sia pronto ad onorare l’olocausto ebraico (implicitamente a fianco di quello di Gesù). (Don Curzio Nitoglia)
            
OMELIE CONTRO GLI EBREI di San Giovanni Crisostomo.
Invero non stupitevi se ho definito miseri i Giudei. Infatti sono ben sventurati e disgraziati poiché hanno ricevuto nelle loro mani tanti beni e li hanno ripudiati, ed hanno respinto i tesori che erano loro offerti. È sorto per loro il sole della giustizia ed essi, rifiutati i suoi raggi, stanno nelle tenebre:
mentre noi che eravamo nelle tenebre, abbiamo attirato a noi la luce e ci siamo liberati dall’ombra dell’errore. Essi erano i rami della radice sacra (Rom. XI,16 - 17) ma sono stati spezzati; noi non eravamo parte della radice, eppure abbiamo portato il frutto della pietà. Essi hanno letto i Profeti sin dalla più tenera età ed hanno crocifisso Colui che dai Profeti era stato annunziato. Noi che non avevamo mai udito parlare delle Sacre Scritture, noi abbiamo adorato questo stesso crocifisso. Perciò essi sono miseri, perché hanno respinto i beni che erano loro inviati mentre altri li hanno presi per sé, portandoli loro via. Ma essi, chiamati ad essere adottati come figli, si sono abbassati alla condizione di cani: noi che eravamo nella condizione di cani, con l’aiuto della grazia divina abbiamo potuto spogliarci di questa indole bruta ed elevarci alla dignità di figli. Cosa lo fa manifesto? Cristo ha detto alla donna di Canaan "Non è bene prendere il pane dei figli e gettarlo ai cuccioli" (Mt. XV, 26), designando come figli i Giudei e come cani i gentili. Vedete quindi come
l’ordine è stato invertito, i Giudei sono diventati cani e noi figli. "Guardatevi dai cani, dice Paolo, guardatevi dai cattivi operai, guardatevi dai circoncisi. Siamo noi i circoncisi" (Filipp. III, 2-3). Vedete dunque come quelli che prima erano figli sono caduti nella condizione di cani? Volete sapere in qual modo noi che eravamo nella condizione di cani siamo diventati figli? "Invero, a tutti coloro che lo hanno ricevuto, Egli ha dato il potere di diventare figli di Dio" (Gv. I, 12). Nulla è più miserabile di questi Giudei che da ogni parte vanno in senso contrario alla loro salvezza. Quando bisognava osservare la Legge, essi l’hanno calpestata: adesso che la Legge è stata abrogata, con insistenza essi vogliono che sia osservata. Che cosa ci potrebbe essere di più miserabile di costoro che dispiacciono a Dio non soltanto quando trasgrediscono la Legge ma anche quando la osservano? Per questo è detto: "Duri di cervice e incirconcisi di cuore, voi sempre resistete allo Spirito Santo" (Atti VII, 51): non soltanto violando le leggi, ma anche volendole osservare a sproposito.

martedì 1 marzo 2011

"Semina Verbi"


 

È ormai diventato un luogo comune ritenere che nelle religioni non-cristiane siano presenti alcuni semina Verbi (= germi del Verbo) o che esse costituiscano una sorta di praeparatio evangelica (= preparazione al Vangelo). All’origine di tale convinzione c’è l’insegnamento del Concilio Vaticano II. Il Decreto sull’attività missionaria afferma:

«[I cristiani] conoscano a fondo le loro [= dei non-cristiani] tradizioni nazionali e religiose; con gioia e rispetto scoprano i germi del Verbo in esse latenti» (Ad gentes, n. 11; cf Lumen gentium, n. 17).

Nella Costituzione dogmatica sulla Chiesa si afferma:

«La divina Provvidenza [non] nega gli aiuti necessari alla salvezza a coloro che senza colpa non sono ancora arrivati ad una esplicita conoscenza di Dio, e si sforzano, non senza la grazia divina, di vivere una vita onesta. Poiché ciò che in essi si trova di buono e di vero è ritenuto dalla Chiesa come preparazione al Vangelo, e dato da colui che illumina ogni uomo perché abbia finalmente la vita» (Lumen gentium, n. 16; cf Catechismo della Chiesa cattolica, n. 843).

