Passi dal libro che, con questo titolo, è stato pubblicato in francese dalle edizioni Clovis
(Abbé Patrick de La Roque, Jean-Paul II, doutes sur une béatification, Clovis, 200 p. – 14 € (+ port).
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Tratto dal n° 234 (7 maggio 2011) di DICI
agenzia della Fraternità San Pio XSi veda la prefazione a questo libro, scritta da Mons. Bernard Fellay
Nota della redazione di DICI: L’opera “Giovanni Paolo II, dubbi su una beatificazione”, contiene quasi 400 note a pie’ di pagina. Per mancanza di spazio, in questi passi che riportiamo non abbiamo potuto includere le note relative, tranne due.
Per poterle leggere tutte, bisognerà rifarsi al testo.
Per poterle leggere tutte, bisognerà rifarsi al testo.
I – Giovanni Paolo II e la virtù di fede (introduzione al cap. I)1)».
Lungi dal concludere in maniera affermativa, si è costretti a constatare che Giovanni Paolo II si è comportato diversamente. In effetti, le sue dichiarazioni in materia di fede, su tutti questi punti e in ciascuno di essi, a più riprese si sono rivelate ambigue, anzi equivoche. Inoltre egli ha reinterpretato il linguaggio della fede in molti domini, per dare un senso nuovo alle parole antiche. Così è difficile dire che nel suo insegnamento abituale Giovanni Paolo II sia stato un custode e un promotore eroico dei dogmi di cui la Chiesa ha il deposito. Non si è posto lui stesso come pioniere alla ricerca di nuove vie? Ora, si verifica che in questa ricerca molte delle sue asserzioni pongono dei gravi interrogativi alla fede cattolica.
Senza pretendere di fare un computo esauriente – lavoro che supera il quadro di questo studio – si tratta semplicemente di mettere in evidenza alcuni dei gravi interrogativi sollevati dall’insegnamento di Giovanni Paolo II, sufficienti da soli a rimettere in causa una supposta eroicità in materia di fede. Dunque, trattando di volta in volta del modo in cui Giovanni Paolo II ha parlato dell’estensione della Redenzione, del battesimo e del peccato, le pagine che seguono non intendono racchiuderlo in un sistema eterodosso, col rischio di essere ingiusti, semplicemente esse mettono in evidenza i gravi errori veicolati dal suo insegnamento abituale – anche se peraltro gli è capitato di ricordare una volta o l’altra l’opposta verità.
II – Giovanni Paolo II e la virtù della speranza (conclusione del cap. II)
Trascurando ciò che egli ha chiamato la dimensione divina della Redenzione, Giovanni Paolo II, per ciò stesso, si è allontanato dalla dimensione teologale della speranza. Invece di farsi messaggero dell’eterna beatitudine che è la buona novella del Vangelo, invece di assumere come criterio di giudizio e di governo questa visuale di eternità, Giovanni Paolo II ha assunto come asse fondamentale del suo pontificato un’altra speranza. Centrata su ciò che egli ha chiamato la dimensione umana della Redenzione, questa speranza ha per oggetto l’edificazione della civiltà dell’amore, per mezzo la preghiera considerata come sentimento religioso – con le conseguenze delle religioni prese nella loro pluralità e della libertà religiosa – per motivo la speranza nell’uomo.
Questa civiltà dell’amore, altrimenti detta unità della famiglia umana di quaggiù, fu il motore delle sue grandi decisioni pontificali. È per questo motivo che Giovanni Paolo II, con una volontà personale molto accentuata, ha voluto riunire tutte le religioni ad Assisi, allo scopo di valorizzare la preghiera di ognuno; è per questo motivo che in seguito ha sviluppato con insistenza, e spesso contro il parere della Curia, ciò che egli chiamava «lo spirito di Assisi». Egli l’ha fatto specialmente attraverso il sostegno costante offerto all’associazione “Uomini e Religioni” della comunità Sant’Egidio. Ed è ancora questo motivo che costituì, secondo le sue stesse parole, la ragione principale di tanti dei suoi viaggi; a titolo d’esempio, citiamo il suo primo viaggio in Francia, i suoi spostamenti in Polonia, a Cuba, in Cile, o ancora la sua visita agli indios di Cuilapan, ecc. Con lo stesso spirito Giovanni Paolo II non ha esitato a chiamare “pellegrinaggio” – quindi a sacralizzare – certe pratiche che avevano al centro solo l’uomo: così, per esempio, si è portato in “pellegrinaggio” ad Auschwitz, al memoriale di Hiroshima o sulle tracce del passato spirituale dell’India. Allo stesso modo, egli ha considerato con insistenza come un “pellegrinaggio” ogni iniziativa di pace fatta nello “spirito di Assisi”. È andato anche in “pellegrinaggio” sulle tracce dell’eredità spirituale di Lutero o sui passi di Mahatma Gandhi. Ed è sempre in conformità che quella speranza che era la sua che il Papa ha proposto al mondo certi modelli di uomini, sia che questi condividessero con Giovanni Paolo II il suo ideale – si pensi per esempio a Mahatma Gandhi o a Martin Luther King – sia deformando delle figure cattoliche per presentarle principalmente sotto questo aspetto. In un certo senso si potrebbero ricordare come esempio le morti di Edith Stein o di Massimiliano Kolbe o anche la figura del cardinale Wyszynski. Egli ha anche ridefinito profondamente la stessa nozione di martirio, per estenderla ad ogni persona che veniva uccisa, non tanto dall’odio per Cristo, quanto dall’odio per l’uomo o per la libertà religiosa. Egli ha considerato come martiri i milioni di esseri umani morti nei campi di concentramento o vittime della Shoah o anche ad Hiroshima, tanto da far comporre un martirologio ecumenico in occasione del giubileo del 2000.
Questi pochi fatti, presi tra i tanti, mostrano l’asse fondamentale di un pontificato e il tipo di speranza che ne fu la trama. Ora, questa speranza, lungi dall’essere la speranza teologale, la sola degna dell’appellativo di virtù, si oppone in molti punti agli stessi fondamenti di quest’ultima. Lungi dall’essere teologale nel suo oggetto o nei suoi mezzi, lo è ancor meno nella sua motivazione. Credendo di basarsi su una antropologia teocentrica, Giovanni Paolo II ha invece assunto come fondamento l’immanenza vitale condannata dal Papa San Pio X, così che una tale speranza, che certo ben difficilmente sfugge alla condanna pronunciata dal profeta Geremia - «maledetto l’uomo che confida nell’uomo» (17, 5) – non può essere offerta come esempio al popolo cristiano. In questa ottica, beatificare Giovanni Paolo II significherà, non dare per modello la virtù, ma promuovere un’utopia.
III – Giovanni Paolo II e la virtù della carità (introduzione al cap. III)
Nel suo trattato sulle beatificazioni e canonizzazioni, il Papa Benedetto XIV spiega quali sono i segni richiesti per stabilire che un servitore di Dio ha praticato la carità verso il prossimo in maniera eroica. La carità eroica presuppone innanzi tutto la carità comune e questa si esprime praticando le opere di misericordia corporale e spirituale. Tra i segni della misericordia spirituale si notano i seguenti: correggere coloro che sono nell’errore e riportarli sulla via della salvezza; aver cura della salvezza delle anime e desiderare per queste i mezzi di salvezza che desideriamo per noi stessi. La carità eroica consiste nel compiere queste opere prontamente, facilmente e senza resistenza, con gioia, non una volta tanto, ma spesso, anche se le circostanze rendono difficile il loro compimento.
