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martedì 17 luglio 2012

Segretari di Stato a confronto

Basso punteggio anche per Casaroli
Nella sua nuova biografia di Giovanni Paolo II, George Weigel mostra tutti i limiti del cardinale che ne fu il primo collaboratore. Ma con lui la curia vaticana ancora funzionava. Il disastro è arrivato con i suoi due successori

di Sandro Magister


ROMA, 16 luglio 2012 – In una Chiesa sempre più insofferente per il malgoverno della curia vaticana, il naturale rimpianto di molti si volge ai tempi nei quali la segreteria di Stato era diretta da personalità di grande levatura e di solida formazione diplomatica.

Risalendo all'indietro e saltando a piè pari il penultimo della serie – il cardinale Angelo Sodano sotto il quale la curia precipitò nello stato di decadenza attuale – il generale rimpianto va anzitutto al cardinale Agostino Casaroli (nella foto), segretario di Stato nei primi anni del pontificato di Giovanni Paolo II, ricordato e celebrato come diplomatico insigne e come sapiente tessitore della politica vaticana con i paesi comunisti.


In realtà, anche Casaroli e la sua Ostpolitik furono a loro tempo duramente contestati. In una Chiesa come la polacca la contrarietà era fortissima. Memorabile fu la battuta pronunciata in latino dal cardinale di Varsavia Stefan Wyszynski in un sinodo dei vescovi di tutto il mondo: "Vir casaroliensis non sum". Non sono uomo di Casaroli.

Di qui lo stupore per la decisione di papa Karol Wojtyla, da poco eletto papa, di nominare proprio Casaroli suo segretario di Stato. Uno stupore – quasi sempre irrisolto – che si ritrova anche in molte biografie di questo papa.

L'ultima in ordine di tempo, ma tra le più importanti, è in libreria da pochi mesi nei paesi di lingua inglese e ora anche in Italia.

Ne è autore il teologo e politologo americano George Weigel, già autore di una prima imponente biografia di Wojtyla pubblicata sulle soglie del 2000 e quindi a pontificato ancora in corso, che ha avuto un'immensa fortuna ed è stata tradotta in numerose lingue, col titolo "Testimone della speranza".

In questa sua seconda opera, complementare alla prima e intitolata "La fine e l'inizio", Weigel non solo si dedica agli ultimi anni del pontificato di Giovanni Paolo II, ma anche ne dà una rilettura complessiva, imperniata su quella che chiama la "vittoria della libertà" e proiettata sull'eredità lasciata da questo papa alla Chiesa e al mondo presenti.

Nella prima delle due parti del libro, Weigel ricostruisce con materiali anche inediti la vittoriosa lotta di Wojtyla con il sistema comunista.

Ed è verso la fine di questa ricostruzione che l'autore tocca in termini molto critici la questione di Casaroli e dell'Ostpolitik.

Qui di seguito sono riportati alcuni passaggi del capitolo. La tesi di Weigel è che Giovanni Paolo II era pienamente consapevole dei gravi limiti dell'Ostpolitik e della distanza tra la sua visione e quella di Casaroli. Ma chiamandolo al suo fianco come segretario di Stato volle aggiungere "un'altra corda al suo arco", sia pur modesta e segnata da insuccessi.

Si può aggiungere a questa valutazione di carattere geopolitico anche la consapevolezza di Giovanni Paolo II circa la capacità di Casaroli nel disciplinare la curia vaticana, un compito di cui il papa non intendeva minimamente occuparsi personalmente e che effettivamente Casaroli seppe svolgere a livelli accettabili, prima del disastro con i due successivi segretari di Stato.

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LA DIFFERENZA CHE L'OSTPOLITIK HA FATTO. E NON HA FATTO

di George Weigel



Il cardinale Agostino Casaroli una volta disse con tono malinconico: "Vorrei aiutare questo papa, ma è così diverso da me". In quanto portavoce di Giovanni Paolo II, Joaquín Navarro-Valls notò in seguito che la "diversità" di cui parlava era quella tra un uomo che era da cinquant’anni un burocrate della diplomazia della Chiesa (anche se con eccezionali competenze) e un uomo che era stato in prima linea.

L’uomo che era stato in prima linea, però, riconosceva le capacità di Casaroli in ambito diplomatico per la Santa Sede, anche se Casaroli non riuscì mai a riconoscere fino in fondo che questo papa così "diverso" aveva una visione della minaccia del comunismo più profonda, più penetrante, e alla fine più realistica della sua.