La Dichiarazione sulle religioni non-cristiane, per esprimere il medesimo concetto, ricorre all’immagine del raggio di luce:

«La Chiesa cattolica non rigetta nulla di quanto c’è di vero e di santo in queste religioni. Guarda con sincero rispetto a quei sistemi di agire e di vivere, a quei precetti e a quelle dottrine che, sebbene differiscano in molti punti da ciò che essa pensa e propone, tuttavia non di rado riflettono un raggio di quella Verità che illumina tutti gli uomini» (Nostra aetate, n. 2).

Dopo il Concilio, le metafore dei semina Verbi e della praeparatio evangelica sono state riprese dai Sommi Pontefici. Paolo VI, nell’Esortazione apostolica sull’evangelizzazione, afferma:

«[Le religioni non-cristiane] sono tutte cosparse di innumerevoli “germi del Verbo” e possono costituire una autentica “preparazione evangelica”, per riprendere una felice espressione del Concilio Vaticano II tratta da Eusebio di Cesarea» (Evangelii nuntiandi, n. 53).

Da parte sua, Giovanni Paolo II, nella sua prima enciclica, scrive:

«Giustamente i Padri della Chiesa vedevano nelle diverse religioni quasi altrettanti riflessi di un’unica verità come “germi del Verbo”, i quali testimoniano che, quantunque per diverse strade, è rivolta tuttavia in una unica direzione la piú profonda aspirazione dello spirito umano, quale si esprime nella ricerca di Dio ed insieme nella ricerca, mediante la tensione verso Dio, della piena dimensione dell’umanità, ossia del pieno senso della vita umana» (Redemptor hominis, n. 11).

Sembrerebbe dunque di trovarci dinanzi a una dottrina consolidata, oltretutto ben radicata nella tradizione, visto che le espressioni usate sono di origine patristica. L’immagine dei semina Verbi è tratta da san Giustino e da Clemente Alessandrino; il concetto di praeparatio evangelica invece, come ci ricordava Paolo VI, lo troviamo in Eusebio di Cesarea. Tutto vero. Il problema è: siamo sicuri che i Santi Padri, con tali espressioni, si riferissero alle religioni non-cristiane (che a quel tempo si identificavano con la religione pagana)? Faccio rispondere a questa domanda uno dei maggiori patrologi del XX secolo, Berthold Altaner (Patrologia, Marietti, 7ª ed., 1977). A proposito di Giustino, che parla dei “germi del Verbo” nelle sue Apologie, scrive:

«Con la sua teoria del λόγος σπερματικός [logos spermatikos] Giustino getta un ponte tra la filosofia antica e il Cristianesimo. In Cristo apparve, in tutta la sua pienezza, il Logos divino, ma ogni uomo possiede nella sua ragione un germe (σπέρμα) del Logos. Questa partecipazione al Logos, e conseguente disposizione a conoscere la Verità, fu in alcuni particolarmente grande; cosí nei Profeti del giudaismo e, fra i greci, in Eraclito e Socrate. Molti elementi della verità sono passati, cosí egli opina, nei poeti e nei filosofi greci dell’antica letteratura giudaica, poiché Mosè era ritenuto lo scrittore assolutamente piú antico. Di conseguenza i filosofi, in quanto vissero e insegnarono conformemente alle regole della ragione, furono dei Cristiani, in un certo senso, prima della venuta di Cristo. Tuttavia solo dopo questa venuta i Cristiani sono entrati in possesso della verità totale e sicura, priva di ogni errore. Il pensiero teologico di San Giustino è fortemente influenzato dalla filosofia stoica e platonica» (pp. 70-71).

Quanto a Eusebio, che compose un’opera dal titolo Praeparatio evangelica, Altaner scrive:

«La Praeparatio evangelica (Εὐαγγελικὴ προπαρασκευή), in 15 libri, composta tra il 312 e il 322, vuole dimostrare ai catecumeni e ai pagani, forse scossi dagli attacchi di Porfirio, come i Cristiani abbiano avuto ragione nel preferire il Giudaismo al paganesimo. La “Filosofia degli Ebrei” è superiore alla cosmogonia e alla mitologia dei pagani. I sapienti pagani, soprattutto Platone, hanno attinto dall’A.T.» (p. 223).