Ora, la pastorale di Giovanni Paolo II non permette di intravedere questo vero zelo missionario. La sua attitudine all’interno del dialogo ecumenico e interreligioso, lungi dal manifestare una carità applicata alle opere di misericordia spirituale, si rivela essere molto diversa dal comportamento che ha mostrato Nostro Signore Gesù Cristo: « se Gesù è stato buono con gli smarriti e con i peccatori, non ha rispettato le loro convinzioni erronee, per quanto sincere sembrassero (2)». In effetti, Giovanni Paolo II ha manifestato troppo spesso il suo rispetto per i punti di dottrina sui quali i suoi interlocutori ecumenici si opponevano alla fede cattolica. Per di più, lungi dal ricordare loro, con tutta la delicatezza richiesta, la necessità della fede cattolica per essere salvati, egli ha spesso accantonato il messaggio della Chiesa, l’ha perfino deformato. La sua “carità”, dunque, non fu quella della verità e per ciò stesso essa si opponeva anche alla carità comune.
Visto che sarebbe lungo illustrare questo aspetto in ciascuna delle relazioni extra ecclesiali di Giovanni Paolo II, qui ci soffermeremo, a mo’ d’esempio, solo sulle relazioni col giudaismo. Questo esempio è emblematico per due ragioni: innanzi tutto perché si è trattato di uno dei dialoghi maggiormente sviluppati da papa Wojtyla – forse in ragione della sua esperienza personale – e per ciò stesso quello sul quale forse si è maggiormente espresso; poi perché, in ragione stessa del rapporto che il giudaismo mantiene con la Scrittura, sarà più facile constatare se il defunto papa, in forza di questa stessa Scrittura, abbia esercitato la carità della verità o, al contrario, ha messo la lucerna sotto il moggio.
NOTE1 – Pio IX, Bolla Ineffabilis Deus, DzH 28022 – San Pio X, Lettera Notre charge apostolique, 42
Giovanni Paolo II, beato?
Lungi dal concludere in maniera affermativa, si è costretti a constatare che Giovanni Paolo II si è comportato diversamente. In effetti, le sue dichiarazioni in materia di fede, su tutti questi punti e in ciascuno di essi, a più riprese si sono rivelate ambigue, anzi equivoche. Inoltre egli ha reinterpretato il linguaggio della fede in molti domini, per dare un senso nuovo alle parole antiche. Così è difficile dire che nel suo insegnamento abituale Giovanni Paolo II sia stato un custode e un promotore eroico dei dogmi di cui la Chiesa ha il deposito. Non si è posto lui stesso come pioniere alla ricerca di nuove vie? Ora, si verifica che in questa ricerca molte delle sue asserzioni pongono dei gravi interrogativi alla fede cattolica.
Senza pretendere di fare un computo esauriente – lavoro che supera il quadro di questo studio – si tratta semplicemente di mettere in evidenza alcuni dei gravi interrogativi sollevati dall’insegnamento di Giovanni Paolo II, sufficienti da soli a rimettere in causa una supposta eroicità in materia di fede. Dunque, trattando di volta in volta del modo in cui Giovanni Paolo II ha parlato dell’estensione della Redenzione, del battesimo e del peccato, le pagine che seguono non intendono racchiuderlo in un sistema eterodosso, col rischio di essere ingiusti, semplicemente esse mettono in evidenza i gravi errori veicolati dal suo insegnamento abituale – anche se peraltro gli è capitato di ricordare una volta o l’altra l’opposta verità.
II – Giovanni Paolo II e la virtù della speranza (conclusione del cap. II)
Trascurando ciò che egli ha chiamato la dimensione divina della Redenzione, Giovanni Paolo II, per ciò stesso, si è allontanato dalla dimensione teologale della speranza. Invece di farsi messaggero dell’eterna beatitudine che è la buona novella del Vangelo, invece di assumere come criterio di giudizio e di governo questa visuale di eternità, Giovanni Paolo II ha assunto come asse fondamentale del suo pontificato un’altra speranza. Centrata su ciò che egli ha chiamato la dimensione umana della Redenzione, questa speranza ha per oggetto l’edificazione della civiltà dell’amore, per mezzo la preghiera considerata come sentimento religioso – con le conseguenze delle religioni prese nella loro pluralità e della libertà religiosa – per motivo la speranza nell’uomo.
Questa civiltà dell’amore, altrimenti detta unità della famiglia umana di quaggiù, fu il motore delle sue grandi decisioni pontificali. È per questo motivo che Giovanni Paolo II, con una volontà personale molto accentuata, ha voluto riunire tutte le religioni ad Assisi, allo scopo di valorizzare la preghiera di ognuno; è per questo motivo che in seguito ha sviluppato con insistenza, e spesso contro il parere della Curia, ciò che egli chiamava «lo spirito di Assisi». Egli l’ha fatto specialmente attraverso il sostegno costante offerto all’associazione “Uomini e Religioni” della comunità Sant’Egidio. Ed è ancora questo motivo che costituì, secondo le sue stesse parole, la ragione principale di tanti dei suoi viaggi; a titolo d’esempio, citiamo il suo primo viaggio in Francia, i suoi spostamenti in Polonia, a Cuba, in Cile, o ancora la sua visita agli indios di Cuilapan, ecc. Con lo stesso spirito Giovanni Paolo II non ha esitato a chiamare “pellegrinaggio” – quindi a sacralizzare – certe pratiche che avevano al centro solo l’uomo: così, per esempio, si è portato in “pellegrinaggio” ad Auschwitz, al memoriale di Hiroshima o sulle tracce del passato spirituale dell’India. Allo stesso modo, egli ha considerato con insistenza come un “pellegrinaggio” ogni iniziativa di pace fatta nello “spirito di Assisi”. È andato anche in “pellegrinaggio” sulle tracce dell’eredità spirituale di Lutero o sui passi di Mahatma Gandhi. Ed è sempre in conformità che quella speranza che era la sua che il Papa ha proposto al mondo certi modelli di uomini, sia che questi condividessero con Giovanni Paolo II il suo ideale – si pensi per esempio a Mahatma Gandhi o a Martin Luther King – sia deformando delle figure cattoliche per presentarle principalmente sotto questo aspetto. In un certo senso si potrebbero ricordare come esempio le morti di Edith Stein o di Massimiliano Kolbe o anche la figura del cardinale Wyszynski. Egli ha anche ridefinito profondamente la stessa nozione di martirio, per estenderla ad ogni persona che veniva uccisa, non tanto dall’odio per Cristo, quanto dall’odio per l’uomo o per la libertà religiosa. Egli ha considerato come martiri i milioni di esseri umani morti nei campi di concentramento o vittime della Shoah o anche ad Hiroshima, tanto da far comporre un martirologio ecumenico in occasione del giubileo del 2000.
Questi pochi fatti, presi tra i tanti, mostrano l’asse fondamentale di un pontificato e il tipo di speranza che ne fu la trama. Ora, questa speranza, lungi dall’essere la speranza teologale, la sola degna dell’appellativo di virtù, si oppone in molti punti agli stessi fondamenti di quest’ultima. Lungi dall’essere teologale nel suo oggetto o nei suoi mezzi, lo è ancor meno nella sua motivazione. Credendo di basarsi su una antropologia teocentrica, Giovanni Paolo II ha invece assunto come fondamento l’immanenza vitale condannata dal Papa San Pio X, così che una tale speranza, che certo ben difficilmente sfugge alla condanna pronunciata dal profeta Geremia - «maledetto l’uomo che confida nell’uomo» (17, 5) – non può essere offerta come esempio al popolo cristiano. In questa ottica, beatificare Giovanni Paolo II significherà, non dare per modello la virtù, ma promuovere un’utopia.
