ACTA APOSTATICAE SEDIS : come, cambiando un po' qua e un po' la, si può cambiare tutto...

domenica 18 settembre 2011

Questa è proprio bella!






15/9/2011
Padre Pio,Gemelli non fu il nemico
NON FU LUI A PROVOCARE LA TEMPESTA DEL SANT'UFFIZIO CONTRO IL CAPPUCCINO
VATICANISTA DE LA STAMPA
Non furono le prime allarmanti confidenze di padre Agostino Gemelli, nella vulgata il 'detrattorè di
Padre Pio, a provocare l'indagine del Sant'Uffizio nel 1921 su di lui. Nè il suo primo incontro con il cappuccino avvenne «su incarico» del Sant'Uffizio. Furono invece le dichiarazioni giurate - del luglio 1920, acquisite dal vescovo di Foggia Salvatore Bella e finite a Roma - a scatenare la tempesta:quella del farmacista Domenico Valentini Vista e della cugina Maria De Vito, avanzanti il sospetto che Padre
Pio si procurasse da sè con l'acido fenico e la veratrina richiesti in segreto, le presunte stimmate. Così, da subito, la storia prese una piega differente da quella auspicata da Gemelli che chiedeva, tra l'altro, l'invio di tre specialisti: «uno psicologo, un medico, un teologo», nonchè di «ingessare un arto superiore e uno inferiore» del cappuccino. Ad avanzare le nuove tesi, appoggiandosi a lunghe ricerche specie negli archivi di quella che oggi si chiama la Congregazione per la dottrina della fede, ma anche dell'Archivio Segreto Vaticano (accessibili sino all'anno 1939), è don Francesco Castelli. Con il suo nuovo libro «Padre Pio e il Sant'Uffizio (1918-1939)» pubblicato dalle Edizioni Studium (pagine 257, euro 20), secondo le anticipazioni fornite da «Avvenire» e «Osservatore Romano», offre documenti inediti su fatti e comportamenti di insospettati personaggi dell'intricata vicenda, scagionando Padre Gemelli dall'accusa di essere stato il nemico giurato di Padre Pio.La scelta assunta per l'indagine - con il ricorso a un visitatore apostolico dai pieni poteri - fu ritenuta meno invasiva rispetto al metodo che Gemelli riteneva utile a dissipare i dubbi. Metodo, che, del resto, morto Benedetto XV nel gennaio 1922, anche durante il pontificato del successore Pio XI fu ininfluente nelle decisioni sul caso assunte dai cardinali, talora «congelate» dallo stesso pontefice: tutt'altro che «interventista a priori» nell'affaire o «pilotato da Gemelli», come pure si ripete.Castelli si sofferma sulla scelta del Sant'Uffizio (dopo la prima consulenza chiesta al domenicano Joseph Lèmius che scartò le proposte di Gemelli) del vescovo di Volterra Carlo Raffaello Rossi (già visitatore nei seminari pugliesi, e censore di opere di Semeria e Buonaiuti) quale «uomo delle indagini» (e che,dopo la sua ispezione, quanto alle stimmate elencherà «argomenti teologici» sfocianti nella convinzione: «sembri non manchino motivi per far propendere in favore del dono sovrannaturale»).Castelli ricorda anche la dichiarazione su Padre Pio da parte
del Sant'Uffizio nel 1923 che, a partire da una corretta interpretazione del «non constare» - qualcosa da tradurre più come «non risulta» invece che «si esclude» - esprimeva un pronunciamento sospensivo e non un giudizio sui fatti relativi al cappuccino (tesi, secondo Castelli, confermata dai provvedimenti
contestualmente adottati). Altro punto: la decisione unanime dei cardinali del marzo 1931, con la proibizione a Padre Pio di celebrare in pubblico e di confessare, disposizione (da intendersi più come argine al devozionismo e per sottrarre il frate ai minacciati disordini di alcuni esaltati) sospesa da Pio XI deciso a ricorrere a Benito Mussolini dopo i vani tentativi di trasferire il cappuccino. Nè Castelli dimentica di analizzare, nella storia processuale, lo stile - analitico e cauto- di papa Ratti: che mai ratificò sistematicamente le decisioni dei cardinali (anzi, su trenta sedute - concentrate soprattutto nel primo decennio del pontificato - almeno in tredici Pio XI intervenne a modificare, integrare, sospendere i decreti cardinalizi). Delle tre lettere inedite di Gemelli riportate nel nuovo libro (sinora erano note le due da lui inviate all'assessore del Sant'Uffizio monsignor Carlo Perosi nel 1920, il testo destinato sempre allo stesso Dicastero nel 1926 e le due al gesuita Cirillo Martindale del 1952), attira qui l'attenzione di Castelli quella per l'assessore del Sant'Uffizio monsignor Nicola Canali, scritta il 16 agosto 1933 e motivata dall'uscita del volume di Giorgio Festa «Tra i misteri della Scienza e le luci della fede», «con un capitolo ingiurioso» a detta di frà Agostino nei suoi confronti. Padre Gemelli lamentato il fatto di non aver mai pubblicato nulla su Padre Pio e ritenendo l'attacco infondato, ricorda quanto aveva sostenuto nel 1924 a proposito delle stimmate del Poverello: «Le stigmate di s. Francesco non presentano solo un fatto distruttivo, come in tutti gli altri, ma bensì anche un fatto costruttivo. Questo è un fatto assolutamente inspiegabile della scienza, mentre invece le stigmate distruttive possono essere spiegate con processi biopsichici». «Evidentemente» - continua Gemelli cercando di decifrare perchè Festa lo contesti proprio a riguardo di padre Pio - «l'autore del presente volume, dr. Festa, ha giudicato che con tale mia assolutezza di giudizio io mi riferissi al Padre Pio. La illazione è ingiusta....». «Ciò lascia supporre, come avremo modo di verificare in un prossimo studio, che frate Agostino non pensasse a padre Pio quando riferì, nel 1924, di alcuni presunti stimmatizzati esaminati e ritenuti non autentici», chiosa Castelli alla fine del libro. Nel frattempo l'interrogativo è lanciato: Padre Pio fra il Sant'Uffizio e Gemelli è una storia da riscrivere?

Per chi vuole documentarsi seriamente puà sfogliare gli articoli a puntate su P.Pio pubblicati da
http://www.chiesaviva.com/CHIESA%20VIVA.htm

 ad esempio  http://www.chiesaviva.com/435%20mensile.pdf




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