Come si può vedere, i Santi Padri non rinvengono alcun “germe del Verbo” nella religione pagana, né considerano questa una “preparazione al Vangelo”. Tali immagini vengono da loro applicate non alla religione, ma alla cultura del tempo, in particolare alla filosofia e alla poesia, le quali, secondo loro, avrebbero attinto a Mosè. I primi cristiani non hanno mai fatto proprio alcun elemento della religione pagana, mentre non si sono fatti scrupolo di adottare le categorie dell’ellenismo addirittura per esprimere la loro fede. La preoccupazione dei cristiani dei primi secoli non era il dialogo interreligioso, ma l’inculturazione del Vangelo.

Una conferma a questo, che è stato l’atteggiamento della Chiesa di tutti i tempi fino al Vaticano II, la troviamo in Padre Matteo Ricci (1552-1610). Solitamente il missionario gesuita viene proposto come antesignano dell’attuale dialogo interreligioso, vista la sua simpatia nei confronti del confucianesimo. Ma non si tiene conto che tale simpatia scaturiva proprio dalla «consape­volezza che nessun elemento vi era nel confucianesimo che potesse far pensare ad una religione … il confucianesimo, lungi dal presentarsi alla stregua di una religione, perseguiva lo scopo di dare una giusta e retta amministrazione al gover­no del paese» (Franco Di Giorgio). Al contrario, Padre Ricci non si fece scrupolo di criticare il taoismo e il buddismo, che considerava inconciliabili col cristianesimo.

Ci si potrebbe dunque chiedere se, su questo punto, il Concilio non rappresenti una rottura con la tradizione o, piuttosto, una sua legittima evoluzione. Non sta a me dare una risposta a questa domanda, che pure costituisce un problema di capitale importanza. L’unica cosa che posso dire è che non mi sembra corretto affermare, come fa Giovanni Paolo II nella Redemptor hominis, che «i Padri della Chiesa vedevano nelle diverse religioni quasi altrettanti riflessi di un’unica verità come “germi del Verbo”». Un Papa ha tutta l’autorità di interpretare la rivelazione, ma non ha autorità di stravolgere la storia.

venerdì 18 febbraio 2011

Il Beato Newman parteciperebbe all’incontro di Assisi?

un errore si estende come trappola mortale su tutta la terra

Il Beato Newman parteciperebbe all’incontro di Assisi?

Sua Santità Benedetto XVI ha restituito alla Cattolicità tutta preziosissime gemme di identità, come, per esempio, il Rito romano straordinario della Santa Messa, con il Motu Proprio Summorum Pontificum del 2007; come il modello, il Santo Curato d’Ars, indicato ai preti per l’Anno Sacerdotale 2009-2010; come l’aver precisato, il 13 maggio 2010 in Portogallo: "Si illuderebbe chi pensasse che la missione profetica di Fatima sia conclusa"; ; come l’identificazione della "dittatura del relativismo"; come la Costituzione apostolica Anglicanorum Coetibus, tesa a favorire la conversione degli Anglicani, al Cattolicesimo; oppure, come la beatificazione del Cardinale John Henry Newman (1801-1890), che si è svolta a Birmigham il 19 settembre 2010.

I frutti della provvidenziale "politica" missionaria del Romano Pontefice, tesa a ricondurre tutti all’unico ovile di Cristo, del resto, non si sono fatti attendere e alcuni Vescovi, come John Broadhurst, Vescovo di Fulham; Andrew Burnham, Vescovo di Ebbsfleet; Keith Newton, Vescovo di Richborough; il suo predecessore Edwin Barnes, hanno intrapreso il "cross the Tiber", come si dice in Inghilterra, cioè sono approdati a Roma, seguiti, logicamente, da sacerdoti, religiosi e fedeli… si tratta di conversioni vere e proprie. In Inghilterra è chiaro che si sta realizzando un terremoto spirituale di portata storica: l’Anglicanesimo sta morendo e le sue parti di più elevato sentire spirituale e meno contaminate da letture socio-politiche della religione, vale a dire la cosiddetta Chiesa Alta d’Inghilterra stanno ritornando in massa al Cattolicesimo. È evidente che in questo fenomeno sta il compimento naturale dello spirito e degli obiettivi che hanno caratterizzato il Movimento di Oxford, preludio della conversione del grande Beato John Henry Newman, tanto amato da Benedetto XVI, che nel 1990, quando era ancora Cardinale, di lui disse: "Newman appartiene ai grandi dottori della Chiesa, perché egli nello stesso tempo tocca il nostro cuore e illumina il nostro pensiero".