III – Giovanni Paolo II e la virtù della carità (introduzione al cap. III)
Nel suo trattato sulle beatificazioni e canonizzazioni, il Papa Benedetto XIV spiega quali sono i segni richiesti per stabilire che un servitore di Dio ha praticato la carità verso il prossimo in maniera eroica. La carità eroica presuppone innanzi tutto la carità comune e questa si esprime praticando le opere di misericordia corporale e spirituale. Tra i segni della misericordia spirituale si notano i seguenti: correggere coloro che sono nell’errore e riportarli sulla via della salvezza; aver cura della salvezza delle anime e desiderare per queste i mezzi di salvezza che desideriamo per noi stessi. La carità eroica consiste nel compiere queste opere prontamente, facilmente e senza resistenza, con gioia, non una volta tanto, ma spesso, anche se le circostanze rendono difficile il loro compimento.
Ora, la pastorale di Giovanni Paolo II non permette di intravedere questo vero zelo missionario. La sua attitudine all’interno del dialogo ecumenico e interreligioso, lungi dal manifestare una carità applicata alle opere di misericordia spirituale, si rivela essere molto diversa dal comportamento che ha mostrato Nostro Signore Gesù Cristo: « se Gesù è stato buono con gli smarriti e con i peccatori, non ha rispettato le loro convinzioni erronee, per quanto sincere sembrassero (2)». In effetti, Giovanni Paolo II ha manifestato troppo spesso il suo rispetto per i punti di dottrina sui quali i suoi interlocutori ecumenici si opponevano alla fede cattolica. Per di più, lungi dal ricordare loro, con tutta la delicatezza richiesta, la necessità della fede cattolica per essere salvati, egli ha spesso accantonato il messaggio della Chiesa, l’ha perfino deformato. La sua “carità”, dunque, non fu quella della verità e per ciò stesso essa si opponeva anche alla carità comune.
Visto che sarebbe lungo illustrare questo aspetto in ciascuna delle relazioni extra ecclesiali di Giovanni Paolo II, qui ci soffermeremo, a mo’ d’esempio, solo sulle relazioni col giudaismo. Questo esempio è emblematico per due ragioni: innanzi tutto perché si è trattato di uno dei dialoghi maggiormente sviluppati da papa Wojtyla – forse in ragione della sua esperienza personale – e per ciò stesso quello sul quale forse si è maggiormente espresso; poi perché, in ragione stessa del rapporto che il giudaismo mantiene con la Scrittura, sarà più facile constatare se il defunto papa, in forza di questa stessa Scrittura, abbia esercitato la carità della verità o, al contrario, ha messo la lucerna sotto il moggio.
NOTE1 – Pio IX, Bolla Ineffabilis Deus, DzH 28022 – San Pio X, Lettera Notre charge apostolique, 42
Giovanni Paolo II, beato?
Valutare l’eroicità delle virtù di Giovanni Paolo II significa interrogarsi sul modo in cui egli ha praticato la virtù di fede nell’esercizio del suo ministero petrino. Occorre verificare se egli ha fatto tutto ciò che era di sua competenza – e fino all’eroicità – perché «La Chiesa di Cristo, fedele custode e garante dei dogmi a lei affidati, non ha mai apportato modifiche ad essi, non vi ha tolto o aggiunto alcunché, ma trattando con ogni cura, in modo accorto e sapiente, le dottrine del passato per scoprire quelle che si sono formate nei primi tempi e che la fede dei Padri ha seminato, si preoccupa di limare e di affinare quegli antichi dogmi della Divina Rivelazione, perché ne ricevano chiarezza, evidenza e precisione, ma conservino la loro pienezza, la loro integrità e la loro specificità e si sviluppino soltanto nella loro propria natura, cioè nell'ambito del dogma, mantenendo inalterati il concetto e il significato (
Prima parte
Il Papa Benedetto XVI ha annunciato che il suo immediato predecessore, il Papa Giovanni Paolo II, che ha governato la Chiesa dal 1978 al 2005, sarà beatificato il 1° maggio, solo sei anni dopo la sua morte. Dopo la beatificazione voluta da Giovanni Paolo II del papa che aveva convocato il Concilio Vaticano II, Giovanni XXIII, ecco quella del papa che ha applicato i principi del Concilio e li ha come incarnati per più di un quarto di secolo alla testa della Chiesa. Giovanni Paolo II fu il papa dei grandi assembramenti organizzati nel corso dei suoi numerosi viaggi, ma anche il papa dai gesti spettacolari nei confronti delle altre religioni, cristiane e non, come l’incontro di Assisi o il bacio del Corano.
Questa beatificazione pone al fedele cattolico delle domande angosciose: se Giovanni Paolo II è dichiarato beato, ne deriva che tutti i principi del Concilio sono da adottare, che non si può più rigettarli e combatterli. Noi vorremmo addurre alcuni elementi di risposta utlizzando un importante articolo di Don Jean-Michel Gleize su Le Courrier de Rome del febbraio 2011, insieme ad altri articoli del dossier che il n° 82 della rivista Fideliter ha dedicato a I Santi del Concilio. In seguito compareremo i pontificati di Giovanni Paolo II e di San Pio X, ultimo papa canonizzato.
Precisiamo innanzi tutto che la beatificazione non impegna per niente l’infallibilità pontificia. Si tratta solo di un atto col quale il Papa concede il permesso di rendere un culto pubblico al beatificato in certe parti della Chiesa. Quest’atto non è un precetto ed è riformabile. Questa beatificazione, dunque, non ci assicura la rettitudine dottrinale e la santità di vita del papa defunto.
Certo, si dirà, ma le autorità della Chiesa non si fermeranno lì, se la beatificazione sarà domani, dopodomani ci sarà la canonizzazione. Gli esaltati che durante i funerali di Giovanni Paolo II innalzavano i cartelli con su scritto “santo subito” rischiano davvero di essere esauditi.
Ora, con la canonizzazione il Sommo Pontefice emette una sentenza definitiva con la quale iscrive nell’elenco dei Santi il beatificato di ieri.
Nel far questo, il Papa si pronuncia su tre punti:
- il fedele defunto è nella gloria del Cielo;
- egli ha meritato di giungere a questa gloria praticando le virtù eroiche che hanno un valore esemplare per tutta la Chiesa;
- gli dev’essere tributato un culto pubblico.
Se l’infallibilità di una canonizzazione non costituisce un articolo di fede, si tratta comunque di una sentenza quasi unanime dei teologi e sarebbe alquanto temerario il contraddirla. Ma esaminando bene le cose, se possiamo dare come certa l’infallibilità delle canonizzazioni fatte tra il 1170 (data dalla quale il Papa si riserva la beatificazione e la canonizzazione) e il Concilio Vaticano II, possiamo invece legittimamente dubitare che le nuove canonizzazioni impegnino lo Spirito Santo, che è il garante della verità dei dogmi della Chiesa. Don Gleize, nel suo articolo, segnala tre punti sui quali le recenti riforme hanno introdotto un dubbio.
