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venerdì 18 novembre 2011

Contro Roma, contro Vienna.


I preti dissidenti austriaci vogliono mettere i laici sull’altare della messa
17 novembre 2011 -
Il cardinale arcivescovo di Vienna Christoph Schönborn ce la sta mettendo tutta per arginare il dissenso all’interno della sua chiesa, ma non è facile. Nei giorni scorsi ai vescovi austriaci riuniti in assemblea ha chiesto di restare compatti.
I 300 parroci aderenti alla Pfarrer-Initiative promotori, lo scorso giugno, di un “appello alla disobbedienza” nel quale chiedono riforme e cambiamenti nella chiesa, infatti, non demordono.
Il 6 novembre a Linz, e cioè in quel territorio ostile che tre anni fa costrinse Roma a revocare la nomina di vescovo ausiliare a Gerhard Wagner perché “troppo conservatore”, la Pfarrer-Initiative si è riunita coinvolgendo altri quattro gruppi cattolici (oltre a Wir Sind Kirche e alla Pfarrer-Initiative, LaienInitiative, Priester ohne Amt e Taxhamer Pgr-Initiative) che da tempo chiedono a Roma analoghe riforme (eliminazione dell’obbligo al celibato, sacerdozio femminile e di uomini sposati, piena accoglienza dei divorziati risposati), e ha minacciato l’imminente celebrazione di messe senza la presenza del prete se non verrà concesso il sacerdozio a donne e uomini sposati.
Già oggi in molte parrocchie si svolgono funzioni guidate da laici, ma nessuno si è spinto a celebrare il rito eucaristico senza un sacerdote.
Quella avanzata dai cinque gruppi è una mossa studiata a tavolino. Intendono intensificare la pressione sui vescovi, e dunque su Roma, mostrando loro che per ottenere ciò che chiedono sono disposti anche a spingersi fino all’extrema ratio: far celebrare messa ai laici e incappare nella scomunica.
Il 6 novembre a Linz i disobbedienti hanno stilato un documento dedicato al tema “Eucaristia in tempi di carenza di preti”. Al suo interno è contenuto un piano di proposte dettagliato: l’eucaristia è affidata alla comunità che “decide chi la dirige e la presiede”; per garantire l’unità della chiesa, è necessario che sia il vescovo a conferire l’incarico alla persona scelta dalla comunità; oggi “la celebrazione dell’eucaristia è subordinata al numero di preti celibi” ma “questo è un approccio errato”. E’ il numero dei celebranti, infatti, “a doversi adattare al numero di comunità”; la carenza di presbiteri è dovuta a “regole obsolete” e mentre in centinaia “sono stati allontanati dal ministero perché si sono sposati, i preti sono costretti ad assumersi la responsabilità di sempre più numerose comunità”.
La cura pastorale ne viene danneggiata e i preti rischiano l’esaurimento; il celibato sacerdotale è una prassi tardiva della chiesa – Roma, invece, insiste sulle origini evangeliche del celibato – e “nulla osta a tornare alle origini del cristianesimo e ad affidare la guida delle comunità e la celebrazione dell’eucaristia a uomini e donne sposati; tutti i credenti partecipano del “sacerdozio regale” di Cristo, conferito in occasione del battesimo senza fare distinzioni di sesso; le donne sono state, alle origini, diaconesse e apostole e hanno parlato profeticamente: le successive limitazioni al loro ministero “sono stati adattamenti alla società patriarcale”, ora superata nella nostra società. “Il cammino verso l’ordinazione femminile non può essere ostacolato da divieti del Papa di discuterne”; ogni comunità ha diritto a una guida, uomo o donna; se il vescovo non ottempera al suo compito di garantire questo diritto, le comunità si assumeranno la responsabilità di rendere possibile la celebrazione dell’eucaristia, come culmine, fonte e forza della fede.
L’intellighenzia del riformismo ecclesiale riunita a Linz è stata vagliata a dovere da vescovi che, come ha spiegato il segretario generale monsignor Peter Schipka, sabato scorso a Salisburgo avevano all’ordine del giorno dei propri lavori una “discussione su diverse iniziative e proposte di riforma della chiesa”.
La risposta di Schönborn, lasciando l’assemblea, è stata chiara: proporre di fare dire messa ai laici “è una rottura aperta con una verità centrale della nostra fede cattolica”.
In un’intervista al settimanale News il vescovo Klaus Küng di St. Pölten ha rincarato la dose dicendo che la proposta è una “contaminazione di ruoli” tra laici e clero: vi è un “grande pericolo”, ha detto, “nella tendenza a una clericalizzazione dei laici e alla secolarizzazione o laicizzazione del clero”.
Ciò che occorre, è che “ognuno porti avanti seriamente i suoi compiti secondo il proprio ruolo e la propria vocazione”; un’eucaristia senza prete, ha affermato, rappresenterebbe “un indebolimento del sacramento e del ministero sacerdotale”.
Küng è fermamente convinto di ciò che dice seppure la sua diocesi senta gravemente il problema della mancanza di sacerdoti: di 424 parrocchie, solo 184 hanno un parroco. Per questo è stata inventata una sorta di “centralizzazione” delle parrocchie più grandi, alle quali vengono “affiliate” comunità più piccole, nelle quali si recita il rosario o si celebra la liturgia delle ore senza la presenza del clero, mentre la messa viene celebrata solo in quelle più grandi, che godono della presenza di un parroco.
A Schönborn e a Küng non solo ha risposto Hans Peter Hurka, capo di “Wir sind Kirche” – per lui le parole dei due vescovi significano “non riconoscere la drammaticità della situazione”– ma anche un presule molto vicino a Schönborn, il vescovo ausiliare di Vienna Helmut Krätzl. “Le persone disposte al cambiamento – ha detto –, prima di tutte i vescovi, dovrebbero finalmente mettersi in rete e presentare insieme le loro richieste a Roma”. Perché se da decenni la gerarchia impone la stessa disciplina e da decenni la base ecclesiale non la segue, è evidente che l’aspetto giuridico, prima o poi, deve essere “ripensato”.
Ciò che più di ogni altra cosa preoccupa Roma è il fatto che il vasto movimento di riforma austriaco può contare, qui come non avviene altrove, sull’appoggio del popolo: stando a un recente sondaggio realizzato dal Gfk-Umfrage Institut i cui risultati sono stati diffusi dall’emittente Orf, il 72 per cento dei preti austriaci sostiene l’“appello alla disobbedienza”; il 76 per cento è favorevole alla comunione ai divorziati risposati, mentre il 71 vorrebbe l’abolizione del celibato sacerdotale obbligatorio e il 55 (il 51, secondo un sondaggio dello stesso Istituto, nel 2010) vorrebbe l’ordinazione femminile.
Pubblicato sul Foglio giovedì 17 novembre 2011


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