Ebbene, Newman come avrebbe visto un incontro interreligioso? Parteciperebbe all’evento di Assisi? È sufficiente leggere i suoi scritti e le risposte diventano ovvie. Newman fu un "martire" del pensiero pur di giungere all’agognata Verità e a 44 anni, quando vi approdò, smise di ricercare, avendo trovato la patria definitiva, avendo coniugato perfettamente Fede e ragione. Egli aveva utilizzato le geniali doti ricevute per avvertire il mondo e la stessa Chiesa dei pericoli incombenti sull’Europa: invitava a vigilare e vegliare perché vedeva premesse e bagliori di un orizzonte carico di inquietanti prove e di tempeste: temeva il sincretismo religioso che, mettendo tutti i credi sullo stesso piano insulta il sangue dei martiri e pone le premesse per nuove persecuzioni. Nello straordinario documento, chiamato Biglietto Speech, redatto da Newman in occasione della consegna della berretta cardinalizia (1879) egli scrisse accoratamente:

"Per trenta, quaranta, cinquant’anni ho cercato di contrastare con tutte le mie forze lo spirito del liberalismo nella religione. Mai la santa Chiesa ha avuto maggiore necessità di qualcuno che vi si opponesse più di oggi, quando, ahimé! si tratta ormai di un errore che si estende come trappola mortale su tutta la terra; e nella presente occasione, così grande per me, quando è naturale che io estenda lo sguardo a tutto il mondo, alla santa Chiesa e al suo futuro, non sarà spero ritenuto inopportuno che io rinnovi quella condanna che già così spesso ho pronunciato. Il liberalismo in campo religioso è la dottrina secondo cui non c’è alcuna verità positiva nella religione, ma un credo vale quanto un altro, e questa è una convinzione che ogni giorno acquista più credito e forza. È contro qualunque riconoscimento di una religione come vera. Insegna che tutte devono essere tollerate, perché per tutte si tratta di una questione di opinioni. La religione rivelata non è una verità, ma un sentimento e una preferenza personale; non un fatto oggettivo o miracoloso; ed è un diritto di ciascun individuo farle dire tutto ciò che più colpisce la sua fantasia. La devozione non si fonda necessariamente sulla fede. Si possono frequentare le Chiese protestanti e le Chiese cattoliche, sedere alla mensa di entrambe e non appartenere a nessuna. Si può fraternizzare e avere pensieri e sentimenti spirituali in comune, senza nemmeno porsi il problema di una comune dottrina o sentirne l’esigenza. Poiché dunque la religione è una caratteristica così personale e una proprietà così privata, si deve assolutamente ignorarla nei rapporti tra le persone. Se anche uno cambiasse religione ogni mattina, a te che cosa dovrebbe importare?".

L’errore del liberalismo, quindi del relativismo, Newman lo considerava come una "trappola mortale" per tutta l’umanità, mentre il coevo Cardinale Guglielmo Massaja (1809–1889), grande ed eroico missionario in Etiopia, lo definiva "malattia mortale". "Abbiamo paura che, qualunque discorso sia letto e pronunziato (tanto lo leggeranno in pochissimi); qualsiasi gesto sia compiuto (tanto i media selezioneranno solo i più clamorosi); qualsiasi precisazione sia fatta dalla - per giunta non impeccabile - macchina di comunicazione vaticana, il messaggio [di Assisi] che passerà nella mente di milioni sarà quello che espresse la suora intervistata alla morte di Giovanni Paolo II: "sono grata a Papa Woityla perché ci ha insegnato che tutte le religioni sono uguali"" .