In primo luogo egli menziona l’insufficienza della nuova procedura: dei due processi richiesti precedentemente, oggi ne è rimasto solo uno. I miracoli richiesti erano almeno due per ogni tappa, oggi ne basta solo uno. Prima di una canonizzazione, il Papa doveva riunire per tre volte i cardinali e chiedere il loro parere, e questo non è più richiesto. Un tempo, il giudizio sull’eroicità delle virtù o il martirio doveva essere espresso almeno 50 anni dopo la morte del servitore di Dio, oggi è sceso solo a cinque anni, lasso di tempo che poi non è stato neanche rispettato né per Madre Teresa di Calcutta né per Giovanni Paolo II. Un tempo la Chiesa esaminava una causa verificando accuratamente l’insieme delle testimonianze umane nonché la conferma soprannaturale dei miracoli. Oggi la Chiesa sembra rispondere con precipitazione alla pressione mediatica e all’emozione popolare. Mentre invece, se quest’atto della canonizzazione è coperto dall’autorità divina, lungi dall’escludere l’attento esame delle testimonianze disponibili, lo esige per sua stessa natura. Come un papa non proclama in maniera arruffata un nuovo dogma, ma soppesa tutti gli argomenti a favore della promulgazione, così non può impegnare l’autorità dello Spirito Santo senza aver usato tutti i mezzi umani per assicurarsi dell’eroicità delle virtù e della rettitudine dottrinale del candidato alla canonizzazione.
Il secondo argomento avanzato da Don Gleize è quello del ritorno al collegialismo.
Le regole per la canonizzazione ricalcano quelle in vigore prima del XII secolo: il Papa lascia ai vescovi la cura di giudicare immediatamente la causa dei Santi e si riserva solo il potere di confermare il giudizio degli Ordinari. Ancora un campo in cui si applica la collegialità, innovazione del Concilio Vaticano II. Come dice Don Gleize: «quando il Papa esercita il suo ministero personale per procedere ad una canonizzazione, sembra proprio che la sua volontà sia di intervenire come organo del ministero collegiale; dunque le canonizzazioni non sono più garantite dall’infallibilità personale del magistero solenne del Papa».
La terza difficoltà deriva dal cambiamento della nozione di santità.
Questa può esistere in un’anima a gradi diversi. Noi incominciamo ad essere santi quando viviamo in stato di grazia: è questo il grado minimale della santità, richiesto per meritare il Cielo. Ma questa santità può crescere fino a raggiungere ciò che gli autori spirituali chiamano la perfezione: una completa identificazione con Cristo, un’attività ampiamente sotto la diretta dipendenza dello Spirito Santo. È allora che il cristiano pratica le virtù eroiche, soprattutto quelle della fede, della speranza e della carità. Qui eroico non significa che la sua vita esprime delle epopee grandiose, ma che la sua santità si rapporta ad un modo d’agire più divino che umano, nel senso che i doni dello Spirito Santo agiscono in lui in maniera ad un tempo frequente e manifesta. In questa ottica, i Santi non corrono per le strade: la perfezione cristiana è una cosa rara, anche se dei periodi di fede profonda vedono fiorire più frutti di santità di altri. Questo equilibrio è stato completamente scompigliato da Giovanni Paolo II, che moltiplicò le cerimonie di beatificazione e di canonizzazione. Egli elevò agli altari 483 Santi, più di tutti i papi negli ultimi quattro secoli. Questo cambiamento quantitativo è fondato su un cambiamento qualitativo. Come sottolinea Don Gleize: «Se le beatificazioni e le canonizzazioni sono ormai più numerose è perché la santità che testimoniano possiede un significato differente: la santità non è più qualcosa di raro, ma qualcosa di universale. E questo si spiega perché la santità a partire dal Vaticano II è considerata come un dato comune».
Queste tre considerazioni sollevano un serio dubbio sull’infallibilità delle nuove canonizzazioni. Come ovunque, il Concilio ha introdotto la novità e il dubbio in una materia prima ben definita dalla teologia cattolica. Occorrerà bene che un giorno il Magistero, passata la tempesta della crisi, si soffermi su queste questioni, ristabilisca delle regole chiare e faccia una cernita in quest’ammasso di nuove canonizzazioni e beatificazioni, la maggior parte delle quali si riconducono ad una vera santità, ma sono state dichiarate alla fine di una dubbia procedura.
Quanto a quelle che riguardano dei personaggi quanto meno controversi, dalle dottrine poco sicure, e che derivano dall’andazzo dei tempi, si renderà necessario un lavoro chiarificatore.
Dopo aver risposto a questa spinosa questione, il mese prossimo esamineremo i rispettivi bilanci di Giovanni paolo II e di San Pio X.Seconda parte
La beatificazione di Giovanni Paolo II, e certamente la sua prossima canonizzazione, provocano una legittima inquietudine: un vero turbamento interiore generato da quest’atto scandaloso per la fede di numerosi fedeli, i quali ormai penseranno che l’applicazione dei principi del Vaticano II conduca alla vera santità.
Dopo aver considerato la questione dell’autorità delle beatificazioni e delle canonizzazioni secondo le nuove regole, esaminiamo adesso la questione delle virtù manifestate da questo papa nel governo della Chiesa.
Sarà illuminante fare un paragone con l’ultimo papa canonizzato: San Pio X.
Cominciamo col rispondere a coloro che pretendono che sarebbero soprattutto la pietà personale, o le virtù individuali come l’umiltà e la fiducia in Dio, che autorizzano questa beatificazione di Giovanni Paolo II e che per quest’atto non si tratterebbe affatto di giudicare i frutti del suo pontificato. Non è così. Chi viene presentato come modello di virtù ai cristiani dev’essere santificato per il compimento del suo dovere di stato.
Una madre di famiglia che si dedica con coraggio e perseveranza al suo ruolo di sposa e di educatrice, un soldato che difende la giustizia e manifesta la virtù della fortezza, un re che governa saggiamente il suo paese.
Un papa, dunque, si santifica per come dirige la Chiesa in quanto Vicario di Cristo, predicando la fede in maniera intrepida, nominando dei buoni vescovi, ricordando i diritti di Cristo Re sugli individui e le società.
Si attribuisce a Richelieu questa frase: «Molti uomini che avrebbero salvato la loro anima come singoli si dannano come persone pubbliche» e Philippe Erlanger, che la cita nella biografia di Richelieu, le dà un significato inaccettabile: un uomo di governo sarebbe costretto dal suo stato a porre degli atti moralmente reprensibili. Questa frase in realtà può essere letta in altro modo, del tutto pertinente col nostro argomento: un uomo dalle virtù comuni può salvarsi facilmente se sceglie di rimanere nell’ombra allorché l’esercizio dell’autorità, che richiede virtù particolari come la prudenza politica e la fortezza o una maggiore umiltà, mette a rischio la sua salvezza. Un capo si salva esercitando le virtù del capo, lavorando per il bene comune senza tregua e senza debolezze.
Il caso della canonizzazione di San Pio X è molto interessante.
Questo grande papa, che abbiamo l’onore di avere come protettore della nostra Fraternità, fu beatificato nel 1951 e canonizzato nel 1954 da Pio XII. Nel corso del processo, il postulatore indicò 9 punti che meritavano di essere considerati come atti di governo di un “buon papa”.
Esaminiamo questi punti, comparando per ognuno ciò che ha realizzato Giovanni Paolo II.
1) San Pio X, secondo la sua divisa, ha operato per restaurare tutto in Cristo. Giovanni Paolo II, come partigiano del Concilio, ha lottato instancabilmente per i diritti della persona umana.
2) San Pio X, in quanto papa, ha cominciato col riformare la sua stessa diocesi: la diocesi di Roma. Papa Giovanni Paolo II ha viaggiato molto, ma non si è distinto in nulla per la cura della sua diocesi.