Giovanni Paolo II si avvalse in pieno della capacità di Casaroli. La promozione dell’artefice dell’Ostpolitik di Paolo VI a segretario di Stato, cioè al secondo posto nel comando della burocrazia centrale della Chiesa cattolica, poteva anche offrire la necessaria copertura a una presa di posizione papale più risoluta per quanto riguardava i diritti umani e la libertà religiosa.

Questo non significava tuttavia che la differenza percepita da Casaroli non fosse vera. Giovanni Paolo II si riteneva la voce di chi non aveva voce, come disse chiaramente ad Assisi poco dopo la sua elezione, quando affermò che la Chiesa del silenzio non era più silenziosa, perché ora parlava con la sua voce. Il cardinale Casaroli si condoleva per la difficile situazione delle voci che fino ad allora non avevano avuto voce; tuttavia fino all’ultimo rimase della convinzione che tale situazione potesse essere tranquillamente risolta attraverso l’opera dei governi, senza fare troppo rumore sulle voci che erano state messe a tacere.

L’Ostpolitik e Casaroli crearono occasioni diplomatiche realmente utili durante gli ultimi dieci anni della lotta di Giovanni Paolo II contro il comunismo; aggiunsero, per così dire, un’altra corda al suo arco. Ma al di là di questo non è facile vedere i successi della vecchia Ostpolitik, se non come un accompagnamento, e nemmeno tanto importante, alla rivoluzione morale di Giovanni Paolo II e ai suoi risultati nell’Europa centro-orientale.

Il cardinale Miloslav Vlk, un tempo sacerdote clandestino obbligato a lavorare come lavavetri per evitare di essere arrestato per vagabondaggio, era dell’idea che la vecchia Ostpolitik fosse stata progettata e attuata da persone che non capivano niente del comunismo perché non ne avevano mai fatto esperienza. E poiché non lo capivano, fecero gravi errori strategici e tattici. Come disse una volta Vlk parlando della Cecoslovacchia, papa Paolo VI "vide una Chiesa senza vescovi" e cercò di venire a patti con i vari governi per porvi rimedio; "finì per avere vescovi che erano burattini". Si poteva dire lo stesso per la situazione in Ungheria. [...]

Non poche volte (e la cosa non fu una sorpresa) la critica più aspra alla vecchia Ostpolitik fu mossa dai sostenitori della Chiesa greco-cattolica in Ucraina, i quali spesso credevano che la curia e i suoi diplomatici fossero incredibilmente ingenui sull’Unione Sovietica e sulla Chiesa ortodossa russa.

I greco-cattolici fieramente leali si lamentavano di come gli sforzi vaticani volti a un "dialogo d’amore" con gli ortodossi russi fossero in pratica un "dialogo d’amore" con il KGB, che era chiaramente impossibile e solo controproducente. Come disse uno di quegli infervorati ucraini, un noto storico: "Immaginatevi di vedere i cristiani fatti a pezzi dalle bestie feroci mentre san Pietro s’intrattiene in 'un dialogo d’amore' con Nerone". Questa era un’immagine drammatica, forse esagerata, ma che veniva in mente a molti di quelli che facevano parte della più grande Chiesa illegale al mondo, i cui capi morirono per la maggior parte nei gulag.

Chi aveva analizzato la situazione in modo più sofisticato, non era meno critico verso quella che era considerata l’inettitudine tattica della vecchia Ostpolitik: così quando Paolo VI acconsentì che i greco-cattolici dell’Ucraina che non avevano le loro chiese potessero ricevere la santa comunione nelle chiese ortodosse russe, sembrò non essere consapevole del fatto che gli ortodossi avrebbero letto tale concessione come un’ammissione che i greco-cattolici (la cui esistenza continuava ad essere negata a livello giuridico) non avevano realmente bisogno delle loro chiese, non avevano bisogno di celebrare la messa nei boschi in modo clandestino, non avevano bisogno dei loro sacerdoti (formati e ordinati clandestinamente).

Considerata l’intransigenza della Chiesa ortodossa russa su tutta la gamma di problematiche ecumeniche durante il pontificato di Giovanni Paolo II, una tale critica non è facilmente confutabile.