La Chiesa è sempre stata ricca di dispute e di confronti, è un corpo vivo, non stagnante, per questo la disputa, finalizzata alla conversione dell’interlocutore alla Verità, non per il dialogo fine a stesso (che poi logicamente finisce per incancrenirsi), è una sana palestra per guardare alla rigenerante Fonte, Cristo: unica Via, unica Verità, unica Vita. I dibattiti, per decenni, sono stati condotti prevalentemente dai cattolici progressisti; ma chi ama fedelmente il Sommo Pontefice - il "dolce Cristo in terra", come lo definiva santa Caterina da Siena, nel momento stesso in cui lo invitava a fare "virilmente" il suo dovere, che egli tardava ad adempiere - e non ha posizioni intrise di relativismo e di unta piaggeria, è chiamato a professare pubblicamente la propria Fede, quella che si dipana lungo i secoli, quella dal filo continuo, non spezzato, perché facente parte di un esclusivo gomitolo, chiamato Tradizione, il cui bandolo parte dalla Vite: "Io sono la vera vite e il Padre mio è il vignaiolo. […]. Voi siete già mondi, per la parola che vi ho annunziato. Rimanete in me e io in voi. Come il tralcio non può far frutto da se stesso se non rimane nella vite, così anche voi se non rimanete in me. […]. Rimanete nel mio amore. Se osserverete i miei comandamenti, rimarrete nel mio amore, come io ho osservato i comandamenti del Padre mio e rimango nel suo amore. Questo vi ho detto perché la mia gioia sia in voi e la vostra gioia sia piena" (Gv 15,1-11).

Ha scritto il Professor Roberto de Mattei per "Messainlatino" del 4 febbraio: "Nel corso della storia della Chiesa il sensus fidei dei semplici fedeli è stato talvolta più conforme alla Tradizione apostolica di quello dei Pastori, come accadde durante la crisi ariana del IV secolo, quando la fede fu mantenuta da una minoranza di santi e indomiti vescovi, come Atanasio, Ilario di Poitiers, Eusebio di Vercelli e soprattutto dal popolo fedele, che non accompagnava le diatribe teologiche ma conservava, per semplice istinto soprannaturale, la buona dottrina".

Il Beato Newman, eccelso faro per la nostra epoca confusa e frastornata, comprese che nel Cristianesimo, lungo la sua storia, esistono due modi di concepirlo e lo apprese proprio studiando l’Arianesimo: da una parte i presuntuosi, più attenti al proprio intelletto che all’essenza della Fede con i suoi dogmi, disposti a piegarsi al mondo, e dall’altra gli umili aderenti a Cristo, quelli senza se e senza ma. Infatti il Cristianesimo "gli ariani lo concepiscono come la rivelazione di una verità che si rivolge soprattutto alla intelligenza, mentre gli ortodossi [la Tradizione] lo concepiscono come una forza rigeneratrice che si rivolge all’uomo in tutte le sue facoltà, e innanzitutto al cuore. Questo diverso modo di concepire il cristianesimo comporta un modo diverso di accostarlo: gli ariani accostano la rivelazione con la preoccupazione di comprenderla, come qualcosa che parla innanzitutto alla intelligenza, per cui i concetti e le categorie scritturistiche ed ecclesiali sono interpretate secondo le esigenze della intelligenza che ragiona. Così la unità di Dio viene interpretata alla luce del concetto di unità che si ricava dalla esperienza […]. I cattolici, invece, accostano la rivelazione innanzitutto per ammirare ciò che Dio compie nella storia e nell’uomo. La loro prima preoccupazione è quella di contemplare la profondità e il carattere straordinario di ciò che Dio ha compiuto […]. Mentre l’ariano accosta la rivelazione per appagare la sua sete di verità, se non addirittura la sua curiosità, e quindi ripone molta fiducia nell’addestramento dialettico, il cattolico l’accosta per esprimere la sua gratitudine e con la chiara coscienza che le parole e i concetti umani sono inadeguati ad esprimere il dono di Dio: l’accosta con pietà (eusebeia) e precauzione (eulabeia). E se talvolta la necessità di salvaguardare il mistero gli impone di impegnarsi nella discussione con i nemici, lo fa per così dire a malincuore" (J.H.Newman, Gli Ariani del IV secolo, Jaca Book-Morcelliana, Milano 1981, p.XXI) e, ci permettiamo di aggiungere, con estremo dolore.

Cristina Siccardi