3) San Pio X ha saputo smascherare e combattere l’eresia modernista che cominciava ad infiltrarsi nella Chiesa. Papa Giovanni Paolo II non ha affatto condannato i teologi modernisti, salvo qualche agitatore oltranzista. Egli ha nominato cardinali le teste pensanti del modernismo, come i Padri de Lubac e Congar. Mentre invece a condannato fermamente Mons. Lefebvre per la sua nozione “incompleta e contraddittoria della Tradizione”.
4) San Pio X ha fissato delle norme per facilitare la comunione quotidiana dei fedeli e aumentare l’età della prima comunione dei fanciulli. Giovanni Paolo II non ha fatto alcunché per bloccare i numerosi abusi sacrileghi che accompagnano così facilmente le Messe moderne. Mentre la Messa di San Pio V non era mai stata abrogata, egli ha concesso solo un parsimonioso indulto a coloro che pensavano di dover chiedere il diritto di celebrarla. Egli è stato il primo papa a dare la Comunione sulla mano. Egli ha permesso alle ragazze di diventare “serventi” della Messa.
5) San Pio X ha ridato lustro alla musica sacra favorendo il ritorno ad una musica realmente liturgica e al canto gregoriano. Giovanni Paolo II non ha fatto alcunché per bloccare la decadenza della liturgia. Egli scelse come maestro delle celebrazioni pontificie un forsennato dell’inculturazione, che ha orchestrato tutte quelle cerimonie bizzarre che mischiavano liturgia e costumi locali talvolta sconvenienti per il luogo santo.
6) San Pio X ha fondato dei nuovi seminari regionali per sollevare il livello talvolta lamentevole dei seminari diocesani. Nulla di simile tra le preoccupazioni di Giovanni Paolo II. La formazione del clero lascia molto a desiderare, particolarmente in Francia, ove i seminari rappresentano più un pericolo per la fede che luoghi di formazione teologica e spirituale.
7) San Pio X ha riformato il breviario, rendendo all’Ufficio Divino la sua semplicità e la sua bellezza. L’Ufficio Divino non è più la priorità per i preti del Vaticano II, che si appoggiano più sull’attività che sulla preghiera della Chiesa.
8) San Pio X ha ordinato la redazione di un Codice di Diritto Canonico in un unico volume, per semplificare l’applicazione delle leggi ecclesiastiche ripartite in diverse raccolte accumulatesi nei secoli. Questo Codice venne pubblicato nel 1917, poco dopo la morte di San Pio X, esso costituisce il frutto di 19 secoli di saggio governo della Chiesa e si basa sui principi della teologia cattolica. Giovanni Paolo II ha pubblicato un nuovo Codice di Diritto Canonico che si basa sui principi del Vaticano II. La Chiesa è diventata il “popolo di Dio”, i fini del matrimonio sono capovolti, sono definiti dei nuovi motivi soggettivi per la nullità del matrimonio, ecc.
9) San Pio X ha riformato l’organizzazione della Curia romana per rendere più efficace il suo funzionamento. Giovanni Paolo II si è distinto particolarmente per il suo disinteressamento su questo punto.
In questi pochi elementi vediamo le differenze essenziali tra il saggio governo di San Pio X, che smaschera i modernisti, ridà coraggio ai cattolici francesi perseguitati dalla Repubblica, riorganizza la Chiesa nelle sue leggi, nella sua Curia, nei suoi uffici, e permette ai fedeli di nutrirsi quotidianamente del Corpo e del Sangue di Cristo; e il catastrofico governo di Giovanni Paolo II: ecumenismo, cerimonie interreligiose, difesa dei diritti dell’uomo, liturgia fantasiosa, scomunica di Mons. Lefebvre.
E dire che oggi si moltiplicano i ritratti aureolati del nuovo beato, i libri di pietà pieni di citazioni scelte, le immagini di comunione, le statuette in plastica “made in China”. La rivista Patapon, un tempo vicina alla Tradizione, pubblica una vita illustrata e molto edificante del nuovo santo. I ragazzi si estasiano per il piccolo Karol a cui piace tanto servire la Messa, per il Papa che visita gli Indiani d’America, in piedi davanti ad un tepee, il tutto tra una pagina sul Santo Curato d’Ars e un’altra su Santa Teresa del Bambino Gesù. La confusione penetra ancora un po’ di più nella Chiesa con grande detrimento della difesa della fede.
Di fronte a questa confusione e a questo scandalo, il nostro Superiore Generale ci invita ad una nuova crociata del Rosario tra la Pasqua di quest’anno e la Pentecoste dell’anno venturo. Riprendiamo con coraggio il nostro Rosario poiché la preghiera a Maria può tutto sul Cuore di Gesù.
Il Papa Benedetto XVI ha annunciato che il suo immediato predecessore, il Papa Giovanni Paolo II, che ha governato la Chiesa dal 1978 al 2005, sarà beatificato il 1° maggio, solo sei anni dopo la sua morte. Dopo la beatificazione voluta da Giovanni Paolo II del papa che aveva convocato il Concilio Vaticano II, Giovanni XXIII, ecco quella del papa che ha applicato i principi del Concilio e li ha come incarnati per più di un quarto di secolo alla testa della Chiesa. Giovanni Paolo II fu il papa dei grandi assembramenti organizzati nel corso dei suoi numerosi viaggi, ma anche il papa dai gesti spettacolari nei confronti delle altre religioni, cristiane e non, come l’incontro di Assisi o il bacio del Corano.
Questa beatificazione pone al fedele cattolico delle domande angosciose: se Giovanni Paolo II è dichiarato beato, ne deriva che tutti i principi del Concilio sono da adottare, che non si può più rigettarli e combatterli. Noi vorremmo addurre alcuni elementi di risposta utlizzando un importante articolo di Don Jean-Michel Gleize su Le Courrier de Rome del febbraio 2011, insieme ad altri articoli del dossier che il n° 82 della rivista Fideliter ha dedicato a I Santi del Concilio. In seguito compareremo i pontificati di Giovanni Paolo II e di San Pio X, ultimo papa canonizzato.
Precisiamo innanzi tutto che la beatificazione non impegna per niente l’infallibilità pontificia. Si tratta solo di un atto col quale il Papa concede il permesso di rendere un culto pubblico al beatificato in certe parti della Chiesa. Quest’atto non è un precetto ed è riformabile. Questa beatificazione, dunque, non ci assicura la rettitudine dottrinale e la santità di vita del papa defunto.
Certo, si dirà, ma le autorità della Chiesa non si fermeranno lì, se la beatificazione sarà domani, dopodomani ci sarà la canonizzazione. Gli esaltati che durante i funerali di Giovanni Paolo II innalzavano i cartelli con su scritto “santo subito” rischiano davvero di essere esauditi.
Ora, con la canonizzazione il Sommo Pontefice emette una sentenza definitiva con la quale iscrive nell’elenco dei Santi il beatificato di ieri.
Nel far questo, il Papa si pronuncia su tre punti:
- il fedele defunto è nella gloria del Cielo;
- egli ha meritato di giungere a questa gloria praticando le virtù eroiche che hanno un valore esemplare per tutta la Chiesa;
- gli dev’essere tributato un culto pubblico.