Gli esperti dell’Ostpolitik di Casaroli non calcolarono che gli accordi ecumenici e la presa di distanza del Vaticano dalle Chiese cattoliche clandestine potevano ferire il morale e la testimonianza tra i cattolici decisi a stare attaccati alla loro fede contro la persecuzione comunista. Nello stesso tempo sopravvalutarono la capacità di resistenza del comunismo e il ruolo dell’Ostpolitik nel preparare il terreno per la rivoluzione del 1989 nell’Europa centro-orientale e il crollo dell’Unione Sovietica nel 1991.

Così l’affermazione del cardinale Casaroli secondo cui la Polonia era "matura " nel 1978 e nel 1979 era vera; ma tale maturazione non aveva praticamente niente a che fare con l’Ostpolitik, perché la Polonia era il paese meno influenzato dalle iniziative di Casaroli e il più resistente ad alcune di esse.

Gli sforzi sovrumani compiuti dai servizi segreti sovietici e del Patto di Varsavia per infiltrarsi in Vaticano, per corrompere e reclutare i funzionari vaticani, e in tal modo ostacolare le iniziative della Chiesa, coincise proprio con l’acme dell’Ostpolitik di Casaroli; su questo non ci può essere alcun dubbio. Più la Santa Sede era accomodante, più aggressivi si facevano il KGB, l’SB, la Stasi, i servizi segreti ungheresi, quelli bulgari e tutto il loro squallido apparato.

Sia la cultura istituzionale italianizzata della curia romana, sia l’innata avversione della diplomazia allo scontro portarono a una situazione per cui i responsabili dell’Ostpolitik non compresero mai quello che Karol Wojty?a aveva capito a Cracovia: che si trattava sempre di “noi” e “loro”; che si trattava davvero di una guerra, sempre.

Non si trattava di uno scontro negoziale simile a quelli cui erano abituati i diplomatici. Qualcuno avrebbe vinto e qualcuno avrebbe perso. Quando venne eletto papa, Giovanni Paolo II non pensava che il giorno della sconfitta del comunismo fosse vicino. Ma comprese bene la natura dello scontro ed era convinto che un’aperta sfida morale contro la cultura della menzogna dei comunisti fosse la risposta più efficace, perché era la risposta più vera. [...]

L’Ostpolitik di Agostino Casaroli e di papa Paolo VI fu la versione vaticana della distensione: una strategia di impegno e di dialogo con il comunismo che prometteva molto e otteneva poco, prima di tutto perché il presunto partner per il dialogo non era interessato al dialogo.

L’Ostpolitik non riuscì neppure a “salvare in salvabile” in Cecoslovacchia e in Ungheria; infatti in questi due casi senza volerlo peggiorò la situazione, così come la distensione fece ben poco per rafforzare la parte dei dissidenti e degli attivisti per i diritti umani d’oltrecortina.

Invece la distensione rese possibile l’atto conclusivo della Conferenza sulla sicurezza e la cooperazione in Europa (CSCE) a Helsinki nel 1975, che l’arcivescovo Casaroli firmò a nome della Santa Sede. E i provvedimenti riguardo ai diritti umani approvati dopo il dibattito intorno al “terzo  cesto” [l’insieme delle questioni inerenti ai diritti dell’uomo - ndt] durante la Conferenza aiutarono l’opinione pubblica occidentale a concentrarsi sulla difficile situazione degli attivisti per i diritti umani nei paesi comunisti che si appellavano agli accordi di Helsinki per trovare legittimazione e protezione.

Ma ci vollero guide come il presidente americano Ronald Reagan e papa Giovanni Paolo II, uomini che deliberatamente scavalcarono la distensione e l’Ostpolitik, per dare a quelle voci e a quelle istanze una portata e un effetto globali.

Allora il giudizio di Henry Kissinger sui negoziati che portarono agli accordi di Helsinki può essere applicato anche alla diplomazia dell’Ostpolitik vaticana tra il 1963 e il 1978: "Raramente un’azione diplomatica ha illuminato tanto chiaramente i limiti della visione umana".

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Il libro:

George Weigel, "The End and the Beginning. Pope John Paul II: The Victory over Communism, the Last Years, the Legacy", Doubleday, New York-London-Toronto-Sydney-Auckland, 2011.

George Weigel, "La fine e l'inizio. Giovanni Paolo II: la vittoria della libertà, gli ultimi anni, l'eredità", Cantagalli, Siena, 2012.

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Un profilo scritto dallo storico Gianpaolo Romanato di colui che è stato forse il più grande segretario di Stato degli ultimi due secoli, il cardinale Rafael Merry del Val, in carica durante il pontificato di Pio X:

> Ecco un perfetto segretario di Stato. Ma è di un secolo fa


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