Se l’infallibilità di una canonizzazione non costituisce un articolo di fede, si tratta comunque di una sentenza quasi unanime dei teologi e sarebbe alquanto temerario il contraddirla. Ma esaminando bene le cose, se possiamo dare come certa l’infallibilità delle canonizzazioni fatte tra il 1170 (data dalla quale il Papa si riserva la beatificazione e la canonizzazione) e il Concilio Vaticano II, possiamo invece legittimamente dubitare che le nuove canonizzazioni impegnino lo Spirito Santo, che è il garante della verità dei dogmi della Chiesa. Don Gleize, nel suo articolo, segnala tre punti sui quali le recenti riforme hanno introdotto un dubbio.
In primo luogo egli menziona l’insufficienza della nuova procedura: dei due processi richiesti precedentemente, oggi ne è rimasto solo uno. I miracoli richiesti erano almeno due per ogni tappa, oggi ne basta solo uno. Prima di una canonizzazione, il Papa doveva riunire per tre volte i cardinali e chiedere il loro parere, e questo non è più richiesto. Un tempo, il giudizio sull’eroicità delle virtù o il martirio doveva essere espresso almeno 50 anni dopo la morte del servitore di Dio, oggi è sceso solo a cinque anni, lasso di tempo che poi non è stato neanche rispettato né per Madre Teresa di Calcutta né per Giovanni Paolo II. Un tempo la Chiesa esaminava una causa verificando accuratamente l’insieme delle testimonianze umane nonché la conferma soprannaturale dei miracoli. Oggi la Chiesa sembra rispondere con precipitazione alla pressione mediatica e all’emozione popolare. Mentre invece, se quest’atto della canonizzazione è coperto dall’autorità divina, lungi dall’escludere l’attento esame delle testimonianze disponibili, lo esige per sua stessa natura. Come un papa non proclama in maniera arruffata un nuovo dogma, ma soppesa tutti gli argomenti a favore della promulgazione, così non può impegnare l’autorità dello Spirito Santo senza aver usato tutti i mezzi umani per assicurarsi dell’eroicità delle virtù e della rettitudine dottrinale del candidato alla canonizzazione.
Il secondo argomento avanzato da Don Gleize è quello del ritorno al collegialismo.
Le regole per la canonizzazione ricalcano quelle in vigore prima del XII secolo: il Papa lascia ai vescovi la cura di giudicare immediatamente la causa dei Santi e si riserva solo il potere di confermare il giudizio degli Ordinari. Ancora un campo in cui si applica la collegialità, innovazione del Concilio Vaticano II. Come dice Don Gleize: «quando il Papa esercita il suo ministero personale per procedere ad una canonizzazione, sembra proprio che la sua volontà sia di intervenire come organo del ministero collegiale; dunque le canonizzazioni non sono più garantite dall’infallibilità personale del magistero solenne del Papa».
La terza difficoltà deriva dal cambiamento della nozione di santità.
Questa può esistere in un’anima a gradi diversi. Noi incominciamo ad essere santi quando viviamo in stato di grazia: è questo il grado minimale della santità, richiesto per meritare il Cielo. Ma questa santità può crescere fino a raggiungere ciò che gli autori spirituali chiamano la perfezione: una completa identificazione con Cristo, un’attività ampiamente sotto la diretta dipendenza dello Spirito Santo. È allora che il cristiano pratica le virtù eroiche, soprattutto quelle della fede, della speranza e della carità. Qui eroico non significa che la sua vita esprime delle epopee grandiose, ma che la sua santità si rapporta ad un modo d’agire più divino che umano, nel senso che i doni dello Spirito Santo agiscono in lui in maniera ad un tempo frequente e manifesta. In questa ottica, i Santi non corrono per le strade: la perfezione cristiana è una cosa rara, anche se dei periodi di fede profonda vedono fiorire più frutti di santità di altri. Questo equilibrio è stato completamente scompigliato da Giovanni Paolo II, che moltiplicò le cerimonie di beatificazione e di canonizzazione. Egli elevò agli altari 483 Santi, più di tutti i papi negli ultimi quattro secoli. Questo cambiamento quantitativo è fondato su un cambiamento qualitativo. Come sottolinea Don Gleize: «Se le beatificazioni e le canonizzazioni sono ormai più numerose è perché la santità che testimoniano possiede un significato differente: la santità non è più qualcosa di raro, ma qualcosa di universale. E questo si spiega perché la santità a partire dal Vaticano II è considerata come un dato comune».
Queste tre considerazioni sollevano un serio dubbio sull’infallibilità delle nuove canonizzazioni. Come ovunque, il Concilio ha introdotto la novità e il dubbio in una materia prima ben definita dalla teologia cattolica. Occorrerà bene che un giorno il Magistero, passata la tempesta della crisi, si soffermi su queste questioni, ristabilisca delle regole chiare e faccia una cernita in quest’ammasso di nuove canonizzazioni e beatificazioni, la maggior parte delle quali si riconducono ad una vera santità, ma sono state dichiarate alla fine di una dubbia procedura.
Quanto a quelle che riguardano dei personaggi quanto meno controversi, dalle dottrine poco sicure, e che derivano dall’andazzo dei tempi, si renderà necessario un lavoro chiarificatore.
Dopo aver risposto a questa spinosa questione, il mese prossimo esamineremo i rispettivi bilanci di Giovanni paolo II e di San Pio X.Seconda parte
La beatificazione di Giovanni Paolo II, e certamente la sua prossima canonizzazione, provocano una legittima inquietudine: un vero turbamento interiore generato da quest’atto scandaloso per la fede di numerosi fedeli, i quali ormai penseranno che l’applicazione dei principi del Vaticano II conduca alla vera santità.
Dopo aver considerato la questione dell’autorità delle beatificazioni e delle canonizzazioni secondo le nuove regole, esaminiamo adesso la questione delle virtù manifestate da questo papa nel governo della Chiesa.
Sarà illuminante fare un paragone con l’ultimo papa canonizzato: San Pio X.
Cominciamo col rispondere a coloro che pretendono che sarebbero soprattutto la pietà personale, o le virtù individuali come l’umiltà e la fiducia in Dio, che autorizzano questa beatificazione di Giovanni Paolo II e che per quest’atto non si tratterebbe affatto di giudicare i frutti del suo pontificato. Non è così. Chi viene presentato come modello di virtù ai cristiani dev’essere santificato per il compimento del suo dovere di stato.
Una madre di famiglia che si dedica con coraggio e perseveranza al suo ruolo di sposa e di educatrice, un soldato che difende la giustizia e manifesta la virtù della fortezza, un re che governa saggiamente il suo paese.
Un papa, dunque, si santifica per come dirige la Chiesa in quanto Vicario di Cristo, predicando la fede in maniera intrepida, nominando dei buoni vescovi, ricordando i diritti di Cristo Re sugli individui e le società.
Si attribuisce a Richelieu questa frase: «Molti uomini che avrebbero salvato la loro anima come singoli si dannano come persone pubbliche» e Philippe Erlanger, che la cita nella biografia di Richelieu, le dà un significato inaccettabile: un uomo di governo sarebbe costretto dal suo stato a porre degli atti moralmente reprensibili. Questa frase in realtà può essere letta in altro modo, del tutto pertinente col nostro argomento: un uomo dalle virtù comuni può salvarsi facilmente se sceglie di rimanere nell’ombra allorché l’esercizio dell’autorità, che richiede virtù particolari come la prudenza politica e la fortezza o una maggiore umiltà, mette a rischio la sua salvezza. Un capo si salva esercitando le virtù del capo, lavorando per il bene comune senza tregua e senza debolezze.
Il caso della canonizzazione di San Pio X è molto interessante.
Questo grande papa, che abbiamo l’onore di avere come protettore della nostra Fraternità, fu beatificato nel 1951 e canonizzato nel 1954 da Pio XII. Nel corso del processo, il postulatore indicò 9 punti che meritavano di essere considerati come atti di governo di un “buon papa”.
Esaminiamo questi punti, comparando per ognuno ciò che ha realizzato Giovanni Paolo II.
1) San Pio X, secondo la sua divisa, ha operato per restaurare tutto in Cristo. Giovanni Paolo II, come partigiano del Concilio, ha lottato instancabilmente per i diritti della persona umana.
2) San Pio X, in quanto papa, ha cominciato col riformare la sua stessa diocesi: la diocesi di Roma. Papa Giovanni Paolo II ha viaggiato molto, ma non si è distinto in nulla per la cura della sua diocesi.
3) San Pio X ha saputo smascherare e combattere l’eresia modernista che cominciava ad infiltrarsi nella Chiesa. Papa Giovanni Paolo II non ha affatto condannato i teologi modernisti, salvo qualche agitatore oltranzista. Egli ha nominato cardinali le teste pensanti del modernismo, come i Padri de Lubac e Congar. Mentre invece a condannato fermamente Mons. Lefebvre per la sua nozione “incompleta e contraddittoria della Tradizione”.
4) San Pio X ha fissato delle norme per facilitare la comunione quotidiana dei fedeli e aumentare l’età della prima comunione dei fanciulli. Giovanni Paolo II non ha fatto alcunché per bloccare i numerosi abusi sacrileghi che accompagnano così facilmente le Messe moderne. Mentre la Messa di San Pio V non era mai stata abrogata, egli ha concesso solo un parsimonioso indulto a coloro che pensavano di dover chiedere il diritto di celebrarla. Egli è stato il primo papa a dare la Comunione sulla mano. Egli ha permesso alle ragazze di diventare “serventi” della Messa.
5) San Pio X ha ridato lustro alla musica sacra favorendo il ritorno ad una musica realmente liturgica e al canto gregoriano. Giovanni Paolo II non ha fatto alcunché per bloccare la decadenza della liturgia. Egli scelse come maestro delle celebrazioni pontificie un forsennato dell’inculturazione, che ha orchestrato tutte quelle cerimonie bizzarre che mischiavano liturgia e costumi locali talvolta sconvenienti per il luogo santo.
6) San Pio X ha fondato dei nuovi seminari regionali per sollevare il livello talvolta lamentevole dei seminari diocesani. Nulla di simile tra le preoccupazioni di Giovanni Paolo II. La formazione del clero lascia molto a desiderare, particolarmente in Francia, ove i seminari rappresentano più un pericolo per la fede che luoghi di formazione teologica e spirituale.
7) San Pio X ha riformato il breviario, rendendo all’Ufficio Divino la sua semplicità e la sua bellezza. L’Ufficio Divino non è più la priorità per i preti del Vaticano II, che si appoggiano più sull’attività che sulla preghiera della Chiesa.
8) San Pio X ha ordinato la redazione di un Codice di Diritto Canonico in un unico volume, per semplificare l’applicazione delle leggi ecclesiastiche ripartite in diverse raccolte accumulatesi nei secoli. Questo Codice venne pubblicato nel 1917, poco dopo la morte di San Pio X, esso costituisce il frutto di 19 secoli di saggio governo della Chiesa e si basa sui principi della teologia cattolica. Giovanni Paolo II ha pubblicato un nuovo Codice di Diritto Canonico che si basa sui principi del Vaticano II. La Chiesa è diventata il “popolo di Dio”, i fini del matrimonio sono capovolti, sono definiti dei nuovi motivi soggettivi per la nullità del matrimonio, ecc.
9) San Pio X ha riformato l’organizzazione della Curia romana per rendere più efficace il suo funzionamento. Giovanni Paolo II si è distinto particolarmente per il suo disinteressamento su questo punto.
In questi pochi elementi vediamo le differenze essenziali tra il saggio governo di San Pio X, che smaschera i modernisti, ridà coraggio ai cattolici francesi perseguitati dalla Repubblica, riorganizza la Chiesa nelle sue leggi, nella sua Curia, nei suoi uffici, e permette ai fedeli di nutrirsi quotidianamente del Corpo e del Sangue di Cristo; e il catastrofico governo di Giovanni Paolo II: ecumenismo, cerimonie interreligiose, difesa dei diritti dell’uomo, liturgia fantasiosa, scomunica di Mons. Lefebvre.
E dire che oggi si moltiplicano i ritratti aureolati del nuovo beato, i libri di pietà pieni di citazioni scelte, le immagini di comunione, le statuette in plastica “made in China”. La rivista Patapon, un tempo vicina alla Tradizione, pubblica una vita illustrata e molto edificante del nuovo santo. I ragazzi si estasiano per il piccolo Karol a cui piace tanto servire la Messa, per il Papa che visita gli Indiani d’America, in piedi davanti ad un tepee, il tutto tra una pagina sul Santo Curato d’Ars e un’altra su Santa Teresa del Bambino Gesù. La confusione penetra ancora un po’ di più nella Chiesa con grande detrimento della difesa della fede.
Di fronte a questa confusione e a questo scandalo, il nostro Superiore Generale ci invita ad una nuova crociata del Rosario tra la Pasqua di quest’anno e la Pentecoste dell’anno venturo. Riprendiamo con coraggio il nostro Rosario poiché la preghiera a Maria può tutto sul Cuore di Gesù.
Prefazione di Mons. Bernard Fellay
al libro di
Don Patrick de La Rocque
Giovanni Paolo II, dubbi su una beatificazione
Il libro è stato pubblicato in francese dalle edizioni Clovis
(Abbé Patrick de La Roque, Jean-Paul II, doutes sur une béatification, Clovis, 200 p. – 14 € (+ port).
Commande en ligne : www.clovis-diffusion.com)
La prefazione è tratta dal n° 234 (7 maggio 2011) di DICI
agenzia della Fraternità San Pio X
Si veda:Passi dal libro Giovanni Paolo II, dubbi su una beatificazione
al libro di
Don Patrick de La Rocque
Giovanni Paolo II, dubbi su una beatificazione
Il libro è stato pubblicato in francese dalle edizioni Clovis
(Abbé Patrick de La Roque, Jean-Paul II, doutes sur une béatification, Clovis, 200 p. – 14 € (+ port).
Commande en ligne : www.clovis-diffusion.com)
La prefazione è tratta dal n° 234 (7 maggio 2011) di DICI
agenzia della Fraternità San Pio X
Si veda:Passi dal libro Giovanni Paolo II, dubbi su una beatificazione
Il 2 aprile 2005, al termine di uno dei più lungi pontificati della storia, moriva Karol Wojtyla, eletto papa il 16 ottobre 1978 col nome di Giovanni Paolo II. Questo pontificato di una durata eccezionale – più di un quarto di secolo – si rivela anche di una rara densità. Giovanni Paolo II ha pronunciato migliaia di discorsi, ha pubblicato 14 encicliche e centinaia di altri documenti pontifici, ha visitato 130 nazioni nel mondo, concesso quasi 3000 udienze pubbliche o private nel corso delle quali ha ricevuto quasi 20 milioni di persone, ha accolto i vescovi del mondo intero in 10.000 incontri, accordato più di 1000 interviste a personalità politiche o diplomatiche, ecc.
Questa enumerazione, che sarebbe facile proseguire, manifesta la difficoltà che si ha nel pronunciare un giudizio sereno e circostanziato su Karol Wojtyla, anche limitandosi al periodo del pontificato. Come valutare il suo giusto valore quando numerosi suoi atti e decisioni non hanno ancora dispiegato le loro conseguenze nella storia? Quando numerosi archivi non sono ancora accessibili ai ricercatori, sia pure ecclesiastici? Per esempio, la sua vita da sacerdote e poi di vescovo non verrebbe illuminata dalla consultazione degli archivi segreti della Polonia del dopo guerra? Ma questi sono accessibili solo dalla primavera del 2007 e cioè dal momento in cui si è concluso il processo diocesano, il solo abilitato a raccogliere le testimonianze che sarebbero servite poi all’istruzione del processo romano. Questo solo esempio fa capire come un bilancio effettuato oggi lascerebbe necessariamente in ombra molti lati di questa esistenza. Non è dunque senza motivo che la saggezza della Chiesa aveva imposto il rispetto di un certo lasso di tempo (cinquant’anni, secondo il Canone 2101 del Codice di Diritto Canonico del 1917) tra la morte di una persona e l’inizio della discussione sull’eroicità delle sue virtù, cosa che permetteva il distacco storico necessario.
Eppure, un mese dopo la morte di Giovanni Paolo II, il Papa Benedetto XVI autorizzava l’apertura del processo di beatificazione del suo predecessore. Meno di due anni furono giudicati sufficienti per chiudere il processo diocesano e altri due per elevare Karol Wojtyla al rango di “venerabile”: e infatti, il 19 dicembre 2009 Benedetto XVI firmò il decreto che riconosceva l’eroicità delle virtù di Karol Wojtyla, aprendo la via per la beatificazione, fissata al 1 maggio 2011.
La fretta che caratterizza questa beatificazione non è deplorevole solo in relazione al giudizio che potrebbe esprimere la storia su questo pontificato, ma soprattutto per la conseguenza di lasciare permanere i gravi interrogativi posti alla coscienza cattolica, e proprio in relazione alle virtù che definiscono la vita cristiana e cioè le virtù soprannaturali e teologali di fede, speranza e carità. Nei confronti del primo Comandamento di Dio, per esempio, come valutare i gesti di un papa che, per le sue dichiarazioni e il suo bacio, sembra abbia elevato il Corano al rango di Parola di Dio? Che implora San Giovanni Battista per la protezione dell’Islam? Che si felicita per aver partecipato attivamente ai culti animisti nelle foreste sacre del Togo? Solo qualche decennio fa, a norma dello stesso diritto ecclesiastico, tali gesti sarebbero stati sufficienti a sollevare il sospetto di eresia sulla persona che li avesse attuati. Sarebbero invece divenuti oggi, come per incanto, il segno di una virtù di fede praticata ad un grado eroico?
Il pontificato di Giovanni Paolo II e le innumerevoli innovazioni che l’hanno contrassegnato – dalla riunione interreligiosa di Assisi alle molteplici richieste di perdono, passando per la prima visita di un papa ad una sinagoga – pongono dei gravi interrogativi alla coscienza cattolica, interrogativi che si accentuano quando, con la beatificazione, tali pratiche finiranno con l’essere proposte come un esempio al popolo cristiano.
Seguendo Mons. Lefebvre, i cui giudizi su Papa Giovanni Paolo II sono pubblici, la Fraternità San Pio X ha ritenuto di non potersi sottrarre a tali interrogativi, ho quindi chiesto a suo tempo a don Patrick de La Rocque di redigere un documento che sarebbe stato inviato alle autorità ecclesiastiche in capo al processo diocesano: poiché è a questa istanza che in effetti spettava raccogliere tutte le testimonianze favorevoli e sfavorevoli relative alla reputazione di santità di Giovanni Paolo II.
Questo documento, che costituisce il corpo del presente libro, venne inviato, secondo le norme del diritto, ai diversi responsabili del processo diocesano, affinché fosse inserito tra i documenti del dossier ed esaminato con la stessa cura degli altri. Pervenuto in tempo agli uffici competenti, il nostro plico fu misteriosamente messo da parte, per essere aperto solo all’indomani della chiusura del processo diocesano, e cioè troppo tardi per poter essere preso in considerazione. È così che non figura tra le dozzine di migliaia di pagine sulle testimonianze rimesse solennemente alla Congregazione per le Cause dei Santi. Portati a conoscenza dei tribunali romani per altre vie, sfortunatamente i nostri interrogativi non hanno ricevuto alcuna risposta, al contrario: il 19 dicembre del 2009 la Santa Sede ha dichiarato l’eroicità delle virtù del defunto Papa.
Dovevamo dunque tacere?
Forti della raccomandazione dell’Apostolo - «insisti in ogni occasione opportuna e non opportuna» (2 Tim, 4, 2) – decidemmo di consegnare questo manoscritto ai nostri interlocutori romani, nel quadro degli scambi dottrinali tra la Fraternità San Pio X e la Santa Sede, dichiarando per di più la nostra intenzione di pubblicarlo. Che sia stata colpa del calendario o no, alcuni giorni dopo il mondo apprendeva dell’arresto provvisorio del processo di beatificazione, per mancanza di prove sufficienti che attestassero il «miracolo» che sarebbe stato ottenuto per intercessione di Giovanni Paolo II. Tuttavia, questo stesso «miracolo» venne finalmente riconosciuto alcuni mesi dopo e la cerimonia di beatificazione venne fissata per il 1 maggio 2011.
Queste pagine dunque riacquistano tutta la loro attualità. Così ne ho chiesta la pubblicazione.
L’autore, nel corso del suo esame, avrebbe potuto addentrarsi nei numerosi fatti sorprendenti, sconcertanti e perfino scandalosi che hanno cosparso questo pontificato. Era degno e opportuno, per un papa cattolico, ricevere le sacre ceneri di Shiva? Andare a pregare alla maniera giudaica al Muro del Pianto? Fare leggere l’Epistola in sua presenza ad una donna a seno nudo? Tanti e tanti fatti avrebbero potuto essere elencati qui, fatti che gettano quanto meno un’ombra su questo pontificato e generano turbamento in ogni anima veramente cattolica. Queste pagine invece non si fermano ad una dimensione semplicemente fattuale, ma ci conducono fino al cuore del problema, esponendo ciò che costituisce il punto essenziale e l’asse di questo pontificato: «l’umanesimo» di Giovanni Paolo II, i suoi presupposti confessati e le sue conseguenze ineluttabili, «umanesimo» la cui illustrazione più notevole fu la riunione interreligiosa di Assisi del 1986. E nonostante Don La Roque ci presenta in tre capitoli distinti alcune delle ragioni principali che sono d’ostacolo alla beatificazione di Giovanni Paolo II, la sua analisi presenta l’unità fondamentale di pensiero e d’azione di Karol Wojtyla, e bisogna riconoscere che è molto difficile stabilire la compatibilità di essa con la Tradizione cattolica.
Nel momento in cui la Sede Apostolica si appresta a rinnovare il gesto scandaloso attuato da Giovanni Paolo II ad Assisi nel 1986, le pagine che seguono ritornano d’attualità. Ed esse, pur portatrici di gravi interrogativi, possano nondimeno illuminare le anime di buona volontà e far brillare agli occhi di molti la fede cattolica in tutto il suo splendore, la sua forza e la sua dolcezza.
Menzingen, 25 marzo 2011
nella festa dell’Annunciazione della Santissima Vergine Maria,
20° anniversario della chiamata a Dio di Mons. Marcel Lefebvre
+ Bernard Fellay
Superiore Generale della Fraternità San Pio X.
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